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INTRODUZIONE
Scopo di questa tesi di Laurea è stato quello di mettere in luce, con ricerche
approfondite, lo sviluppo delle indagini archeologiche che hanno riguardato la
famosissima città di Pompei. Ripercorrendo lo sviluppo delle planimetrie che
sono state realizzate dall’inizio degli scavi nel marzo del 1748 ad oggi e
mettendole a confronto l’una con l’altra si cerca di trarre dal loro studio oltre che
lo stato di avanzamento dei lavori di scavo anche l’entità delle scoperte relative a
edifici, strade etc. Lungo e faticoso è stato il lavoro, ma anche le difficoltà mi
hanno aiutato nella realizzazione di ciò che tra un po’ andrò a presentarvi. Sono
partito con le ricerche, come già detto, dalla data di inizio degli scavi
archeologici, nel marzo 1748.
Ma partiamo un po’ più da lontano.
Pompei, come Ercolano e Stabia, venne distrutta dall’eruzione del Vesuvio del
’79 d. C., anno che segnò la storia di queste città.
Già alcuni anni prima, nel 62 d.C., un terribile terremoto, premonitore della ben
più grave catastrofe che si sarebbe abbattuta sulla città di lì a pochi anni, colpì
Pompei e la città di Ercolano, nonché altri centri della Campania.
Pompei fu gravemente danneggiata, ma subito cominciò l'opera di ricostruzione.
Diciassette anni più tardi, però, mentre i lavori procedevano a ritmo sostenuto
(anche se gli edifici pubblici erano ancora quasi tutti da restaurare), la città e i
suoi abitanti vissero una tra le più grandi tragedie della storia antica che oggi,
cristallizzata nel tempo e in quell' attimo, è stata riportata in superficie
divenendo il secondo sito archeologico più visitato al mondo.
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1 = L'ultimo giorno di Pompei - Immagine generata al computer
Da un celebre testo di Karl Briullov, intitolato L' ultimo giorno di Pompei, datato
1827 – 1833, è possibile ricostruire la storia degli ultimi attimi della città, prima
della distruzione totale.
“Sin dall'alba del 24 agosto di quell' anno ‘79 apparve sul Vesuvio una grande
nuvola a forma di pino. Alle dieci del mattino i gas che premevano dall' interno
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fecero esplodere la lava solidificata che ostruiva il cratere del vulcano,
riducendola in innumerevoli frammenti, i lapilli, i quali furono scagliati su
Pompei, insieme con una pioggia di cenere così fitta da oscurare il sole. Fra
terribili scosse telluriche ed esalazioni di gas venefici, la città cessò d'esistere
quello stesso giorno, rimanendo per secoli sepolta sotto una coltre d'oltre sei
metri di cenere e lapilli. Si è calcolato che sui circa diecimila abitanti, che
doveva avere in quel periodo Pompei, circa duemila sarebbero state le vittime,
alcune avvelenate dai gas durante la fuga, altre stritolate nelle loro stesse case
dai tetti crollati sotto il peso dei lapilli. Della città quasi si perse la memoria, al
punto che, quando alla fine del XVI secolo l'architetto Domenico Fontana, nel
costruire un canale di derivazione del Sarno, scoprì alcune epigrafi e persino
edifici con le pareti affrescate, non vi riconobbe i resti dell' antica Pompei”.
La data dell' eruzione del ‘79 d.C. ci è stata trasmessa da Plinio il giovane
attraverso una lettera in cui si legge "nonum kal. septembres" cioè il 24 agosto.
Questa data era contenuta nella variante universalmente ritenuta più attendibile
del manoscritto ed è stata accettata come sicura fino ad oggi, anche se alcuni
elementi via via emersi non si accordavano con una data estiva.
I dati archeobotanici e archeologici che sono stati analizzati negli ultimi anni
hanno permesso di accertare che la data del 24 agosto è sicuramente errata, e
l'antica eruzione si deve collocare almeno dopo l' 8 settembre e considerando fra
questi anche l'accertata conclusione della vendemmia, è plausibile ipotizzare una
data ancora successiva e pienamente autunnale.
Vediamo tuttavia apparire i nomi di Pompei, di Ercolano e di Stabia in lavori
ben precedenti alla loro scoperta.
Si legge nella storia scritta nel IX secolo dal conte Martin che nell’ 838, Sicard,
il principe di Benevento, si accampò con il suo esercito ”… in Pompeio campo
che ha Pompeia urbe Campanie nunc deserta nomen accepit.” Fin da 1488,
Niccolò Perotto fa menzione di queste città nel suo Cornucopia; Sannazaro parla
di Pompei nel suo Arcadia (Prosa, XII), la cui prima edizione sembrò esserci nel
1504; nella carta di Ambrogio Leone, 1513, si trova segnato al luogo che occupa
Portici Herculaneum Oppidum; Leandro Alberti (Descrizione di tutta l'Italia,
1561) ricorda le città di Herculanum, di Pompéi e di Stabies, seppellite dal
Vesuvio, e indica la località dove in quest'epoca si credeva che fossero esistite;
nella Historia Neapolitana di Giulio Cesare Capaccio, pubblicata in 1607, si
legge un capitolo dedicato alle antichità di Herculanum; il dizionario geografico
di Baudran, 1682, cita le città distrutte; nel 1688, Francesco Bolzano pubblicava
Antico Ercolano ovvero Torre del Greco tolta dall' obblio, dove colloca
Ercolano in un luogo molto diverso dal vero; infine nel 1689, uno scavo fatto sul
sito attuale della città fece trovare alcuni frammenti di serrature ed una pietra
dove si leggeva la parola “POMPEI.”
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È difficile comprendere come, citata per oltre due secoli da tanti autori diversi,
Pompei poté restare nascosta nel corso di 1676 anni, quando la cenere copriva
appena il vertice delle sue costruzioni, quando il più alto muro del grande teatro
si alzava sopra il suolo, quando i rifugi, che hanno trattenuto nel loro recinto
tutte le materie che il vulcano aveva vomitato, segnavano distintamente tutta la
dimensione delle sue costruzioni; quando il celebre architetto Domenico
Fontana, incaricato, in 1592, di condurre le acque del Sarno a Torre Annunziata,
scavò un canale sotterraneo che attraversandola si imbatteva spesso nelle sue
strutture; quando il nome di Civita dato a questo posto sembrava annunciare che
restava ancora qualche memoria della città che vi era esistita.
All’epoca l'immaginario dell' Europeo colto comprende solo un piccolo spazio
per Pompei.
Si tende a considerare Pompei, nel lontano 1689, addirittura come una casa di
Pompeo Magno.
E' dalla metà del XVIII secolo che le scoperte di Ercolano, Pompei, Stabia
producono interesse e curiosità, a seconda dei diversi livelli di attenzione.
L'originaria casualità delle scoperte comportò l'affiorare di decorazioni e sculture
antiche che si posero, con immediatezza, a paragone di quanto fino ad allora si
conosceva dell'antichità classica. E ciò era, in maniera quasi assoluta,
proveniente da Roma: sulla quale regnava il Papa, circondato dalle nobili e
potenti famiglie dei cardinali.
Fu la sagacia politica del nuovo re di Napoli, poi Carlo III di Spagna, a suggerire
che le insperate scoperte archeologiche potevano essere utilizzate anche come
strumento di governo. Il controllo delle operazioni di scavo fu ristretta al più
intimo ambiente di Corte. Era il Re ad autorizzare eventuali visite agli scavi in
corso ed alle collezioni, che progressivamente si ampliavano ospitate nel Palazzo
Reale di Portici. Di nomina reale erano gli studiosi che formarono l'Accademia
Ercolanese, appositamente istituita per procedere alla pubblicazione dei risultati
degli scavi. Ed era ancora il Re che decideva a chi donare i preziosi volumi in
folio, contenenti le incisioni e le descrizioni degli affreschi, dei mosaici, delle
statue, degli utensili che erano stati rinvenuti.
Un cosi rigido e centralizzato controllo, unito alle ricorrenti rivalità interne
all'ambiente degli Accademici accese l'interesse e la curiosità sugli scavi, dei
quali diffuse notizie nel circuito europeo Giovanni Gioacchino Winckelmann, il
fondatore dell'archeologia moderna. Winckelmann era il migliore conoscitore
delle collezioni e delle antichità romane, e naturalmente desiderava confrontare
tali antichità con quelle che si stavano ritrovando ad Ercolano e a Pompei. Le
limitazioni e gli ostacoli dai quali fu circondato non produssero una felice
impressione su Winckelmann: il quale non mancò di registrare, e così di far
conoscere all'intero ambiente colto europeo, le ingenuità e gli errori commessi
nel procedere agli scavi.
Ma, contemporaneamente, Winckelmann illustrò chiaramente l'eccezionale
interesse costituito dalla potenziale conoscenza di intere città antiche:
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conoscenze non possibili a Roma, che aveva continuato a vivere su se stessa,
distruggendo e nascondendo alla vista progressivamente le sue fasi più antiche.
Inizialmente, prima del 1748, si riteneva più importante lo scavo della città di
Ercolano, anche perché in essa si stavano ritrovando tantissimi elementi che
ricordavano una delle città scomparse, e soprattutto, si ritrovò quella che è la
Villa dei Papiri. Ma ad un certo punto, ci si accorse che lo scavo di Ercolano era
molto più difficoltoso per via della profondità nella quale si trovava la città e
che, quindi, era molto più semplice passare allo scavo di Pompei che era stata
sepolta soltanto da un piccolo strato di lapilli che potevano essere facilmente
rimossi.
Un abusato luogo comune ha visto nei primi scavi condotti nell'area vesuviana
per volere dei Borbone l'antitesi stessa del modello di conduzione della ricerca
archeologica. Interi edifici sondati al solo scopo di rapinare "tesori" da essi
custoditi e poi ricoperti o addirittura distrutti, per impedire che altri potessero
comunque impadronirsi di pitture non ritenute degne di essere asportate.
Nella prima metà del Settecento, infatti, la ricerca archeologica era generalmente
vista come uno strumento operativo del collezionismo e, in quanto tale,
passatempo di ricchi nobili in grado di permettersene le spese per alimentare le
discussioni nei propri salotti.
La data di inizio degli scavi è quella del 1748 sotto la direzione dell’Alcubierre
fino al 1780, anche se dal 1764 la responsabilità scientifica dello scavo fu di
Francesco La Vega, il quale rimase a Pompei fino al 1804. Già a partire dal
1763 i primi ritrovamenti, portarono con se subito un problema, quello della
conservazione.
Il 12 gennaio del 1767, il giovane Ferdinando di Borbone aveva raggiunto la
maggiore età legale, che poneva fine alla reggenza del Tanucci. Suo padre si
rivolse all’imperatrice Maria Teresa d’Austria, chiedendole la mano di una delle
sue figlie. Le nozze erano fissate nell’ottobre del 1767; ma proprio in quel mese
ci fu una nuova eruzione del Vesuvio.
Nell’anno successivo, Giuseppe d’Asburgo aveva espresso la volontà a Tanucci
di vedere i trentaquattro corpi ritrovati il 16 aprile del 1768 tra il Tempio di
Iside
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e il Teatro
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e il ministro aveva subito dato compito a La Vega di ricolmare
di lapilli una casa in precedenza dissepolta immettendo nel terreno degli oggetti
che furono riportati alla luce al momento dell’arrivo del re Giuseppe II a
Pompei, allora Pompeja, il quale però, dopo un po’ di tentennamento si accorse
della falsità dei ritrovamenti.
Nonostante tutto, i lavori cominciarono ad intensificarsi e il direttore degli scavi,
La Vega, fu incaricato di informare il re su tutte le scoperte fatte.
Da lì ci si spostò sul sito dell’Odeon di cui, fino a quel momento, era stato
scoperto solo una sezione del palcoscenico, successivamente si portarono al
Teatro
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e al Tempio di Iside
2
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Successivamente, mentre gli scavi procedevano di buon passo, il segretario di
Tanucci, Pasquale Carcani, lavorava alla pubblicazione delle opere
dell’Accademia Ercolanese, esistente solo più di nome. La regina, nel frattempo,
si schierò con La Vega e allontanò Tanucci dallo scavo, cosa che però portò
qualche problema nello svolgimento dello stesso a partire dal 1775.
Nel ’76 il Vesuvio ricominciò a farsi sentire, senza però grosse conseguenze.
Nel ’79, quasi come ricorrenza dell’eruzione, il Vesuvio vomitò due placche di
cenere e di pietre.
Per le vicende storiche occorse successivamente, come per esempio la congiura
contro i sovrani del 1794, gli scavi vennero bloccati totalmente e nessuno più si
preoccupava dello loro svolgimento.
Nel gennaio 1799 i Francesi del Generale Championnet conquistano Napoli e
proclamano la Repubblica partenopea. Ferdinando IV fu destituito pochi anni
dopo, nel 1806, da Giuseppe Bonaparte il quale diede nuovo impulso agli scavi
aumentando fortemente il numero degli addetti e impiegando anche soldati. Nel
1799 Championnet tuttavia, essendo al corrente degli scavi, non solo di
Ercolano, ma anche di Pompei, ordinò di riprendere i lavori. Per sua iniziativa
furono dissepolte 5 nuove case della Regio VIII, insula ii, nn. Da 1 a 5 che oggi
portano il nome del generale francese di Napoleone. La successiva partenza dei
francesi, segnò una nuova interruzione nei lavori di scavo a Pompei.
Nel 1808 a Napoli si insediò una nuova coppia reale, quella formata da Carolina,
la sorella di Napoleone e il maresciallo Murat che intensificò i lavori di scavo e,
preso da entusiasmo, progettò anche di ricostruire l’Anfiteatro e per la prima
volta si arrivò a delineare il perimetro esatto delle mura della città, scavando per
tutta la sua lunghezza, la strada della Villa di Diomede fuori dalla Porta di
Ercolano e la casa di Sallustio.
Questo è un periodo dove coloro che regnavano erano molto attivi e attenti alla
perfetta realizzazione dello scavo e dei loro ritrovamenti, infatti la stessa
Carolina Murat era molto attenta al corretto svolgersi dello stesso. La regina
insisteva soprattutto perché la Basilica e l’Anfiteatro fossero completamente
dissepolti. Per esempio nel 1811 assisté direttamente allo scavo della casa di
Apollo. La sua passione era talmente ampia che, Romanelli, le regalò un suo
resoconto su Pompei, Pesto ed Ercolano.
Il 4 maggio del 1811 venne realizzato un regolamento dei lavori di scavo di
Pompei, nel quale era previsto che si tenesse <<pronta una convenevole quantità
di travi e tegole, per coprire immediatamente quegli edifizi che potranno
comportarne il peso e meriteranno che se ne faccia la spesa>>.
Nell’ottobre del 1813, si cominciò a disseppellire il Foro.
Una grande operazione di restauro promossa in questo periodo fu quella del
corridoio voltato ellittico dell’Anfiteatro. Anche per questo restauro venne
realizzata una Commissione, questa volta composta dall’Arditi, da membri del
Consiglio degli edifici civili e dagli architetti del Museo, che, dopo una lunga
discussione, decise di realizzare una serie di sottarchi di mattoni imitanti quelli,
realizzati in epoca romana, nel corridoio di accesso dello stesso edificio.
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A proposito delle tecniche di scavo, il confrontarsi con problemi anche di
conservazione e di fruizione ha portato ad affermare progressivamente
l'archeologia come disciplina e ad assegnare ai beni archeologici un valore per il
corpo sociale. Ovviamente l’inizio dell’attività di scavo è legato alle tecniche di
scavo antiche che vedono, per esempio, la diffusione dello scavo manuale, con
attrezzi che comunque non avevano una forte consistenza.
Nella fase iniziale le esplorazioni avvennero in modo del tutto disorganico in
vari punti dell'area dove si aveva notizie dell'affioramento di reperti, in
particolare nel complesso di Giulia Felice, nella Villa di Cicerone, e in edifici
della regione VIII, complessi che vennero poi tutti riseppelliti.
Tra gli anni 60 e 70, però ci si concentrò su nuclei compatti di edifici poi lasciati
a vista. Si continuò così nell'esplorazione del sito prossimo a Porta Ercolano,
disseppellendo, all'esterno, lungo Via dei Sepolcri, vari monumenti funerari e la
Villa di Diomede; all'interno la Casa del Chirurgo e parte dell'insula
occidentalis. Si pose però anche mano allo scavo di edifici pubblici nell'area dei
Teatri, del Foro Triangolare e del Tempio di Iside. A questo periodo risale il
ritrovamento della prima planimetria, vale a dire quella di Latapie (1776).
Il massimo della forza lavoro, però, si raggiunse a Pompei durante il regno di
Gioacchino Murat. Egli, successo a Giuseppe Bonaparte, destinato nel 1808 al
trono di Spagna, ebbe nella moglie Carolina, sorella di Napoleone, la più accesa
fautrice dello scavo a Pompei. Ella ne favorì infatti l'avanzare con cospicui fondi
personali, sposando inoltre l'idea di restituire la completezza della visione
urbana, individuando con precisione l'estensione dell'abitato, allora ancora
ignota, facendo seguire il circuito murario ed espropriando i terreni così
perimetrati.
Carolina diede anche un grande impulso alla divulgazione dei risultati delle
esplorazioni, sia intessendo una fitta corrispondenza con personalità di tutta
Europa, sia favorendo la stampa di guide corredate da planimetrie.
Infatti a questo periodo risalgono: una planimetria catastale della città di Pompei
(1807), quelle dei fratelli Francesco e Pietro La Vega, (1809-1812), di H.
Wilkins (1810), ed in particolare, è grazie alla munificenza della regina che
Charles François Mazois poté lavorare a Pompei, tra il 1809 e il 1813, alla
compilazione di quell' opera che rappresenta la summa degli scavi effettuati nel
primo periodo borbonico, "Les ruines de Pompéi".
L'opera è divisa in quattro parti: la prima esamina la rete viaria urbana, le tombe,
le porte e le mura; la seconda le fontane, le strade e le case; la terza gli edifici
pubblici; la quarta, infine, i templi, i teatri e l'urbanistica. Nel suo lavoro alla
cultura accademica si affianca una diretta conoscenza delle rovine, non basata
più solo su fonti letterarie, ma sul contatto diretto con i monumenti.
Dopo la grande opera di Mazois, che portavano alla diffusione dello scavo dei
francesi e ai loro relativi studi sulla città pompeiana, altri studiosi stranieri e
italiani, si sono susseguiti nell’evolversi degli scavi a Pompei. Difatti,
ricordiamo, tra le planimetrie che sono riuscito a trovare, W. Gell (1817), D.
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Romanelli (1817), H. Wilkins (1818-1819-1820), T. Donaldson (1818), W. Gell
– J. P. Gandy (1819).
Riassumendo, a tutto il 1823 l’opera di scavo a Pompei aveva complessivamente
messo in luce: il Foro, cuore della città, con i suoi edifici; il quartiere intorno al
Teatro; la caserma dei gladiatori; il settore ovest della cinta murale; i quartieri
attigui fino alla porta di Ercolano; una grande parte della Via dei Sepolcri;
l’Anfiteatro, isolato a sud-est, e infine alcune ville private alla periferia nord
dell’abitato. Nel 1824, si iniziarono i lavori di scavo del tempio della Fortuna
Augusta e delle Terme del Foro. Nel 1825, dopo sessantasei anni di regno a
Napoli, morì Ferdinando di Borbone, lasciando il trono in mano al figlio
Francesco I che portò un interesse negli scavi molto più vivo di quanto non lo
fosse quello del padre. Sotto il suo regno furono riscoperte le case a nord delle
Terme del Foro e di un vasto edificio che aveva appartenuto ad un ricco
commerciante pompeiano. Qui sopra un muro fu ritrovato il famoso emblema
con la scritta: Hic habitat felicitas. Dopo qualche giorno fu ritrovata la casa del
<<poeta tragico>>. Nel 1827, la direzione degli scavi portò all’ingresso di una
casa attigua al Foro, con la scoperta di cinque scheletri umani. Francesco di
Napoli morì nel 1830 lasciando il trono al figlio Ferdinando II che non ebbe
grande interesse per gli scavi, ma è durante il suo regno che risale la scoperta
della casa del Fauno e di una statuetta che ornava gli impluvi. Il ritrovamento
della villa, che si trovava sulla via della Fortuna a poca distanza dal tempio
omonimo, era merito di Bonucci, il quale l’aveva dissotterrata alla presenza
dell’infelice Augusto von Goethe.
Ben presto si fece ritorno alla funesta caccia al tesoro: ora si scavava nell’angolo
sud-ovest vicino alla porta Marina, poi in prossimità della via dei Sepolcri o
della casa del Fauno. Solo nel momento in cui si avvicinavano a Pompei
importanti personaggi, come per esempio la regina Vittoria d’Inghilterra, ci si
affrettava nel compiere i lavori di scavo. Del periodo ricordo le planimetrie di F.
Gau (1837), A. De Jorio (1839), C. Bonucci (1845).
Si sperimentano anche tecniche di scavo differenti, che nel tempo porteranno
anche a scelte drastiche di metodologie che in alcuni casi rovineranno gli stessi
oggetti o edifici ritrovati.
Le rivoluzioni del 1848 portarono ad un breve allontanamento dei sovrani e nel
‘49 anche il papa Pio IX, costretto alla fuga, nello stesso anno giunge a Pompei
dove s’interessò vivamente ai lavori e, dal podio del tempio di Giove, impartì la
sua benedizione ai cittadini ammassati nella piazza del Foro.
A questo periodo appartiene la scoperta della porta di Stabia, a sud del perimetro
fortificato.
E’ questo il periodo della celebre planimetria di D’Aloe (1851) con la firma
dello stesso autore, ed ancora J. A. Overbeck (1855), W. Klassovskij (1856), C.
Sasso (1857), G. Fiorelli (1858) con la celeberrima Tabula Coloniae.
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Il 20 dicembre del 1860 Fiorelli assunse la carica di direttore degli scavi e nel
1861, anno dell’unificazione d’ Italia, aveva al seguito 512 operai e nello stesso
anno passò alla pubblicazione dei primi <<Giornali di Scavo>>. Ma la vera
innovazione portata dal Fiorelli fu sicuramente la tecnica di scavo, infatti, fino a
quei giorni, gli edifici venivano discoperti isolatamente, lasciando intatte le zone
intermedie; le ceneri e i lapilli asportati si accumulavano in prossimità
immediata degli scavi, sì che, per visitare una casa, bisognava prima dare la
scalata a vere montagnole di scorie. Inoltre i muri, le colonne, i dipinti messi in
luce, improvvisamente esposti alle intemperie, rischiavano di deteriorarsi in
breve tempo. Fiorelli si preoccupò di fare asportare le ingombranti masse di
residui di scavo, poi di proteggere gli edifici scoperti con dei tetti contro la
pioggia e il sole, e infine, di collegare fra loro le case e gli edifici pubblici messi
in luce. Partendo dalle sezioni delle arterie stradali già esistenti, egli disegnò per
induzione una pianta del loro probabile tracciato, poi, sospendendo l’antico
metodo di scavare prima la strada e quindi le case a destra e a sinistra, col
pericolo di provocare dei crolli, procedette dall’alto, penetrando negli edifici
attraverso il tetto. Altri meriti del Fiorelli sono l’aver lasciato per primo le pitture
ritrovate al muro della casa appartenente e l’aver diviso la città in Regiones, cioè
quartieri, suddivisi a loro volta in Insulae, cioè agglomerati di case circondate da
vie, contrassegnando ciascun ambiente aperto sul fronte strada con un numero
civico. Una delle scoperte più importanti di questo periodo è quella del Lupanare
e, nella strada degli Augustali che conduce al tempio di Giove, di una panetteria
intatta.
Nel 1869 Vittorio Emanuele volle visitare Pompei sotto la guida del Fiorelli e ne
rimase tanto entusiasta che investì risorse economiche per lo sviluppo degli
scavi.
Nel 1896 si ha un’altra scoperta molto importante, quella della casa dei Vettii
sulla via di Mercurio, nella quale vivevano due fratelli, arricchitisi coi negozi e
col commercio dei vini.
Nei decenni successivi, tra la fine dell’800 e l’inizio del ‘900, si avvicendano
studiosi importantissimi come Ruggiero, De Petra, Pais, Sogliano che poneva
come centrale il problema del restauro e della presentazione al pubblico dei
monumenti: di questo periodo, che riguarda il XX secolo, si ricordano le
planimetrie di A. Mau (1882-1893-1898-1899),.
Nel 1915 con l’entrata dell’Italia in guerra gli scavi furono totalmente sospesi.
Accanto agli esperti italiani, anche gli stranieri hanno dato il loro contributo
nella conoscenza di Pompei. Tra questi ricordiamo l’architetto tedesco J.
Overbeck e August Mau. Dal 1905 al 1910 la guida degli scavi toccò a Sogliano
e poi a Spinazzola e fu sotto di loro che Amedeo Maiuri compì i suoi primi passi
importanti a Pompei; infatti, a lui spetta il nuovo indirizzo grazie al quale è stato
raggiunto il fine della visione integrale degli edifici scoperti. Con l’attività di
Maiuri si ricordano scoperte risalenti alla Casa del Menandro e la Grande
Palestra.
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Il periodo prima del conflitto mondiale è quello in cui ci si concentra su via
dell’Abbondanza, importante arteria stradale che attraversa Pompei in tutta la
sua lunghezza dal Foro fino alla Porta di Sarno. Sempre qui, durante l’inizio del
conflitto mondiale, si riscoprì una tintoria quasi integra con un torchio e vasche
di lavaggio delle stoffe.
Nel corso della seconda guerra mondiale, addirittura delle bombe caddero su
Pompei e distrussero molti edifici e parti di Insulae e il museo dove erano
custoditi molti calchi fatti dal Fiorelli.
Successivamente ai due conflitti mondiali, gli scavi ripresero anche se a rilento
rispetto al passato con la realizzazione del progetto di sterro di quasi tutta l’area
della Regione I, purtroppo però senza documentazione e senza i mezzi per
procedere al restauro.
Di questo periodo, che riguarda il XX secolo, si ricordano le planimetrie
dell’Archivio disegni della Soprintendenza Archeologica di Pompei, A. Maiuri
(1954), H. Eschebach (1969-1970, 1978) ed infine, le Rica Maps (1982-86).
Sicuramente non sono riuscito a trovare tutte le planimetrie di tutti gli studiosi
che si sono avvicinati alla città di Pompei, ma penso di essere riuscito lo stesso a
realizzare uno studio che riguardi l’evoluzione degli scavi archeologici della
città di Pompei.
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1 = Teatro Grande. Veduta della metà dell’Ottocento.
2 = Tempio d’Iside. Veduta della metà dell’Ottocento.