INTRODUZIONE
I problemi della verità e dell’essere, della verità dell’essere e dell’essenza della verità, si affacciano
alla nostra considerazione con la nascita della tradizione occidentale del pensiero che imprime su di
essi una fra le sue ossessioni principali: la ricerca di una definizione che ne delimiti il significato e
li trasformi in concetti ossia idee incorruttibili che guidino correttamente il nostro pensare e il
nostro conoscere.
La domanda sull’essere è la più originaria, la più “consumata” e quella ancora mai risolta, forse
perché, come sostiene Heidegger, è da sempre stata posta in maniera errata, tanto da determinare un
particolare andamento successivo del pensiero, il quale è stato assunto dall’uomo occidentale come
unica possibile modalità di ragionamento.
Il presente lavoro mostra il decorso del rapporto ermeneutico che Heidegger instaurò con il pensiero
di Platone, considerato uno dei primi filosofi - insieme ad Aristotele e dopo i presocratici - che tentò
di affrontare il problema dell’essere partendo dalle sue radici logiche e ontologiche.
Sotto l'aspetto cronologico, la trattazione del tema della verità comincia ad essere formulata da
Heidegger sin dal corso universitario che tiene sulla lettura del Sofista nel 1924; l’indagine è ripresa
poi nel 1925-26 con il corso intitolato Logik. Die Frage nach der Warheit. Nel 1928-29 Heidegger,
come successore del suo maestro Husserl, tiene un corso a Friburgo, Einleitung in die Philosophie,
la cui sezione iniziale è dedicata alla trattazione della verità come giudizio e adeguazione, del
rapporto tra essere e verità e dell'essenza stessa della verità da intendersi come originario processo
1
di dis-velamento che assumerà rilevanza decisiva nella presupposizione di un intrinseco e iniziale
rapporto con il Dasein. A partire dal 1930, gli scritti di Heidegger su questo tema subiscono un
cambiamento di direzione in senso fortemente critico nei confronti di Platone che è ritenuto
responsabile della deformazione metafisica del pensiero occidentale, del conseguente oblio
dell'essere e del mutamento essenziale nell'essenza della verità la quale passa da svelatezza a
correttezza del giudizio e dell'asserzione. Nel 1931-32 Heidegger tiene un corso intitolato Vom
Wesen der Wahrheit ( L'essenza della verità) in cui espone la sua prima interpretazione del mito
platonico della caverna; inoltre lo scritto Nietzsche, una raccolta di testi compresi tra il 1936 e il
1946, ha come oggetto Platone ed il platonismo, per cui il pensiero nietzschiano è presentato come
realizzazione massima della metafisica occidentale; il 1942 è segnato dalla Platons Lehre von der
1
Tale carattere di dinamicità viene acquisito grazie agli studi sul Sofista e sul tentativo di definizione di essere come
δύναµις.
Wahrheit (La dottrina platonica della verità), edita in Wegmarken (Segnavia), una conferenza che
tratta della seconda e decisiva interpretazione del mito e che porta a compimento il capo d'accusa
maggiore rivolto a Platone. L’analisi dell’interpretazione heideggeriana del mito della caverna
rappresenta il punto centrale del lavoro, poiché incide in maniera indelebile sulla relazione tra i due
filosofi.
Heidegger intrattiene un rapporto con il pensiero greco per capire cosa esso abbia significato e
continui a significare tutt’ora per l’Occidente, come da esso prenda vita la conoscenza in quanto
ἐπιστήµη e la filosofia come pensiero che si origina dal θαυµὰθειν, fino al consolidarsi della
convinzione che il modo di pensare inaugurato dai Greci abbia creato i presupposti validi affinché
l’epoca contemporanea si sviluppasse sotto i tratti essenziali della tecnica moderna e del nichilismo.
I tre bersagli della critica heideggeriana sono: prima Aristotele, poi Platone ed infine i presocratici.
Tale dinamica regressiva mira ad una radicale messa in discussione del pensiero filosofico
tradizionale; in questa sede ci si occuperà soprattutto di analizzare alcuni tratti della relazione con il
pensiero platonico, in quanto esso ha offerto ad Heidegger l’occasione di ri-porre (riproporre?) la
filosofia e la metafisica dentro la storia dell’essere.
L’indagine sulla verità, secondo l’impostazione heideggeriana, parte dallo studio preliminare della
stessa questione che il filosofo ritrova nell’accostarsi alle Ricerche Logiche di Husserl, il cui
metodo fenomenologico accompagna Heidegger per tutto il corso della sua speculazione, ma
soprattutto durante la trattazione del pensiero greco.
Heidegger concorda con Husserl sull’impossibilità che il giudizio sia il luogo più proprio della
verità, esso deve invece essere ridimensionato a «collocazione ristretta rispetto alla profondità e
all’ampiezza ontologica del suo manifestarsi»
2
. Da qui la confutazione del fatto che la verità sia da
intendersi come adaequatio rei et intellectus e che l’originaria occasione del suo manifestarsi sia
esclusivamente il giudizio o proposizione (risultato di concetto e rappresentazione). Le
argomentazioni che minano questa concezione dell’essenza del vero sono principalmente tre: la
prima si fonda sulla distinzione interna al λόγος tra il carattere semantico (significante) e quello
apofantico (dis-velante), il quale si costruisce nell’alternanza tra il momento sintetico e quello
diaretico, dando la possibilità alle alternative del poter-essere vero e del poter-essere falso di
manifestarsi nel linguaggio; la seconda cerca la possibilità dell’essere-vero e dell’essere-falso come
fondamento ontologico della predicazione, il quale è individuato nelle attività di sintesi e di diaresi
proprio del λόγος; queste sono a loro volta possibili grazie all’atteggiamento scoprente dell’esserci
2
2
F. V olpi, Heidegger e i Greci, p. 91, articolo disponibile all’indirizzo: http://www.swif.uniba.it/lei/scuola/filosofi/
1997/11.PDF (accesso Settembre 2012).
che, proprio in quanto Dasein, è costitutivamente aperto all’ente; la terza argomentazione porta
Heidegger ad interrogarsi sul fondamento ontologico del processo di scoprimento, il quale è da
ricercarsi nel fatto che l’ente è accessibile e si dà, per sua stessa natura, alla comprensione da parte
dell’esserci a cui esso appare come svelato (unverborgen, ἀληθές). Con ciò Heidegger arriva a
pensare l’essenza della verità nella sua struttura originariamente disvelante, antepredicativa e
sostanzialmente aperta, le cui declinazioni derivate e secondarie a livello logico sono la
predicazione vera e quella falsa. Grazie a questo preliminare lavoro su Aristotele, sulla scorta degli
insegnamenti husserliani, Heidegger riesce ad emancipare la comprensione della verità dalla
struttura logico-linguistica cui era stata relegata per accoglierla, invece, nella prospettiva ontologica
dove la domanda sulla sua essenza viene posta di nuovo e in maniera ancor più radicale.
Connesso al discorso sull’originaria svelatezza è la scoperta del fatto che i Greci privilegiassero il
“presente” come determinazione fondamentale del tempo; questo porta Heidegger ad accorgersi che
ciò corrisponde, in analogia, ad una effettiva e valida comprensione dell’essere esclusivamente
come “presenza”. Il presente si pone come dimensione fondamentale per la determinazione del
carattere essenziale dell’essere.
L’essere può essere compreso solo in quanto “presenza” (Anwesenheit).
Il passaggio a Platone comincia a strutturarsi proprio su queste basi
3
.
Il vero e proprio incontro e scontro tra i due filosofi avviene in occasione dell’interpretazione che
Heidegger dà del celebre mito platonico della caverna in due precisi luoghi: il corso su L’essenza
della verità del 1931-32 e la conferenza intitolata La dottrina platonica della verità, pensata negli
anni ’30 scritta nel ’40, ma pubblicata solo nel ’42. Quest’ultima rappresenta per Heidegger il luogo
di quell’avvenimento epocale di cui sarebbe responsabile Platone, vale a dire il mutamento
dell’essenza della verità da svelatezza (α̉-λήθεια) originaria come carattere dell’essere stesso ad una
concezione della verità come correttezza dell’asserzione riguardo alla cosa conosciuta da parte di un
soggette percepente, quindi verità come carattere dell’ente (ontificazione o schiacciamento
dell’essere nelle idee platoniche). Questo drammatico accadimento, non accidentale nella storia
dell’essere, provoca l’inizio del dominio conoscitivo da parte di un soggetto che opera la
percezione/rappresentazione/conoscenza su qualcosa che diventa perciò un oggetto (Gegenstand,
ciò che sta dinnanzi a, ciò che è posto di fronte). La nascita della dinamica oppositiva soggetto-
oggetto concorre a segnare la storia del pensiero occidentale in senso metafisico. Con il configurarsi
della struttura teoretica della “soggettità”, al cui «fondamento starebbe la volontà di impossessarsi e
3
3
Idea come e-videnza, forma pura tenuta presente nella visione (ciò che è stato visto, dunque ora si sa), essere dell’ente
che pro-voca la sua manifestazione per ciò che realmente esso è, così come esso è.
di impadronirsi conoscitivamente e praticamente dell’ente»
4
, l’oggetto «dovrebbe venire
preventivamente pensato dalla metafisica come accessibile e disponibile alla volontà di coglimento,
cioè dovrebbe essere pensato come ente-presente»
5
e suscettibile di visione e rappresentazione.
Questa degradazione del pensiero dell’essere non ci esime dal tentare di distaccarci dall’abitudine
mentale di cui l’uomo occidentale è diventato schiavo (“il giogo metafisico della soggettività”
6
) e
dal provare a comprendere, come dice Heidegger, che «la cosa del pensiero non è mai altro che
sconcertante. Essa è tanto più sconcertante, quanto più noi ci poniamo di fronte ad essa liberi da
pregiudizi. Per far questo bisogna essere pronti ad ascoltare»
7
.
Dopo questa breve esposizione generale dell’argomento, per concludere, il lettore troverà nel primo
capitolo una presentazione generale dei due momenti che particolarizzano il rapporto tra i pensatori
in questione, la trattazione di nuclei tematici riguardanti la dottrina platonica delle idee,
l’interpretazione che Heidegger ne dà e le connessioni fondamentali tra i concetti di ἰδέα, εἶδος e
λόγος nella situazione ermeneutica della conoscenza.
Il secondo capitolo sarà dedicato agli studi heideggeriani sulla teoria delle idee, l’ἰδέα come ἀγαθόν
e il momento fondamentale della Kehre come cambiamento prospettico.
Nel terzo capitolo verranno presi in esame i due saggi heideggeriani che riguardano
l’interpretazione del mito della caverna: il corso del 1931-32 intitolato L’essenza della verità, e la
conferenza La dottrina platonica della verità pubblicata nel 1942.
In ultimo, nel quarto capitolo verranno esposte tre posizioni di critica circa il lavoro esegetico di
Heidegger riferito alla teoria platonica del vero.
4
4
F. V olpi, Heidegger e i Greci, p. 99.
5
F. V olpi, Heidegger e i Greci, p. 99, corsivo mio.
6
F. V olpi, Heidegger e i Greci, p. 99.
7
M. Heidegger, Was heisst Denken, trad. it. Che cosa significa pensare ?
I
HEIDEGGER E PLATONE: UNO SCONTRO-INCONTRO SEMPRE APERTO
1. PLATONE NELLA MEDITAZIONE HEIDEGGERIANA SULLA STORIA
OCCIDENTALE DEL PENSIERO DELL’ESSERE
Impossessarsi delle possibilità ermeneutiche della “meditazione storica”, nei termini heideggeriani,
significa concentrarsi nello sforzo di porre interrogativi anche là dove si pensa non ce ne possano
essere
8
.
In alcuni studi risalenti al 1937/38 Heidegger propone di mettere in rilievo la differenza che
sussisterebbe tra una semplice considerazione storiografica, o istorica (Historische Betrachtung), e
la vera e propria meditazione storica (Geschicthliche Besinnung).
L’intento heideggeriano è quello di proporre la domanda sulla verità in maniera più originaria, e ciò
implica necessariamente un confronto con la filosofia occidentale, particolarmente rivolto a Platone
e ad Aristotele per quanto riguarda la nascita della metafisica, in quanto erramento del senso
dell’essere
9
, confronto che non va inserito in una prospettiva prettamente storiografica, bensì deve
reggersi sul filo della meditazione storica. La considerazione storiografica riguarda il nostro modo
di conoscere il passato come elenco di fatti ordinati cronologicamente e oggettivamente ricostruiti,
la meditazione storica invece guarda a quegli eventi sotto la luce del domandare. Storico non
historiche, ma geschichtliche la cui radice ritroviamo nel verbo Gescheh-en accadare: storico è ciò
che avviene in quel che Heidegger dice essere «posto nella volontà, nell’attesa, nella cura. E questo
5
8
Questo particolare atteggiamento filosofico è segnato dalla volontà, tutta heideggeriana, di riscoprire il senso
dell’eccedenza velato, ma presente nel “detto” di un pensatore, in questo caso Platone, che permetta di creare una
situazione ermeneutica fertile nel momento in cui questo pensiero venga tolto da suo “topos” originario e ricollocato
altrove per incitare alla domanda. A questo proposito, Heidegger non ha mai assunto un atteggiamento puramente
storiografico verso i pensatori con cui entrava in relazione, poiché questo avrebbe portato ad una cristallizzazione
dell’essere in una delle sue singole manifestazione ontiche, bensì ha affrontato l’intera tradizione occidentale tramite
un’analisi della metafisica in quanto posizione fondamentale e iniziale.
9
Heidegger parla di erramento del senso dell'essere per indicare sia l'idea dell'errore, sia quella dell'andare vagando,
errando appunto. L'erramento del senso dell'essere si riferisce alla storia del pensiero occidentale in senso metafisico,
quale stortura del pensare iniziata da Platone con l'ontificazione dell'essere in idee. L'inclinazione metafisica assunta dal
pensiero non è nulla di accidentale, sostiene Heidegger; al contrario, nella perpetuazione dell'errare, l'errore ha inciso un
solco sempre più profondo nel quale l'essere è imprigionato (di continuo interpretato scorrettamente). Si tratta di capire
che l'uomo si trova davanti non solo all'errore dell'essere, ma anche all'errare dell'essere, il quale ha una sua storia e che
perciò non si esaurisce mai definitivamente in nessuna delle sue determinazioni, o meglio, manifestazioni che co-
involgono anche l'uomo in qualità di esser-ci, sicché l'erramento non riguarda solo l'essere ma anche l'uomo stesso.
è qualcosa che non può essere preso come oggetto di considerazione, ma è qualcosa su cui noi
dobbiamo meditare»
10
Il senso e l’urgenza del meditare sono espressi da Heidegger nel passo che segue:
«Dobbiamo compiere uno sforzo in direzione del senso (Sinn), dei criteri possibili e delle mete
necessarie, delle forze unificanti, di ciò a partire dal quale tutto l’accadere umano ha preso
originariamente le mosse. Queste mete e queste forze potrebbero essere qualcosa che accade già da
lungo tempo, anche se solo nascostamente; potrebbero essere il contrario del passato, ossia qualcosa
che è ancora essenziale e aspetta la liberazione della sua efficacia.»
11
Secondo Heidegger la parola storico non indica un tipo di descrizione o di esplorazione, indica
invece l’accadere stesso dell’essere storico, ovvero l’uomo che accade in quanto è da-venire; egli
sostiene che l’inizio sia ciò che racchiuda tutto, a dispetto del logico pensare che ciò che inizia si
allontani dal suo esordio e lo lasci come evento o fatto apparentemente del passato, quando invece
questo presunto passato mantiene un tratto essenziale che entra in conflitto con tutto ciò che accadrà
in futuro. Il pensiero che si richiama a questo tratto originario è detto “pensiero iniziale”, per cui ciò
che è detto nel primo inizio contiene qualcosa che rimane implicito in questo stesso detto come
presenza costante; il rimanere implicito fa' sì che il primo inizio si sviluppi come metafisica,
ovvero la storia della dimenticanza di ciò che in esso viene lasciato inespresso. E’ proprio per
questo che “l’iniziale resta sempre il nascosto” e che il rapporto che si intrattiene con questo deve
assurgere il carattere di originarietà essenziale, ovvero essere meditazione storica.
Oggetto di quest’ultima per Heidegger, nel periodo d’indagine speculativa rivolto al pensiero greco,
è il ruolo della metafisica platonica, la prima autentica metafisica nella storia dell’essere che è
segnata dall’oblio della “differenza ontologica” e dal mutamento radicale dell’essenza della verità.
Alla comprensione del sostrato originario della concezione della verità come correttezza, per
arrivare al pensiero iniziale della sua fondazione, è necessario un ritorno all’inizio del pensiero
occidentale nell’atteggiamento rivoluzionario del domandare e del “rovesciamento di ciò che è
abituale”.
6
10
M. Heidegger, Grundfragen der Philosophie. Ausgewählte «Probleme» der «Logik» GA Bd. 45, p. 40 (trad. it.,
modificata, p.37), in A. Le Moli, Heidegger e Platone. Essere, relazione e differenza, Vita e Pensiero Università,
Milano, 2002, Presentazione di C. Esposito, p.XIV .
11
M. Heidegger, Domande fondamentali della filosofia, p. 37, cit. in F. Borgia, Appartenenza e alterità. Il concetto di
storicità nella filosofia di Martin Heidegger, Mimesis edizioni, 2008, p. 62. Disponibile all’indirizzo:http://
books.google.it/books?id=R12_yuG8Zo8C&pg=PA62&lpg=PA62&dq=heidegger+meditazione
+storica&source=bl&ots=efb1Gcc-A-&sig=_gj4oPm58syPt0EnSxIfP97-82A&hl=it#v=onepage&q=heidegger
%20meditazione%20storica&f=false (accesso Ottobre 2012).
Il confronto con Platone è considerato una costante nel pensiero heideggeriano in quanto cifra
dell’interpretazione dell’intero corso della sua speculazione.
L’immagine di Platone attraversa e muta a seconda delle fasi della ricerca heideggeriana, prima e
dopo la cosiddetta “svolta”, ma rimane elemento di propulsione assidua all’interrogazione del
pensiero sulla questione fondamentale dell’essere e dell’essenza della verità. Nel quadro
ermeneutico heideggeriano Platone non è da considerarsi come una semplice posizione o alternativa
da collocare al rango di altre declinazioni del pensiero occidentale, bensì rappresenta i due momenti
del dis-velamento iniziale e dell’occultamento finale della verità dell’essere.
Nella considerazione cronologica del rapporto tra i due pensatori, si è soliti indicare un momento
costruttivo ed uno oppositivo che caratterizza l’approccio heideggeriano alla filosofia platonica,
fermo restando che questa considerazione va fatta sempre in virtù della prospettiva heideggeriana
per cui l’oggetto storiografico resta sempre dietro di noi e il pensiero, in quanto meditazione storica,
rimane invece da pensare nella sua originarietà, “nel suo inizio che è da sempre ancora da-venire”.
Platone non è un parametro da riscoprire, cui conformarsi, da oltrepassare in maniera critica.
Rappresenta invece il luogo del ripensamento della domanda originaria sull’essere, sulla scorta del
movimento dialettico del dis-velamento e occultamento del senso dell’esistere e della verità
dell’essere. Proprio per questo potrebbe davvero rappresentare quello che Heidegger chiama
meditazione storica.
Il dubbio che potrebbe sorgere concerne la possibilità che la riscoperta di alcuni elementi di
chiarificazione ontologica dell’esistenza e di strumenti di occultamento della questione dell’essere
siano da collocare in una prospettiva cronologica di “evoluzione” del pensiero heideggeriano, in
quanto specchio del suo duplice atteggiamento, prima di accettazione e poi di accesa critica nei
confronti di Platone, oppure, in caso differente, il fatto che questi elementi rientrino invece in una
considerazione più complessa, alle volte contrastante, ma unitaria dell’indagine heideggeriana.
Evidente a questo proposito è un nesso che lega due momenti fondamentali della storia
dell’interpretazione heideggeriana: il corso sul Sofista del 1924/25 e il saggio La dottrina platonica
della verità, risalente ad un corso del 1931/32, scritto nel 1940 ed infine pubblicato nel 1942.
Attraverso questi due momenti emerge l’importanza che Heidegger diede al ripensare l’approccio
platonico, sebbene di deriva metafisica, nel decorso onto-gnoseologico della storia della questione
dell’essere e dell’essenza della verità. Un’importanza tale da suggerire una nuova via di
comprensione dell’uomo stesso che, nella riscoperta del pensiero greco, della tradizione e
dell’antichità classica, rimette in discussione quegli elementi di cui tanto ha vissuto e che ormai
sono diventati ovvi, se non persino esperiti inconsciamente.
7
Scrive Heidegger:
«L’interpretazione dei dialoghi platonici ha come scopo quello di chiarificare in questi suoi
fondamenti ciò che per noi è ovvio. Comprendere la storia non può significare altro che
comprendere noi stessi, ma non nel senso che ci sia possibile constatare che cosa ne è di noi, bensì
nel senso che facciamo esperienza di ciò che dobbiamo essere».
12
Significativo è inoltre un altro passo in chiusura al saggio La dottrina platonica della verità in cui
Heidegger si esprime molto chiaramente come sarà da intendere la considerazione della dottrina
platonica dell’essere: non già una ripresa concettuale e storica di una particolare declinazione del
pensiero, bensì un nervo pulsante costantemente in atto nel lavorio intenso ed incessante del
“domandare” del pensiero all’essere. Si legge infatti:
«Il pensiero di Platone segue il mutamento dell’essenza della verità, quel mutamento che diventa
storia della metafisica, la quale, col pensiero di Nietzsche, ha iniziato il suo incondizionato
compimento. La dottrina platonica della verità non è dunque qualcosa di passato. Essa è presente
storico , inteso però non tanto come effetto remoto di una dottrina, ricostruito con un’operazione
storiografica, né infine come semplice conservazione di una tradizione. Quel mutamento
dell’essenza della verità è presente come la realtà fondamentale della storia universale del globo
terrestre che avanza verso la fase estrema dell’epoca moderna; si tratta di una realtà che ,
consolidata da tempo e perciò ancora non spostata, domina ogni cosa»
13
.
Così Platone diventa modello del mutamento, il simbolo di ciò che Heidegger intende per storico,
“come ciò che accade nell’esistenza umana e infine nell’essere stesso”
14
.
8
12
M. Heidegger, Platon: Sophistes, GA Bd. 19, pp.10-11, cit. in Presentazione di C. Esposito, p.XIII, in A. Le Moli,
Heidegger e Platone. Essere, relazione e differenza, Vita e Pensiero Università, Milano, 2002.
13
M. Heidegger, Platons Lehre von der Wahrheit, in Wegmarken, GA Bd. 9, hrsg. v. F.-W. von Herrmann, Klostermann,
Frankfurt a.M. 1976, p.237 (trad. it. a cura di F. V olpi, in Segnavia, Adelphi, Milano 1987, p. 191), cit. in Presentazione
di C. Esposito, p.XIV , in A. Le Moli, Heidegger e Platone. Essere, relazione e differenza, Vita e Pensiero Università,
Milano, 2002.
14
Presentazione di C. Esposito, p.XIV , in A. Le Moli, Heidegger e Platone. Essere, relazione e differenza, Vita e
Pensiero Università, Milano, 2002.
2. SPIEGAZIONE INTRODUTTIV A DELLA DUPLICE ARTICOLAZIONE
DELL’INTERPRETAZIONE HEIDEGGERIANA DI PLATONE.
ACCENNI AL NESSO TRA IL SOFISTA E L’HERMENEUTIK DER FAKTIZITÄT
Come evidenziato da accurati studi a riguardo, il rapporto tra Heidegger e Platone si sviluppa
secondo due momenti: uno “appropriativo”, un altro invece fortemente critico.
Il primo si distingue per l’approccio costruttivo della lettura heideggeriana che si concentra
principalmente su due dialoghi platonici, il Sofista e i l Fedro, affrontati in maniera
“fenomenologica”, interpretazione che risente senza ombra di dubbio del motto husserliano “tornare
alle cose stesse”, per cui l’oggetto d’indagine è la stessa ontologia, invece il metodo che lo affronta
è quello fenomenologico. Ciò che emerge è che, in questa fase, l’ontologia e la dialettica platoniche
sono considerate strutture pre-teoretiche, elementi fondamentali che configurano l‘Hermeneutik der
Faktizität su cui Heidegger si concentra nei corsi friburghesi dal 1919 al 1923
15
.
Platone rappresenta uno snodo fondamentale nella dimensione della fatticità dell’esistenza che è
essenziale nel pensiero heideggeriano come comprensione della specificità dell’essere dell’uomo,
ed il cui sforzo teorico è quello di approfondire l’interpretazione dell’uomo e della sua esistenza in
direzione di un carattere fattuale originario. Risalgono a questi anni i primi abbozzi di una ontologia
intesa come ermeneutica della fatticità, per cui la questione dell’essere, quella di nostra
competenza, viene affrontata sulla base delle modalità concrete di esistenza della vita dell’uomo.
Come è stato detto sopra, il termine ontologia, arricchito di nuovi significati e relative implicazioni
teoretiche, diventa l’oggetto privilegiato della filosofia fenomenologica, la scienza originaria pre-
teoretica della vita in se stessa. E’ bene sottolineare cosa realmente Heidegger intenda quando parla
di Faktizität, cioè fatticità, ovvero «quel carattere fattuale dell’esistenza umana che si sottrae a una
elaborazione concettuale e a un coglimento filosofico: non appena si tenti di farlo, cioè non appena
si analizzi la fatticità della vita, essa viene scomposta e risolta in determinazioni separate, quindi
persa di vista nella sua totalità. Il giovane Heidegger intende nondimeno sviluppare una serie di
determinazioni adatte a com-prendere la vita nei suoi caratteri fattuali originari, e chiama questo suo
programma filosofico ermeneutica della fatticità».
16
9
15
Nei semestri del 1921-22 e del 1922 Heidegger ha tenuto dei seminari sulle Ricerche Logiche di Husserl,
precisamente sulla Prima e sulla Seconda. Nel semestre invernale del 1922-23, oltre ad un seminario su alcuni testi
aristotelici, Heidegger ne ha tenuto un altro su Idee I, edite per la prima volta nel 1913.
16
F. V olpi, Guida ad Heidegger, Laterza, 2008, p.355, Cfr. Essere e Tempo, §§ 38-41.
L’obiettivo heideggeriano è quello di dimostrare il carattere secondario e derivato della teoria
rispetto alla dimensione della fatticità, e di come sia proprio il piano originario pre-razionale a
fondare la possibilità dell’esserci di vivere in-relazione al mondo come con-testo costantemente
gravido di significatività, aspetto, questo, rilevabile nell’ambito di discussione aperto dal Sofista
platonico. Il nucleo tematico fondamentale del dialogo si concentra sulla definizione dell’essere
nella dimensione della relazione tra i generi sommi (essere, identico, diverso, quiete e moto) cui
sottostanno tutte le idee, l’essere del mondo soprasensibile. L’obiettivo intrinseco del dialogo è
cercare una definizione calzante di essere che “morda” la realtà. A questo proposito la δύναµις si
candida come caratteristica migliore per rispecchiare l’essere che d’ora in poi verrà inteso come
tutto ciò che ha capacità di agire e di patire; l’essere non è da considerarsi come una pura
immobilità eterna che sovrasta il mondo sensibile e non subisce alcuna contaminazione da parte di
esso. L’essere, in quanto capacità, è relazione mossa dalla diversità, è comunione dei generi sommi
e capacità di relazione (δύναµις κοινωνίας) possibile solo in virtù dell’ἕτερον (la relazione
dell’ἑτερότης). L’alterità può definirsi solo in base ad una diversificazione da qualcos’altro: infatti
l’altro è definito tale sempre e solo come “altro-da”. Il polo semantico della relazione è
caratterizzante la speculazione heideggeriana fin dagli esordi; il filosofo tedesco vede questa
tematica dispiegarsi perfettamente nel Sofista, per cui riesce a creare un parallelismo tra la
strutturazione intenzionale e relazionale dell’essere esplicantesi nel λόγος apofantico, il quale porge
ad Heidegger l’occasione di dimostrare la dimensione veritativa della parola come un Sehen lassen,
cioè un lasciar essere il manifestarsi autonomo delle cose (o forse anche un’abbandonarsi alle cose
affinché si mostrino da sé così come esse sono veramente), e l’assetto relazionale del Dasein, in
quanto esser-ci (quel -ci che indica la δύναµις come capacità di entrare nella relazione, di essere
relazione essa stessa) come esser-nel-mondo nella modalità dell’esistenza. Quest’ultima si regge su
un’ossatura relazionale di commercio col mondo che parte dalla dimensione pratica della vita, tratto
che Heidegger rileva ed evidenzia nei suoi studi su Platone e su Aristotele, fermo restando la
domanda originaria sull’essere. Heidegger ribadisce anche come la speculazione non verta sulla
necessità di fondare la teoria, bensì sul palesare come l’approccio di tipo teoretico, il raziocinio
dell’evento dell’esistenza interamente legalizzato da qualche principio a priori, ricopra una
posizione secondaria nell’accesso autentico alla dimensione fattuale dell’esistenza stessa. E’ proprio
lo sganciamento dalla pretesa di giungere alle leggi universali logico-scientifiche, le quali regolano
il funzionamento della situazione effettiva della vita umana sempre situata spazio-temporalmente,
che rappresenta l’anima dei primi corsi universitari di Heidegger a partire dagli anni ’20.
10