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Introduzione 
 
 
 
Nel mondo di oggi “una delle competenze necessarie per 
l’adattamento all’ambiente in cui si vive è la capacità di prendere 
decisioni.”
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Tale capacità sta infatti alla base di ogni azione che noi compiamo 
nel corso della nostra vita, quando attraverso l’atto del decidere, 
scegliamo di cambiare la nostra vita o quella di chi ci circonda. 
Questo lavoro si propone di analizzare il ruolo della decisione 
dapprima in maniera generale, riscoprendo le teorie sviluppate nel 
corso degli anni, per poi arrivare alla presentazione di un esperimento 
che ci permetterà di valutare in termini pratici le dinamiche decisionali 
in ambito finanziario; si tratterà di valutare ed analizzare all’interno 
delle scelte economiche i vari procedimenti che costituiscono la finanza 
comportamentale, quelli che portano quindi alla decisione nella mente 
degli investitori. 
Nel primo capitolo ho voluto approfondire il processo decisionale 
partendo dalle teorie classiche come la teoria dell’utilità attesa per 
arrivare poi alle più moderne teorie come la teoria del prospetto di 
Kahneman e Tversky (1979). Ho scelto in seguito di analizzare le 
euristiche, lo status-quo bias, l’omission bias ed i protected values. 
Nel secondo capitolo ho deciso invece di approfondire l’innovativo 
tema della finanza comportamentale ponendo l’attenzione sul concetto 
                                                             
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 Bonini, N., Del Missier, F., Rumiati, R. (2008). Psicologia del Giudizio e della Decisione. Il Mulino 
Editore, p. 15
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del trading. Ho voluto infatti scoprire i meccanismi che portano alla 
scelta di un determinato portafoglio piuttosto che di un’altro ed 
analizzare gli aspetti che caratterizzano i processi decisionali stessi, 
quali la valutazione delle informazioni o del rischio. 
Nel terzo capitolo ho scelto poi di presentare il settore sempre più 
diffuso degli investimenti etici, mettendo in luce il ruolo che le emozioni 
e l’eticità ricoprono al momento di prendere una decisione finanziaria. 
In questo capitolo ho deciso inoltre di illustrare i risultati ottenuti da 
precedenti esperimenti in tema di decisione negli investimenti 
socialmente responsabili che serviranno ad essere confrontati con quelli 
ottenuti nel nuovo esperimento. 
Nel quarto capitolo descrivo infine come si è svolto in termini 
pratici l’esperimento effettuato, ovverosia il tipo di campione, le 
domande presentate ed i relativi risultati ottenuti.
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CAPITOLO 1 
INDIVIDUI RAZIONALI O IRRAZIONALI? 
 
 
 
1.1. Teorie della decisione 
Le principali teorie della decisione sviluppate negli anni, si possono 
raggruppare all’interno di due approcci. 
Il primo approccio, fondato sulle teorie normative, pone l’accento 
sul concetto di razionalità del decisore e si basa sull’assunto “scelte 
razionali prese da soggetti ideali pienamente razionali”. 
Il secondo approccio invece, si basa sulle teorie cosiddette 
cognitive e presuppone l’influenza all’interno del processo di decisione 
di elementi irrazionali, tipici dei soggetti realmente esistenti, quali 
l’ambiente in cui si vive, le emozioni o i sentimenti che si provano. 
Secondo l’approccio normativo, risulta basilare il concetto di 
“scelta razionale”, intesa come il risultato di un calcolo compiuto da un 
decisore che conosce e utilizza perfettamente ogni logica di pensiero 
possibile. 
Le teorie normative partono quindi dal presupposto che durante 
tutto il processo decisionale ogni possibile opzione e la sua relativa 
conseguenza siano note con certezza al decisore, che si presume capace 
inoltre di confrontare le diverse alternative valutandole in rapporto ai 
propri obiettivi prefissati.
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Tra tutte le teorie, quella che meglio esprime i concetti 
fondamentali dell’approccio normativo è senza dubbio la Teoria 
dell’utilità attesa sviluppata da Von Neumann e Morgenstern nel 1947. 
I due studiosi partirono dall’assunto secondo il quale in una 
situazione di certezza, per ogni azione corrisponde una e una sola 
conseguenza, mentre in una situazione di incertezza a ciascuna azione 
possono corrispondere diverse conseguenze. 
Assodato ciò, introducendo il concetto di valore atteso Von 
Neumann e Morgenstern affermarono che in una situazione in cui non è 
possibile conoscere l’esito della scelta, il decisore può attribuire un 
valore numerico a ciascuna alternativa possibile riuscendo così a 
valutarle in maniera oggettiva e priva di interferenze. 
Il valore atteso, ottenibile moltiplicando il valore assoluto di ogni 
esito per la probabilità che questo esito si verifichi, esprimeva quindi la 
valutazione delle conseguenze di ogni azione in relazione alla 
probabilità che questi esiti si verificassero. 
Propongo qui di seguito un esempio molto chiaro ed utile a 
definire il concetto di “valore atteso”:  
“Come premio di produzione viene offerta a un manager di una 
grande azienda la possibilità di scegliere tra queste due alternative: 
- Lanciare un dado: vincerà €1000 solo nel caso in cui  
esca un numero pari; 
- Estrarre una carta da un mazzo di 52 carte: vincerà  
€3000 solo nel caso in cui estragga una carta a cuori. 
Calcoliamo ora il valore atteso di ogni opzione:
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- Poiché le facce con un numero pari in un dado sono 3  
su un totale di 6, la probabilità di ottenere un numero  
pari è 0,50; pertanto, il valore atteso di questa  
opzione si otterrà con il seguente calcolo:  
€1000 x 0,50 = €500 
- Poiché le carte di cuori in un mazzo di 52 carte sono  
13, la probabilità di estrarre una carta a cuori è 0,25;  
pertanto il valore atteso di questa opzione si otterrà  
con il seguente calcolo:  
€3000 x 0,25 = €750”
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Nell’esempio appena riportato, se il manager fosse quindi un 
decisore puramente razionale, dovrebbe, e sottolineo dovrebbe, 
preferire la seconda opzione in quanto offre un valore atteso più 
elevato rispetto al valore atteso della prima opzione. 
Ho posto l’accento sul condizionale in quanto attraverso diversi 
esperimenti si è poi dimostrato che nelle decisioni, gli individui si fanno 
condurre molto spesso da variabili tutt’atro che razionali scegliendo 
talvolta l’opzione con il risultato utile inferiore. 
Tornando alla teoria dell’utilità attesa è senza dubbio importante 
sottolineare un ulteriore concetto, quello rappresentato dalla nozione 
stessa di utilità attesa. Con questo termine si vuole definire infatti “il 
valore soggettivo che il decisore attribuisce agli esiti connessi ai 
differenti corsi d’azione tra cui si trova a dover scegliere”
3
 
L’importanza dell’utilità attesa si può comprendere anche dalle 
testimonianze del matematico Nicolas Bernoulli che nel 1738 
                                                             
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 Pravettoni, G., Vago, G. (2007). La scelta imperfetta. McGraw-Hill, p. 4 
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 Pravettoni, G., Vago, G. (2007). La scelta imperfetta. McGraw-Hill, p. 4
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affermava:“la determinazione del valore di un oggetto non deve essere 
basata sui vantaggi, ma soltanto sull’utilità che procura. I vantaggi 
dell’oggetto dipendono soltanto da esso e sono uguali per tutti; l’utilità, 
invece, dipende dalle caratteristiche della persona che effettua la stima. 
Così non c’è dubbio che un guadagno di 1000 ducati è apprezzato 
maggiormente da un povero che da un ricco anche se il guadagno è lo 
stesso per entrambi.”
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Riprendendo il concetto di base della piena razionalità del 
decisore, nello studio della teoria dell’utilità attesa quattro assiomi 
definiscono chiaramente la razionalità della scelta: 
- Assioma della cancellazione delle componenti comuni 
- Assioma della transitività 
- Assioma dell’invarianza 
- Assioma della dominanza 
Per quanto riguarda il primo assioma, si afferma che nel processo 
decisionale, se differenti opzioni contengono aspetti comuni, questi 
ultimi vengono eliminati e la scelta finale ricade sugli altri aspetti 
presenti nelle alternative. 
Il secondo assioma prevede invece che il decisore sia coerente, se 
infatti tra le opzioni A e B preferisce A, e tra le opzioni B e C preferisce 
B, automaticamente tra A e C dovrà scegliere A. 
In relazione al terzo assioma, si sostiene che nel prendere una 
decisione, la scelta presa nei riguardi di una opzione, dovrà essere 
mantenuta anche se le opzioni verranno proposte in modo differente. 
Questo assioma ricopre una grande importanza in quanto è stato 
                                                             
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 Maldonato, M., Dell’Orco, S. (2010). Psicologia della decisione. Bruno Mondadori, p. 7
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dimostrato che molto spesso le persone si fanno fuorviare dal contesto 
nel quale si trovano a decidere. Si parla quindi di framing nel processo 
decisionale, un concetto chiave che riprenderò più avanti. 
Chiudo infine con il quarto assioma, per il quale si parte dal 
presupposto che le differenti opzioni differiscano tra loro in base a 
molteplici aspetti, e che quindi nelle situazioni in cui le due scelte 
presentino elementi comuni, il decisore propenda e decida per 
l’opzione di scelta con almeno un aspetto dominante sulle altre opzioni, 
un aspetto che gli permetta di massimizzare i guadagni o di minimizzare 
le perdite. 
Concludendo questa parte, vorrei esprimere il mio personale 
parere in relazione a questo approccio. 
Senza dubbio si tratta di un pensiero valido dal punto di vista 
teorico, infatti se le persone fossero in realtà pienamente razionali, 
probabilmente adotterebbero una condotta di questo genere; la verità 
è però un’altra, nella quale le persone che decidono non sono in grado 
di ottenere tutte le informazioni necessarie ad una presa di decisione 
totalmente consapevole, e che anzi, essendo caratterizzate da emozioni 
e sentimenti, variabili irrazionali, immancabilmente rischiano di esserne 
influenzate. 
Un contributo molto importante nel campo della razionalità delle 
decisioni, è stato fornito da Herbert Simon nel 1955 quando suggerì 
“che l’analisi sulla razionalità si sarebbe dovuta occupare non solo degli
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esiti delle decisioni, ma anche delle procedure che le persone utilizzano 
per prendere le decisioni”
5
. 
Con queste parole Simon affermò quindi che nel valutare le 
decisioni non deve essere importante solo l’esito, ma anche e 
soprattutto il modo in cui le stesse venivano prese. 
Quando le persone devono prendere una decisione, mancando 
infatti di una completa informazione e, influenzate anche dall’ambiente 
circostante, finiscono spesso per abbandonare le procedure teoriche 
che li porterebbero a compiere la scelta migliore in termini di guadagno 
e finiscono per utilizzare delle strategie più semplici che li porteranno a 
scegliere per mezzo di altri elementi. 
Si è visto dunque che le persone reali quando si trovano a dover 
prendere una decisione sono molto meno razionali dei soggetti ideali 
teorizzati da Von Neumann e Morgenstern; alla fine degli anni settanta 
due psicologi, Kahneman e Tversky, proposero quindi la Teoria del 
Prospetto, un’alternativa all’approccio normativo cercando di 
individuare e di descrivere i reali processi con cui vengono prese le 
decisioni. 
La teoria del prospetto si compone di due fasi: una prima fase 
detta di editing, ed una seconda fase di valutazione, nella quale 
attraverso due funzioni, la prima di valore, in cui si da un valore alle 
alternative, e la seconda di ponderazione della probabilità, in cui si dà 
un peso al valore di ciascun esito ottenuto, si struttura il problema e 
vengono valutati gli esiti possibili. 
                                                             
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 Bonini, N., Del Missier, F., Rumiati, R. (2008). Psicologia del Giudizio e della Decisione. Il Mulino Editore, p. 
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