3
INTRODUZIONE
In questo lavoro, il mio obiettivo per quanto possibile, è stato quello di analizzare i
profili generali dell’assicurazione contro gli infortuni e le malattie professionali, una
materia, quella della sicurezza sul lavoro, che ha acquisito sempre più importanza nel
panorama italiano.
Oggetto del primo capitolo è l’evoluzione che la tutela contro gli infortuni sul
lavoro ha avuto in Italia a partire dal 1848, anno in cui, per la prima volta con la legge n.
80, fu prevista una tutela contro gli infortuni sul lavoro, passando per il D.P.R. 30 giugno
1965, n. 1124, che ha costituito una delle principali fonti legislative in materia di tutela
contro i rischi del lavoro e descrivendo la svolta avvenuta negli anni ’90, a seguito del
recepimento delle direttive della Comunità Europea.
Concludendo, quindi, con la disciplina del D. Lgs. 23 febbraio 2000, n. 38, che
costituisce un importante provvedimento di riforma dell’assicurazione contro gli infortuni
sul lavoro e le malattie professionali, fino ad arrivare ai giorni nostri.
Nel secondo capitolo si pone l’attenzione sul rapporto di sicurezza evidenziando le
relazioni che si instaurano a seguito della costituzione del rapporto lavorativo, esaminando
quindi le posizioni dei soggetti primari della prevenzione, ossia da un lato, il datore di
lavoro e dall’altro il lavoratore tutelato; il capitolo si conclude con alcuni riferimenti alla
responsabilità penale del datore di lavoro.
Il terzo capitolo è incentrato sull’ambito di applicazione della disciplina
dell’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, focalizzando l’attenzione su quelli che
possono essere i contenuti generali dell’assicurazione, gli eventi protetti e, partendo dalla
definizione indicata nell’art. 2 del T.U. 30 giugno 1965, n. 1124, viene fornita la nozione
giuridica di infortunio sul lavoro. I requisiti caratterizzanti tale nozione sono individuati:
4
nell’occasione di lavoro, cioè tutte le condizioni, comprese quelle ambientali,
in cui l’attività produttiva si svolge e nella quale è implicito il rischio di danno
per il lavoratore, danno che può provenire dallo stesso apparato produttivo
oppure dipendere da fatti e situazioni proprie del lavoratore, e ogni altra
condizione che sia in qualche modo ricollegabile allo svolgimento dell’attività
lavorativa.
nella causa violenta, ossia quell’evento lesivo che arrechi un danno
all’organismo del lavoratore, mediante un’azione determinata e concentrata nel
tempo.
Viene anche indicata la disciplina dell’infortunio in itinere, compresa
nell’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro a seguito della riforma del 2000, così
come, successivamente a tale riforma viene inserito nell’oggetto assicurativo anche il
danno biologico, definito come la lesione all’integrità psicofisica della persona, suscettibile
di valutazione medico legale.
Un cenno a parte merita, infine la responsabilità del datore di lavoro nel caso di
infortunio, materia oggetto del quarto capitolo; in particolare si esamina quella che è la
responsabilità civile del datore di lavoro con la relativa disciplina del parziale esonero,
ponendo l’accento, sull’azione di regresso che può proporre l’Istituto assicuratore nei
confronti del datore di lavoro, nel caso in cui quest’ultimo sia responsabile dell’infortunio.
5
CAPITOLO I
EVOLUZIONE STORICA IN MATERIA DI SICUREZZA SUL
LAVORO
1.1 Premessa
L’evoluzione della disciplina in materia di obbligazione di sicurezza e di tutela del
lavoratore nei casi d’infortunio e malattia professionale trova la sue radici storiche con
l’avvento della rivoluzione industriale, compiutasi in Inghilterra verso la metà del 1700 ma
riflessa nel nostro Paese quasi un secolo dopo. Proprio tale svolta epocale è stata la genesi
di profonde trasformazioni economiche e sociali che hanno iniziato a dare risalto alla
questione della tutela delle condizioni di lavoro.
I fattori che hanno contribuito a tali trasformazioni e, che hanno determinato la
nascita dello Stato sociale sono molteplici e, spesso anche in contrasto tra di loro, ma in
qualche modo sono tutti collegati alla cosiddetta questione sociale.
Tali fattori sono riconducibili al fenomeno dell’inurbamento di grandi masse di
lavoratori, dovuto allo spostamento dalle campagne alle città, o per meglio dire lo
spostamento dalle attività tradizionali, soprattutto agricole, ad attività emergenti quali
quelle dell’industria; i bassi livelli salariali; il mutamento dei tempi e modi di vita; lo
sfruttamento delle “mezze forze”, ossia donne e fanciulli e, del lavoro umano in generale,
senza limiti di orario.
Questa situazione, fece nascere l’esigenza di tutelare quei lavoratori che si venivano
a trovare in condizioni di bisogno, in seguito al verificarsi di eventi che ne
compromettevano la capacità lavorativa. In tal senso ha osservato il Cinelli che
“L’esigenza di provvedere di una particolare protezione chi vive prestando il proprio
lavoro, può essere considerata espressione, nella sua essenza, della naturale vocazione
sociale dell’uomo e dei valori trascendenti che ne animano l’azione”
1
.
1
M. CINELLI, Diritto della previdenza sociale, Giappichelli, Torino, 2005, p.1.
6
L’idea prevalente durante il periodo del liberalismo ottocentesco è che ai problemi
sociali del lavoro dovessero provvedere i lavoratori stessi.
Questa situazione, ha indotto la nascita delle società di mutuo soccorso, che
rappresentano i primi esempi di casse mutue, finanziate volontariamente dagli aderenti con
versamenti prelevati dai proprio salari, al fine di erogare prestazioni a quanti di essi si
trovassero in condizioni di bisogno a causa di malattia, di infortunio o di invalidità, nonché
una pensione ai soci vecchi o un’erogazione una tantum ai familiari dei soci defunti. Gli
associati, in vista di un rischio comune, si impegnano a distribuire tra di loro le
conseguenze economiche dannose derivanti dal verificarsi dell’evento temuto che colpisce
uno di essi e, si cerca di realizzare questo risultato con i contributi che ciascuno di loro
versa. Così facendo, ogni soggetto esposto al rischio ne sopporta le conseguenze, ma
limitatamente alla sua quota.
La totale assenza di qualunque strumento pubblico di assistenza e previdenza, ne
favorì il rapido sviluppo fino a che lo Stato non prese ad ostacolarle apertamente allorché,
esse divennero veri e propri centri di aggregazione di lavoratori assumendo anche funzioni
e caratteri sindacali.
Tali società però, si rivelarono poco idonee a risolvere il problema, in quanto alle
stesse potevano iscriversi solo i lavoratori meglio retribuiti, i quali riuscivano a sostenere
l’onere economico della contribuzione; altri motivi, come il fenomeno dell’invecchiamento
dei soci, la tendenza dei giovani a costituirne delle nuove e le difficoltà economiche in cui
le stesse si trovarono per il ristretto ambito della mutualità che in esse si realizzava, ne
determinarono la decadenza.
Quella delle società di mutuo soccorso è stata la prima manifestazione di quella che
poi sarà chiamata la previdenza sociale, che può essere definita come quella branca della
legislazione sociale
2
finalizzata alla tutela del lavoratore al verificarsi di eventi naturali o
connessi al lavoro prestato e che comunque incidono sulla sua capacità di lavoro e/o
guadagno.
2
Cfr. M. CINELLI, op. cit. Osserva l’Autore che la legislazione sociale consiste in un “eterogeneo complesso
normativo con il quale lo Stato ottocentesco, abbandonando a poco a poco la sua tradizionale posizione di
“neutralità” in materia, si è determinato ad intervenire a tutela dei lavoratori e del corpo sociale in generale,
arginando e indirizzando le spinte prorompenti del capitalismo”.
7
Con l’intensificarsi dell’industrializzazione, e il grave problema degli infortuni sul
lavoro, cominciò a mutare anche l’atteggiamento dello Stato che fino ad allora si era
limitato a favorire, appunto, la mutualità volontaria.
Nel 1877, per la prima volta in Italia, la “Supermeister e C.”, impresa di filatura del
novarese, stipulò una polizza assicurativa con una compagnia privata straniera per gli
infortuni sul lavoro dei propri dipendenti; tale iniziativa, indusse alcuni parlamentari a
perseguire la strada della creazione di una Cassa nazionale che, senza fini di lucro, potesse
gestire una assicurazione volontaria contro gli infortuni sul lavoro, sulla base di una
Convenzione nazionale.
Questa soluzione fu molto rapida e nel 1882 lo schema di Convenzione era pronto
e, dopo aver apportato le opportune modifiche, la Convenzione fu firmata nel febbraio del
1883. Nel mese di luglio dello stesso anno, la legge n. 1473, istituì la Cassa nazionale di
assicurazione per gli infortuni degli operai sul lavoro.
Comunque il primo testo di legge organico risale al 1893 (legge n.184/1893) e
concerne la polizia delle attività nelle miniere, nelle cave e nelle torbiere. Nel 1898, con la
legge 12 marzo, n.30, viene introdotta l’assicurazione obbligatoria per gli infortuni su
lavoro. La normativa prevedeva, a carico del Ministero per l’Agricoltura, l’Industria e il
Commercio, il compito di emanare i regolamenti in tema di prevenzione degli infortuni e
di protezione del lavoratore.
Di poco successiva, come di seguito si dirà meglio, è la legge n.80/1898 in tema di
prevenzione degli infortuni nelle costruzioni. Dell’anno seguente l’approvazione del
Regolamento generale per la prevenzione degli infortuni (R.D. n.230/1899) che introduce
per la prima volta una sanzione penale, mediante richiamo all’art. 434 del codice penale
Zanardelli, all’epoca vigente.
A muovere del primo periodo di – invero ancora timide e disorganiche –
affermazioni dei principi della sicurezza, negli anni che seguirono, per l’intera metà del
novecento, si registra l’approvazione di normative a specifica portata. Quali, per esempio,
la legge n.479/1907 in tema di riposo settimanale e festivo; la legge n.361/1912, istitutiva
del Corpo degli ispettori dell’industria e del lavoro; la legge n.818/1919 in tema di igiene
del lavoro; il R.D.L. n.692/1923 sull’orario di lavoro degli operai e degli impiegati di
aziende industriali.
8
Il codice penale vigente, approvato nel 1930, interviene sulla materia con gli
articoli 437 e 451, che configurano due ipotesi di reato di pericolo presunto,
rispettivamente afferenti alla rimozione od omissione dolosa di cautele contro gli infortuni
sul lavoro, e alla omissione colposa di cautele o difese contro gli infortuni sul lavoro.
In seguito, con la legge n.653 del 1934, sono previste le norme di tutela del lavoro
delle donne e dei fanciulli. Con il R.D. n.1265 del 1934, noto come T.U. delle leggi
sanitarie, sono poste norme specifiche di tutela dell’igiene del lavoro. Con il R.D. n.1720
del 1936 è istituito l’Ente nazionale di propaganda per la prevenzione degli infortuni
(E.N.P.I.).
1.2 I principi di tutela del diritto alla salute del cittadino lavoratore
I principi cardine dell’attuale ordinamento in tema di salute e sicurezza sul lavoro
sono contenuti nella Costituzione della Repubblica Italiana (art. 32, 35, 38, 41) e nel
Codice Civile (art. 2087), approvato con R.D. n.242 del 1942.
La Costituzione considera la tutela previdenziale come espressione di una
solidarietà non ristretta ai soli lavoratori ma, estesa a tutti i cittadini; solidarietà, che si
realizza tramite la soddisfazione di un interesse di tutta la collettività.
In particolare, l’art. 32, comma 1, nel quale viene sottolineato il valore etico e
sociale del diritto alla salute, inteso come “fondamentale diritto dell’individuo e interesse
della collettività”, che include in sé il diritto all’integrità psicofisica e il diritto a vivere in
un ambiente salubre.
Ancora poi, l’art. 35, commi da 1 a 3, dispone che: “La Repubblica tutela il lavoro
in tutte le sue forme ed applicazioni. Cura la formazione e l’elevazione professionale dei
lavoratori. Promuove e favorisce gli accordi e le organizzazioni internazionali intesi ad
affermare e regolare i diritti del lavoro”.
Nell’art. 38 sono invece enunciate le tutele a favore del lavoratore inabile al lavoro;
infatti il comma 2 di tale articolo garantisce a tutti i lavoratori il “diritto alla previdenza e
all’assicurazione di mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso d’infortunio, malattia,
invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria”.
9
Da questi articoli emerge una spiccata volontà di tutelare i lavoratori tramite ogni
intervento di carattere preventivo, previdenziale e assistenziale.
L’art. 41 invece, afferma che “L’iniziativa economica privata è libera. Non può
svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla
libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché
l'attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali”.
Viene quindi riconosciuto all’imprenditore il c.d. potere organizzativo, ossia la
libertà di scegliere il tipo di attività da svolgere, il luogo, ecc., ma al tempo stesso il
legislatore pone un vincolo, stabilendo che l’esercizio dell’attività non può svolgersi in
contrasto con l’utilità sociale; è da questa norma, in particolare, che si può evincere che il
principio della salvaguardia della salute del lavoratore viene riconosciuta a livello
costituzionale.
Il principio della tutela della salute non è soltanto garantito da fonti costituzionali,
ma ha trovato e trova, ancor oggi, il suo riconoscimento nell’art. 2087 c.c. in cui è sancito
l’obbligo dell’imprenditore di adottare “le misure che, secondo la particolarità del lavoro,
l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità
morale dei prestatori di lavoro”.
L’art. 2087 c.c. considerata ormai norma di chiusura anche dell’attuale sistema
prevenzionale, ha spesso sopperito a mancanze di altre leggi; dall’analisi si evince che la
stessa impone non solo di seguire le norme vigenti sulla sicurezza, ma anche di garantire
quest’ultima con le misure suggerite di volta in volta dall’evoluzione tecnologica.
Tale principio ancora oggi rappresenta uno dei capisaldi di quello che è il nascente
diritto della sicurezza del lavoro che trova a partire dagli anni ’50 profonde evoluzioni con
l’avvento, in particolare, del D.P.R. n. 547 del 1955 e del D.P.R. n. 303 del 1956 rimasti in
vigore fino all’ultima riforma operata dalla legge n. 127 del 2007.
Di notevole rilievo è anche il ruolo partecipativo che è stato riconosciuto ai
lavoratori in tale ambito; infatti, l’art. 9 del c.d. Statuto del lavoratori – legge n. 300 del
1970 – attribuisce alle rappresentanze dei lavoratori, senza necessità di alcuno mandato da
parte di quest’ultimi, la tutela della salute e dell’integrità fisica dei lavoratori, sia attraverso
il controllo e la promozione delle necessarie iniziative contrattuali, sia attraverso la
partecipazione al processo penale, avente ad oggetto la responsabilità penale dei titolari
dell’impresa per l’inosservanza delle norme sulla sicurezza del lavoro. Tale principio è