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Introduzione:
Un excursus antropologico sulla stregoneria
nell’Africa subsahariana
La necessaria premessa di cui bisogna tener conto quando si parla di
stregoneria in contesti nei quali la cultura europea non è presente è che, mentre
tale fenomeno nell’ambito europeo è circoscrivibile ad un periodo storico ben
preciso, grosso modo compreso tra il tardo Medioevo ed il Settecento, quando
parliamo di credenze magiche e stregoneria in Africa non possiamo pensare di
contenere il fenomeno entro un intervallo storico determinato in quanto, fin dalle
sue origini, la cultura stessa dell’Africa è permeata di credenze magico-
religiose. I temi economici e politici, nonché quelli relativi la storia e l’identità in
Africa, infatti, non possono essere separati dalle questioni relative il corpo, la
salute e dall’interpretazione stessa della malattia.
La natura semplice e primitiva del continente africano lo designano, da sempre,
come “l’universo per eccellenza di ciò che è incompleto, mutilato e non
concluso: la sua storia si è ridotta così ad una serie di regressi allo stato di
natura, storia di un continente ancora alla ricerca della sua umanità.”
1
Così,
Achille Mbembe descrive l’approccio fortemente etnocentrico con cui la
tradizione filosofica e politica dell’occidente si è da sempre posta nei confronti
dell’universo africano negando, di fatto e per molto tempo, l’esistenza di un
evidente “sé” diverso dal proprio.
Le già scarse argomentazioni politiche ed economiche dedicate all’Africa, infatti,
hanno molto spesso ridotto i complessi fenomeni dello Stato a delle mere
1
Mbembe A., Postcolonialismo, Roma, Meltemi Editore, 2005.
7
“rappresentazioni”, rimarcando una falsa bipartizione tra l’oggettività delle
strutture e la soggettività delle rappresentazioni. Tale dicotomia ha sempre
erroneamente permesso una separazione tra ciò che veniva ritenuto culturale e
simbolico e ciò che invece era economico e materiale oggettivando una serie di
realtà sociali che in Africa sono invece intimamente connesse con l’esistenza
stessa della soggettività dell’individuo.
Ma come ci ricorda Beneduce
2
, non esiste un unico nucleo bio-psichico
universale per tutti i membri della razza umana: l’impatto culturale, le
dimensioni simboliche e rituali partecipano infatti alla crescita dell’uomo e della
sua psiche e sono specifici di ogni cultura.
Nelle società africane in modo particolare, poi, l’individuo è fortemente immerso
in un tessuto sociale denso di rapporti. Identità individuale e sociale diventano
facce della stessa medaglia: l’individuo si presenta come riflesso della relazione
con le altre persone, ossia la comunità. Diversamente da quanto accade nella
“nostra” società, dove invece una concezione dualistica oppone la mente al
corpo e l’individuo alla società
3
Ritengo fondamentale, nell’approccio a tale tematica, considerare come in
Africa la stregoneria rivesta ancora, a livello sociale, un’importanza devastante:
essa influenza gli atteggiamenti delle persone, condiziona la vita della
comunità, arrivando persino a stravolgere la logica degli eventi quotidiani.
Dunque, dal momento che i fattori sociali, economici, storici e politici hanno un
ruolo fondamentale nel rendere gli individui più o meno vulnerabili alla
2
Beneduce Roberto, “Dia-tige ("ombra recisa"). Strutture antropologiche della depressione e
metamorfosi del legame sociale in Africa” in Galzigna M. (a cura di), La sfida dell'altro. Le
scienze psichiche in una società multiculturale, Marsilio, Venezia 1999
3
Scheper-Hughes N., Lock M., “The mindful body. A prolegomenon to future work in medical
anthropology.” In Medical Anthropology Quarterly, New Series, Vol.1, No.1, 1987,
8
sofferenza, la sfida non ancora vinta dall’antropologia odierna è quella di capire
attraverso quali meccanismi le forze sociali vengano “incorporate”
nell’esperienza individuale
4
L'analisi più famosa e approfondita della stregoneria africana è sicuramente
quella condotta tra gli Azande - una popolazione stanziata nel bacino del fiume
Uele, in Congo - negli anni Trenta del nostro secolo dall'etnologo inglese Evans
Pritchard.
5
Il caso degli Azande è emblematico di una forma di stregoneria eseguita non
per mezzo di pratiche rituali volte a produrre il maleficio bensì, esercitata
attraverso atti psichici: è la sola volontà dello stregone infatti, a produrre il male.
Tuttavia, ciò che più distingue la stregoneria degli Azande è la sua funzione
equilibratrice all'interno della comunità, che al tempo stesso la teme e la rispetta
e risulta assolutamente diversa, se non opposta, al carattere ossessivo e
destabilizzante concepito invece in Europa. La credenza nel potere mortale
della stregoneria, cui sono sempre attribuiti i decessi, è quindi un elemento
caratterizzante della cultura azandese.
Evans Pritchard porta rilevanti innovazioni negli studi antropologici del
Novecento circa l’approccio alla tessitura interna delle credenze magiche
evidenziando, tra l’altro, un dato molto importante, ovvero che la mentalità degli
Azande non è assolutamente meno razionale di quella Europea: le credenze
circa la stregoneria sono infatti altamente coerenti ed inserite in un valido
sistema si significati che crea un senso logico di base importante per capire le
premesse sulle quali la stregoneria è basata.
4
Farmer P., Pathologies Of power. Health, Human Rights, And The New War On The Poor,
Berkeley, University of California Press, 2003
5
Pritchard E.E., Witchcraft, Oracles, And Magic Among The Azande, London, Oxford University
Press,1937.
9
Dunque, perché gli Azande credono nella stregoneria?
L’autore risponde: “perché questa spiega l’inspiegabile” La stregoneria difatti
offre spiegazioni circa le sfortune e le disgrazie, spiegazioni che tendono a
chiarire il “perché” più che il “come” di uno specifico avvenimento affrontando il
problema da una diversa prospettiva e dando risposte cui la scienza non trova
interpretazioni. Inoltre, la stregoneria si “autogiustifica” ovvero, ogni evidenza
empirica viene letta con estrema logicità all’interno di questo sistema di
credenze.
Sulle scie di Evans Pritchard un’intera generazione di antropologi si sono
impegnati per dimostrare, con varie etnografie locali, che la stregoneria è
qualcosa di più di una superstizione senza senso.
A distanza di trenta anni, facendo il punto sulla questione, Mary Douglas
6
tende
a rilevare che il lavoro dell’antropologo aveva dato vita, purtroppo, solo a studi
centrati sulla funzione sociale della stregoneria nella segmentazione delle
società tribali africane e invitava a rileggerlo in chiave di sociologia della
percezione e della conoscenza.
La stregoneria sembrava essere tuttavia, ancora una faccenda unicamente
"etnologica" e per di più "residuale" in contrapposizione ai contemporanei
processi di decolonizzazione e di "modernizzazione".
L’interesse per la stregoneria è comunque destinato a risorgere agli inizi degli
anni Ottanta, non per ridiscutere la scienza occidentale quanto piuttosto per
rispondere al fenomeno sostantivo stesso.
6
Douglas M., Witchcraft. Confessions And Accusations, London, New York [etc.], ed. Mary
Douglas, Tavistock Publ., 1970.
10
Geschiere, nel 1997, avrà il coraggio di dare a un volume l’assai significativo
titolo “The modernity of witchcraft: politics and the occult in postcolonial Africa”
a dimostrazione del fatto che, rispetto agli approcci degli anni Quaranta, i
recenti e molteplici studi sul fenomeno si propongono con un orientamento
diverso, specificatamente empirico rilanciando al contempo la discussione sulla
non neutralità degli stessi termini usati dagli antropologi per descrivere il
fenomeno.
Ciò che è chiaro dai lavori contemporanei in Africa è che il termine “stregoneria”
è stato generalmente usato per racchiudere molteplici attività e in letteratura è
stato spesso sinonimo di termini quali “occulto”, “magico” o “incantesimo”. Gli
antropologi hanno in seguito giustificato tale uso del termine richiamandone
l’ampio uso che viene fatto localmente in Africa e, in particolare, nella stampa e
nei media del continente.
7
Ma cos’è esattamente la stregoneria?
Bisogna innanzitutto sottolineare il diverso uso che gli inglesi fanno dei termini
“witchcraft” (stregoneria) e “sorcery” (fattucchieria), il primo inteso come un
potere mistico e innato, il secondo come la consapevolezza di un’abilità magico
- diabolica contro gli altri, a volte testimoniata dall’uso di oggetti, “medicine” o
“strumenti”. Ciò che è importante evidenziare è che “sia stregoneria che
fattucchieria implicano a loro modo un processo di razionalizzazione del male:
sia pure appellandosi a principi tendenzialmente antisociali e sia pure
mobilitando o esprimendo cariche di aggressività maturate nell'ambito di
rapporti interindividuali (...) Il principio è quello di sottrarre il male alla casualità
capricciosa, assolutamente incontrollabile, in quanto se ne indicano, come
responsabili alcuni soggetti umani in qualche modo raggiungibili”.
8
La trasposizione francese del termine “witchcraft” è invece “sorcellerie”.
7
Moore H. L., Sanders T., Magical Interpretation, Material Realities. Modernity, Witchcraft and
the occult in Postcolonial Africa, London, Routledge, 2001.
8
Lanternari V. (a cura di), Medicina, magia, religione, valori, Napoli, Liguori Editore srl, 1994
11
Recenti studi hanno osservato come i termini locali associati a “stregoneria”,
“magia” e “potere” abbiano dei significati specifici non necessariamente legati
ad attività dannose.
Dunque, piuttosto che tradurre termini locali come “witchcraft” o “sorcery” , che
spesso richiamano immagini negative legate alla mentalità occidentale,
Geschiere ci suggerisce di usare un termine più neutrale: “forze occulte” che
lascia aperta la questione se le forze siano usate per il Bene o per il Male.
Nell’osservare infatti la stregoneria e le pratiche occulte contemporanee in
Africa attraverso il metro della particolare esperienza storica europea, si
corrono dei seri rischi di incomprensione e di eccessiva enfasi circa il potere
negativo e le forze maligne alle spese di una interpretazione locale basata
sull’ambiguità nella quale le interpretazioni cambiano contestualmente: le
stesse tecniche possono infatti essere morali e approvate in un contesto ma
immorali e fuorilegge in un altro.
Quando si parla di stregoneria in termini generali e la si rapporta con
l’esperienza storica europea, questa viene generalmente ritenuta qualcosa di
arretrato, non scientifico e tradizionale e viene implicitamente imposta una
specifica visione delle relazioni tra modernità e stregoneria che tende ad
oscurare la vera natura di queste pratiche e credenze nella contemporaneità.
La stregoneria in Africa è invece, tutt’altro che un fenomeno legato all’ignoranza
e all’isolamento culturale. A credere nelle forze dell’occulto sono universitari,
funzionari statali, medici e impiegati. Il mondo del soprannaturale si è spostato
negli ultimi trent’anni dalle campagne alle metropoli, invadendo anche gli spazi
più acculturati e aperti al confronto con l’occidente.
E’ dunque un fenomeno storico complesso e decisamente caratteristico dei
diversi contesti locali in quanto, nel corso del tempo, ha mutato la sua forma
parallelamente allo sviluppo dei differenti aspetti moderni dell’Africa.
Trovo inoltre molto importante sottolineare il delicato rapporto che intercorre tra
la stregoneria e il controllo politico e, a tal proposito, ritengo doveroso citare il
12
lavoro di Geschiere
9
, in un testo davvero molto rilevante uscito in francese col
titolo Sorcellerie et politique en Afrique. La viande des autres, "Stregoneria e
politica in Africa. La carne degli altri", dove troviamo la particolarità già nel titolo
stesso in quanto, in francese, il termine “viande” indica la carne che si mangia
e non quella contrapposta allo spirito. La tesi centrale di Geschiere, basata su
ventennali studi sul campo in Camerun, è che le moderne forme di stregoneria
non debbano assolutamente essere interpretate come forme di resistenza alla
modernizzazione, ma come un efficace integrazione con essa, grazie anche
alla nuova dimensione della politica parlamentare e al nuovo sviluppo
capitalistico. Geschiere inoltre, analizza il ruolo della stregoneria nel moderno
Camerun in relazione al controllo politico. In modo particolare, la stregoneria
viene utilizzata per ledere l’immagine dei propri avversari e causarne il crollo
politico ma anche per accrescere il potere e la ricchezza personali.
Ecco quindi ribaltarsi la prospettiva: con la modernizzazione, l'inurbamento,
l'ingresso nel mercato mondiale, l'adozione delle forme occidentali dell'azione
politica, stregoni e streghe non si estinguono ma, al contrario, la stregoneria si
diffonde, si presenta in nuove forme e nello spazio pubblico diviene sempre più
rilevante.
E’ certamente evidente come la stregoneria in Africa sia strettamente legata agli
eventi della vita quotidiana in quanto riesce a spiegare l’ineguaglianza sociale,
le disgrazie, le ribellioni, il successo o l’insuccesso ma, in modo particolare,
questa risulta indissolubilmente correlata all’interpretazione della malattia, non
tanto in spiegazione del “come” quanto invece del “perché” di una determinata
patologia.
Mentre, infatti, nei contesti occidentali vige una sorta di “nonsenso” della
malattia, concepita solo come un male perfettamente inutile e spiegata
9
Geschiere P., Sorcellerie et politique en Afrique. La viande des autres, Paris, éd. Karthala,
1995.
13
unicamente attraverso il peculiare metro della nostra medicina scientifica, nelle
società tradizionali la malattia si carica di “significati autonomi” che devono
essere, caso per caso, decodificati. A ciascuna infermità “si attribuisce valore e
significato sociale, con pertinenze morali, culturali, religiose.”
10
Dunque,
utilizzando le parole di Marc Augè
11
, “(…) la malattia ha ben spesso il valore e il
significato d’un richiamo all’ordine sociale, il quale a sua volta promuove una
ridefinizione della persona individuale.”
La “malattia”, in fondo, altro non è che una “costruzione culturale” suscettibile di
essere interpretata in modi diversi ed è particolarmente manifesto difatti, come
l’eziologia occidentale, ovvero, il modo in cui viene concettualizzata la
trasmissione della malattia, differisce fortemente da quella africana.
Nel primo caso assistiamo ad una quantificabilità e misurabilità della malattia,
secondo un approccio scientifico che concentra l’attenzione su un corpo-
macchina che nega gli aspetti sociali e l’esperienza individuale della patologia
stessa e si focalizza invece sugli elementi puramente organici secondo un
percorso “sintomo-segno-malattia”
12
. Nel secondo invece, la malattia viene
concepita oltre l’individuo e oltre il suo stesso corpo, legandola
indissolubilmente alle relazioni sociali della persona secondo un diverso
percorso che potremmo delineare come “segno-malattia/sintomo-squilibrio” nel
quale una serie di segni, scritti nel corpo o nella vita della persona, rimandano
10
Zempleni A., “Anciens et nouveaux usages sociaux de la maladie en Afrique” in Archives des
Sciences Sociales des Religions anc Archives de Sociologie des Religions, vol. 54, n
o
1, Paris,
1982.
11
Augè M., “Ordre biologique, ordre social; la malarie, forme èlèmentaire de l’èvenement” in
Augè M., Hertzlich C.,(a cura di), Le sens du mal. Anthropologie, histoire, sociologie de la
maladie, Paris, Archives contemporaines, 1984
12
Sul legame tra “segno” e “malattia” cfr. Augè M., Hertzlich C.,(a cura di), Le sens du mal.
Anthropologie, histoire, sociologie de la maladie, Paris, Archives contemporaines, 1984.
14
ad una malattia/sintomo evidenziando dunque l’esistenza di uno squilibrio. In
questo caso la diagnosi o divinazione e la relativa cura sono dei veri e propri
eventi sociali cui sono chiamati a partecipare anche i membri della famiglia e
della comunità.
Un esempio concreto è quello proposto da Caprara
13
che, attraverso l’analisi di
una particolare affezione, il “Pisa”, presso gli Alladian della Costa d’avorio,
mette in evidenza le diverse interpretazioni della malattia e la sua peculiarità di
essere, al tempo stesso, strettamente individuale e fortemente sociale. Nelle
culture africane infatti, il problema della malattia non è solo la cura ma il vero e
proprio significato che le si da quindi, quella che nella visione occidentale è
normalmente una “casualità” viene convertita, nelle società tradizionali in vera
e propria “causalità” e su tale logica causale si basano anche le procedure
terapeutiche che assolvono non solo alla funzione di cura, ma anche quella di
attivazione dell’intera società di fronte al male.
Tali argomentazioni sono di rilevanza tale che, ormai, anche nei nostri contesti
occidentali si cerca, attraverso l’etnopsichiatria, di far convivere le prescrizioni
mediche e le procedure terapeutiche tradizionali. A tale proposito, Tobie
Nathan
14
e Catherine Lewertowski con: Soigner: le virus e le fétiche”
15
, si
interrogano su di un tema di grande interesse e attualità: come curare i malati di
Aids che appartengono a culture lontane della medicina occidentale? I malati di
Aids di origine africana ricorrono infatti, oltre alle terapie ospedaliere, a terapie
13
Caprara A., Interpretare il contagio. Una indagine storico-etnografica sulle pratiche mediche
presso gli Alladian della Costa d’Avorio, Lecce, Argo, 2001
14
Responsabile del dipartimento di psicologia clinica all'UniversitàParis-VIII
15
Nathan T., Lewertowski C., Soigner: le virus e le fétiche, Paris, Éditions Odile Jacob, 1998.
15
parallele legate alla medicina tradizionale, perché, per quanto colti e
consapevoli delle cause oggettive dell'infezione, sono culturalmente portati a
porsi altri interrogativi inerenti le ulteriori cause della malattia stessa.
E’ molto importante sottolineare però, come queste interpretazioni magico-
religiose della malattia riescano a coesistere, senza negarle, con le spiegazioni
di tipo medico-scientifico occidentale e come invece, troppo spesso, la nostra
medicina tende ad isolare il soggetto dal suo ambito sociale e a disgiungere il
soma dalla psiche e l'organo dall’'organismo stesso. Mentre quindi il sistema
medico dell’Occidente opera una netta distinzione fra mali di ordine fisico e mali
d'ordine psichico, nelle culture tradizionali questa distinzione si perde, in quanto
le ricerche delle cause del male e le procedure terapeutiche stesse tendono a
non differenziarsi.