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Capitolo 2
Lo sport come fenomeno sociale
2.1. Dal gioco allo sport
Non sarebbe possibile comprendere il valore dello sport come fenomeno sociale se non si
introducesse il tema dello “svago” e del “divertimento” come attività sociali e socializzanti. Va
considerato come loisir (o leisure, nella versione anglofona del termine) quel complesso di attività
individuali e di gruppo non collegate a necessità produttive e/o riproduttive, cui si dà corso a scopo di
appagamento di un bisogno di auto-realizzazione o per soddisfare un senso di piacere estetico o
emotivo.
Così definite le attività di loisir, si comprende come ogni epoca storica abbia contemplato e
sviluppato le sue e che la differenza fra le singole epoche è determinata dal diverso grado di
istituzionalizzazione e organizzazione che esse incontrano. Per questo motivo, sarebbe errato
equiparare il sorgere di un’ “età del loisir” al sorgere di un’età del “tempo libero”. Quest’ultima va
individuata in coincidenza con l’ascesa della borghesia come classe socialmente e culturalmente
dominante (Hobsbawm, 1974); a partire da quell’epoca, l’affermazione di un “tempo libero” come
riserva da dedicare alle pratiche non strumentali coincise con la sua democratizzazione. Dunque,
quando si parla di “età del tempo libero” nelle società occidentali, si fa riferimento a un tempo libero
di massa da distinguere rispetto a quello di cui potevano disporre le classi agiate di altre epoche.
A differenza del tempo libero come riserva istituzionalizzata e protetta rispetto alle attività produttive
e riproduttive, il loisir rappresenta un complesso di pratiche la cui espressione accomuna tutte le
epoche storiche.
Sotto questo aspetto, l’approccio di Chris Rojek (1985 e 1995) è nettamente contrapposto a quella
della cosiddetta “scuola configurazionale”, che ne espresse la prima enunciazione nei saggi di Norbert
Elias ed Eric Dunning raccolti nel volume Sport e aggressività (1986). In quest’opera la questione
delle pratiche ludiche, direttamente esperite o consumate passivamente da un pubblico appositamente
convenuto, viene trattata a partire dall’approntamento di un raffinato schema psicologico che chiama
in causa la ricerca di un “eccitamento controllato”. L’esistenza di una gamma di pratiche ludiche, in
ogni società di qualsiasi epoca e grado di sviluppo, risponderebbe all’esigenza di creare una sorta di
“riserva comportamentale” nella quale dare corso a modelli di coinvolgimento emotivo che la
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socialità ordinaria reprime o mantiene sotto ferreo controllo. Inoltre, a dimostrazione di quanto la
questione attraversi le diverse epoche della storia umana e di come essa sia avvertita fin dagli albori
delle scienze dell’uomo, i due autori citano Aristotele e le sue Poetiche, dove il massimo filosofo
dell’età classica individuava la motivazione del pubblico greco a seguire la tragedia in un bisogno di
provare passaggi emotivi di mimesi e catarsi.
2.1.1. Per una definizione della differenza fra gioco e sport
Un primo elemento da chiamare in causa è quello della serietà delle attività e delle relazioni fra gli
attori coinvolti nella singola configurazione. Il carattere di serietà consisterebbe in un atteggiamento
pragmatico e orientato a un fine, caratterizzato da scrupolosa e continua applicazione all’interno della
situazione. Una semplificatoria approssimazione porterebbe a stabilire un distinguo fra attività ludiche
e sportive associando a queste ultime un carattere di serietà che le prime non deterrebbero. Ma si
tratterebbe di un’argomentazione errate poiché, come ben illustrato da Huizinga (1938), anche il gioco
ha una sua spiccata dimensione di serietà consistente nella compenetrazione in esso da parte degli
attori che lo animano e che fanno della specifica situazione l’oggetto di un coinvolgimento totale. In
questo senso, l’autore avvertiva come il tipo di giocatore che più porterebbe nocumento al gioco sia
non tanto il baro (colui che cerca di trasgredire le regole del gioco stesso ma lo fa muovendosi
all’interno di quell’ordine normativo, riconoscendolo di fatto come coercitivo), quanto il guastafeste,
ovvero colui che rompe il “cerchio magico” della situazione ludica non riconoscendone l’ordine
simbolico e normativo. Il guastafeste è un sabotatore del carattere di serietà del gioco, elemento
irrinunciabile di ogni configurazione ludica non meno di quanto lo sia per qualsivoglia configurazione
sportiva.
Scartata la serietà come elemento determinante per segnare il passaggio dal gioco allo sport,
procediamo nell’approssimazione introducendo quello della drammaticità, ovvero quel carattere
dell’interazione che porta i singoli attori a recitare un ruolo all’interno di un quadro relazionale
segnato da incertezza. Anche questo carattere non risulta determinante nel tracciare una demarcazione
fra gioco e sport, poiché molti giochi incorporano una dimensione drammatica attraverso la divisione
dei compiti in ruoli e l’affidamento di rischi e responsabilità di tipo individuale e collettivo. Per
esempio, tutti i giochi di ruolo, dai più semplici (come il nascondino) ai più complessi (come quelli
che si svolgono nelle arene telematiche), si basano sul confronto con le condizioni d’incertezza
determinate dalla situazione e dalla presenza di altri attori.
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Più significante risulta l’incidenza dell’elemento di fatidicità, che consiste in una sequenza di azioni,
ciascuna delle quali incide sulla successiva in vista di un esito finale. L’elemento della fatidicità
presuppone dunque che ci sia un andamento cumulativo delle interazioni e l’esistenza di una posta in
gioco, alla conquista della quale il succedersi delle interazioni è orientato. Quelle appena segnalate
sono caratteristiche presenti indistintamente in ogni disciplina sportiva ma che, pur permettendo di
eliminare dallo spettro analitico una quota sostanziosa di interazioni ludiche, non possono tout court
essere giudicate assenti dal gioco come modello di interazione. Il carattere di andamento cumulativo
delle interazioni è tipico di qualsivoglia gioco da tavolo, che nulla ha a che vedere con quelli sportivi.
Allo stesso modo, la presenza di una posta in palio elimina molte fattispecie di gioco ma ne introduce
altre, come tutti i giochi di gambling, i quali, fra l’altro, in casi come quelli delle scommesse “secche”
sull’esito di un evento non prevedono né interazione con altri né cumulo di azioni successive.
Un passo avanti viene effettuato prendendo in esame l’elemento della fisicità. Esso non soltanto è
estraneo a una vasta quantità di giochi ma consente anche di tracciare un distinguo abbastanza netto
tra gioco e sport. La discontinuità è data dall’elevato grado di regolazione e disciplina che la fisicità
richiesta dallo sport comporta. In questo senso, anche il gioco che più regola l’espressione corporea
non si avvicina al grado di formalizzazione comandato dalle discipline sportive.
Questione decisiva è quella che riguarda la presenza di agonismo nell’interazione, ovvero di uno
spirito di competizione fra gli attori coinvolti. Non a caso Caillois denomina “agon” una classe di
giochi. La questione topica è che la presenza di spinte competitive più o meno marcate non ha nei
giochi la funzione strutturante che detiene nello sport.
I due ultimi aspetti, relativi al contenimento dell’espressività fisica e all’agonismo, si innestano nella
generale tendenza alla formalizzazione. Quest’ultima è un requisito indispensabile per lo sport e
facoltativo per il gioco: sarà proprio il cammino verso la regolamentazione delle interazioni
competitive a segnare uno dei passaggi determinanti verso lo sport moderno.
Ultimo carattere da passare in rassegna per tracciare la discontinuità fra gioco e sport è quello che
riguarda l’esito standardizzato e la sua refertabilità. La più grande differenza fra interazioni ludiche e
sportive consiste nel fatto che le prime difficilmente possono essere sintetizzate in un esito
chiaramente espresso e condivisibile; più concretamente, quasi tutte le forme di gioco non esprimono
un chiaro risultato. Viceversa, le interazioni che si sviluppano in campo sportivo prevedono come
indispensabile l’espressione di un risultato che si misura secondo standard oggettivi. Ciò fa sì che
l’esito di una gara sportiva possa essere registrato, archiviato e messo in relazione con altri risultati:
ciò che ne costituisce la refertabilità.
Pertanto, la differenza tra gioco e sport non è costituita soltanto dal fatto che alcuni caratteri presenti
nelle interazioni sportive siano assenti da quelle ludiche, ma anche dal fatto che molti dei caratteri
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condivisi siano diversamente declinati a seconda che si tratti di gioco o di sport. Passando dunque a
enunciare una definizione sufficientemente approssimata di sport, ricavata a partire dalle differenze
rispetto al gioco appena illustrate, possiamo parlare di un sistema di pratiche e interazioni
caratterizzate da serietà di atteggiamento da parte degli attori, all’interno di un contesto drammatico e
fatidico, segnato da dinamiche di fisicità agonistica ampiamente formalizzate e orientate alla
produzione di un esito chiaro e refertabile.
2.2. Dal rito ai giochi sportivi agonali
La specificità dello sport come fenomeno va individuata non soltanto evidenziandone la discontinuità
rispetto al gioco, ma anche confrontando le attuali discipline sportive con i giochi pre-sportivi e
facendone emergere sia il distinto grado di organizzazione formale sia il diverso significato da essi
assunto all’interno dei contesti sociali. Tali differenze sono conseguenze non soltanto di un processo
evolutivo che ha interessato lo sport al pari di altri campi dell’agire sociale ma anche di un profondo
mutamento d’importanza e significato interno allo sport stesso. Questo mutamento può essere
individuato nel generale passaggio dalla forma prevalentemente rituale dei giochi pre-sportivi a quella
agonale degli attuali giochi sportivi. Si realizza così una delle condizioni per il processo di
sportivizzazione dei loisir di cui parlano Elias e Dunning (1986).
Norbert Elias (1969) elaborò nel corso dei decenni una teoria della civilizzazione, le cui implicazioni
riguardano due dimensioni dei processi sociali, una macro e una micro. Con riferimento alla prima, il
processo di civilizzazione coincide con il lento trasferimento al potere statale di quello che viene
definito “il monopolio dell’esercizio di violenza legittima”. Spostando l’ottica sulla dimensione
micro, l’analisi eliasiana si sofferma su quello che viene visto come il progressivo diffondersi della
“società delle buone maniere”. A questo riguardo, l’interpretazione di Elias proietta il focus
sull’affermarsi, lento ma costante, di standard crescenti di misura, decoro e autocontrollo nei
comportamenti pubblici e privati degli individui.
La declinazione in campo sportivo della teoria eliasiana sulla civilizzazione nasce dalla
collaborazione fra lo stesso Elias ed Eric Dunning, studioso del fenomeno del football hooliganism e
della trasposizione dello schema teorico alle trasformazioni che hanno portato i vecchi loisir popolari
e d’élite a convertirsi in sport modernamente intesi. E’ a partire da queste coordinate che si realizza
quel processo di sportivizzazione del loisir che, secondo gli autori, è prodotto dall’agire di due
determinanti: una spinta all’espulsione dei comportamenti sanguinari e al contenimento della violenza
nell’azione e una crescente uniformazione e regolamentazione delle pratiche. La prima è diretta
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conseguenza di quella dinamica che dagli autori viene definita “elevarsi dalla soglia di ripugnanza”,
ovvero del diffondersi di una crescente sensibilità verso le situazioni sanguinarie nei loisir. La
seconda fa riferimento agli sforzi di conferire uniformità alle interazioni dei loisir sportivizzati,
facendo sì che esse si svolgano nello stesso modo ovunque vengano disputate. La dinamica
individuata da Elias e Dunning può sortire effetti repressivi nei riguardi della ludicità insita nei giochi
presportivizzati, imponendo il principio di prestazione come bussola di quel particolare tipo di azione
sociale che è l’azione sportiva. Quest’ultima può essere definita come un’interazione competitiva fra
attori, o un’azione competitiva di un attore contro se stesso, scandita seguendo una rigida disciplina
regolamentare e delle circostanze standardizzate in termini di tempo e spazio, orientata al
conseguimento di una posta in palio che è al tempo medesimo scarsa e di obbligatoria distribuzione.
2.3. L’Olimpismo: nascita dello sport moderno
Ciò che adesso si va a individuare è quella sorta di mito di fondazione dello sport moderno. Il
momento in questione può essere fatto coincidere con la nascita ( o rinascita) del movimento
olimpico, avvenuta grazie all’impulso del barone Pierre de Coubertin. Fu quello il punto di svolta
verso la fondazione di un movimento sportivo internazionale basato su competizioni agonistiche
organizzate secondo una temporalità ciclica, orientate a stimolare la performance d’eccellenza e
miranti a legittimare una struttura istituzionale dello sport che riservasse un ruolo-cardine allo Stato-
nazione. Ciò che qui più interessa è il carattere di narrazione mitica che dell’olimpismo viene fatta a
partire dai tempi di de Coubertin e l’individuazione delle radici socioculturali sulle quali tale
narrazione si innesta.
Nel fondare un nuovo movimento sportivo e culturale, de Coubertin ebbe come riferimento due
modelli di cultura e organizzazione sportive: il primo è costituito dai giochi olimpici dell’antica
Grecia; il secondo è “dato dall’Inghilterra vittoriana e dalla cultura pedagogica dello sport come
strumento utilizzato per la formazione delle élite. Dall’intreccio di questi due modelli, de Coubertin
produsse un bricolage simbolico-ideologico che vedeva nello sport uno strumento di igiene fisica e di
pedagogizzazione, improntato al confronto agonistico ma non dominato dall’imperativo del
risultato”.
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Quest’ultimo elemento fu alla base di quella che è la massima più famosa fra quelle
espresse dal barone: “L’importante non è vincere, ma partecipare”. Una massima che trovava
ispirazione nell’idea di sport che a suo giudizio fu dominante nella Grecia classica. Da ciò emerge
quanto distinta fosse la visione che egli ebbe dello sport praticato nell’antica Grecia e del mito di
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Olimpia. Infatti, per un atleta di quel tempo sarebbe stato impensabile prendere parte a una gara per il
mero gusto di farlo, disinteressandosi allo scopo di affermarsi sull’avversario.
“Quella fondata da de Coubertin fu dunque a tutti gli effetti una tradizione inventata (Hobsbawm,
Ranger, 1983), frutto di un mélange fra suggestioni di classicità e un modello di cultura sportiva
proveniente dalla contemporaneità ed eletto a punto di riferimento.
Ma pur nella sua natura di tradizione inventata, il mito dell’olimpismo ebbe un ruolo determinante
nella fondazione della moderna idea di sport. Esso contribuì infatti a rafforzare una cultura sportiva
moderna di matrice britannica i cui valori erano costituiti dal fair play, assente nelle manifestazioni
sportive dell’antica Grecia, dalla fatidicità della gara, dalla quale deve scaturire un risultato, e dal
primato della dimensione agonale con la contrapposizione di forze come elemento centrale
dell’interazione sportiva.
Questi ultimi due aspetti erano ben presenti nella cultura sportiva dell’antica Grecia e trovavano
espressione in quella britannica ma non in un’altra cultura sportiva presente nel periodo a cavallo tra
Ottocento e Novecento: quella germanica. Essa era improntata al primato della coroginnica come
sistema di attività di educazione fisica propedeutica all’addestramento militare e all’attivazione delle
coreografie popolari di massa che rifletteva una ben precisa idea di nazionalizzazione (Mosse, 1974).
Il modello che deriva dalla cultura sportiva germanica si sviluppò per un breve ma significativo
periodo della storia europea come alternativo a quello britannico. Alla sua sconfitta contribuirono non
soltanto i rovesci militari tedeschi maturati nelle due guerre mondiali, ma anche la diffusione su scala
mondiale del modello olimpico come cultura sportiva fondata sul primato della dimensione agonale e
della fatidicità dell’interazione di gara. Sotto questo profilo l’olimpismo, nella sua versione depurata
dai falsi miti decoubertiniani, rappresenta il massimo grado di realizzazione di una modernità dello
sport come modello di interazione agonistica regolata che riflette i principi fondativi delle società
occidentali in via di democratizzazione”.
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Capitolo 3
Sport e modernità: analisi di una relazione
3.1. Caratteristiche distintive della modernità
Le caratteristiche distintive della modernità rappresentano il culmine di una serie di processi che
hanno trasformato profondamente il profilo delle società tradizionali:
• Secolarizzazione: ovvero la perdita di centralità della fede e delle pratiche religiose
nell’organizzazione sociale e nella vita quotidiana.
• Razionalizzazione: da intendere come organizzazione standardizzata di una gamma sempre più
ampia di relazioni sociali, a partire da criteri di controllabilità e prevedibilità, sottraendole
all’incidenza di determinanti comportamentali quali la consuetudine, la tradizione o la
superstizione.
• Differenziazione: trasformazione interna a ogni unità sociale o attività (di qualunque gamma e
categoria), le quali si sviluppano nella direzione che porta da composizioni interne semplici e
scarsamente eterogenee a composizioni interne sempre più complesse e a elevato grado di
eterogeneità.
• Individualizzazione: da leggere come frequente facoltà assegnata all’individuo di realizzarsi
secondo le proprie peculiarità, cercando forme di integrazione come attore sociale e non come
membro di un raggruppamento nel quale siano privilegiati vincoli di carattere ascrittivo
(famiglia ristretta o allargata, tribù, clan, comunità di villaggio e/o religiosa).
• Affermazione del principio di prestazione: primato assegnato a quella particolare forma di
agire razionale che ha le caratteristiche di essere regolato, orientato alla produttività, nonché
misurabile secondo variabili gradi di precisione.
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“Le caratteristiche della modernità appena passata in rassegna e i processi dai quali esse hanno tratto
alimento sono altrettanti connotati dello sport, il quale, come già detto, va a sua volta tematizzato
come fenomeno tipico della modernità. Esso si presenta infatti, come prima approssimazione, alla
stregua di un fenomeno di matrice ludica sottoposto a gradi successivi di razionalizzazione. Inoltre si
è proceduto a una sorta di “sportivizzazione di secondo grado” attraverso il processo di
burocratizzazione dei giochi che anche grazie al compimento di questo passaggio effettuano il loro
percorso di trasformazione in discipline sportive”.
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Con riferimento alla secolarizzazione, lo sport denota il primo carattere di fenomeno tipico della
modernità marcando un segno di discontinuità rispetto ai giochi pre-sportivizzati e alle manifestazioni
ludiche di carattere collettivo grazie al connotato di laicità delle pratiche, nettamente affrancate da
implicazioni religiose e/o ritualistiche.
Particolarmente complesso è il discorso che riguarda la dinamica di differenziazione dello sport
moderno: una dinamica la cui declinazione va condotta su due livelli, macro e micro. A livello macro,
quello nel quale si prende come riferimento la strutturazione e la regolamentazione delle pratiche, si
registra una differenziazione come frammentazione della pratica sportiva in uno spettro sempre più
vasto e variegato di discipline. “Secondo questa chiave di lettura, la differenziazione dello sport
moderno si realizza come razionalizzazione e organizzazione di una crescente gamma di fattispecie
espressive ludico-fisiche alla ricerca di formalizzazione. Inoltre un processo di differenziazione può
avvenire all’interno della medesima disciplina”.
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L’individualizzazione dello sport moderno si realizza attraverso la sempre più marcata esaltazione del
campione come eroe contemporaneo, le cui gesta vengono pubblicamente narrate attraverso l’utilizzo
di canoni retorici che sfiorano il tono epico. Il campione sportivo è così diventato un tipo sociale, un
profilo tipizzato di attore caratterizzato da una serie di peculiarità (efficienza fisica, acquisizione di
uno stile di vita fortemente compenetrato dalle esigenze di ruolo, appartenenza a un circuito
relazionale esposto alle comunicazioni di massa, compimento di prestazioni che colpiscono e
appagano l’immaginario collettivo).
L’affermazione del principio di prestazione si realizza nello sport come crescente frenesia di
misurazione della performance, cosa che avviene non soltanto quando dalla misurazione stessa
dipende l’assegnazione del risultato di gara.
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