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INTRODUZIONE
L’ universo in cui viviamo si presenta oggi impoverito di valori collettivi
ed improntato allo scontro, più che indirizzato al dialogo costruttivo.
Nella società attuale sembra restare poco spazio per ri-pensare e riflettere
sulle conseguenze delle azioni, mentre primeggia indiscussa la tensione
verso il risultato immediato e prolifica il panico davanti alla diversità
percepita come minaccia.
Davanti gli occhi della gente scorre giornalmente cronaca di ordinaria
criminalità.
Ovunque, sul lavoro, in famiglia, nelle scuole…si configurano storie che
contribuiscono ad alimentare la necessità di un cambiamento di rotta per
quel che riguarda i consueti strumenti giudiziari di intervento, che vengono
vissuti dalla comunità e dal singolo come insoddisfacenti o inefficaci.
Tale necessità si avverte particolarmente nel campo del crimine minorile,
dove il recupero sociale del reo è di primaria importanza.
Da qui l’esigenza di sperimentare nuove strategie, a carattere
extrapunitivo, che si inscrivano entro un panorama di tipo restaurativo-
rieducativo, all’ interno della cornice della Giustizia Riparativa, paradigma
che coinvolge vittima, reo e comunità nella ricerca di un’alternativa al
tradizionale modello restitutivo-retributivo che mira a compensare il male
(delitto) con un altro male (pena).
Rieducazione si erge dunque a parola-chiave di uno strumento, la
mediazione, che voglia orientarsi verso una triplice direzione: auto-
responsabilizzazione e coscientizzazione dell’ autore di reato; concrete
esigenze di soddisfazione e gratificazione della vittima; necessità di
riparazione di bisogni collettivi che possa contenere anche l’allarme sociale.
La mediazione, abolendo l’immagine del reato come atto isolato
commesso da un soggetto difficile, concorre a generare il convincimento di
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un’azione deviante, frutto di complesse vicende relazionali che allontana
l’immagine del reo come soggetto irrecuperabile.
A tenere le redini di tale importante e innovativo strumento sono oggi i
mediatori, figure dalle spiccate qualità professionali e umane, conditio sine
qua non per una mediazione ben condotta. Questi sono facilitatori-guide
che, mirando a ricostruire il legame spezzato in seguito all’evento-reato,
protendono le mani verso due direzioni, dalla parte della vittima e dalla
parte del reo, aiutandoli e accompagnandoli lungo un percorso proteso al
dialogo produttivo e alla negoziazione del conflitto.
I mediatori, come sostenuto nelle Guide-Linees for a Better
Implementation of the Existing Recommendation concerning Mediation in
Penal Matters (Linee-Guida per una buona applicazione della
Raccomandazione del Consiglio d’Europa in tema di mediazione
reo/vittima), emanate a Strasburgo il 7 dicembre 2007 dall’ European
Commission for the Efficiency of justice (CEPEJ), devono possedere un
sapere specifico e profonde capacità di riconoscere le emozioni e i
sentimenti – spesso assai distruttivi e pervasivi – espressi sia dall’ autore
del reato che dalla vittima.
Trattandosi di un’attività in cui entrano in gioco dinamiche piuttosto
delicate e complesse, l’ operato dei mediatori abbisogna di una persistente
supervisione.
Sempre come avallato nelle citate Guide-Linees, un professionista della
specie, oltre a possedere qualità come pazienza, empatia, capacità di
sospendere il giudizio, competenza di ascolto attivo, abilità nel non farsi
influenzare da preconcetti e pregiudizi, necessita di una seria, profonda,
continuativa opera di formazione, impresa che preveda appunto percorsi
formativi che auspichino ad un apprendere, frutto di un delicato rapporto tra
teoria, esercizi pratici e role games.
Volendo soffermare l’attenzione sulla giustizia minorile e sul nuovo
approccio psicogiuridico della mediazione, minorile in special modo, si
parlerà nella prima parte del presente elaborato dell’ Ordinamento giuridico
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e del Potere giudiziario in linee generali, del fenomeno della devianza e
delle istituzioni preposte per combatterlo e del Tribunale per i minorenni,
quale organo investito della conduzione della giustizia minorile.
Nella parte seconda si tratterà della nuova concezione di giustizia
minorile che trova motivo di esistere nell’ interesse del minore, nella tutela
del minore in ambito comunitario ed internazionale e nell’ interesse verso la
vittima, mettendo in atto i nuovi orientamenti di giustizia riparativa.
Oggetto della parte terza sarà, infine, la mediazione quale efficace
dispositivo di risoluzione dei conflitti. Dopo aver introdotto il concetto di
mediazione e aver fatto una breve panoramica delle tipologie di mediazione
e degli ambiti in cui lo strumento risulta spendibile, l’ interesse si
concentrerà sulla mediazione penale minorile, sui suoi protagonisti (vittima,
reo, familiari delle parti) e sulla feconda opera concialiativa svolta da esperti
professionisti: i mediatori penali minorili, di cui si evidenzierà il percorso di
formazione. Si accennerà, inoltre, alla nascita dell’ Ufficio di mediazione
nella città di Palermo.
La trattazione si concluderà con riflessioni e conclusioni in merito all’
argomento.
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Capitolo Primo
IL SISTEMA PENALE MINORILE
La fiducia nella pena (...) oggi per molte ragioni vacilla (...).
E’ oggi impossibile dire esattamente per quale ragione si
addiviene alla pena: tutte le nozioni, in cui si condensa
storicamente un intero processo, si sottraggono alla definizione:
definibile è soltanto ciò che non ha storia.
(F. Nietzsche, 1887)
1.1 L’ Ordinamento Giuridico e il Potere Giudiziario
Prima che ci si inoltri nella trattazione del Sistema Penale Minorile,
oggetto specifico di questa prima parte, si ritiene utile soffermare
brevemente l’attenzione sull’ ordinamento giuridico e sul potere giudiziario.
L’ ordinamento giuridico è
il risultato della particolare organizzazione delle
norme da parte di determinati soggetti con determinati
mezzi. Per avere un ordinamento è necessario che al
diritto oggettivo, cioè le norme, si aggiunga la loro
organizzazione (Reberschegg, Tondo, Torcinovich, 2000:
p. 16).
L’ ordinamento ha peculiarità coercitive e trova i suoi assunti
imprescindibili in un insieme di principi di natura generale che ritraggono il
tessuto connettivo della collettività.
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Si è in presenza del “diritto positivo” che è il complesso delle norme
costituenti l’ordinamento giuridico dello Stato.
Il diritto positivo è quello in vigore ed imposto all’osservanza del
cittadino. Si distingue dagli ideali di giustizia che si assumono saldi e
generali e che configurano il diritto naturale, ossia i diritti intangibili del
singolo riconosciuti dalla Costituzione e considerati congeniti perché
inscindibilmente legati alla natura dell’uomo.
Come sostengono Galasso e Palmeri:
La Dichiarazione universale dei diritti dell’ uomo,
approvata nel 1948 dall’ Organizzazione delle Nazioni
Unite (ONU), è una sorta di manifesto che promuove nel
mondo il riconoscimento e la tutela dei diritti naturali
(Galasso; Palmeri, 2010: p. 7).
I principi basilari dell’ ordinamento sono pronunciati dalla Costituzione
nelle norme che proclamano i diritti e le libertà del singolo.
Nell’ ordinamento italiano vige il sistema del diritto codificato che deriva
da un potere legislativo centrale. E’ un ordinamento di civil law, ossia eretto
sull’ autorità della legge, al contrario dei sistemi di common law, propri dei
Paesi angloamericani, che sono vincolati al precedente giudiziario.
L’ ordinamento traccia i confini dell’ azione dei soggetti attraverso
l’esistenza di norme giuridiche.
È norma giuridica ogni comando, divieto o permesso (precetto), morale
o civile, rivolto agli individui e per la cui inosservanza è prevista una
punizioni
(Reberschegg; Tondo; Torinovich, 2000: p. 4).
La norma giuridica è proprio “il comando giuridico di carattere generale
e astratto”
(Trimarchi, 2000: p. 1).
Nucleo dell’ ordinamento è proprio la norma giuridica che presenta
specifici caratteri che la distinguono da altre norme (morali, religiose,
sociali…): generalità, astrattezza, statualità, sanzionabilità, alterità.
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Tra le principali fonti di produzione del diritto si menzionano la
Costituzione e le leggi costituzionali, le leggi ordinarie varate dal
Parlamento, gli atti emanati dal Governo aventi forza di legge (decreti–legge
e decreti–legislativi), le leggi regionali, i regolamenti, gli usi e le norme del
Diritto Comunitario recepite dall’ ordinamento e che generano effetti
giuridici.
Il potere giudiziario svolge la funzione diretta all’applicazione delle
norme giuridiche idonee a risolvere il caso che ha dato origine ad una
determinata controversia (Palmeri, 2009: p. IX).
Il potere giudiziario è esercitato dalla Magistratura che è l’ insieme degli
organi giudiziari, cioè dei giudici che applicano le norme ai casi concreti in
modo imparziale rispetto alle parti interessate.
La Magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni
altro potere (art. 104, comma 1 Co.).
L’ attività dei giudici porta di norma all’ emissione di un giudizio
chiamato sentenza nel caso concreto. Qualora l’ organo giudicante sia
costituito da un solo magistrato si parla di giudice monocratico, se invece
per emettere la sentenza sono previsti più magistrati si parla di giudice
collegiale.
Nell’ ordinamento esistono due gradi di giudizio. Il doppio grado dà
garanzia che una medesima questione sia esaminata da più giudici.
Al termine dei due stadi è possibile adire la Corte di Cassazione
esclusivamente per ragioni di legittimità, ossia per questioni pertinenti la
giurisdizione o la competenza, per violazione o erronea applicazione di
norme, per nullità della sentenza o del procedimento, per omessa o scarsa
motivazione.
In Italia sono presenti due tipi di giurisdizione: ordinaria e speciale.
La giurisdizione ordinaria ha carattere generale e si divide in
giurisdizione civile per la tutela dei diritti soggettivi e giurisdizione penale
per la realizzazione del diritto punitivo dello Stato.
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La giurisdizione speciale è quella che si occupa solamente di determinate
materie indicate dall’ ordinamento e che opera in relazione a determinati
interessi, a motivo della qualità del loro titolare.
Nella giurisdizione ordinaria si distinguono i giudici civili da quelli
penali.
I giudici civili sono:
- di primo grado: Giudice di pace; Tribunale (che funge anche da
giudice di secondo grado rispetto alle pronunce del Giudice di
pace);
- di secondo grado: Corte d’ Appello;
- di legittimità: Corte di Cassazione.
I giudici penali sono:
- di primo grado: Giudice di pace; Tribunale; Corte di Assise;
- di secondo grado: Corte d’ Appello; Corte di Assise d’ Appello;
- di legittimità: Corte di Cassazione.
Presso il Tribunale è collocata la Procura della Repubblica (Ufficio del
Pubblico Ministero – PM).
Presso la Corte d’ Appello siede il Procuratore Generale della
Repubblica.
La giurisdizione speciale è costituita da:
- Tribunale per i minorenni;
- Giudice amministrativo: di primo grado (Tribunale
Amministrativo Regionale T.A.R); di secondo grado (Consiglio
di Stato e in Sicilia il Consiglio di Giustizia Amministrativo).
- Giudice contabile: Corte dei Conti.
- Corte Costituzionale.
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La Costituzione sancisce che tutti possono agire in giudizio per la tutela
dei propri diritti e interessi legittimi (art. 24) e che nessuno può essere
distolto dal giudice naturale precostituito per legge (art. 25).
La giurisdizione si attua attraverso il giusto processo regolato dalla
legge (art. 111).
Il sistema prevede inevitabilmente l’oggettività del giudice, ma anche la
sua eventuale scarsa obiettività. Per tal ragione sono immaginati dei
correttivi, quali i diversi gradi di opposizione al giudizio emesso, la
divulgazione degli atti, il diritto al contraddittorio, che si manifestano
appunto nelle norme del giusto processo per la tutela dei diritti individuali.
La competenza dei giudici è fissata dalle norme ed il giudice è sottoposto
unicamente alla legge e non ha superiori gerarchici.
1.2 La devianza e la giustizia minorile
Il complesso argomento inerente la Giustizia Minorile impone che,
preliminarmente ad ogni dissertazione, si affronti in termini generali il
problema della devianza.
La devianza è da considerarsi
ogni atto o comportamento (anche solo verbale) di una
persona o di un gruppo che viola le norme di una
collettività e che di conseguenza va incontro a una
qualche forma di sanzione…una categoria socio-
psicologica che fa riferimento a tutte le forme evidenti ed
evidenziate di trasgressione alle norme e alle regole
rilevanti di uno specifico contesto di rapporti
interpersonali e sociali
(De Leo, 1999, Trattare con
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adolescenti devianti. Progetti e metodi di intervento nella
giustizia minorile.: p. 17-18).
Il deviante è chi non aderisce a norme di condotta sociale, ma è anche un
isolato, uno stigmatizzato, un emarginato dalla società.
Le prime teorie sulla devianza, peraltro molto semplicistiche ed ormai
superate, sono quelle di stampo costituzionalista facenti capo a Cesare
Lombroso, medico antropologo, che nel libro “L’ uomo delinquente” (1878)
sostenne la tesi secondo la quale gli atteggiamenti criminali risalirebbero a
predisposizioni di natura fisiologica, emergenti spesso nella configurazione
anatomica del cranio. L’ autore affermò dunque l’ esistenza di una stretta
correlazione tra le caratteristiche somatiche e la relativa condotta deviante.
Il “delinquente nato” ha “la testa piccola, la fronte sfuggente, gli zigomi
pronunciati, gli occhi mobilissimi ed errabondi, le sopracciglia folte e
ravvicinate, il naso torto, il viso pallido o giallo, la barba rada”
(Lombroso, 1878).
Per quanto le teorie di Lombroso non abbiano fatto altro che alimentare e
dare credito scientifico al vecchio retaggio popolare del binomio brutto-
cattivo, è bene sottolineare come tali riflessioni abbiano avuto conseguenze
sul piano giuridico, individuando la devianza come manifestazione di una
patologia organica e pertanto la pena era da intendersi quale strumento per
tutelare la società, piuttosto che mezzo di punizione.
Pur partendo dal dato biologico, il costituzionalismo lombrosiano apre la
strada ad un’ analisi multifattoriale della devianza, adesso studiata anche
come fenomeno sociale e umano.
Un contributo di grande rilevanza allo studio della devianza si deve alla
psicologia che si è mossa per ricercare i fattori dell’ agire deviante entro il
normale funzionamento, tentando di diminuire quel gap esistente tra ciò che
è deviante e ciò che non lo è.
Un contributo molto importante si deve a Kurt Lewin (1890), psicologo
tedesco, pioniere della psicologia sociale. Egli, nella sua Teoria del campo
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(1951), individuò il comportamento come frutto di un rapporto individuo-
contesto, inevitabile e complesso. L’ importanza dell’ ambiente assume,
quindi, un ruolo indiscutibile nell’ analisi della devianza.
La teoria della frustrazione-aggressività di Dollard e Miller (1957) segna
un altro decisivo passo avanti negli studi: il delinquente presenterebbe una
minore capacità di tolleranza delle frustrazioni. Al riguardo, sono state
avanzate non poche critiche in quanto è stato detto che, di fronte allo stress e
alla frustrazione, un soggetto può reagire in molteplici modi.
Altri contributi rilevanti giungono dalla psicanalisi, dove il neurologo e
psicanalista austriaco Sigmund Freud definisce l’ uomo come antisociale per
natura. Lo studioso sostiene che
l’ antisocialità e con essa i comportamenti criminali,
sarebbero quindi la condizione originaria comune, sempre
pronta a manifestarsi in situazioni in cui le inibizioni
perdono di efficacia. I comportamenti criminali o asociali
quindi si verificano quando le pulsioni primarie di
soddisfazione degli istinti, ovvero l’ es, riescono ad avere
la meglio sulle spinte opposte verso la conformita’
sociale, ovvero il super- io
(De Leo, 2002).
Sempre seguendo tale filone si sono individuati quattro tipi di
delinquenza, ossia la:
- delinquenza occasionale che si verifica in particolari circostanze,
ossia in momenti in cui il Super-Io non riesce ad esercitare un
controllo sull’ impulso. È il caso dei delitti passionali;
- delinquenza normale quando il Super-Io perde totalmente la
capacità di esercitare il controllo sulle pulsioni dettate dall’ Es. La