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Introduzione
“Questo libro si rivolge a tutti e a
ciascuno, ma potrà aiutare in modo
particolare gli insegnanti e gli studenti.
Mi piacerebbe che questi ultimi, se vi
avranno accesso e se l’insegnamento li
annoia, li prostra, li opprime o li
affligge, potessero utilizzare i miei
capitoli per prendere in mano la loro
educazione”
1
Queste sono le parole di Edgar Morin a inizio del libro La testa ben fatta.
Ripenso al mio passato da bambina, da adolescente, fino ad arrivare agli studi
universitari, penso di non aver mai avuto bisogno di prendere in mano la mia
educazione, a dire la verità neanche sapevo di cosa trattasse: andavo a scuola,
mi divertivo con i miei compagni, prendevo rimproveri se non stavo attenta,
gli sport e tornavo a casa felice, ignara di quello che mi stava succedendo.
Stavo imparando. Negli ultimi anni delle superiori e con gli impegni
universitari sono diventata consapevole di ciò che è accaduto a me e di quello
che accade a milioni di bambini in tutto il modo. L’educazione è un qualcosa
che non si può fermare, che ci circonda, e ci avvolge per poi integrarsi con noi
stessi, secondo il nostro carattere e secondo le nostre idee, rinforzando o
eliminando concetti.
Questo è ciò che voglio far emergere dalla seguente riflessione, quanto
influisce l’educazione nella vita di ciascuno? Ritengo che sia importante che
ognuno di noi sia consapevole di quello che è, dei propri limiti e delle proprie
incertezze, delle proprie potenzialità che può mettere a disposizione del
prossimo, dell’ambiente, degli altri esseri viventi. A mio parere ognuno di noi
1
Morin Edgar, La testa ben fatta – Riforma dell'insegnamento e riforma del pensiero, Raffaello
Cortina Editore, Milano 2000.
4
intrinsecamente o meno si dimostra per ciò che è, per quello che ha imparato
dalla vita, dalle esperienze, e dalla propria educazione.
Riprendo le parole di Mantegazza “Il problema allora non è se i bambini
debbano o meno diventare adulti (lo diventeranno comunque sotto l'effetto di
pratiche pedagogiche più o meno esplicite) ma semmai quale adulto essi
diventeranno, quale modello o quali modelli di adulti esse/i si troveranno di
fronte come telos per il loro processo di crescita.”
2
E’ per questo che penso
quanto gli insegnanti e gli educatori debbano non solo saper trasmettere il
sapere, le forme di conoscenza, ma anche e soprattutto i valori della nostra
umanità, andando incontro all’educazione alla democrazia ed ai diritti umani,
educazione alla cittadinanza e alla pace e l’educazione allo sviluppo.
La scuola italiana sta cercando di far fronte a queste necessità ed esempi sono
il progetto educativo “Educazione interculturale e allo sviluppo sostenibile”
del Comune di Pesaro e il Progetto europeo SOCRATES “Ideazione e
sperimentazione di un modulo di formazione interdisciplinare degli insegnanti
sulla didattica dell’educazione interculturale per lo sviluppo sostenibile”
3
.
E’ su quest’ultimo tema che voglio approfondire il mio impegno e in
particolare la sua applicazione nella scuola dell’infanzia, l’ordine scolastico
che più è rimasto nell’ombra negli ultimi anni.
Penso che per sviluppare un nuovo progetto educativo ci sia bisogno di una
riflessione che vada al di là di una concezione del mondo a compartimenti
stagni. Per questo ho ritenuto importante esplorare quest’argomento da vicino,
attraverso gli studi sulla complessità di teorici e del pensiero, in particolare, di
Edgar Morin.
2
Mantegazza Raffaele, Manuale di pedagogia interculturale, FrancoAngeli, Milano, 2006, p.126
3
Per una descrizione del progetto “L’educazione interculturale per lo sviluppo sostenibile”.
5
Lo sviluppo sostenibile “è uno sviluppo che soddisfa i bisogni del presente
senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i
propri bisogni”
4
.
L’educazione al riguardo è fondamentale perché i cittadini siano consapevoli
della complessità e della fragilità del contesto ambientale in cui vivono e
dell’assoluta necessità nel tutelarlo.
Ciò comporta dei cambiamenti nello stile di vita del genere umano che
potranno essere assimilati solo con una prospettiva educativa indirizzata alle
nuove generazioni.
Le politiche di sviluppo devono necessariamente attuare strategie capaci di
integrare le esigenze dello sviluppo e dell’ambiente ricercando un equilibrio
tra ecologia, equità sociale ed economia.
In un momento di rinnovamento epocale in cui i modelli tradizionali di
sviluppo stanno andando in crisi è necessario progettare nuovi valori e nuove
mentalità. All’educazione è assegnato un compito primario in quanto solo i
processi educativi sono in grado di trasformare l’uomo nel suo interno.
Uno dei punti di partenza di un nuovo processo educativo, con la creazione di
strumenti di interpretazione del mondo che permetteranno all’uomo e al
pianeta di sopravvivere, è il testo “I sette saperi necessari all’educazione del
futuro” di Edgar Morin del 1999.
Qui si tratta di affrontare il tema della complessità della condizione umana, tra
modernità e tradizione in una prospettiva a lungo termine e permetta di
considerare le “incertezze” e “l’imprevedibilità”.
Il sapere che guarda l’incertezza non può quindi essere il sapere disciplinare
che presenta un sapere disgiunto, frazionato, compartimentato, ma deve
tendere all’attivazione di un’intelligenza generale in grado di promuovere una
conoscenza che si costruisce in riferimento al contesto, al globale al complesso
e favorisce la capacità di porre e di risolvere i problemi.
4
AA. VV. “Development which meets the needs of the present without compromising the ability of
future generation to meet their own needs”. WCED, 1987 Our Common Future.
6
Complessità e incertezza si pongono alla base di un nuovo principio educativo
che aspiri ad un apprendimento in grado di affrontare la complessità del
presente attraverso una conoscenza capace di creare legami mettendo in
evidenza reti di saperi ed esplorare criticamente le possibilità del futuro.
La seguente tesi è suddivisa in sei capitoli, che affrontano una panoramica
ampia del concetto di sviluppo sostenibile fino ad arrivare a quanto concerne
l’educazione in particolare nella scuola dell’infanzia.
Nel primo capitolo introduco la concezione di sviluppo, inteso inizialmente
come crescita economica, e progresso scientifico tecnologico, fino ad arrivare
a una visuale dello sviluppo sostenibile definito da una dimensione ecologia,
economica e sociale. Ciò di cui abbiamo bisogno è di maturare un pensiero
plurale, molteplice, complesso, che cerca di costruire saperi e linguaggi. Uno
dei teorici che ha approfondito i suoi studi in questa direzione è Edgar Morin il
quale si è impegnato nell’indagare la natura umana attraverso la “teoria della
complessità” da lui proposta. Nel secondo capitolo riporto in maniera sintetica
tale approccio e l’influenza che ha avuto da un punto di vista pedagogico nella
cultura italiana.
Gli studi della complessità sono partiti principalmente dall’ambito scientifico,
da discipline come biologia e scienze della terra, per questo nel terzo capitolo
ho evidenziato l’aspetto della terra come sistema eco-organizzatore, partendo
da un testo di Morin “Il pensiero ecologico”, nel quale ha trattato la
dimensione ecologica e a come possiamo rispettare l’ambiente attraverso la
maturazione di una “coscienza planetaria” grazie al processo educativo; infine
la promozione di un soggetto ecologico come “Homo Complexus” composto
da più unitas multiplex.
L’educazione allo sviluppo sostenibile è stata riconosciuta a livello
istituzionale grazie alle campagne dell’UNESCO e del FAI che a partire dagli
anni settanta hanno promosso il riconoscimento di tali tematiche da parte di
tantissime nazioni. Proprio nel quarto capitolo sottolineo di come importanti
7
conferenze mondiali e internazionali abbiano una valenza significativa non
solo per la salvaguardia del pianeta, ma anche per il concetto di equità sociale.
Tali documenti, rilevanti nel panorama internazionale, sono stati recepiti
anche nel nostro sistema scolastico? Nel quinto capitolo affronto l’educazione
allo sviluppo sostenibile nel panorama educativo, soprattutto nella scuola
dell’infanzia che attraverso i campi di esperienza valorizza molti aspetti della
sostenibilità, di pari passo allo sviluppo del bambino. Attraverso l’adozione e
l’attuazione di progetti ad hoc si possono raggiungere gli obiettivi prestabiliti,
ed un esempio è rappresentato dal progetto “Percorsi di Educazione per la
sostenibilità nelle scuole dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione”
promosso dal MIUR e dal WWF è un chiaro modello di come molte scuole si
siano mosse in questa direzione.
Nell’ultimo capitolo infine ho voluto dare un mio contributo ipotizzando un
progetto per la scuola dell’infanzia. Il contesto è quello della mia città, in
particolare la scuola nella quale ho svolto quattro anni di tirocinio per conto
dell’università. Nella realtà molti aspetti andranno adattandosi all’ambiente e
alle necessità come qualsiasi progetto realizzato per la scuola dell’infanzia.
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CAPITOLO I
UNA PANORAMICA ATTUALE
1.1 Dal progresso allo sviluppo
La storia delle società umane è una storia di perenni e continui cambiamenti;
tali società hanno la caratteristica di adattarsi alle diverse dimensioni di tempo
e spazio, in ambienti ed in epoche differenti.
Gran parte degli studiosi
5
si trovano in accordo nello stabilire che l’accezione
moderna di “sviluppo”, che è caratterizzata da variabili quali, livello di
scolarizzazione, efficienza del sistema sanitario, qualità ambientale, PIL, inizia
con l’avvento della società industriale tra il XVII e XIX sec. In particolare dal
settecento in Occidente si sono incrociate diverse scuole di pensiero, da quella
illuminista, che aveva una visione della storia come processo infinito di
avanzamento, all’empirismo sperimentalista e alla cultura religiosa
occidentale
6
, le quali hanno contribuito a generare una cultura attorno al
concetto di “sviluppo”, qui inteso principalmente come progresso
scientifico/tecnologico e prestigio mondiale (quantità di ricchezze, possesso di
colonie, avanguardia dell’apparato militare ecc…).
In particolare con la seconda rivoluzione industriale nell’Ottocento, alcuni
filosofi ed economisti europei, interpretavano lo sviluppo come un processo
derivante dalla storia, non come volontà umana. Hegel, in particolare, nel
testo, Filosofia della natura
7
, afferma che il progresso del genere umano è
stato favorito sia da eventi razionali che “dovevano necessariamente
accadere”, sia da quelli che in apparenza sembravano opporsi a tale progresso;
Marx, non ha mai accettato la tesi secondo la quale il progresso del capitale
fosse subordinato alla volontà umana, e tale aspetto lo chiarisce in maniera
5
Cfr. Davico Luca, Lo sviluppo sostenibile: le dimensioni sociali, Carocci, Roma, 2004.
6
Cfr. Ibidem
7
Cfr. Hegel Friedrich, Filosofia della natura, Curato da Verra V., UTET, Torino, 2006.
9
approfondita nel Manifesto del Partito Comunista
8
, scritto con Friedrich
Engels.
L’economista austriaco Schumpeter, trattando in particolare lo sviluppo
economico, sostiene che lo sviluppo è un fenomeno intrinseco alla forma
stessa del ciclo economico capitalistico: l’approccio capitalistico si giustifica
sulla capacità di accrescere continuamente il livello di produzione, sottolinea
quindi di come l’orizzonte dell’economia sia lo “sviluppo” continua della
produzione
9
.
Verso la fine del XIX secolo, la scoperta di nuove fonti energetiche come
petrolio ed elettricità, in concomitanza con i progressi nel campo di medicina e
scienza hanno caratterizzato l’inevitabile sviluppo scientifico tecnologico. La
formazione dell’attuale idea di sviluppo è iniziata con la crescita economica,
come esempio di progresso, un’idea che non è mai stata messa in discussione,
poiché in grado di produrre sempre cose utili e nuove, gli economisti, guidati
da un ottimistico pregiudizio, hanno letto il passato e il futuro dell’economia
essenzialmente come la storia dell’aumento della ricchezza
10
.
Negli ultimi decenni dell’ottocento, uno dei fattori storici e sociali che più ha
inciso sulla situazione attuale fu l’imperialismo. I governi delle grandi potenze
economiche-politiche si lanciarono nella costruzione di imperi coloniali in
ogni angolo del pianeta e sono due le principali motivazioni tra le quali la
storiografia è divisa, prima tra tutte quella economica, a causa della rapida
industrializzazione con un livello di consumi non adeguato, la nazione si
spinge verso nuovi mercati di investimento. La motivazione politica, invece,
preme soprattutto nella competizione internazionale delle grandi potenze, per
spostare a proprio favore un equilibrio che in Europa pareva immodificabile.
11
8
Cfr. Engels Friedrich, Marx Karl, Manifesto del partito comunista, Meltemi, Roma, 1998.
9
Cfr. Schumpeter Joseph, Capitalismo, socialismo, democrazia, Etas, Milano, 2001.
10
Sachs Wolfgang , Ambiente e giustizia sociale. I limiti della globalizzazione, Editori Riuniti, Roma,
2002 p.27.
11
Cfr, Fossati M, Luppi G, Zanatte E, Passato Presente 2. Dall’antico regime alla società di massa,
Mondadori, Milano, 2006.
10
Come processo inevitabile di crescita economica, l’imperialismo, ha permesso
di sfruttare terre e risorse con una credenza morale di <<missione
civilizzatrice>> elevando così gli indigeni a un livello di civilizzazione
superiore
12
, con la convinzione di avere la responsabilità di esportare il
progresso raggiunto dall'Europa in tutti i campi, tecnologico, sociale, medico
anche nei territori molto più arretrati. La missione civilizzatrice era quindi
intesa in questo senso, oltre a quella di formare una élite di semi-governati
autoctoni adeguatamente formati nelle scuole e nelle università d'Europa che
potevano coadiuvare gli europei nel governo delle colonie; un esempio è come
i britannici hanno gestito il proprio impero coloniale in India, regione sfruttata
da un punto di vista economico (basti pensare all’esportazione del cotone e del
tè), e politico, poiché rivestiva un’importanza strategica per le proprie
politiche espansionistiche nel continente asiatico.
Tale processo ha segnato l’ineguaglianza tra le nazioni, in un quadro
autoritario, come una relazione padre-figlio, da un punto di vista puramente
economico.
13
Proseguendo nel Novecento, l’espansione coloniale, ha caratterizzato un
grande profitto economico, in quanto ricerca di nuove risorse primarie, e si
può vedere di quanto le preoccupazioni morali fossero un pretesto, anzi per la
maggior parte imposizioni sbagliate nei confronti di intere popolazioni.
Wolfgang Sachs individua l’inizio esatto dell’“era dello sviluppo” nel 20
gennaio 1949 quando il presidente degli Stati Uniti, Truman, definì
determinate <<aree sottosviluppate>>
14
, termine che è seguito, acquisendo un
valore di classificazione di paesi e territori, anche in epoca attuale. Tale
definizione infatti sottolinea una condizione di degrado e arretratezza, una
prospettiva fondata sulla concezione di sviluppo come un qualcosa di
“desiderato” se non “necessario”.
12
Ibidem p.64.
13
Cfr. Ibidem.
14
Ibidem p.62.
11
La politica del progresso economico, presenta due obiettivi di base: per prima
cosa, mette in gara tutti i paesi e li attrae nel mercato mondiale; come seconda
lo sviluppo rende tali paesi competitivi, all’interno di un percorso di crescita.
La maggior parte dei paesi africani, asiatici, sud americani si sono ritrovati
oggi in un mercato in cui le multinazionali dominano.
La diffusione della crescita economica in tutto il mondo, secondo la
concezione comune, avrebbe promosso la giustizia e viceversa la voglia di
giustizia avrebbe funzionato come motore per la crescita
15
.
La globalizzazione in una società di consumatori
Il termine globalizzazione fu usato nel 1972 da George Modelsky
16
per
descrivere l’effetto del colonialismo da parte dell’Europa: ottenere controllo
sulle altre comunità del mondo integrandole in un unico sistema commerciale.
In tutto ciò non possiamo non parlare di sviluppo umano e di progresso senza
affrontare la controversia questione sulla globalizzazione.
Il dizionario Sabatini Coletti fornisce la seguente definizione di
globalizzazione “Fenomeno di omologazione, di integrazione e di
interdipendenza delle economie e dei mercati internazionali; uniformazione di
modalità produttive e di prodotti su scala mondiale; la teoria economica e
l'ideologica politica che la sostengono”, e a tal proposito Noam Chomsky
insiste nella specifica modalità d’integrazione internazionale. Egli sostiene che
non c’è niente di male in questo, “è bello incontrare gente che viene da altri
paesi”, afferma, che sulla nostra tavola vediamo cibi che provengono da
continenti diversi, che ascoltiamo la musica di un paese lontano, leggiamo
storie scritte da chi vive a decine di migliaia di chilometri da noi, ma ci sono
varie forme di integrazione, e quella che si chiama “globalizzazione” è
sicuramente particolare. Nel suo pensiero, politicamente schierato, tutto
diventa globale ed il “pensiero unico” occidentale si materializza come
15
Ibidem p.27.
16
Modelsky George, Principles of world politics, New York: Free Press, 1972.
12
intreccio di poteri e forme di dominio, di nuove forme di povertà, sfruttamento
ed omologazione. Nell'arena globale, secondo Chomsky, le multinazionali
ricoprono il vuoto lasciato dallo Stato-nazione e questo è il più grave danno
per ogni sforzo di democrazia
17
.
Egli ritiene si debba rispondere con determinate scelte politiche alle
conseguenze del processo di globalizzazione; esse non dovranno e non
saranno uguali in tutto il mondo, ma si adatteranno alle necessità delle realtà di
riferimento. L’autore insiste che l’uomo, attraverso la maturazione di un
pensiero critico, possa ampliare la propria visione del mondo anche ad aspetti
che non risultano superficiali, inoltre ritiene che occorra avere nei movimenti
indipendenti dei lavoratori, nonché nelle idee e nell’azione di quel socialismo
libertario espresso talvolta anche da grandi esponenti del pensiero del
Novecento, come Bertrand Russel e John Dewey.
18
Egli critica profondamente quello che il capitalismo post-moderno e il libero
mercato, hanno evidenziato, in senso negativo, come nuove forme di povertà,
di sfruttamento, di omologazione.
La globalizzazione racchiude, un processo caratterizzato soprattutto da una
forte ambiguità, per la sua caratteristica di essere multidimensionale, e per le
conseguenze positive e negative che essa porta.
Il sociologo e filosofo Zygmunt Bauman affronta tale processo come
conseguenza spontanea dell’idea di sviluppo che abbiamo portato avanti, un
processo che non si può prevedere.
Noi viviamo infatti in una "società di consumatori", il che significa che il
consumare, da pratica individuale opzionabile, si è trasformato in parametro,
in base al quale tutto ciò che accade nel contesto sociale è percepito e valutato.
17
http://www.villaggiomondiale.it/noamchomsky.htm (consultato il 13 febbraio alle ore 12.25).
18
Chomsky Noam, Sulla nostra pelle – Mercato globale o movimento globale?, Marco Tropea,
Milano, 1999, p. 53.