1
PRONTO PER IL VIAGGIO
Torino, 08 luglio 2010 ore 07.00
Seduto nella sala d'attesa dell'aeroporto, attendo che
una voce dal microfono annunci il mio volo.
Insieme a me, altre circa 120 persone compresi i miei
colleghi, alcuni che lavorano in altri enti, qualche
giornalista e qualche altra persona che non saprei
spiegare il motivo per la quale sia qui con noi pronta
per partire.
Penso a mio figlio Alessandro, l'ho salutato ieri sera,
lui mi ha abbracciato e mi ha sorriso, non consapevole
che lo stessi lasciando per quattro mesi solo con sua
madre: troppo piccolo per poterlo capire.
Di solito quando partivo per lavoro stavo via un mese
al massimo ed è per dove sto per partire che mi sento
teso e pensieroso: non mi era mai capitato in dieci
anni di dover andare a lavorare in un territorio
martoriato dalla guerra come quello dell'Afghanistan.
Prima della partenza e qualche giorno fa, mi sono
documentato sulla situazione in Afghanistan e su come
il Paese vive dopo quello che ha subìto in più di
trent'anni di storia.
Dopo quasi quarant'anni di "pace", prima l’arrivo dei
sovietici negli anni Settanta, poi i "Mhujhaidin" alla
fine degli anni Ottanta, l’insediamento dei "Talebani"
dal 1994 ed infine la volta degli “Occidentali" dal
2001, subito dopo l'attacco alle "Torri Gemelle", per
combattere i talebani che gli americani stessi
2
inizialmente avevano "armato".....
Sono tanti i "retroscena" che hanno caratterizzato
questi molteplici conflitti: tutti negli stessi posti,
nelle stesse regioni, nelle stesse città, nei stessi
villaggi, nella stessa nazione.
Una nazione, un paese in continua lotta vuoi per i
fattori esterni, vuoi per la "multietnicità" che lo
caratterizza.
Questi i motivi che spiegano la situazione attuale: ci
sto andando con la voglia di conoscere e vivere la
situazione anche da vicino.
Andrò esattamente a pochi chilometri da Herat, la
seconda città dopo la capitale, Kabul, nella parte
nord-ovest del paese, sotto il Comando del contingente
italiano e probabilmente una delle zone meno
"turbolente" rispetto alle altre.
Seduto su questa poltroncina, in questa sala d'attesa,
con la nuca appoggiata al muro e gli occhi semichiusi
per il poco sonno della notte in pullman, sono
sopraffatto da tanti pensieri: penso a mio figlio e a
quanto mi mancherà, penso a mia moglie e alla pazienza
che avrà ad accollarsi da sola nonostante il suo
lavoro, le responsabilità di madre e anche di padre,
dato che non sarò presente, con un bambino di dieci
mesi.
Non smetterò mai di ammirarla e ringraziarla per quello
che fa'! Credo che sia una fortuna avere al proprio
fianco una persona paziente e che sappia capire alcune
situazioni, come fa lei: sono fortunato.
Provo ad immaginare lo scenario che mi apparirà una
volta che avrò messo piede ad Herat.
Vedo già davanti a me il paesaggio, descritto tante
3
volte da alcuni miei colleghi che ci sono già stati:
polveroso con vegetazione rada e caldo in questo
periodo, tanto caldo...
Penso a quello che farò, alle difficoltà che ci
saranno, alla gente del posto che vorrei imparare a
conoscere: alle loro condizioni, le loro opinioni, i
loro usi, le loro tradizioni, le loro sofferenze e
anche le loro speranze e i loro sogni...
Nella mia mente in questo momento c'è un intreccio di
stati d'animo, un miscuglio di preoccupazione, attesa,
curiosità e fantasia: tutto questo quasi mi tormenta!
Hanno appena annunciato il nostro volo ed è ormai ora
di avviarci verso il gate.
In fila indiana, ognuno mostra la carta d'imbarco e ci
accomodiamo sull'aereo, dove le hostess ci danno le
indicazioni.
Tra di noi abbiamo scambi di pensieri, emozioni e
sensazioni: l'aereo decolla e quasi non ce ne
accorgiamo!
Durante il volo qualcuno sonnecchia, qualche altro
legge, si parla, si ride e dopo diverse ore siamo negli
Emirati Arabi: qui trascorreremo la notte per poi
ripartire nell'indomani mattina.
In fase di atterraggio, sorvoliamo la città di Abu
Dabi, dai finestrini scruto i grandi palazzi e
grattacieli e la città è tutta illuminata, un forte
movimento di automobili: ricchezza ostentata dei
petrolieri arabi, penso.
"Che differenza" mi dico, "in poche ore di volo, si
passerà dal lusso dei grandi capitalisti alla povertà e
alla sofferenza della guerra".
Atterriamo, e in un paio d'ore mi ritrovo nella camera
4
d'albergo, chiamo mia moglie, poi stanco, mi
addormento...
_______________________________________________________
IL SECONDO VIAGGIO: STEFANO
Al Bateen (aeroporto di Abu Dabi - Emirati Arabi) 09
luglio 2010 ore 11.30
Dopo una notte quasi insonne ed una mattinata
movimentata: colazione veloce e "trasportamenti vari"
tra recupero dei bagagli e imbarco su altro aereo,
eccomi ancora in viaggio: mi separano ancora cinque
ore, circa, dalla mia destinazione.
Accanto a me c'è Stefano, è un uomo di circa
cinquant'anni che fa parte della mia "categoria di
lavoratori". E' originario di Verona ma vive a Bolzano,
dove lavora, è sposato e ha quattro figli: sarà lontano
da loro per sei mesi.
Disagi che assoggettano chi è spesso in missione in
simili territori, ma che a volte sono ripagati da mille
soddisfazioni.
Stefano mi parla di sé, della sua vita, delle sue
esperienze: è l'ottava volta che va a lavorare in
territorio di guerra, ha iniziato a venticinque anni
col Congo, per passare dalla Somalia, l'ex Jugoslavia,
Kosovo, Albania, Iraq, fino all'Afghanistan che per lui
è già la seconda...
Mi parla di quello che fa, è un tecnico di elicotteri
impiegati in questo tipo di territori per
ricognizioni.
Mi parla delle mille difficoltà che ha dovuto
affrontare, dei mille disagi e delle tante esperienze
5
tra luoghi diversi e popoli diversi, vivendo realtà e
situazioni uniche, ha visto povertà, sofferenza,
sorrisi e speranze.
Questa è la guerra, questo è ciò che potrei trovare
quando sarò ad Herat: scoprire ciò che mi possa
affascinare per potermi, poi, rendere conto di quello
che veramente succede dove le ingiustizie regnano.
Parlare con questa gente, capire ciò che pensano, quali
sono i loro desideri, come hanno vissuto e come vivono
la loro situazione: credo che sia qualcosa che nessun
altro possa darti se non ci vai direttamente a
scoprirli.
E' bello parlare con Stefano, è una persona colta,
curiosa, competente: conosce ogni situazione politico-
sociale di ogni Paese che ha “visitato”, dove a pagare
le conseguenze delle crisi sono sempre i più deboli: a
questo dovrebbe servire la nostra presenza laggiù, dare
una mano a questa gente a ritrovare i propri diritti
(se mai ne abbiano avuti!!).
"Quando vai in un posto nuovo, sopratutto per il nostro
lavoro, prima di arrivarci, è sempre bene conoscere la
sua storia, la situazione politica e sociale: è un modo
per darsi una spiegazione a ogni singolo gesto, sguardo
e comportamento che per noi possa sembrare inusuale, di
chi ci è nato e ci vive, è un biglietto da visita
indispensabile per avvicinarsi a loro".....
Ascolto Stefano con grande interesse, mentre parla è
come se avessi veramente davanti a me la situazione
dell'Afghanistan e tutto quello che continua a subire:
la libertà negata a tanta gente, la voglia che molti di
loro hanno di ricominciare...Tutto questo accresce la
mia curiosità e ho voglia di conoscere le loro culture.
6
Dal colloquio capisco che questo Paese possa essere
anche un territorio cruciale per l'incontro tra
Occidente e Oriente, un posto tutto da scoprire e
raccontare.
Mi sembra di essere già là con la mente.
Dopo aver percepito queste informazioni, la stanchezza
prende il sopravvento e improvvisamente sprofondo in un
sonno pesante: Stefano fa lo stesso.
Mi risveglio improvvisamente quando il Comandante
dell'aereo ci annuncia che stiamo sorvolando Herat e
che fra circa quindici minuti effettuerà la manovra di
atterraggio.
"Cavolo! Ho dormito per quasi due ore!" penso tra me.
Anche Stefano si sveglia e in pochi minuti la maggior
parte di noi è pronta per scendere.
In mezz'ora l'aereo ha compiuto le manovre di
atterraggio, dai finestrini avvistiamo le enormi
montagne sabbiose afgane, il cielo ha un colore azzurro
chiaro che col riflesso della grossa luce del sole
tende ad avvicinarsi a un grigiastro.
Appena siamo a terra e l'aereo si ferma, i portelloni
si aprono e in pochi istanti la gente, dopo quasi
cinque ore di volo, sembra accalcarsi, impaziente di
voler scendere.
Siamo finalmente fuori: sono in Afghanistan, ad Herat,
a pochi chilometri dal confine con l'Iran!
Sono le cinque del pomeriggio, il sole è cocente, sono
sceso da poco e già inizio a sentire tanto caldo.
Mi guardo intorno, vedo che la terra è sabbiosa, l'aria
sa di polvere, intorno e in lontananza montagne: tutto
come immaginavo.
Sembra che siamo a valle, ma in realtà siamo a quasi
7
mille metri d'altezza dal livello del mare!
In uno stato quasi "confusionale" seguo tutti gli altri
e, in lontananza, chi in aeroporto ci lavora,
incuriosito ci osserva.
Un paio di queste persone ci fanno da guida, ci
accompagnano in un enorme capannone, ci fanno sbrigare
alcune pratiche indispensabili per la nostra
permanenza.
Inizia così la mia avventura ad Herat...
Figura 1 Situazione paesaggistica e montagne in lontananza appena
atterrati ad Herat (foto Quattromini G.)
8
Figura 2 Altra prospettiva di montagne in lontananza a Herat (foto
Quattromini G.)
____________________________________________________
INIZIO A VIVERE LA "MIA" GUERRA.
Herat, 10 luglio 2010 ore 22.30
Descrivere la giornata di oggi sarebbe quasi "inutile",
non ho visto nulla di ciò che potesse interessarmi
particolarmente: sono ancora in fase di “adattamento” e
ho solo "regolarizzato" alcune cose necessarie per la
mia permanenza.
Mi hanno dato un alloggio, dormo in una camera con
altre due persone, ho un letto, un armadio, un
9
comodino: ieri sera mentre aprivo la borsa e sistemavo
le mie cose, ho trovato una "sorpresa" lasciata da mia
moglie.
Mi ha messo alcune foto di mio figlio, sono stato più
di un'ora a guardarle, anche se erano foto che avevo
già visto tante volte.
Non avevo mai immaginato prima d'ora che essere padre
mi potesse "sconvolgere" così tanto la vita.
Da quando lo sono diventato, vedo tutto in maniera
molto diversa...
E' una cosa che mi risulta difficile spiegare, ma credo
veramente di essere migliorato, riesco ora a vedere
tante cose anche in altre prospettive.
Anche "l'approccio" con questa esperienza, secondo me,
probabilmente sarebbe stato diverso, se prima non fossi
diventato padre: sembra che voglia viverla intensamente
per poter un giorno raccontargliela...
E' un momento della mia vita che vorrei conservare nel
mio bagaglio con una incredibile predisposizione a
viverlo al meglio per poterlo poi "utilizzare".
Mi guardo intorno e mi sembra tutto veloce, la vita tra
i militari scorre tra polvere e caldo, ognuno fa il suo
lavoro, ci si scherza, ci si confronta mentre non
sappiamo realmente quello che succede fuori da qui e io
in questi due giorni non ho avuto nessuna possibilità
di “contatto” con nessuna “fonte”: le notizie, se
arrivano, di solito sono frammentarie e ce le portano
chi esce spesso fuori dalla base...
Sicuramente sapranno prima in Italia ciò che succede
e…da noi la situazione viene vissuta diversamente.
Ho notato che in questa struttura non ci sono solo
italiani, ma ho visto anche spagnoli, slavi, bulgari,
10
albanesi e americani.
Rappresentiamo nazioni che sono qui per lo stesso
scopo: portare la nostra voce, lasciare un segno...
Il mio pensiero in questo momento va ai tanti civili
che sono fuori da qui e a chi tra di noi esce spesso,
esponendo la propria vita al rischio.
Inizio anche io a vivere la guerra.
______________________________________________________
ALLA RICERCA DI AFGHANI
Herat, 11 luglio 2010 ore 10.30
E' il terzo giorno, oggi è domenica: la prima domenica
che trascorro in terra Afgana.
Anche se di "afgano" ho visto ben poco...
Non ho avuto ancora alcun contatto con nessuno della
popolazione o comunque con nessuna "fonte" del posto,
quello che ho visto intorno a me, fino ad ora,
mimetiche verdi che mi girano intorno (...ed io sono
uno di loro...), mezzi di trasporto, armi, polvere,
briefing di "benvenuto"...
Sono ancora frastornato e sto elaborando questa realtà,
devo prendere dimestichezza coi luoghi che all'interno
di "Camp Arena", questo il nome della base, dovrò
spesso o per lavoro o per “i ritagli di vita normale”
frequentare.
Devo entrare nel merito di ciò che sarà il mio reale
lavoro e per via dei tempi "burocratici" che
sistemeranno la mia posizione nell’organico, non ho
ancora fatto alcun “affiancamento”.
Comunque come dicono i tanti "veterani" del posto: “c'è
tempo e ci sarà tempo per far tutto ciò che porterà ad
entrare “nell' ottica" afghana”.
11
Sostanzialmente non ho capito che vogliano dire...
Sto comunque incontrando un sacco di gente (si conta
che siamo circa in tremila tra italiani e non), ci
lavora anche qualche civile "del posto", personale
afghano impiegato in lavori che vanno da quelli della
logistica a quelli manuali, dandoci, per quello che
vedo, un grosso aiuto.
Io, come tanti, ad oggi, ho solo avuto contatti con i
miei connazionali, colleghi che son quì da qualche mese
prima che arrivasse il mio gruppo e qualcuno è in
procinto di partire per tornarsene a casa.
Quelli come me, li riconosco a vista, ricordo le loro
facce, dato che siamo arrivati insieme dopo parecchie
ore di viaggio, perché, anche loro, hanno lo sguardo di
chi deve ancora integrarsi con l’ambiente, basta
vederli: espressioni di chi ancora non si rende conto
di dove è, siamo dei "pesci fuor d'acqua" e ancora non
ho fatto mio questo contesto.
Vorrei sfruttare questa situazione e prenderla come
un’opportunità, vorrei utilizzare questa esperienza per
"provare" a fare ciò che la mia passione richiede:
vivere questi momenti per poi divulgarli in qualche
modo.
Mettere nero su bianco tutto quello che vedo e che mi
succede intorno, scrivere le mie sensazioni, raccontare
questa realtà dal punto di vista mio personale e
paragonarla con ciò che i media riportano di questa
guerra, utilizzando tutti i materiali che raccolgo
anche per un futuro.
Da militare, eseguo ordini, mi attengo ad alcune
regole, alle quali qualsiasi altro civile non è
assoggettato, sono armato, indosso stellette e divisa,
12
ma come tanti "civili" vivo i momenti, ho le mie
passioni e riportare ciò che vedo entra tra le mie
idee.
Oggi con una famiglia, un figlio, il mutuo e le
bollette da pagare risulta essere sempre più difficile
conciliare il tempo con queste cose: quale migliore
occasione come questa.
Ho solo trentuno anni e di tempo ne ho: ci provo.
Mi rendo conto che la strada è insidiosa, mi mancano le
nozioni basilari e lo studio, il poco tempo a
disposizione, risulta essere sempre difficile.
Tuttavia, da quando scrivo per un giornale sto vedendo
venire fuori tutti i miei difetti: affiorano sempre le
mie lacune ortografiche e sintattiche, qualche
miglioramento lo sto avendo: questione di
allenamento!...Cerco di essere ottimista...
Visti questi tre giorni di "magra" assoluta, mi chiedo
se nei prossimi mesi avrò mai veri contatti con la
realtà del posto: in tal caso non riuscirò mai a fare
quello che è nel mio intento!
Vedremo...
Intanto, ho già una prima opportunità che potrei subito
sfruttare: proprio oggi, nel pomeriggio andrò a fare un
giro per i mercatini in un'area che le Forze ISAF (le
Forze di Coalizione presenti qui) hanno concesso ad
alcuni venditori: gente di Herat, qui all’interno
dell’aeroporto.
Venditori che sono stati autorizzati ad aprire le
proprie bancarelle all'interno della base e a vendere
la loro mercanzia: una sorta di "accordo" o
"convenzione" attuata per avvicinarci più a loro ed
allo stesso tempo dargli un’opportunità di lavoro, che
13
qui in Afghanistan sarebbe parecchio importante.
____________________________________________________
PASSEGGIATA PER IL BAZAAR (MERCATO)
Herat, 11 luglio 2010 ore 14.00
Nel primo pomeriggio e sotto un sole cocente, con un
gruppetto di colleghi ci rechiamo verso il bazaar, per
noi "occidentali" i "mercatini".
La mia "comitiva", in poco, tempo la perdo a causa
della moltitudine di gente accalcata in quest'area.
"Mimetiche" che vanno e vengono, tuttavia non mi
preoccupo tanto di aver perso il mio "gruppetto", penso
di poterlo ritrovare, anzi egoisticamente è un modo per
godermi da solo questa che per me può essere una novità
e scopro che per noi militari, l'occasione dei
mercatini è un grosso diversivo alla routine
quotidiana.
Un modo per staccare dalla vita in base e anche dai
rischi, credo che sia lo stesso anche per questa gente
che viene a vendere la sua merce: noi abbiamo la
possibilità di conoscerli da vicino e comprare qualcosa
di particolare da portare a casa e per loro una
possibilità per fare piccoli affari, credo, sia
economicamente che "moralmente".
Questo sarà il primo vero contatto che avrò con
qualcuno del posto e passando tra le bancarelle, i
venditori mi hanno destato parecchia curiosità.
L'area che è stata concessa a loro è vasta quanto una
piazza di una piccola città, più o meno: lo spazio
necessario per piazzarci alcune bancarelle, cercando di
accontentare quanta più gente possibile.