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Introduzione
Nel capitolo XV di Principles of Psychology William James pone al centro della sua
analisi l'idea che abbiamo del tempo e, in particolare, si chiede in che modo la nostra
coscienza interpreti ed elabori una successione di eventi. Come gli empiristi classici
prima di lui, ritiene che tutte le idee derivino dall'esperienza e che quindi sia
necessario trovare e spiegare l'esperienza dalla quale scaturisce l'idea del tempo.
Il solo dato che si dà alla nostra esperienza immediata è ciò che, prendendo a prestito
il termine da E.R. Clay, James chiama lo specious present: gli oggetti dell'esperienza
sono dati come esistenti nel presente, ma il presente, a cui quel dato si riferisce, non è
l'istante puntiforme a confine fra passato e futuro, come tradizionalmente la filosofia
e il senso comune suggeriscono. Quel presente (lo specious present), per essere
percepito dalla coscienza, deve avere invece una durata temporale, estendendosi non
solo a ciò che accade nell'istante attuale, ma anche a quello che è accaduto nell'istante
appena trascorso e a quel che accadrà nell’attimo successivo.
Lo specious present è il presupposto imprescindibile per la nostra percezione del
tempo: la sensazione del tempo passato e del futuro, sostiene James, è, infatti, una
sensazione presente perché esiste una specie di proiezione prospettiva degli oggetti
passati e futuri sulla coscienza presente. E' grazie a questa simultaneità fornita dallo
specious present che riusciamo a rappresentarci l'idea della successione e quindi del
tempo:
La posizione di James avrà enormi conseguenze e costituirà uno dei temi centrali
delle teorie sulla percezione del tempo.
Tali teorie possono essere comprese sotto due modelli generalmente riconosciuti:
Modello estensionale: i nostri atti di coscienza sono temporalmente estesi e sono
quindi in grado di cogliere in modo diretto il cambiamento e il persistere degli
eventi. Lo specious present non è altro che questo tratto continuo di esperienza
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soggettiva (all'interno del tempo ordinario, oggettivo) e il flusso di coscienza è la
serie degli specious present.
Modello ritensionale: l’esperienza della successione avviene all'interno di atti di
coscienza che non hanno una durata temporale, ma i cui contenuti sono estesi
temporalmente; lo specious present è composto perciò da una struttura che
comprende istanti di esperienza immediata insieme a rappresentazioni estese di
recente passato. Il nostro flusso di coscienza è la serie continua di questi atti
istantanei.
All'interno di ciascuno di questi due macro-modelli è possibile individuare poi
diverse "varianti".
Del modello estensionale la versione più semplice è il cd. “discrete block”, per il
quale il flusso di coscienza non è altro che una successione di specious present
"distesi" uno accanto all'altro come i mattoni di un muro. Interessante il punto di vista
del primo Broad (come emerge da Scientific Thought del 1923) che, pur condividendo
l'assunto che il cambiamento può essere appreso solo se la coscienza occupa un
intervallo temporale, elabora una tesi a cavallo dei due modelli.
Più di recente la posizione di Dainton sembra superare alcune criticità delle posizioni
precedenti, proponendo un flusso coscienziale costituto da specious present che si
sovrappongono, condividendo intervalli comuni (“overlap model”).
Per quanto riguarda invece il modello ritensionale le varianti più note sono
sicuramente la teoria dell'associazione originaria di Brentano e la struttura tripartita
del presente sviluppata da Husserl. Le posizioni sviluppate successivamente da Broad
(Examination of McTaggart's Philosophy del 1938) sembrano abbracciare
pienamente il modello ritensionale nel momento in cui non si ritiene più che gli atti di
coscienza si estendano nel tempo, ma che siano confinati a singoli istanti.
Accanto a questi modelli che, pur secondo modalità differenti, riconoscono
egualmente che l'essere presente è una proprietà fenomenica delle cose e che del
presente si ha esperienza diretta, saranno poi illustrate altre teorie che negano in parte
o in toto tali premesse.
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Antesignana di tali posizioni è la filosofia anti-realista di Reid, ma è grazie ai notevoli
sviluppi della moderne neuroscienze che la filosofia del tempo si è aperta a molteplici
prospettive di indagine.
Una delle ipotesi più suggestive è fornita dagli studi sulla coscienza visiva di Crick e
Koch, la c.d. “snapshot hypothesis”.
In tale sede, merita, inoltre, particolare attenzione la proposta di Le Poidevin che,
prendendo spunto da alcune particolari illusioni ottiche, spiega la nostra percezione
del movimento grazie all'attivazione di meccanismi coscienziali di “movimento
puro”.
Un'altra prospettiva è offerta da Butterfield il quale fornisce un'interpretazione del
perché la nostra mente sia molto più propensa a considerare come comune e oggettiva
la temporalità (“common now”), piuttosto che la spazialità delle cose (“common
here”).
Callender va oltre questa posizione e sottolinea la cruciale funzione di alcuni
meccanismi neuronali capaci di organizzare secondo un proprio ordine, in alcuni casi
diverso da quello fornito dal tempo fisico, la mole discontinua di informazioni che
percepiamo dall'esterno.
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Capitolo 1 - William James e le origini dello specious present
1.1 Il presente che dura
L'immagine del tempo dominante nel nostro senso comune, confermata dalla
meccanica newtoniana, è costituita da una retta infinita sulla quale scorre, a velocità
costante, un punto indivisibile e inesteso, il presente, che avanza separando in
maniera irreversibile il passato, che gli sta alle spalle, dal futuro verso cui procede.
Così com’è raffigurato sulla retta del tempo, l’istante presente, come ogni altro
istante, ha quindi durata nulla.
In realtà, la percezione che abbiamo del presente non è mai limitata ad un punto, ma
sembra dilatarsi, estendendosi senza soluzione di continuità all’istante precedente e a
quello seguente; la coscienza, in altri termini, coglie immediatamente il tempo come
durata.
La diversa concezione del tempo fisico rispetto al tempo esperito dalla coscienza è
evidente quando ascoltiamo una melodia.
Tra le varie note sussistono relazioni temporali di prima e di dopo: ora ascoltiamo la
prima nota, quindi la seconda e nel momento in cui ascoltiamo la terza sappiamo che
essa è stata preceduta da altre note e intuiamo che, con ogni probabilità, sarà seguita
da una quarta e così via. Ogni nota si manifesta come caratterizzata dal fatto di
seguirne e precederne altre; la relazione di successione rispetto ad altre note è parte
integrante della melodia che attualmente percepiamo.
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Come sottolinea Stern, è un’astrazione considerare il presente come coincidente con le unità
cronometriche minime di cui è composta una melodia: “I quattro componenti (i quattro toni
consecutivi di una breve melodia) entrano nella coscienza l’uno dopo l’altro, ma certamente
entro un solo atto percettivo, entro un tempo di presenza.”, in Stern, L.W. (1897),
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Ma d’altra parte, se è indiscutibile che ogni nota risuona in un punto definito e
distinto del tempo, e che prima di risuonare non è ancora presente, e dopo essere
risuonato non lo è più, in che modo la nota “assente” può entrare percettivamente in
relazione con quella presente?
Si potrebbe rispondere alla domanda in questo modo: la successione degli eventi
esterni (le note) attraverso la mediazione degli organi di senso si riflette sulla corrente
di coscienza producendo una successione simmetrica di stati mentali; la corrente,
percependo dall’interno i propri stati, percepisce anche le loro relazioni temporali.
In altri termini, la semplice sussistenza di relazioni temporali oggettive costituirebbe
la condizione necessaria e sufficiente della percezione delle relazioni stesse.
Contro questa concezione si scaglia polemicamente James definendola rudimentale e
semplicistica:
“Seppure concepissimo le successioni esterne come forze che imprimono la loro immagine
sulla mente, tra l'essere i mutamenti successivi e il conoscere la loro successione si
aprirebbe ancora un baratro tanto profondo quanto quello che divide il soggetto e
l'oggetto d’ogni nostro altro caso di cognizione. Una successione di sensazioni non è, in sé
e per sé, una sensazione di successione. E giacché ai nostri sentimenti successivi si
aggiunge un sentimento della loro successione, quest’ultimo va trattato come un fatto
addizionale richiedente una spiegazione speciale.”
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Affinché una successione sia percepita, affinché ogni nota sia colta in relazione alla
nota precedente e a quella seguente, è necessario che il campo della coscienza non sia
limitato al presente istantaneo, ma abbia esso stesso una durata temporale e si estenda
non solo a ciò che accade nell'istante attuale, ma anche a quello che è accaduto
nell'istante appena trascorso e a quel che accadrà (che dovrebbe accadere) tra un
attimo.
“Psychische Präsenzzeit”, Zeitschrift für Psychologie und Physiologie der Sinnesorgane,
22:13-22 (trad. it. a cura di Taranta L., Tempo di presenza psichica, in Vicario, G. B. e
Zambianchi, E., La percezione degli eventi, Guerini Studio, Milano, 1998). Sulla natura
dell’atto percettivo si rinvia al capitolo dedicato all’extensional model.
2
James, W. (1890), The Principles of Psychology, New York: Henry Holt, (trad. it. a cura di
Ferrari, G. e Tamburini, A., Lezioni di Psicologia, Milano, 1901, pag. 629).
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Nel corso di questa percezione che permane, gli eventi debbono modificare il loro
status temporale: da non ancora, a non ancora del tutto, ad ora, appena passato,
passato del tutto.
Tale durata è ciò che, prendendo a prestito il termine da E.R. Clay
3
, James chiama
“specious present”:
“In breve, il presente praticamente noto non è il filo di una lama, ma piuttosto un dorso di
sella, abbastanza largo e, sul quale sedendo, guardiamo in due direzioni del tempo. L’unità
di composizione della nostra percezione del tempo è una durata, con una prua e una
poppa, come se avesse un’estremità che guarda all’avanti ed un’altra che guarda
all’indietro.”
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Il tempo percepito dalla coscienza coincide appunto con lo specious present: il suo
contenuto è un flusso di eventi che si annunciano, si presentano, si allontanano in
direzione del passato e infine scompaiono definitivamente.
James osserva ancora che noi non possiamo percepire effettivamente che piccolissime
porzioni di tempo, poiché se vogliamo sperimentare la durata di un'ora dobbiamo dire
continuamente: “adesso! adesso! adesso!” finché l'ora è passata; analogamente,
quando ascoltiamo un suono continuo, lo afferriamo con pulsazioni discrete della
percezione chiamandolo successivamente: “è lo stesso!, è lo stesso!, è lo stesso!”
finché non è finito.
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Questa composizione delle lunghe durate a partire da piccole unità discrete
esemplificherebbe la legge del fluire discreto del tempo; tale discontinuità sarebbe
dovuta tuttavia soltanto al fatto che i nostri atti successivi di riconoscimento e di
appercezione sono discreti. La sensazione della durata, in realtà, sarebbe continua
quanto qualsiasi altra sensazione. Ognuno di quegli atti separati costituirebbe un
singolo “pezzetto” di tempo, ed il presente apparente ne conterrebbe una certa
quantità.
La comparsa di nuovi elementi all'interno del presente apparente e la sparizione
progressiva di quelli che li hanno preceduti sarebbero alla base di quel fluire del
3
Clay, E.R. (1882), The alternative: a Study in Psychology, London: Macmillan and Co.
4
James, W. (1890), cit., pag.608.
5
James, W. (1890), cit., pag.611.
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pensiero in cui la coscienza dell'immediato futuro e dell'immediato passato fanno
corpo con la consapevolezza del presente.
Tale presente per James è il modello originale e il prototipo d’ogni altra apprensione
di eventi temporali: noi possiamo rappresentarci eventi passati e futuri solo in quanto
del passato e del futuro abbiamo nel presente specioso un’intuizione diretta.
James cerca anche di definire quale possa essere la durata di tale tempo, ma su questo
punto emergono alcune ambiguità.
Se si considera lo specious present come l’unità temporale entro la quale siamo
immediatamente coscienti di una successione, è plausibile supporre che la sua durata
sia minima, prossima al secondo.
James sostiene, invece, che la parte più importante dello specious present, il suo
“nucleo”, duri una dozzina di secondi e che tale nucleo sia circondato da una “frangia
vaga ed evanescente non più lunga di un minuto”. La durata di alcuni secondi gli è
suggerita dagli esperimenti condotti da psicologi del suo tempo (Wundt
6
e Dietze), i
quali cercavano di misurare all’interno di una successione di suoni quale potesse
essere il massimo intervallo temporale percepito come un’unità indivisa.
Tuttavia, quest’apprensione percettiva, capace di abbracciare in una singola unità
elementi diversi, dipende dall’esperienza percettiva: nel caso del tic tac di un
orologio, secondo Fraisse
7
, l’intervallo è di 1,8-2 secondi; nel caso di unità
semantiche il limite sembra salire a 5 secondi; se ci si riferisce a sequenze
randomiche di cifre o lettere il numero di elementi che è possibile unire si
avvicinerebbe a 7.
E’ per tale motivo che alcuni psicologi parlano del presente come di una finestra la
cui apertura varia a seconda del flusso di informazioni che riceve.
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Quale che sia l’entità dell’intervallo sorgono comunque criticità nel momento stesso
della sua rilevazione.
6
Wundt, W. (1902-3), Grundzüge der physiologischen Psychologie, Leipzig.
7
Fraisse, P. (1984), “Perception and Estimation of Time”, Annual Review of Psychology, 35.
8
“Non esiste una durata fissa per il tempo di presenza. Tale durata è diversa a seconda della
qualità e della quantità dei contenuti di coscienza, secondo la direzione dell’intendere e la
forza dell’energia psichica, da un istante a parecchi secondi abbiamo tutti i gradini intermedi
(…). Per ciascuna specie di un atto di coscienza temporalmente esteso si ha un valore
ottimale del tempo di presenza, in misura notevole dipendente dal contenuto dell’atto di
coscienza stesso.”, Stern, L.W. (1897), cit.