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1. INTRODUZIONE
1.1 GLI ALIMENTI FUNZIONALI
Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) una
nutrizione adeguata e la salute sono da considerarsi diritti umani
fondamentali fortemente correlati l’uno all’altro. Si può definire la nutrizione
come l’utilizzazione degli alimenti da parte di un organismo o, meglio, dei
principi nutritivi contenuti ed apportati dagli alimenti (Martelli, 2004);
quindi lo stato di salute delle popolazioni, sia ricche che povere, è fortemente
influenzato dal livello e dalla qualità della nutrizione. Da quanto detto ne
risulta che gli alimenti non vengono esclusivamente considerati fonte di
energia per lo svolgimento dei normali processi metabolici dell’organismo,
ma anche fonte unica di principi attivi (antiossidanti, vitamine, acidi grassi
polinsaturi ω3, ecc…) che contribuiscono a “massimizzare” lo stato generale
di salute e benessere dell’organismo e a “minimizzare” il rischio di
insorgenza di patologie.
Le tendenze demografiche e i cambiamenti socio null ec onomici hanno
inoltre determinato la necessità di avere a disposizione alimenti dotati di
maggiori proprietà benefiche; ad esempio l’allungamento della vita ha
portato ad una considerevole crescita del numero di anziani ed al
conseguente desiderio di un miglioramento della qualità della vita di questa
importante fetta di popolazione (Ervin & Stephenson, 2002). Questa
condizione sociale ha condotto governi, ricercatori, professionisti del settore
sanitario e dell’industria alimentare a cercare nuove strategie per gestire più
efficacemente tali cambiamenti. Inoltre le continue conferme dell’importanza
di alimenti come frutta, verdura e cereali integrali nella prevenzione delle
malattie (Henderson et al., 2003) e le più recenti ricerche sugli antiossidanti
alimentari (Valko et al., 2007), hanno favorito lo sviluppo di nuovi processi
tecnologici per la produzione di una categoria di alimenti innovativi definita
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alimenti funzionali (functional foods). Ecco perché la produzione di alimenti
ha la necessità di tenere sempre più in considerazione i problemi che società
complesse e ad alto livello di invecchiamento comportano; infatti si sta
affermando un sistema alimentare che prevede la scelta di alimenti in
relazione ad esigenze nutritive specifiche, sia fisiologiche che patologiche.
Tutto questo comporta una nuova valutazione dei sistemi di produzione, al
fine di passare da una produzione di alimenti “generici” ad alimenti sempre
più specializzati.
Il concetto di alimento funzionale ebbe origine, negli anni ’80, in
Giappone dove fu introdotto il concetto di alimento specificamente
sviluppato per favorire la salute o ridurre il rischio di malattie. Più in
particolare il termine functional food è attribuibile ad un preciso prodotto nato
in Giappone nel 1988: il FIBE MINE (un soft drink arricchito di fibra),
prodotto da Otsuka Pharmaceutical. Il termine è poi stato usato, in occasione
del “Systemic Analysis and Development of Food Functions”, supportato dal
Ministero dell’ Educazione, della Scienza e della Cultura, per indicare
alimenti ricchi in nutrienti, aventi la capacità di produrre effetti benefici sulla
salute.
Gli alimenti funzionali non hanno ancora ottenuto una precisa
definizione dalla legislazione europea; tuttavia sono state riconosciute due
categorie di functional foods:
1. Tipo A → alimenti correlati al “miglioramento di una funzione
biologica” in riferimento a specifiche attività fisiologiche, psicologiche
e biologiche che vanno oltre il loro ruolo accertato nella crescita, nello
sviluppo e in altre normali funzioni dell’organismo;
2. Tipo B → alimenti correlati alla “riduzione del rischio di malattia”che
si riferiscono al consumo di un alimento, o di un componente
alimentare, che potrebbe contribuire alla riduzione del rischio di una
malattia o ad uno stato patologico grazie a specifici nutrienti o non
nutrienti in esso contenuti.
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Solo alcune nazioni estere possiedono una precisa legislazione
riguardo definizione, etichettatura e commercializzazione degli alimenti
funzionali. In Giappone, per esempio, tali alimenti sono riconosciuti e
commercializzati con la sigla FOSHU (Food for Specific Health Use), e le
proprietà funzionali sono comprovate da indagini scientifiche sulla
popolazione (mediante esperimenti effettuati in vivo). Inoltre nel 1998 la
Comunità Europea ha supportato il progetto “Functional Food Science in
Europe” (FUFOSE), coordinato dall’ International Life Science Institute Europe
(ILSI), (Bellisle, 1998) dove è stato definito il functional food come un
“alimento che ha effetti benefici largamente testimoniati da studi
epidemiologici e scientifici, nei confronti di una o più funzioni metaboliche
dell’organismo (target functions) e che perciò è in grado di migliorare lo stato
di salute e/o ridurre il rischio di malattie”. Tale progetto sancisce inoltre che
qualsiasi claim per “enhanced function” e “reduced risk of disease” è giustificato
solo se basato su appropriati studi scientifici (Roberfroid, 1999).
In generale, un alimento può essere considerato funzionale se
dimostra in maniera soddisfacente di avere effetti positivi su una o più
funzioni specifiche dell’organismo, che vadano oltre gli effetti nutrizionali
normali, in modo tale che sia rilevante per il miglioramento dello stato di
salute e di benessere e/o per la riduzione del rischio di malattia (European
consensus on developing health claim legislation on functional foods, 1999).
Le caratteristiche funzionali possono essere riconducibili a composti
naturalmente presenti nell’alimento, eventualmente presenti in
concentrazioni più elevate (alimenti naturalmente ricchi o alimenti funzionali
arricchiti), o a composti aggiunti nell’alimento laddove non erano presenti in
origine (alimenti funzionali supplementati).
Inoltre nel 1999 è stato pubblicato il risultato dell’European consensus
on developing health claim legislation on functional foods sul concetto scientifico
degli alimenti funzionali e ne deriva che un alimento per essere definito
funzionale deve presentare i seguenti requisiti:
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• deve avere l’aspetto di un alimento convenzionale, non deve perciò
presentarsi in forma di capsule, barrette o polveri;
• deve essere consumato nell’ambito di un regime alimentare usuale;
• deve essere costituito da ingredienti naturali e non di sintesi;
• nell’etichettatura, nella presentazione e nella pubblicità degli alimenti
ai quali siano stati aggiunti minerali o vitamine non devono figurare
diciture che affermino o sottintendano che una dieta equilibrata e
variata non è in grado di apportare adeguate quantità di sostanze
nutritive (Regolamento CE N. 1925/2006 del Parlamento Europeo e
del Consiglio del 20 Dicembre 2006 sull’aggiunta di vitamine e
minerali e di talune altre sostanze agli alimenti);
• l’etichettatura del prodotto deve essere conforme alle norme stabilite
dagli organi competenti, come il CODEX ALIMENTARIUS o la FAO
(Food Agricolture Organization). Visto che la legislazione europea vieta
di attribuire a qualsiasi alimento la proprietà di prevenire, trattare e
curare patologie, nell’etichetta dell’alimento funzionale si possono
utilizzare dei messaggi che spiegano esclusivamente l’effetto benefico
e non fanno riferimento alcuno a patologie;
• deve avere un effetto misurabile e validato da solide prove scientifiche
su almeno una delle funzioni bersaglio stabilite.
Le target functions (funzioni bersaglio) su cui l’alimento funzionale
deve esplicitare la propria azione, al fine di produrre effetti benefici sono:
• regolazione della crescita, dello sviluppo e della differenziazione
cellulare;
• regolazione del metabolismo basale;
• mantenimento della struttura e funzionalità del DNA mediante
protezione da specie ossidanti;
• regolazione delle funzioni intestinali;
• regolazione del sistema cardiovascolare.
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Gli alimenti con caratteristiche funzionali sono numerosi e tra i
principali si annoverano lo yogurt ed i prodotti lattieronullcaseari in genere; essi
infatti costituiscono un buon substrato metabolico per il mantenimento della
microflora intestinale. Molti di questi prodotti contengono probiotici che sono
microrganismi vivi e vitali che conferiscono benefici alla salute dell’ospite
quando consumati, in adeguate quantità, come parte di un alimento o di un
integratore e che hanno un ulteriore effetto benefico in quanto alleviano
l’intolleranza al lattosio ed attivano le difese immunitarie sistemiche e locali.
I prebiotici sono invece delle sostanze alimentari non digeribili che, se
somministrate in quantità adeguate, portano benefici al consumatore grazie
alla promozione selettiva della crescita e/o dell’attività di uno più batteri, già
presenti nel tratto intestinale o assunti contestualmente al prebiotico
(Ministero della Salute null linee guida probiotici e prebiotici , Dicembre 2005).
Pertanto l’associazione di un elemento prebiotico con uno probiotico può
apportare benefici additivi ed anche sinergici all’equilibrio della microflora
intestinale.
Inoltre gli alimenti funzionali non devono essere confusi con gli
“alimenti dietetici” in quanto questi ultimi sono destinati ad individui affetti
da specifiche patologie e per questo sono utilizzabili attraverso indicazione
medica specialistica. I functional foods sono invece destinati a soggetti sani e
che desiderano rimanere sani pertanto possono essere acquistati
direttamente dal consumatore. Da un punto di vista tecnologico, infatti, un
alimento funzionale può essere un alimento integrale, un alimento a cui è
stato aggiunto un ingrediente che ha effetti positivi sulla salute, oppure un
alimento a cui è stato eliminato un ingrediente naturale, che può aver effetti
negativi sullo stato di salute (Pacetti, 2005).
Roberfroid (1999) ha elaborato una tesi (dettagliata schematicamente
in Figura 1) che permette, attraverso tre criteri fondamentali, spiegati di
seguito, di attribuire ad un alimento specifiche proprietà fisiologiche e/o
salutiste:
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1. identificazione del phitochemicale: questa fase consiste nella
comprensione dei meccanismi di interazione tra l’alimento (o
ingrediente o componente di un alimento) e la modulazione delle
funzioni geniche, biochimiche e fisiologiche di un organismo;
2. sviluppo di modelli e metodologie, come ad esempio biomarkers, per
valutare gli effetti funzionali e per dimostrare le conseguenze
dell’assunzione, in modo da giustificare specifici functional o health
claim;
3. studi di nutrizione umana per dimostrare i benefici sulla salute,
compresa la maggiore protezione verso l’insorgenza di talune malattie
(health claim).
In questo procedimento per valutare un alimento funzionale è
fondamentale l’identificazione di efficaci e validi biomarkers (criterio n. 2) per
valutare gli effetti funzionali e/o la riduzione del rischio di patologie,
conseguenti all’assunzione di un alimento funzionale e per ciascuna delle
possibili aree di applicazione. Infatti la mancanza di biomarkers validati
costituisce un’importante barriera alla dimostrazione di validi e rilevanti
effetti positivi per la salute e quindi allo sviluppo di nuovi alimenti
funzionali (European consensus on developing health claim legislation on
functional foods, 1999). Inoltre, da tale tesi emerge la concreta differenza tra i
functional claims e gli healt claims: infatti i primi sono prodotti funzionali che
fanno riferimento agli effetti biologici che derivano dall’interazione tra un
componente dell’alimento (nutriente o nonnullnutriente) con l’espressione
genica e/o le funzioni biochimiche cellulari, senza citare gli effetti positivi
sulla salute o alla prevenzione di malattie. Invece gli alimenti considerati
come health claims riguardano la prevenzione di patologie attraverso il
consumo di specifici componenti di alimenti (come la prevenzione di
osteoporosi, aterosclerosi, epatopatie, malattie gastrointestinali, ecc…). Gli
health claims stanno assumendo un’importanza sempre crescente e vi è ampio
consenso sulla necessità di un quadro normativo dell’Unione Europea che