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1. ILPENSIERO RIFLESSIVO
1.1. Concetti e argomentazioni secondo John Dewey
Per poterne dare una definizione precisa occorre analizzare l’opera
fondamentale di John Dewey
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del 1910 intitolata ‘ Come pensiamo. Una
riformulazione del rapporto fra il pensiero riflessivo e l'educazione.’ In tale
opera egli definisce il pensiero riflessivo “quel tipo di pensiero che consiste nel
ripiegarsi mentalmente su un soggetto rivolgendo ad esso una seria e
continuata considerazione”. Dalla definizione possiamo dedurre una prima
considerazione: il pensiero riflessivo implica un’azione che continua nel tempo
che non si ferma alla prima valutazione: da ciò ne deriva una sequenza di idee
ordinata, tale per cui ognuna di esse determina la successiva come il proprio
risultato e, a sua volta, ciascun risultato si riferisce a quelli che lo precedono.
Esiste, però, un’altra definizione della parola ‘pensiero’ ed è quella assimilabile
al concetto di ‘credenza’: una credenza fa riferimento a qualcosa che va oltre di
essa e che ne attesta il suo valore. Essa riguarda tutte le faccende di cui non
abbiamo una conoscenza sicura e con cui tuttavia abbiamo abbastanza
confidenza per agire secondo esse. In questo caso il pensare è un’operazione
decisamente passiva: l’idea non viene accettata come valida dall’individuo
dopo un processo di ragionamento composto da prove e confutazioni, ma viene
accettata così com’è, senza ulteriori indagini. Il pensiero riflessivo, al contrario,
consiste in un processo attivo, comporta un esame, una ricerca attenta,
un’indagine personale; è costituito da una attiva, costante e diligente
considerazione di una credenza o di una forma ipotetica di conoscenza alla luce
delle prove che la sorreggono e delle ulteriori conclusioni alle quali essa tende.
Uno dei fattori fondamentali del pensiero, è il fatto che le cose con le quali si
hanno dei contatti non rimangono stimoli fini a se stessi, ma richiamano alla
mente altre cose, conducono il pensiero ad altri oggetti. Questo processo viene
chiamato ‘suggestione’: ogni situazione che noi sperimentiamo ne suggerisce
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John Dewey ( Burlington, 20 ottobre 1859- New York, 1° giugno 1952) è stato filosofo e
pedagogista statunitense oltre che professore e universitario e scrittore. Ha esercitato una
profonda influenza sulla cultura, sul costume politico e sui sistemi educativi del proprio Paese.
Intervenne su questioni politiche, sociali, etiche come per esempio il voto alle donne. La sua
formazione è stata fortemente influenzata dal pragmatismo americano e dall’evoluzionismo di
Darwin.
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un’altra e questa a sua volta ne suggerisce un’altra ancora e così via. Grazie
alle suggestioni le idee “ vengono in mente”. Per esporre il funzionamento
della suggestione Dewey cita l’esempio di un bambino che osserva un
uccellino
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: la semplice contemplazione può risultare una singola sensazione
priva di connessioni, ma in realtà coinvolge numerosi elementi, quali per
esempio ciò che circonda l’uccellino, le azioni dell’uccellino stesso e così via.
Il bambino, guardando l’uccellino, penserà con tutta probabilità anche a
qualcos’altro che non rappresenta la situazione osservata e ciò sta a significare
che quella porzione di esperienza, quale è l’osservazione dell’uccellino,
risultando simile a una esperienza precedente, richiamerà o suggerirà qualche
cosa connessa alla totalità della esperienza precedente determinando quindi un
processo di suggestioni. La mera suggestione, tuttavia, è qualcosa che
semplicemente accade, manifestandosi come funzione della nostra esperienza
passata; non è, dunque, un processo diretto ad una conclusione che l’individuo
gestisce intenzionalmente e volontariamente.
Per spiegare il funzionamento del pensiero riflessivo nel processo delle
suggestioni Dewey propone un altro esempio. Una persona cammina in una
calda giornata di pieno sole; improvvisamente si accorge del fatto che l’aria si
è rinfrescata e le viene in mente che possa cominciare a piovere da un
momento all’altro. Allora, alza lo sguardo al cielo, osserva che una nuvola ha
coperto il sole e accelera il passo.
Il pensiero, implica il notare o il percepire un fatto, seguito da qualche altra
cosa che non è osservata, ma che si presenta alla mente dietro il suggerimento
della cosa vista. La presenza della nuvola, associata ad altre qualità della realtà,
rappresenta la prova della possibilità del verificarsi, in un prossimo futuro, di
un evento non ancora presente; la nuvola, associata al rinfrescarsi dell’aria,
significa che probabilmente pioverà. Ci si trova di fronte a una serie di
suggestioni che vengono governate dall’individuo che le sperimenta: egli
possiede il controllo delle condizioni che determinano il sorgere delle
suggestioni e lo utilizza in modo da impadronirsi delle loro conseguenze. La
persona in questione percepisce la sensazione di fresco; pensa alle nuvole; poi
osserva il cielo e le vede; infine, pensa ad un qualcosa che al momento è
assente, e cioè la pioggia. La possibilità suggerita è l’idea, il pensiero.
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G. Szpunar, il rapporto individuo-ambiente nell’opera di John Dewey
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Il fattore centrale, allora, di ogni pensiero riflessivo è la funzione per cui una
cosa ne significa o indica un’altra, inducendo così ad esaminare fin dove l’una
può essere considerata come garanzia della credenza dell’altra. Il pensiero si
può definire, dunque, come quell’operazione in cui i fatti presenti suggeriscono
altri fatti così da indurre la credenza in ciò che viene suggerito sulla base di una
relazione realmente esistente tra le cose stesse. In questo senso l’esperienza
assume un’importanza fondamentale per il pensiero riflessivo e, quindi, più in
generale, per la vita dell’individuo. Le suggestioni, infatti, come punto di
partenza del pensiero, nascono dall’esperienza passata e dal deposito di
conoscenza che ogni individuo possiede.
Abbiamo affermato che l’attività riflessiva permette il passaggio da una
situazione presente, già sperimentata, a conclusioni che riguardano una
situazione ancora sconosciuta: il processo che permette di arrivare all’idea di
ciò che è attualmente assente prende in nome di inferenza. Essa nasce
direttamente dalle suggestioni e, portando a qualcosa non ancora conosciuto,
necessita di controlli per provarne il valore e la plausibilità. Solo dopo aver
provato l’inferenza si può valutare una credenza e la prova va prima di tutto
effettuata a livello di pensiero per verificare se i diversi elementi della
suggestione si accordano gli uni con gli altri.
L’inferenza e il pensiero riflessivo in generale si compiono e si concludono con
successo nel momento in cui si realizza il passaggio dalla situazione
d’incertezza alla situazione nel quale il dubbio è stato risolto e ogni problema
ha trovato la propria soluzione.
Come abbiamo detto, il pensiero riflessivo acquista una notevole importanza in
quanto giunge a seguito di qualcos’altro provenendo a sua volta da qualcosa.
Possiamo anche affermare con relativa sicurezza che il pensiero sopraggiunge
quando abbiamo necessità di risolvere un problema, quando cioè vogliamo
eliminare un’incertezza, tant’è che a tal proposito Dewey scrive “ gli uomini
non pensano se non hanno problemi da affrontare, difficoltà da superare”. Il
pensiero mosso dall’incertezza spinge all’indagine per poter conoscere meglio
la situazione e di conseguenza superare la difficoltà: ciò comporta una sosta dal
costante flusso di pensieri per concentrarsi esclusivamente sulla situazione che
in quel momento si presenta critica. Per far sì che l’essere un soggetto pensante
porti a dei risultati è necessario che il soggetto in questione sia disposto a
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prolungare questa pausa in cui prende avvio la ricerca in modo da non accettare
un’idea finchè non si siano trovate fondate ragioni per giustificarla. Il pensiero
riflessivo dell’indagine si conclude con un giudizio che ha lo scopo di risolvere
il problema: esso porta il soggetto a decidere cosa sia opportuno o no fare in
tale situazione, determina una decisione che fino ad allora era rimasta
indeterminata e che ora si presenta come soluzione del problema. Il pensiero
riflessivo dell’assistente sociale è sempre legato all’azione e rappresenta la
continua ricerca di interazioni e connessioni fra utente e ambiente circostante:
l’operatore deve di volta in volta cercare queste connessioni e considerarle
come parti di un unico processo comune. Quante più connessioni si riescono a
trovare, tanto meglio si arriverà a conoscere la situazione che si sta
considerando
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.
1.2. Il valore dell’esperienza
Come abbiamo già accennato le suggestioni, intese come punto di partenza del
pensiero, nascono dall’esperienza passata e dall’accumulo di conoscenze e
saperi che ogni individuo possiede.
Ma che cos’è il sapere esperienziale?’ Luigina Mortari lo definisce come “
quel sapere che si struttura attraverso un’indagine razionale su ciò che si vive
concretamente, cioè attraverso un pensare che interroga l’accadere presente
per comprenderlo”
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.
Il sapere esperienziale, e di conseguenza l’esperienza, ha due caratteristiche
principali: la prima è la continuità, aspetto che avevamo già anticipato parlando
del pensiero riflessivo. Secondo il principio della continuità la vera esperienza
non è mai fine a se stessa, ma è legata all’esperienza precedente e
all’esperienza futura in quanto riceve qualcosa da quella che la precede e in
qualche modo modifica le qualità di quella che la segue. Ogni individuo,
quindi, deve basarsi sulle proprie esperienze passate per poter affrontare le
sfide future utilizzando le esperienze presenti modificate e migliorate da quelle
passate. Da questo punto si giunge alla seconda caratteristica dell’esperienza:
la cumulatività, della quale abbiamo già parlato in precedenza. Essa sta ad
indicare il fatto che l’esperienza, insieme al pensiero riflessivo, da una parte
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G. Certomà, il pensiero riflessivo e l’inchiesta dell’assistente sociale
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L. Mortari, ricercare e riflettere,2009, Carocci, pag. 107
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assume come punto di partenza significati già acquisiti e dall’altra stabilisce
nuovi significati che serviranno per condurre le esperienze future in modo
proficuo.
Costruire sapere partendo dall’esperienza implica la possibilità di guardare ad
essa in un’ottica qualitativa, ossia vivere alcune esperienze per coglierne il
senso e lo spessore: non tutte insegnano qualcosa, ma ognuna può essere uno
spazio per maturare conoscenze. Un’esperienza diventa vitale quando si
possono cogliere elementi di novità, quando permette di dare spazio
all’imprevisto.
L’operatore sociale può diventare un professionista riflessivo solo se, accanto
alla conoscenza sa praticare l’esercizio del pensiero. Il conoscere tende a
semplificare la realtà conducendo a schemi e paradigmi concettuali, il pensare,
invece, comporta una circolarità tra esperienza e riflessione per cercare
continuamente il senso di ciò che si incontra. Per guadagnare un sapere
esperienziale, dunque, è necessario partire dall’esperienza vissuta e ‘distillarla’
attraverso i filtri della riflessività: l’esperienza prende forma quando il vissuto
diventa oggetto di riflessione e il soggetto se ne appropria consapevolmente per
comprenderne il senso’
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.
In questo capitolo abbiamo spesso parlato di pensiero e riflessione, ma non ci
siamo mai soffermati sul significato letterale delle due parole. È opportuno
quindi aprire una parentesi per spiegare cosa significano i due termini.
Pensare e riflettere non sono sinonimi: si parla di pensiero quando siamo nella
situazione in cui un atto cognitivo individua dei problemi e analizza la
situazione per cercare una soluzione che sia la più efficace possibile; si parla
invece di riflessione quando abbiamo un atto cognitivo che, data una soluzione
al problema, prende in esame cosa è stato fatto e pensato. Possiamo dunque
definire la riflessione come un metapensiero, un pensare che pensa i pensieri,
la quale per attuarsi ha bisogno di una interruzione dall’azione, dal fare,
situazione non sempre di facile attuazione: ecco perché si può affermare che
non sempre viene messa in atto la riflessione.
L’esperienza pratica è fatta, come abbiamo già accennato, di azioni e pensieri
che le accompagnano: riflettere sull’esperienza significa analizzare la pratica
per far emergere le praticalità, ossia le varie forme dell’agire pratico. Ed è
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V.Iori e altri, ripartire dall’esperienza, 2010, Franco Angeli, pag. 36
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proprio nell’azione riflessiva che il soggetto utilizza il pensiero per cercare
delle relazioni fra tutti gli elementi che permettono alla pratica operativa di
prendere forma: solo in questo caso l’operatore può dire di avere avuto
esperienza, e il metodo migliore per poterla rendere evidente è il racconto.
Raccontare significa mettere ordine nell’esperienza, significa ricordare: e
ricordare è un atto fondamentale per il pensiero
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. Grazie al metodo narrativo si
narra l’esperienza e insieme si narra l’esperienza della ricerca degli elementi di
significato evidenziati dall’atto del ricordare.
La narrazione, poi, diventa fondamentale quando diventa uno strumento
efficace per far emergere il sapere tacito degli operatori. Molto spesso infatti il
sapere che si genera dall’esperienza tende a rimanere nascosto, non viene
scritto e documentato e quando ciò avviene si verifica una perdita nel mondo
della pratica. Ecco perché diventa importante la scrittura nella pratica degli
operatori: chiedere agli operatori di raccontare la propria esperienza significa
rendere visibile il sapere che proviene dall’esperienza stessa, e soprattutto lo si
rende condivisibile a tutti. Narrare, dunque diventa lo strumento che più di tutti
si presta a rendere visibile l’esperienza in quanto permette di coglierne il
significato e di accedere a contenuti della coscienza non sempre espliciti. E lo
strumento che permette a ciò che viene narrato di durare nel tempo è la
scrittura: essa mette a disposizione un materiale sul quale l’atto riflessivo si
può concentrare e permette di trovarsi di fronte alla propria esperienza.
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L.Mortari, Ricercare e riflettere,, 2009, Carocci, pag. 50