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Introduzione
Lo sport è una componente importante nella vita quotidiana dell‟uomo moderno a causa
dell‟aumento del tempo libero, della cura del proprio benessere fisico e del bisogno che
ha sempre avuto di intrattenimento. Lo sport può essere vissuto sia come praticanti che
come spettatori. In entrambi i casi i fruitori di sport hanno diverse esigenze che cercano
di soddisfare con le sempre più variegate offerte messe a disposizione dalle imprese
sportive: si va dalle palestre, alle scuole calcio, fino agli sport professionistici. Questi
ultimi hanno ovviamente una maggiore cassa di risonanza in quanto fonte di spettacolo
nei grandi eventi che oggi attirano sempre più gente, anche grazie ai mezzi di
comunicazione che ne veicolano la diffusione. I mass media tendono a dare più spazio
ed enfasi ad alcuni sport piuttosto che ad altri. In Italia, neanche a dirlo, lo sport
nazionale è il calcio, un vero e proprio fenomeno mediatico. Basti pensare che l‟Italia è
l‟unico paese al mondo ad avere tre quotidiani sportivi e uno di questi, La Gazzetta
dello Sport, è quello che ha maggiore diffusione. Si capisce dunque l‟entità del fatto, un
vero e proprio fenomeno sociale che, come tale, non poteva sfuggire alle imprese. Qui
entra in gioco il marketing: la sua pianificazione strategica consente alle imprese di
conoscere meglio i consumatori di sport, per formulare un‟offerta che sia attraente e che
soddisfi al meglio i loro bisogni, agendo su tutte le leve del marketing mix. Dall‟altra
parte il marketing consente alle imprese sportive di rapportarsi alle altre aziende dando
così origine a relazioni vantaggiose per entrambe in termini economici e di immagine.
Lo sport è anche un importante catalizzatore sociale e può assumere una grande
importanza per una comunità, per una zona o per una città attraverso i luoghi in cui ne
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avviene la pratica e/o il consumo. Questi argomenti verranno trattati in maniera analitica
in questa tesi.
Nel primo capitolo si considera l‟evoluzione dell‟impresa sportiva che ormai non ha più
esclusivamente una dimensione ludica, ma anche e soprattutto una dimensione
economica, cosa che la assimila nella sua gestione alle altre imprese, pur mantenendo
dei tratti assolutamente caratteristici. Viene inoltre analizzato l‟uso e l‟utilità che ha il
marketing all‟interno di un‟impresa sportiva.
Nel secondo capitolo si analizzano gli step della pianificazione di marketing di
un‟impresa sportiva, partendo dallo studio dell‟ambiente esterno, del settore di
riferimento, fino ad arrivare alla comprensione della domanda e dei suoi trend per la
formulazione di una migliore offerta.
Nel terzo capitolo si applica il marketing mix alle imprese sportive, considerandone
separatamente le leve: il prodotto, che nel caso delle imprese sportive è un servizio e va
quindi gestito in maniera diversa essendo intangibile; il prezzo che va determinato
accuratamente cercando un punto di equilibrio tra domanda e offerta, avendo presente la
concorrenza e inoltre che spesso nello sport è utile per spuntare un premium price; la
distribuzione che avviene a livello degli impianti; la promozione che consiste
soprattutto in sponsorizzazioni.
Nel quarto e ultimo capitolo si studia, a titolo di esempio, il caso della Juventus FC: la
squadra più tifata d‟Italia, reduce da una situazione molto delicata e complicata come lo
scandalo di Calciopoli, ha usato il marketing per rilanciare la propria immagine. Da un
lato ha colto risultati negativi in quanto le strategie di marketing non sono andate di pari
passo con una corretta gestione sportiva. Dall‟altro lato ha colto un grande risultato
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positivo: la realizzazione di uno stadio di proprietà che può originare una
diversificazione dei ricavi, utile alla sua situazione economica in questo momento non
positiva e, in generale, alla situazione stadi italiana come l‟esempio più vicino da
seguire.
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Capitolo 1
Le imprese sportive
1.1. Evoluzione delle imprese sportive
L‟ American Marketing Association (AMA) nel 1985 ha definito il marketing come “il
processo di pianificazione ed esecuzione delle attività di ideazione, attribuzione di
prezzo, promozione e distribuzione di idee, prodotti e servizi allo scopo di generare
scambi che soddisfino gli obiettivi di individui e organizzazioni” [Bagozzi 2001]. Tale
definizione è facilmente e intuitivamente riconducibile alle imprese di produzione con
le quali abbiamo a che fare tutti i giorni, ad esempio quelle alimentari. Il marketing ha
però diversi campi di applicazione come ad esempio il territorio, il web o lo sport.
Proprio il marketing del settore sportivo ha avuto un forte sviluppo nell‟ultimo
decennio. Le prime pubblicazioni su giornali e riviste economiche risalgono al 1996, ma
è a partire dall‟anno successivo grazie ai mass media che la disciplina viene
definitivamente riconosciuta dal pubblico. L‟occasione è offerta dall‟arrivo in Italia del
calciatore Ronaldo tra le file dell‟Inter [Cherubini 1999, p.15]. Il fondamento del
marketing sportivo non è però semplicemente riducibile all‟immagine e alla notorietà
dei giocatori. La sua affermazione ha una più intrinseca spiegazione nella diffusione del
benessere, del tempo libero e dell‟interesse della gente nei confronti della pratica e dello
spettacolo sportivo. Questi cambiamenti hanno fatto sì che lo sport diventasse uno dei
settori più floridi dell‟economia italiana, contribuendo a creare il 2,5% del PIL [Prunesti
2008, p.27]. Ma come si è sviluppata questa tendenza? Già dagli inizi del Novecento il
miglioramento delle condizioni di vita ha favorito la crescita dell‟interesse per lo sport
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da parte delle persone. Il ciclismo e l‟automobilismo furono i primi sport ad essere
reclamizzati sui cartelloni, seguiti dal calcio che nel frattempo aveva acquisito
popolarità grazie alle vittorie della Nazionale nella Coppa Rimet del 1934 e 1938.
Iniziarono così le prime associazioni dei volti dei campioni ai prodotti alimentari sia
attraverso mezzi pubblicitari tradizionali, sia attraverso una novità che avrebbe
appassionato intere generazioni, le figurine; queste furono diffuse negli anni Venti dalla
Zaini cioccolata e raffiguravano sportivi e azioni di gioco. Bisogna però aspettare il
1961 per la nascita della mitica collezione Calciatori Panini che nella sua prima uscita
riuscì a vendere 15 milioni di bustine al prezzo di 10 lire. Tornando agli anni Venti, è
proprio in questo periodo che nasce il mecenatismo sportivo con il Milan posseduto da
Pietro Pirelli dal 1908 al 1929 , e con la Juventus che nel 1923 iniziò ad essere dominata
dalla dinastia Agnelli. Questi anni sono stati fecondi per lo sport soprattutto a causa
della diffusione conferita al fenomeno dai mezzi di comunicazione di massa: parliamo
soprattutto della radio che, anche grazie al regime fascista, ha concesso di seguire le
prime radiocronache e conseguentemente ha innescato il meccanismo della “chiacchiera
sportiva”. Negli anni Cinquanta è la volta della rivoluzione della televisione che porta le
immagini dello sport nelle case degli italiani. Fu così che media, imprese e società
sportive iniziarono ad intuire il potenziale beneficio che poteva derivare dalla loro
cooperazione: nacque allora la sponsorizzazione che consisteva nell‟associazione dei
prodotti industriali alle squadre, ai calciatori e agli eventi sportivi sia direttamente (nelle
manifestazioni in corso) sia indirettamente (nelle inquadrature in tv di maglie e
cartelloni). Le imprese sportive passarono così dalla dimensione associativa e ludica
ancora dominata da logiche di mecenatismo, al loro riconoscimento giuridico come
società di capitali grazie alle legge 23 marzo 1981. L‟orientamento dei club però era
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ancora no-profit e l‟obiettivo principale rimaneva il risultato sportivo più che quello
aziendale [Braghero 1999]. I crescenti proventi da sponsorizzazioni e diritti tv hanno
però imposto il definitivo cambiamento negli anni Novanta con la legge 18 novembre
1996, n.586 che ha riconosciuto i club come SpA orientate alla divisione degli utili e al
business che deve necessariamente integrarsi con la gestione sportiva. La legge 17
ottobre 2003 infine separa l‟ordinamento giuridico sportivo da quello statale.
1.2. L’andamento delle società quotate in borsa
Prima della legge 18 novembre 1996, n. 586 le società sportive italiane
professionistiche non potevano essere quotate in borsa a causa del loro status di società
di diritto speciale senza finalità di lucro. Tale fine è stato poi ammesso dalla sopracitata
legge che ha dunque legittimato le società sportive alla quotazione in Borsa. Questa
possibilità è stata subito colta da alcune società calcistiche che hanno avvertito
l‟esigenza della quotazione a causa della loro trasformazione in vere e proprie società di
business all‟interno de “l‟industria del calcio”. La prima società a compiere questo
passo è stata la S.S. Lazio il 15 aprile 1998, seguita dalla A.S. Roma l‟8 maggio 2000 e
dalla Juventus F.C. il 3 dicembre 2001.
La quotazione ha consentito una raccolta di risparmio pubblico che rappresentava una
nuova importante fonte di finanziamento per gli investimenti societari. La Consob è
l‟organo incaricato di vigilare sulla corretta informazione del pubblico riguardo la
situazione aziendale, infatti le società sono obbligate a comunicare i loro bilanci.
Accanto alla Consob c‟è la Co.Vi.So.C. (Commissione di Vigilanza sulle Società di
Calcio Professionistiche) che svolge una funzione di controllo sull‟equilibrio
economico-finanziario delle società di calcio professionistiche per garantire il regolare
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svolgimento dei campionati. La prima quotazione di società sportiva si è avuta in
Inghilterra con il Tottenham Hotspur F.C. e da allora su 92 società professionistiche, 90
sono quotate in borsa grazie al supporto di un grande bacino di utenza. Il mercato
italiano ha in comune con quello inglese lo sfruttamento economico dei contratti di
cessione dei diritti tv che ha coinciso con l‟ingresso in Borsa delle prime società
sportive. Ma i titoli dei club italiani sono molto condizionati dal risultato sportivo che
incide fortemente sui ricavi societari, si pensi all‟importanza per squadre di primo
livello della qualificazione in Champions League. Questo gap è stato colmato in
Inghilterra dalla diversificazione delle attività e quindi delle fonti di introito. Si pensi al
Manchester UTD che, agli obiettivi sportivi, ha sapientemente accostato obiettivi
commerciali attraverso investimenti nello stadio, nel centro sportivo, nei negozi, negli
alberghi e persino nel controllo di una società di catering: un vero e proprio business
dell‟entertainment.
1.3. Rischi e vantaggi della quotazione
Abbiamo già introdotto il discorso sui rischi della quotazione delle imprese sportive, ma
procediamo ad elencarli sinteticamente:
a) Il valore e il peso sul bilancio dei calciatori. Per questo è necessario effettuare
investimenti di lungo periodo quali stadi e centri sportivi che accrescano il
valore del titolo;
b) Il valore dei giocatori è influenzato dalla loro soggezione ad infortuni che
condizionano il rendimento personale e della squadra. Ciò può portare a minori
ricavi;
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c) Il rischio di una disgrazia alla squadra, si pensi a ciò che è successo alla Juventus
dopo Calciopoli;
d) La forte dipendenza degli utili societari dai risultati sportivi e,
conseguentemente, dalla partecipazione e permanenza delle squadre nelle
competizioni internazionali. Si potrebbe rimediare attraverso una
diversificazione delle entrate.
La quotazione però può presentare anche dei vantaggi quali:
a) Il senso di appartenenza che deriva dall‟essere in qualche modo parte del proprio
club, unico caso di motivazione emotiva nel mercato della Borsa.
b) La possibilità di diversificare attraverso diritti tv, sponsorship, merchandising e
altre iniziative.
c) Il supporto nelle attività di coinvolgimento e fidelizzazione del tifoso-cliente
delle nuove tecnologie e della new economy (e-merchandising, web, blog,
forum, social network, canali tematici, apps…)
d) La possibilità, grazie alla notorietà del brand sportivo, di fornire servizi diversi
da quelli strettamente legati allo sport, come ad esempio servizi finanziari.
e) L‟andamento del titolo, proprio in quanto dipendente dalla performance della
squadra è facilmente prevedibile dall‟azionista.
f) La presenza, specialmente in Italia, di un sistema informativo immenso riguardo
al mondo calcistico che riduce, almeno in parte, le asimmetrie informative.
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1.4. Gestione strategica delle società sportive
“Sport management is an exciting, new, and rapidly growing area of study.”
T. Slack, 1997
Gestire una società di calcio oggi richiede doti e capacità specifiche tanto che sono stati
attivati molti corsi, universitari e non, appositi per la formazione di questi manager
calcistici. Un esempio lo rinveniamo anche nella stessa FIGC che nel marzo del 2011 ha
avviato un corso a pagamento di alta formazione su strategia, organizzazione e gestione
degli stadi moderni intitolato “Stadium management” che si articola in quattro sessioni
fra Roma, Coverciano, Torino e Verona. Citiamo questo caso per sottolineare sia
l‟importanza di una preparazione ad hoc per i manager sportivi, sia per sottolineare
l‟attualità e l‟importanza sempre più riconosciuta del business degli impianti.
La presenza di manager qualificati, di presidenti investitori (non più mecenati) e di
CDA figli del passaggio dalla dimensione dilettantistica a quella lucrativa deve favorire
il raggiungimento di un equilibrio tra obiettivi sportivi e aziendali. Le due dimensioni
non possono essere considerate indipendenti e separate, bensì devono comunicare e
mirare ad uno stesso fine.
1.5. Società sportiva come società di produzione complessa
Lo sport non può essere paragonato ad una normale attività economica in quanto ha le
sue regole e fonda il suo successo sul seguito popolare. Gli sport dei paesi occidentali
dove si è meglio attuato il connubio tra cultura aziendale e cultura sportiva sono stati il
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calcio e la pallacanestro. Da un lato la cultura sportiva ha importato nelle aziende la
filosofia della vittoria e della competizione, dall‟altro la cultura aziendale ha permesso
una gestione professionale dei club attraverso politiche di diversificazione degli introiti,
cura del settore giovanile, coinvolgimento delle donne, gestione delle risorse umane,
gestione dei diritti tv, sviluppo dell‟area commerciale, facendo di queste società delle
multinazionali dell‟entertainment. Se fino a qualche tempo fa anche le società sportive
si consideravano soggetti economici che fornivano ai clienti un prodotto (il normale
biglietto per una partita), oggi tale approccio si rivela anacronistico in quanto queste
aziende sono erogatrici di servizi: offrire uno stadio vivibile e sfruttabile anche per altre
attività non strettamente calcistiche, un servizio televisivo e telematico moderno,
opportunità commerciali sempre nuove, sono alcuni dei servizi possibili. E‟ importante
inoltre al giorno d‟oggi anche la dimensione sociale delle imprese sportive che per
questo si impegnano in iniziative di solidarietà e culturali. L‟esempio più lampante in
tal senso è quello del Barcellona F.C. che dal 2006 fino alla stagione 2010/11 ha avuto
sulla maglia da gioco lo sponsor benefico Unicef, un caso unico di sponsorizzazione
non commerciale in cui era il club che versava 1,5 milioni di euro all‟anno per i progetti
umanitari promossi dall‟organizzazione. Proprio a partire da questa stagione però, per la
prima volta nella sua storia, anche il Barcellona si è dotato di uno sponsor commerciale,
la Qatar Foundation che sborserà 150 milioni di euro in cinque anni (la più ricca
sponsorizzazione attuale in Europa). Nonostante ciò si può notare che l‟identità dello
sponsor rimane comunque in linea con quella dimensione sociale e umanitaria che il
club ha sposato ormai da anni, trattandosi di una recente fondazione che promuove
l‟educazione e la difesa dei bambini nello stato del Qatar.
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“…for different reasons, FC Barcelona is “more than a club” for many people living
elsewhere in Spain, who see Barça as a staunch defender of democratic rights and
freedom.”
www.fcbarcelona.com
Sezione “Més que un club”
Aldilà di tutto ciò, il pallone rimane sempre il core business. L‟imprenditorialità di
questo particolare sistema produttivo consiste nel generare valore per clienti, lavoratori,
soci, distributori, fornitori e per la collettività. Bisogna dunque percorrere la via della
produttività, ossia dell‟output per unità di lavoro/capitale, offrendo così al cliente più
qualità, efficienza e risorse. Gli obiettivi perseguibili diventano allora la fidelizzazione
del cliente, la valorizzazione del lavoro, del risparmio e dell‟ambiente e lo sviluppo di
nuove attività, prodotti, servizi e mercati (la diversificazione di cui si è già parlato). Il
valore di un‟impresa sportiva risiede molto nel suo know how e nella strategia che
intende perseguire. Per esempio una società che investe molto nel settore giovanile per
poi cedere le giovani promesse ai grandi club, sarà meno orientata al marketing e più
alla cura del vivaio e delle scuole calcio.
Oggi come in tutte le aziende tradizionali, anche in quelle sportive assume
un‟importanza significativa la gestione delle Risorse Umane; anzi, in queste realtà come
in nessuna è importante lo spirito di gruppo insito già nel concetto di sport. Il capitale
umano è rappresentato da giocatori, staff tecnico e medico, dirigenti, proprietari,
magazzinieri e tanti altri. Nell‟amministrare il personale i manager devono tenere sotto
controllo i costi che derivano o possono derivare da:
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a) gli stipendi dei dipendenti;
b) il decrescere della produttività quando vi è bassa soddisfazione nell‟ambiente di
lavoro;
c) la ricerca, la selezione e l‟addestramento del nuovo personale;
d) le azioni legali di quei lavoratori che si sentono vittime di maltrattamenti sul
posto di lavoro.
La gestione delle risorse umane può allora costituire parte del vantaggio competitivo
dell‟azienda. Nel parlare di ciò di fa riferimento al concetto di Total Quality
Management (TQM) all‟interno del quale Mawson nel 1993 ha individuato tre elementi:
a) la soddisfazione del cliente;
b) ricerca continua di miglioramenti;
c) pieno coinvolgimento dell‟intera organizzazione nel migliorare la qualità.
Sono sfide che anche un manager sportivo si trova quotidianamente a fronteggiare nel
suo lavoro sia che si tratti di imprese sportive profit (sport professionistico, turistico…)
sia di imprese sportive non-profit (sport dilettantistico, scuole…).
1.6. Tipologie di imprese sportive
Nel 2008 Alessandro Prunesti ha definito l‟impresa sportiva come “qualsiasi forma di
organizzazione socioeconomica che persegua l‟acquisizione di risorse economiche
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attraverso l‟offerta di sport”. Possiamo dunque stilare una classificazione dei diversi tipi
di imprese sportive:
a) I club, le squadre e le associazioni professionistiche che si procurano risorse
economiche che le rendano forti e competitive allo scopo di raggiungere il
successo che è di due tipi: aziendale e sportivo. Queste due componenti sono
fortemente interrelate e tali da costituire la cosiddetta “spirale del successo”;
b) Le Federazioni sportive nazionali, gli Enti di promozione sportiva, le Discipline
sportive associate che promuovono la cultura sportiva e si procurano risorse
economiche e finanziarie per sostenere l‟organizzazione di manifestazioni e
competizioni. Sono organi inclusi negli statuti ufficiali del CONI (Comitato
Olimpico Nazionale Italiano).
c) I centri fitness, le palestre, i circoli e le associazioni che offrono servizi sportivi
e organizzano piccole iniziative come tornei, maratone, turismo sportivo…
d) Le società specializzate nell‟organizzazione di eventi sportivi a livello nazionale
ed internazionale.
1.7. Il mercato dello sport
Nel primo paragrafo della trattazione abbiamo sottolineato subito la rilevanza che oggi
assume l‟industria sportiva nell‟economia italiana. Il mercato dello sport può essere
suddiviso in due grandi gruppi di utenti:
1. I praticanti sportivi che fanno riferimento alle Federazioni, alle Discipline
sportive associate e agli Enti di promozione sportiva. I numeri dei praticanti
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sportivi è cresciuto grazie all‟aumento del tempo libero e del livello di
benessere.
2. Gli spettatori che seguono lo sport sia direttamente partecipando alle
manifestazioni, sia indirettamente attraverso i mass media.
Se affrontiamo il discorso della pratica sportiva un ausilio per capire meglio le tendenze
in atto nel nostro paese ci viene dal rapporto quinquennale del CONI “I numeri dello
sport italiano - La pratica sportiva”. Questo lavoro integra i dati provenienti dagli
archivi centrali del CONI (registri di affiliazione e tesseramenti) con l‟Indagine
Multiscopo “Aspetti della vita quotidiana” svolta dall‟Istat; quest‟ultima mira a fornire
un quadro sulle abitudini dei cittadini e viene effettuata ogni anno con dei questionari a
febbraio su un campione di 24mila famiglie. Dall‟ultima rilevazione del 2010 possiamo
trarre diverse informazioni interessanti avvalendoci di un grafico esplicativo.
Prendiamo in considerazione i dati che ci pervengono dalla suddetta indagine Istat che
individua quattro atteggiamenti degli italiani nei confronti dello sport: coloro che
praticano sport con continuità (22,8%) e saltuariamente (10,2%), le persone che
praticano solo qualche attività fisica (28,2%) e quelli che conducono una vita sedentaria
(38.3%).
Le percentuali si riferiscono ad una popolazione di 58 milioni 584 mila cittadini a
partire dai 3 anni di età inclusi gli stranieri.
Oltre 19 milioni 234 mila persone dichiarano di praticare uno o più sport, di questi
circa i due terzi pratica attività sportive con continuità e la restante parte in modo
saltuario. I sedentari invece sono circa 22 milioni 323 persone. Nonostante questi ultimi