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Introduzione
La pubblicità ha oggigiorno acquisito una notevole capacità di influenzare
i nostri comportamenti, in particolare le scelte che giornalmente
effettuiamo all’interno degli esercizi commerciali, dettando le regole che
ci portano a preferire un prodotto tra tanti, all’interno di un vasto mercato
ormai stracolmo di aziende che competono tra di loro per assicurarsi il
primato all’interno del settore di riferimento.
Con il termine pubblicità si intende quella forma di comunicazione
commerciale, che sotto un compenso di natura economica, trasmette i
messaggi pubblicitari che i professionisti creano per fare in modo che gli
atteggiamenti delle persone né siano influenzati e che le scelte di
consumo vertano su determinati prodotti piuttosto di altri. Per la
trasmissione di tali messaggi, la pubblicità utilizza i mezzi di
comunicazione come la televisione, radio, internet, stampa ecc.
Tale forma di comunicazione assolve una duplice funzione, una
prettamente informativa, che ci permette di ottenere delle indicazioni sul
prodotto, sulle sue caratteristiche e sul suo uso, il cui obiettivo è far sì che
si comprenda, attraverso la creazione di messaggi pubblicitari che
informino il consumatore, la superiorità qualitativa di un prodotto rispetto
a quello di un concorrente, e che quindi lo induca all’acquisto di quel
determinato prodotto, e un’altra persuasiva, più recente come scoperta
sui possibili effetti che la pubblicità può avere sul consumatore, che fa
leva sulle emozioni del consumatore, e sulle aspettative di quest’ultimo
rispetto al prodotto o servizio che andrà ad acquistare.
Agendo sulle emozioni, sulle sensazioni e sulla mente del consumatore, è
quindi sulla parte “debole” di ognuno di noi, la percezione del prodotto
può risultarne distorta, soprattutto nel momento in cui il professionista
7
manipola tale emotività, facendo credere che quel prodotto abbia tutte le
caratteristiche ricercate dal consumatore, ingannandolo.
Proprio partendo da tali considerazioni, e dalla necessità di proteggere il
consumatore da determinate pratiche scorrette, il legislatore ha voluto
creare un apparato normativo che avesse come obiettivo la difesa del
consumatore, considerata la parte più suscettibile e indifesa del rapporto
di consumo.
Il primo intervento sostanziale del legislatore, è avvenuto con
l’emanazione del D. Lgs n.206/2005 con cui è stato introdotto il Codice
del Consumo, che ha armonizzato tutte le leggi in materia di tutela del
consumatore per assicurarne una maggiore tutela, il secondo, invece
rappresenta forse la forma di intervento più efficace e incisivo su tale
tematica. Nel 2007, l’Italia ha, infatti, recepito le disposizioni dell’Unione
Europea sulla Direttiva 2005/29/CE, attraverso il D. Lgs. 146/ 07, in
materia di pratiche commerciali scorrette nei confronti del consumatore,
e il D. Lgs. 145/07, in materia di pubblicità ingannevole e comparativa nel
rapporto tra professionisti.
Pertinente con tale ultima asserzione, risulta essere la tematica trattata
nel primo capitolo, riguardante “gli atti di concorrenza sleale”. Dalla
scorrettezza della pratica commerciale di un operatore economico,
infatti, ad esserne leso non è solo il consumatore, ma anche il concorrente.
Il consumatore, infatti, in base a delle informazioni ingannevoli acquisite
attraverso messaggi pubblicitari fraudolenti, effettuerà una scelta
economica che si ripercuoterà anche sul concorrente, che vedrà il
consumatore preferire un altro prodotto al proprio e tutto ciò con una
8
forte incidenza sulle vendite e di conseguenza sulla quota di mercato del
concorrente.
A tutelare il professionista da atti sleali compiuti da un concorrente, è
anche il Codice Civile con l’articolo 2598 ss., che suddivide gli atti di
concorrenza sleale in tre grandi categorie, atti confusori, atti denigratori e
atti non conformi alla correttezza professionale.
La mia attenzione su tale tesi, si concentra sulle motivazioni che inducono
il professionista alla realizzazione di pratiche commerciali scorrette,
sull’analisi di tali pratiche e sugli effetti, spesso devastanti, sia per il
consumatore che per il concorrente, che possono derivare dal loro utilizzo.
9
I CAPITOLO
LA CONCORRENZA SLEALE NELL’ORDINAMENTO
STATUALE
La tutela contro la concorrenza sleale in Italia
La nostra Costituzione asserisce attraverso l'art. 41
1
che “l' iniziativa
economica privata è libera e che non può svolgersi in contrasto con l'utilità
sociale o in modo da arrecare danno alla sicurezza, alla libertà o alla dignità
umana”. Con tale articolo, il legislatore Italiano ha voluto garantire a
chiunque volesse inserirsi all'interno del mercato con i propri prodotti e
servizi, di avere tutta le libertà di poterlo fare a condizione che ciò non
influisse in alcun modo sull'attività svolta, o sulla sicurezza e la libertà di
qualcun'altro e in generale della collettività. Tale libertà di iniziativa,
sancita dalla Costituzione, ha portato nel corso degli anni alla
stabilizzazione all'interno del mercato, di imprenditori che continuamente
competono per riuscire a guadagnarsi il successo, molte volte ricorrendo a
pratiche commerciali, in particolar modo pubblicitarie, non corrette. Da
tale condizione è scaturita l'esigenza di creare un complesso di norme che
consentissero agli imprenditori di competere in modo leale e corretto e
nel rispetto dei concorrenti e soprattutto dei consumatori. A disciplinare la
competizione tra concorrenti è la disciplina sulla concorrenza sleale
individuabile negli articoli che vanno dal 2598 al a 2601 del Codice Civile.
Tale normativa è stata inserita solo nel 1942, anno in cui è entrato in
vigore il Codice Civile; prima d’allora, a tutelare la collettività e in
particolar modo i rapporti tra concorrenti, era l'art. 10 bis della
1
Cost. art 41: “L'iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l'utilità
sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge
determina i programmi e i controlli opportuni perché l'attività economica pubblica e privata
possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali”.
10
“Convenzione d'Unione di Parigi per la protezione della proprietà
industriale” del 1883 la quale è stata poi successivamente modificata
2
e
nella quale si sostiene che:
“I paesi dell’ Unione sono tenuti ad assicurare ai cittadini dei paesi della
Unione una protezione effettiva contro la concorrenza sleale.
2) Costituisce un atto di concorrenza sleale ogni atto di concorrenza
contrario agli usi onesti in materia industriale o commerciale.
3) Dovranno particolarmente essere vietati:
1. tutti i fatti di natura tale da ingenerare confusione, qualunque ne sia il
mezzo,con lo stabilimento, i prodotti o l’ attività industriale o
commerciale di un concorrente;
2. le asserzioni false, nell’ esercizio del commercio, tali da discreditare lo
stabilimento,i prodotti o l’ attività industriale o commerciale di un
concorrente;
3. le indicazioni o asserzioni il cui uso, nell’ esercizio del commercio, possa
trarre in errore il pubblico sulla natura, il modo di fabbricazione, le
caratteristiche,l’ attitudine all’uso o la quantità delle merci.”
Per ciò che invece riguarda il Codice Civile, esso disciplina gli atti di
concorrenza sleale e in un certo senso ha definito la sua condotta proprio
sulla base dell'art. 10-bis
3
; tali articoli del Codice, regolano i rapporti tra
concorrenti stabilendo le condizioni necessarie da rispettare affinché non
2
Convenzione di Parigi per la protezione della proprietà intellettuale, art. 10-bis , del 1883, poi
successivamente modificata a Bruxelles nel 1900, a Washington il nel 1911, all'Aja nel 1925, a
Londra il nel 1934, a Lisbona nel 1958 e a Stoccolma nel 1967.
3
Cit. G. ROSSI, La pubblicità dannosa. Concorrenza sleale, diritto a non essere ingannati, Diritti
della personalità. Milano, 2000, 37.
11
si verifichino condotte non ritenute lecite. L'art. 2598 al primo comma
stabilisce che:
“Ferme le disposizioni che concernono la tutela dei segni distintivi e dei
diritti di brevetto, compie atti di concorrenza sleale chiunque:
1) usa nomi o segni distintivi idonei a produrre confusione con i nomi
o con i segni distintivi legittimamente usati da altri, o imita servilmente i
prodotti di un concorrente, o compie con qualsiasi altro mezzo atti idonei
a creare confusione con i prodotti e con l’attività di un concorrente;
2) diffonde notizie e apprezzamenti sui prodotti e sull’attività di un
concorrente, idonei a determinare il discredito, o si appropria di pregi dei
prodotti o dell’impresa di un concorrente;
3) si vale direttamente o indirettamente di ogni altro mezzo con
conforme ai principi della correttezza professionale e idoneo a
danneggiare l’altrui azienda.”
La tutela dei concorrenti e dei consumatori
“In un regime economico di libero mercato, la funzione primaria della
pubblicità di promuovere l’acquisto di beni e servizi si traduce
automaticamente in una funzione concorrenziale, evidente essendo che,
quasi sempre all’incremento della domanda dei prodotti di un’impresa farà
riscontro un decremento della richiesta di beni o servizi dello stesso genere
offerti sul mercato dalle imprese concorrenti.
4
”
Il rapporto tra concorrenza sleale e tutela dei consumatori è un rapporto
estremamente complesso visto che già in passato ci si era chiesti se anche
4
Cit. M. FUSI, P. TESTA, Diritto e Pubblicità, Milano, 2006, 247.
12
i consumatori potessero disporre di una tutela diretta o se “l’interesse dei
consumatori costituisse soltanto un metro di valutazione al fine di stabilire se
un atto concorrenziale dovesse ritenersi più o meno sleale. Si sosteneva,
quindi, che ai consumatori veniva offerta solo una tutela indiretta e mediata
dei loro interessi.”
5
La pubblicità ingannevole in particolar modo, ma in generale tutte le
condotte ritenute non corrette, facilitano la possibilità di mettere in atto
pratiche commerciali sleali che possono causare ingenti danni all’
l’economia in primis, ma anche al consumatore.
Da una sentenza della Cassazione, emerge chiaramente il concetto
secondo cui, affinché vi sia il presupposto concorrenziale, è necessario
che le imprese commercializzino prodotti o comunque servizi indirizzati
alla stessa tipologia di consumatori,indipendentemente dalla funzione
ricoperta all’interno del mercato, poiché come ben sappiamo, il prodotto
o servizio, una volta ultimato, verrà immesso sul mercato e si rivolgerà
alla stessa tipologia di utenti finali.
6
”
Per quanto riguarda l’ordinamento italiano, la tutela del consumatore
contro le pratiche commerciali scorrette, si fa strada solo con il
recepimento la Direttiva 2005/29/CE, prima dell’intervento dell’Unione
Europea su tale tema, nel 1942, l’intervento del legislatore italiano con
l’inserimento degli “atti di concorrenza sleale” nell’art. 2598 c.c., fu solo
parziale, in quanto, finalizzato alla protezione del solo concorrente,
tralasciando l’interesse del consumatore di potersi avvalere di un corpus di
norme per la sua protezione.
5
Cit. A. CACCIATORE, Concorrenza sleale e tutela del consumatore, in Rivista di diritto
dell’impresa, 2005, 283.
6
Trib. di Roma, 16 gennaio 2006, in Giurisprudenza Italiana, 2006, 1432.
13
Nell’art. 2598 vengono descritte una serie di condotte concorrenziali
scorrette , quindi illegittime e di conseguenza punibili, ed è precisato che:
“la disciplina della concorrenza attiene ai rapporti tra imprenditori e concerne
atti compiuti nell’esercizio di un impresa e considerati in funzione del
contrasto con un’altrui attività imprenditrice; i limiti posti alla concorrenza
nella normativa di determinati contratti o convenzionalmente vengono a
loro volta sanciti a carico o a favore di imprenditori e hanno come contenuto
l’obbligo di non svolgere determinate attività economiche o di non svolgerle
se non con determinate modalità fissate ad esclusione di altre.
7
”
Da questa definizione si evince come tale articolo miri a proteggere
l’imprenditore da scorrettezze messe in atto da un altro imprenditore
nell’ambito di un’attività economica, tralasciando però l’interesse del
consumatore e i possibili danni a esso provocati attraverso forme di
concorrenza sleale.
Quello che vorrei riuscire ad analizzare con tale tesi, è proprio capire come
si è evoluta la legislazione comunitaria ma soprattutto italiana, sulla tutela
contro la concorrenza sleale e contro le pratiche sleali sia nei rapporti tra
concorrenti che nel rapporto professionista- consumatore.
Partendo dal Codice Civile e analizzando quindi l’art. 2598., possiamo
individuare tre categorie di atti di concorrenza sleale:
1. Atti confusori
2. Atti denigratori
3. Atti non conformi alla correttezza professionale.
7
Cit .A. CACCIATORE, Concorrenza sleale e tutela del consumatore, in Rivista di diritto
dell’impresa, 2005, 285.
14
La prima categoria di atti di concorrenza sleale comprende due fattispecie
specifiche, che sono gli atti confusori e gli atti denigratori (che
comprendono al loro interno anche la categoria dell’appropriazione di
pregi), la seconda categoria è più generalizzata ed è composta da una
clausola generale, che identifica come comportamenti sleali quelli non
conformi alla correttezza professionale, e tutti quegli atti che possono
danneggiare l’azienda dei concorrenti, quindi non rintracciabili all’interno
delle prime due categorie
8
.
GLI ATTI CONFUSORI:
l’illiceità dell’atto confusorio
L’art. 2598 comma .1 asserisce che compie un atto di concorrenza sleale
“chi usa nomi o segni distintivi idonei a produrre confusione con i nomi o
segni legittimamente usati da altri, o imita servilmente i prodotti di un
concorrente o compie, con qualsiasi altro mezz0 atti idonei a creare
confusione con i prodotti o con l’attività di un concorrente”.
Da un’attenta analisi della norma emerge che un primo richiamo agli atti
confusori interessa l’uso di nomi o comunque segni distintivi ,ovvero
8
C. COSTANTINI, La concorrenza sleale, in AA. VV., Il diritto privato nella Giurisprudenza, a cura
di P. CENDON, Torino, 2005, 530.
15
tutto ciò che contraddistingue l’azienda e i prodotti che essa produce da
quella dei concorrenti, e che quindi permette al consumatore di sceglierla
tra tutte quelle presenti nel mercato.
Sempre nella stessa norma vi è un riferimento all’imitazione servile e, più
in generale ai mezzi che possono creare confusione con ciò che ha a che
fare sia con il prodotto che con l’attività svolta dal concorrente .
Gli atti confusori, vengono anche definiti come “illecito di pericolo” in
quanto a caratterizzarli è il fatto che tale pratica sleale, può anche non
consistere nella verifica tangibile che tale confusione sia già stata creata,
ma può riguardare anche la semplice eventualità che ci sia solo il rischio di
creare confusione, che però deve dimostrarsi reale.
9
Si dice, infatti, che
nell’accertare se una pratica sia idonea a creare confusione si devono
realizzare le condizioni che rendono il prodotto capace di creare
disorientamento nella mente del consumatore
10
.
Quando si genera confusione, si determina nel ricevente del messaggio
una credenza non corrispondente alla realtà, una credenza fallace, sia per
quanto riguarda il prodotto, sia per quanto riguarda lo stesso esercizio
imprenditoriale, in quanto tale situazione finisce per concretizzarsi nella
convinzione da parte del consumatore che si trova ad effettuare un
acquisto, che si tratti di prodotti o attività di un certo imprenditore,
quando invece si riferiscono ad un imprenditore differente.
A essere tutelato dalla confondibilità dei prodotti o comunque dall’attività
imprenditoriale è il consumatore medio, ovvero il consumatore attento e
9
Cit. M. ADALGISA CARUSO, Temi di diritto dei beni immateriali e della concorrenza, Milano,
2011, 289.
10
C. COSTANTINI, La concorrenza sleale, in AA. VV., Il diritto privato nella Giurisprudenza, a cura
di P. CENDON, Torino, 2005, 533.
16
informato, che però effettua le proprie scelte in base ad esperienze
passate che ha avuto con i prodotti, e quindi incapace di fare dei paragoni
al momento dell’acquisto, che al contrario, presuppongono indagini
molto dettagliate.
11
I segni distintivi: il marchio
I segni distintivi hanno la peculiarità di identificare all’interno del mercato
l’imprenditore, il prodotto, l’impresa, in modo che il consumatore possa
distinguerlo da quello dei concorrenti. Essi hanno in comune “la
caratteristica di dare luogo ad un contatto reale tra l’esigenza di chi muove la
domanda e l’offerta del prodotto che si propone di risolverla”
12
, per cui un
uso illecito di tale elemento caratterizzante sia per l’impresa che per la
merce che essa produce, induce il consumatore a crearsi un’idea sbagliata
e non corrispondente al vero del prodotto che sta acquistando, e tutto ciò
solo per sfruttare la notorietà del concorrente e acquisire così maggiore
clientela. A seconda che un segno distintivo sia o no disciplinato da altre
specifiche leggi, vengono distinti i segni tipici da quelli atipici.
I segni distintivi detti tipici, come la ditta e l’insegna sono disciplinati, oltre
che dalle norme concernenti la concorrenza sleale, anche dall’artt. 2563-
2568 del Codice Civile, mentre il marchio, anch’esso segno tipico è
disciplinato in modo dettagliato dagli art. 2569-2574 del Codice Civile.
13
11
D. CESIANO, La tutela cautelare in tema di marchi e di concorrenza sleale,Milano, 2008, 111.
12
Cit. G. M. BERRUTI, La concorrenza sleale nel mercato. Giurisdizione ordinaria e normativa
antitrust, Milano, 2002, 65.
13
In materia di tutela del marchio si ricordi il D. Lgs 30/2005, per la disciplina sui marchi, che ha
sostituito la Legge speciale sui marchi di cui al R .D. 21 Giugno ’92 n. 992, in M. FUSI E P. TESTA,
Diritto e Pubblicità, Milano, 2006, 251.