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Introduzione
Secondo Philippe Lejeune i testi sono scritti da un autore per il lettore e in virtù di ciò un
testo funziona soltanto perché sono i lettori a farlo funzionare. Questo genere di discorso
Lejeune lo fa in relazione all’esigenza del lettore di comprendere quanto dell’autore ci sia
nel racconto che legge
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. Lo studio di Il patto autobiografico mi ha permesso di comprendere
che esistono delle dinamiche letterarie tramite le quali avviene che il lettore identifichi il
personaggio di un libro con l’autore. Nel libro Incubi di Beirut l’assenza di un nome
attributo dall’autrice alla voce narrante e la narrazione in prima persona portano
immediatamente a credere che colei che narra sia la stessa autrice, ed è per questo che nei
capitoli del presente lavoro spesse volte la protagonista del libro della Samman viene
appellata col nome proprio della stessa autrice, Ghada. Diversamente ne Le lezioni di Selma
l’identificazione tra autrice ed io narrante non è immediata e sarebbe anche ingiustificata,
vista comunque la distanza tra la Lukanić ed i fatti narrati. Ciò che però in questo secondo
libro potrebbe indirizzare il lettore verso l’identificazione tra autrice e narratrice è l’aspetto
fortemente emotivo del testo, in cui il livello linguistico, depurato di ogni aulicismo,
immerge il lettore in un ambiente quotidiano e familiare, facendogli a tratti credere di essere
partecipe di un intima confidenza dell’autrice, o di star leggendo un diario intimo, se si
vuole usare la terminologia di Lejeune. I personaggi narrati nei due testi sono comunque a
cavallo tra fantasia e realtà. Quello che mi preme evidenziare è che entrambi i testi non sono
necessari o influenti nella comprensione diretta dei fatti storici dai quali sono scaturiti;
perché essi mettono in chiara evidenza la condizione dell’essere umano di fronte alla
catastrofe della guerra. Sia Incubi di Beirut che Le lezioni di Selma si occupano delle guerre
civili a cui fanno riferimento non dal punto di vista storico, ma soltanto dal punto di vista
dell’impatto tra la Guerra, intesa in senso universale, e l’uomo, o meglio la donna. La guerra
di cui si occupano queste due autrici, nei rispettivi testi, è una guerra domestica non tanto
perché è una guerra che entra loro in casa, ma perché è un conflitto umano e tutto interiore
scatenatosi a partire da un conflitto esteriore. La Samman e la Lukanić dunque vanno dal
macrocosmo delle battaglie fratricide tra popoli al microcosmo delle battaglie interiori che
ciascuno combatte, e che se possono restare inascoltate in tempo di pace non possono esserlo
quando la guerra un giorno le va a trovare. L’io-narrante di Incubi di Beirut vive il conflitto
tra la donna che desidera vedere il suo popolo libero attraverso la rivoluzione e l’intellettuale
pacifista, mentre Selma vive il conflitto tra la donna borghese e fragile, schiava di un destino
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PHILIPPE LEJEUNE, Il patto autobiografico, Trad. it. a cura di Franca Santini, Bologna, Il Mulino 1986
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scritto nella sua educazione familiare, e il desiderio di essere libera, di essere un poco come
quei Rom che la Lukanić ama tanto.
Gli esiti narrativi e letterari sono completamente diversi, non solo perché sono diversi i
percorsi intellettuali delle autrici e le date di composizione (Incubi di Beirut è del 1975, Le
lezioni di Selma è del 2007), ma anche e soprattutto perché sono diversi i personaggi ed
anche se la scossa emotiva che ricevono, quando la guerra bussa alle loro porte, è più o
meno la stessa, il loro modo di reagire è completamente diverso. La protagonista della
Samman tenta in tutti i modi di scappare dalla guerra, condannando così il conflitto armato
fin dalle prime pagine, Selma invece sulla guerra ci si accomoda per permettersi una crepa
nel suo inflessibile atteggiamento.
La guerra risulta comunque ad entrambe una realtà scomoda, ed è scomoda perché è
guardata con occhi umani e analizzata con la sensibilità introspettiva di donna. Questi due
testi spiegano anche perché la guerra finora, fino a pochi anni fa, non era considerata un
affare di donne e sicuramente il risultato non è un insulto al mondo maschile che ha tentato
di escludere le donne dalla guerra, ma un invito ad opporsi alla guerra, perché la guerra è
bella soltanto quando non c’è. Come un male che vada debellato, o usando le parole della
Lukanić, un’infermità dalla quale è difficile guarire.
Nell’analisi che segue, i capitoli dedicati alla ricostruzione delle guerre a cui fanno
riferimento i testi, e cioè quella civile del Libano del 1975 e quella in Bosnia-Erzegovina del
1992, sono stati collocati prima di qualunque informazione sulle rispettive autrici, per
consentire una collocazione teorica e storica dei testi; ma ribadisco che le singole guerre
hanno poco a che fare con i temi trattati nei loro libri: soltanto Incubi di Beirut ogni tanto si
riferisce alla guerra civile libanese in maniera più esplicita, ma perché attraverso quella
guerra vuole evidenziare la follia di tutte le guerre che si combattono sotto la protezione di
ideali religiosi.
Una volta un amico giornalista, di quelli che hanno girato e continuano a girare il mondo in
lungo e in largo, mi ha detto che se non ci fossero le religioni al mondo ci sarebbero molto
meno guerre. Ci penso spesso. A volte sono d’accordo, a volte pensarci mi fa addirittura
ridere. Se non ci fossero Maometto o Gesù ci sarebbe forse qualcos’altro al posto loro.
O forse potremmo essere tutti talmente laici da non voler rischiare in nessun modo di morire
e sprecare l’unica occasione che la natura ci dà per assaporare le bellezze del mondo? Non
credo, penso che il problema sia un po’ più profondo, che stia appena sotto la pelle, nel
desiderio di ciascun individuo di trovare un senso da dare ai propri giorni anche a costo di
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dover pagare con la propria stessa vita o con la vita altrui. La letteratura, e questo tipo di
letteratura qui presa in analisi, può aiutarci sicuramente a conquistare uno sguardo più laico
e meno ostile nei confronti della diversità, forse può anche metterci d’accordo, ma ogni cosa
al mondo vive del proprio contrario: il Niente di Qualcosa, l’Eccezione della Regola, la
Guerra della Pace. Chi ha perso ogni speranza in un mondo migliore di chi non si arrende e
ci crede ancora.
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Introduzione alla guerra civile libanese del 1975
1.1 Libano: miseria o ideali?
Nel 1920 la vittoria degli Alleati nel primo conflitto mondiale, dissolve il potere egemonico,
sia politico, sia commerciale, dell'Impero Ottomano ed il Libano diventa una colonia
francese. Il governo francese porta avanti il progetto di creare all'interno del mondo arabo
uno Stato a prevalenza cristiano-maronita: la decisione accentua i conflitti religiosi già
presenti nel paese e indirizza il popolo libanese verso una situazione di guerra civile quasi
permanente. Nel 1943 viene proclamata l’indipendenza del Libano, ma essa per quanto
ufficiale non è rispettata a livello ufficioso dai colonizzatori occidentali e soltanto nel 1946,
quando i soldati francesi si ritirano definitivamente, il Libano diventa uno Stato
indipendente.
In questi anni di controversie e conflitti nasce la Samman che diviene, fin da subito,
testimone di una guerriglia che stenta a cessare. Ben presto la guerriglia si trasforma in una
nuova guerra civile che vede fronteggiarsi la destra cristiana filo-occidentale con i gruppi
arabi musulmani e le truppe dell'esercito del Libano del sud filo-israeliane “Falangisti”, a
maggioranza cristiana, con le milizie arabe armate degli Hezbollah “Partito di Dio” contrari
a qualsiasi accordo israelo-palestinese.
Ma il potere politico resta ancora mani delle èlite cristiano-maronite che, grazie ai loro ovvi
rapporti con i mercati occidentali, riescono a perseguire una politica di sviluppo e di
prosperità economica donando al Libano un periodo di respiro economico che però non
serve ad aiutare la maggioranza della popolazione, che essendo di religione sciita viene
automaticamente esclusa dal progresso economico in atto nel paese. La miseria diventa lo
standard sociale per la maggior parte della gente che, costretta a subire una condizione di
emarginazione, oltre che economica anche sociale, inizia a rivoltarsi contro l’elitè cristiano-
maronita. Nel 1975 quella che era iniziata come una protesta popolare sfocia in guerra civile
compromettendo in maniera definitiva quel delicato equilibrio fra la popolazione cristiano-
maronita e quella arabo-musulmana, già messo in bilico nel 1948 con il primo esodo dei
palestinesi dalla loro terra in seguito alla proclamazione dello Stato di Israele, e deterioratosi
ancora di più nel 1967 quando entrarono nel paese oltre 100.000 profughi arabo-palestinesi
che andarono ad affollare i campi profughi del Libano del Sud.
Nel 1975 in seguito alle vicende del "Settembre nero" i profughi palestinesi avevano
superato il numero di 300.000. Un dato numerico che, aumentando in modo consistente la
popolazione araba del paese e rendendo sempre più limitata la percentuale di cristiani, i quali
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però continuavano ad avere il controllo politico ed economico del paese, può essere
individuato come causa dello squilibrio della distribuzione tra potere e risorse da cui ebbe
inizio il malessere che portò ad una delle guerre civili più sanguinose che la storia abbia mai
generato. Nonostante gli esuli palestinesi fossero relegati in campi profughi, cresceva la loro
influenza politica e anche militare e ben presto si organizzarono in gruppi di resistenza
armata, muovendosi dal Libano del Sud contro Israele, il quale a sua volta rispondeva con
violente rappresaglie fin dentro i confini del Libano.
Beirut, che era stata il centro principale delle azioni di guerra, venne divisa dalla cosiddetta
linea verde, che l'attraversava da est ad ovest, in una zona Nord a maggioranza cristiana e
una Sud a prevalenza araba. In seguito nessuno dei tentativi di riappacificazione funzionò:
né la pace imposta dalla Lega Araba che inviò in Libano una "forza di pace" guidata dalla
Siria, né il piano di pace americano.
Di questi anni, di quella Beirut distrutta dalla guerra sarà testimone Ghada Samman. In
Incubi di Beirut la scrittrice siriana non manca, più di una volta, di rimpiangere la vecchia
città, pulita e borghese che la guerra ha spazzato via. Accade nel racconto del manichino,
accade nei racconti di Morte (che nel libro è un personaggio a tutti gli effetti), accade nei
rimpianti di un esule tornato in patria dopo tanti anni e che stenta a credere che quella sia la
vera Beirut. La città siriana fu per l’autrice quella che accolse le sue esperienze universitarie
e che la giovane Ghada lasciò nel 1966 per recarsi a Londra, alla ricerca di una frontiera
geografica più vicina ai suoi confini culturali, troppo spesso violati nel Libano sotto assedio
per una guerra stupida ed immotivata. La Samman negli anni che visse a Beirut appoggiò
però la guerra indipendentista ed ebbe stretti rapporti con Shukri, capo del Blocco
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, ma ben presto si accorse che l’indipendenza stava al Libano come la libertà
mentale e sessuale delle donne libanesi stava al fideismo religioso. L’autrice dal 1975 visse a
Parigi per più di quindici anni, ma non per questo la sua terra le sembrò, come del resto non
fu, più felice.
Nel 1982 l'esercito israeliano, approfittando dello stato di guerriglia permanente, invase
nuovamente il Libano dando inizio così alla quinta guerra arabo-israeliana e costringendo i
guerriglieri dell'Olp ad abbandonare Beirut, ormai completamente distrutta dalla guerra.
Nello stesso anno il Presidente libanese, leader della Falange cristiana, Beshir Gemayal, fu
assassinato e sostituito al potere con il fratello Amin. Per rivalsa, nei campi profughi Onu, di
Sabra e di Chatila, più di 1.000 civili palestinesi furono massacrati dalle forze falangiste in
una sola notte con il tacito consenso dell'esercito israeliano comandato da Ariel Sharon.
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Movimento indipendentista siriano