5
Introduzione
Il 5 ottobre 2011 rimarrà certamente impresso nella memoria collettiva
come il giorno in cui l’umanità ha perso un’icona e il settore dell’ high tech il
proprio guru. Il dolore planetario per la scomparsa di Steve Jobs è infatti
paragonabile, nei miei ricordi di Millennial , solo alla tragica fine di Lady
Diana.
Per tutta la giornata – ma anche nei giorni success ivi – si è assistito a
un’interminabile processione di ammiratori davanti alla residenza del CEO
storico di Apple Inc. e davanti agli Apple Stores di tutto il mondo, dov e sono
stati lasciati fiori, messaggi di ringraziamento, m ele morsicate
1
e prodotti
Apple accesi sulla homepage dell’azienda.
2
Quest’ultima, infatti, ha voluto
rendere omaggio al proprio fondatore sostituendo al la solita schermata
iniziale una sua foto in bianco e nero, corredata d elle date di nascita e di
morte.
3
Le maggiori cariche politiche dei Paesi occidentali hanno rilasciato
dichiarazioni di cordoglio per la perdita di una me nte brillante; fra tutte
spicca quella di Barack Obama, presidente degli Sta ti Uniti d’America:
The world has lost a visionary. And there may be no greater tribute to Steve’s success
than the fact that much of the world learned of his passing on a device he invented.
4
1
La mela morsicata, inizialmente dei colori dell’ir ide e dal 1997 interamente bianca o
trasparente, è da sempre il logo di Apple Inc.
2
Apple Inc. Ultimo accesso 16 ottobre 2011, http:// www.apple.com .
3
1955 - 2011
4
“Il mondo ha perso un visionario. E non vi può esse re tributo maggiore al successo di Steve del
fatto che gran parte del mondo ha appreso della sua scomparsa su un dispositivo da lui
inventato.” – “President Obama on the Passing of Steve Jobs: ‘ He changed the way each of us
sees the world’”, The White House Blog , 5 ottobre 2011, ultimo accesso 11 dicembre 2011,
6
Il Web, infatti, è stato letteralmente invaso da ri cordi, addii e omaggi
degli amici storici e del popolo della Rete. Primi fra tutti, però, sono apparsi
i messaggi di commiato dei grandi “rivali” di Stev e Jobs, gli altri giganti delle aziende
tecnologiche che negli anni hanno combattuto con Ap ple per il dominio dei rispettivi
settori, riportando vittorie e sconfitte e alimenta ndo essi stessi il mito del fondatore di
Apple ,
5
e cioè Bill Gates, Mark Zuckerberg, Sergey Brin, La rry Page e Dick Costolo.
6
Come ha scritto Aldo Grasso,
la morte di Steve Jobs… è stato il primo grande eve nto mediatico radicato nella Rete ed
esploso sulla Rete. Abbiamo visto il giovane popolo di Internet piangere uno dei suoi
profeti, ricordare le sue strepitose invenzioni, ri petere le sue frasi celebri come quel
‘Stay hungry, stay foolish’ … con cui nel 2005 scal dò la platea di laureati dell’Università
americana di Stanford.
7
Enfant terrible della Silicon Valley, Steve Jobs ha fondato e dirett o con
successo due aziende – Apple e NeXT Computers – e ne ha acquisita una
terza, la Pixar Animation . Cacciato dalla prima, ha fondato la seconda e ha
rilevato la terza, per poi tornare in Apple grazie al sistema operativo creato da
NeXT . E’ stato definito un genio, un visionario, il Leo nardo Da Vinci della
nostra epoca; è stato amato e odiato, accusato di o pportunismo e venerato
come un semi-dio, ma ciò che va sottolineato è che questo sia avvenuto, per
la prima volta nella Storia, in seguito alla scompa rsa di un imprenditore.
Negli ultimi tempi ho sentito diverse lamentele rig uardo
all’importanza attribuita a Steve Jobs, ad Apple Inc. e alla genialità dei
http://www.whitehouse.gov/blog/2011/10/05/president -obama-passing-steve-jobs-he-
changed-way-each-us-sees-world .
5
Mauro Munafò, “Lacrime digitali per Jobs, il web i nvaso dai ricordi”, la Repubblica , 6
ottobre 2011, ultimo accesso 21 ottobre 2011,
http://www.repubblica.it/tecnologia/2011/10/06/news /il_web_ricorda_steve_jobs-22783830 .
6
Bill Gates è fondatore ed ex-presidente di Microsoft Corporation , una delle più importanti
aziende d’informatica; Mark Zuckerberg è co-fondato re e amministratore delegato di
Facebook Inc. , il social network più diffuso; Sergey Brin e Larry Page sono i fondat ori di
Google Inc. , motore di ricerca per Internet; Dick Costolo è l’ attuale amministratore delegato
di Twitter , sito di microblogging .
7
Aldo Grasso, “In morte di Steve Jobs. La felicità di mordere la mela”, Sette , 6 ottobre 2011, 12-
13.
7
prodotti che nell’arco di oltre un trentennio sono scaturiti da questo rapporto
simbiotico – non lo si potrebbe definire altrimenti . C’è chi ritiene che Steve
Jobs fosse solo un imprenditore, chi sostiene che il mondo non sen tisse il
bisogno dell’iPad, chi pensa che in realtà egli non abbia inventato nulla.
Alle lamentele potrebbero rispondere ad esempio i n on vedenti, che da
qualche anno riescono a utilizzare i dispositivi Apple grazie all’ausilio di una
voce guida; potrebbero rispondere migliaia di alber i che non sono stati
abbattuti grazie allo scambio di files prima su floppy , poi tramite le porte USB
e ora via iCloud; potrebbero rispondere anche i mil ioni di persone che dagli
Anni Settanta hanno incominciato a utilizzare il co mputer non più solo per
lavoro, dando origine a un’alfabetizzazione informa tica di massa che dalla
Silicon Valley si è via via propagata alla Californi a, agli Stati Uniti, all’Europa
– in breve, al mondo intero.
Steward Brand (2011) ha scritto:
radicals in Berkeley were still demanding “Power to the People!”. Computer hobbyists
like Steve [Jobs] and Steve [Wozniak] demanded nothing. With personal computers,
they knew they were creating the real thing: giving power to people.
8
Steve Jobs non era solo un imprenditore per il semplice fatto che aveva
il sogno di democratizzare la tecnologia e avvicina rvi tutti, convinto che fosse
un passo verso il progresso.
Forse il mondo non sentiva il bisogno dell’iPad, ma potremmo dire lo
stesso di tanti altri prodotti; perlomeno il tablet ha la praticità di un
computer ed è più leggero e facilmente trasportabil e. Inoltre è intuitivo come
tutti gli altri prodotti Apple , perciò può essere facilmente utilizzato anche da
8
“I radicali di Berkeley chiedevano ancora “Potere a lla Gente!”. Gli appassionati di computer
come Steve [Jobs]e Steve [Wozniak] non chiedevano n ulla. Con i personal computers sapevano
che stavano dando corpo alla cosa: dare potere alla gente.” – Steward Brand, “More Stories
About Steve”, Bloomberg Businessweek , 10 ottobre 2011, 44.
8
bambini e digital immigrants ,
9
che magari si sentono più a loro agio se il
dispositivo elettronico non si chiama ‘computer’.
Probabilmente Steve Jobs non ha inventato nulla: no n era un
informatico, non era laureato, non sapeva disegnare – la lista sarebbe lunga.
La sua genialità stava nell’abilità di ricombinare elementi già esistenti in
qualcosa di nuovo o nel riuscire a guardare avanti, senza curarsi di ciò che
poteva ostacolare il cammino verso il dispositivo c he aveva immaginato.
Soprattutto, però, come ha dichiarato Dini (2011),
la genialità di Jobs è stata nel “saltare” dalla cu rva in ascesa di una tecnologia alla
successiva, prima che questa si esaurisse.
10
Questa tesi non vuole però essere un elogio di Stev e Jobs e della sua
capacità imprenditoriale, ma una breve panoramica d ell’importanza della
leadership per la reputazione dell’impresa e per il suo succe sso. Nulla di tutto
questo sarebbe stato possibile, infatti, se Jobs no n avesse avuto alle spalle
un’azienda – la sua azienda – forte e solida ma, al tempo stesso, rapi da e
flessibile. Apple Inc. è stata forgiata secondo i suoi canoni e a sua imm agine e
quando egli ne è stato allontanato, nel 1985, si è avviata verso una fase di
declino; ma nel 1997 egli è riuscito a tornare e l’ ha salvata. Da allora non si
sono più lasciati, fino alla sua scomparsa di poche settimane fa. Sembra una
storia d’amore e sicuramente lo è stata.
Tutto il mondo si chiede cosa succederà ora che Ste ve Jobs non c’è più.
Che ne sarà di Apple ? Tim Cook sarà capace di mantenerla solida come Jo bs
l’ha resa negli ultimi anni? L’intento di questa te si è proprio quello di
delineare dei possibili scenari post-Jobs, muovendo dalla leadership e
dall’azienda.
9
Comunemente, per digital immigrant si intende un individuo nato prima dell’esistenza
delle tecnologie digitali (computer, Internet, tele foni cellulari, lettori MP3 etc.) e che ha
quindi dovuto adottarle in un secondo tempo. Questa figura si contrappone a quella del
digital native , che è invece cresciuto circondato dalle nuove tec nologie.
10
Dini, intervista con la laureanda.
9
Nel primo capitolo mi occuperò del concetto di leadership e della
cultura organizzativa, i due pilastri sui quali Job s ha fondato Apple .
Percorrerò le teorie della leadership dagli Anni Quaranta a oggi, trattando in
particolare della leadership carismatica e della leadership visionaria – le due
teorie che più si avvicinano allo stile direttivo d i Steve Jobs.
Nel secondo capitolo analizzerò il rapporto partico lare che lega Jobs
all’azienda di Cupertino, cominciando con la storia dell’azienda per poi
chiedermi come questa funzioni davvero. Analizzerò quindi elementi
importanti quali immagine, reputazione, mission , vision e così via, fino a
giungere nuovamente alla cultura organizzativa stes sa. Studierò poi i tratti
unici e distintivi di Jobs, insiti nell’azienda: fo calizzazione, dispotismo,
perfezionismo, elitismo, passione e inventiva.
Nel terzo capitolo solleverò la questione più spino sa, cioè la vita in
Apple dopo la scomparsa di Steve Jobs: l’azienda e il su o fondatore
coincidono o essa può sopravvivergli? Analizzerò qu indi le mosse di Steve
Jobs nel preparare l’azienda alla sua scomparsa e i l suo successore nel ruolo di
CEO: Tim Cook.
Figura 1. Il sito web di Apple Inc. all’indomani della scomparsa di Steve Jobs.
10
I. L’iLeader
“I think I have five more great products in me”, St eve Jobs said a very long time
ago. He was 31 at the time and barreling up Route 1 01 in Silicon Valley, en route to a
meeting in San Francisco. Having been kicked out of Apple, which he’d co-founded a
decade before, Jobs was wholly engaged in the act o f starting up a new company, which
he had named – of course! – NeXT. […] The businessm an I met 25 years ago violated
every rule of management. He was not a consensus-bu ilder but a dictator who listened
mainly to his own intuition. He was a maniacal micr omanager. He had an astonishing
aesthetic sense, which businesspeople always lack. He could be absolutely brutal in
meetings… Steve Jobs… was arrogant, sarcastic, thou ghtful, learned, paranoid and
“insanely” (to use one of his favorite words) chari smatic. The Steve Jobs the rest of the
world has gotten to know in the nearly 15 years sin ce he returned to Apple is no
different.
11
Così scriveva Joe Nocera, giornalista del New York Times , il 26 agosto
2011, cioè due giorni dopo le dimissioni di Steve J obs da CEO di Apple Inc . Ho
scelto proprio questa descrizione di Jobs, nonostan te la grande abbondanza
di articoli a lui dedicati negli ultimi mesi, per d ue motivazioni.
La prima è che Nocera sottolinea come il carattere e l’approccio al
management di Steve Jobs non siano affatto mutati negli anni. Jobs ha sempre
fatto affari muovendosi controcorrente, senza segui re i dettami del mercato e
imponendo le proprie intuizioni. Inoltre non si è m ai impegnato a costruire
attivamente consenso intorno alla propria persona, né fra i collaboratori, né
11
““Penso di avere ancora cinque grandi prodotti dentr o di me”, disse Steve Jobs parecchio
tempo fa. All’epoca aveva 31 anni e sfrecciava attr averso la Silicon Valley sulla Route 101, in
viaggio verso San Francisco per una riunione. Cacci ato da Apple, che aveva co-fondato un
decennio prima, Jobs era totalmente occupato nell’a vvio di una nuova società, che aveva
battezzato – ovviamente! - NeXT. […] L’uomo d’affar i che incontrai 25 anni fa violava ogni
regola del management. Non era un creatore di conse nso ma un dittatore che ascoltava
principalmente le proprie intuizioni. Era un microm anager maniacale. Aveva un senso estetico
sorprendente, di cui gli uomini d’affari mancano se mpre. Poteva essere assolutamente brutale
nelle riunioni… Steve Jobs… era arrogante, sarcasti co, pensieroso, istruito, paranoico e
“follemente” (per usare una delle sue parole prefer ite) carismatico. Lo Steve Jobs che il resto del
mondo ha conosciuto nei quasi quindici anni trascor si dal ritorno in Apple non è diverso. ” - Joe
Nocera, “What Makes Steve Jobs Great”, The New York Times , 26 agosto 2011, ultimo accesso
4 novembre 2011, http://www.nytimes.com/2011/08/27/ opinion/nocera-what-makes-steve-
jobs-great.html .
11
fra i consumatori; questo non gli ha però impedito di goderne. E non
dimentichiamo poi la sua mania per l’estetica dei p rodotti, la sua mancanza
di diplomazia e il suo carattere particolarmente di fficile. Sta di fatto che Jobs
non ha mai cambiato atteggiamento e probabilmente q uesto ha contribuito a
decretarne il successo come imprenditore.
La seconda motivazione della mia scelta è l’aggetti vazione che Nocera
sceglie per descrivere Steve Jobs. Fra tutti spicca proprio l’aggettivo che lo
inquadra maggiormente: carismatico. Secondo l’Encic lopedia Treccani,
“carisma” deriva dal latino ecclesiastico charisma , che proviene a sua volta dal
greco χάρις ( chàris ), “grazia”, intesa nell’ambito religioso come un d ono
straordinario concesso a una persona a vantaggio de lla comunità. Il termine
“carisma” è stato poi introdotto nell’ambito delle scienze sociali da
Maximilian Weber (1864-1920) come l’insieme delle f acoltà e dei poteri
straordinari riconosciuti a un individuo dal gruppo o dalla società e che gli
permettono di assumere un ruolo direttivo.
12
Ciò che a noi interessa
maggiormente è però la successiva estensione di sig nificato, che vede il
carisma come la
capacità di esercitare, grazie a doti intellettuali o fascino personale, un forte
ascendente sugli altri e di assumere la funzione di guida, di capo.
13
E’ innegabile il fatto che Steve Jobs fosse estrema mente abile
nell’esercitare il proprio ascendente su collaborat ori, consumatori, giornalisti
etc. Senza questa capacità probabilmente non sarebb e stato in grado di
convincere Steve Wozniak, nel 1976, a fondare Apple Computer , né Mike
Markkula, l’anno successivo, a giocare il ruolo di angel investor nell’avvio
dell’impresa.
12
Maximilian Weber, Wirtschaft und Gesellschaft. Grundriß der verstehen den Soziologie
(Tübingen: Mohr Siebeck Verlag, 1964).
13
“Carisma”, Enciclopedia Treccani, ultimo accesso 4 novembre 2011,
http://www.treccani.it/vocabolario/carisma .
12
Questo potere carismatico ha contribuito a fare di Steve Jobs anche un
grande leader , oltre che un grande imprenditore. Il carisma, per ò, da solo non
è sufficiente: secondo Jay Conger (1990),
when a leader’s behaviors become exaggerated, lose touch with reality, or become
vehicles for purely personal gain, they may harm th e leader and the organization.
14
Nel 1985, infatti, Steve Jobs fu estromesso da Apple dopo aver creato
una fortissima competizione tra il team che aveva progettato il Macintosh e il
resto dell’azienda.
15
Ritrovandosi improvvisamente senza poter lavorare a
quello che per anni era stato il suo progetto, Jobs colse l’occasione per
riflettere e trovare il lato positivo del proprio f allimento pubblico. Da lì
l’esperienza in NeXT , che lo cambiò profondamente:
The Steve Jobs who returned to Apple was a much mor e capable leader – precisely
because he had been badly banged up ,
16
come scriveva Randall Stross (2010) in un articolo dell’anno scorso.
Quando ritornò in Apple , Steve Jobs aveva imparato a mantenere un clima di
collaborazione all’interno dell’azienda, a delegare e a trattenere i talenti, tre
caratteristiche fondamentali di una buona leadership .
Ma cosa s’intende, precisamente, con il termine “leadership” ? Esiste
una definizione universalmente accettata? Su cosa s i fonda?
14
“Quando i comportamenti di un leader diventano esag erati, perdono contatto con la realtà o
divengono veicolo di meri profitti personali, posso no danneggiare il leader e l’organizzazione.”
– Jay A. Conger, “The Dark Side of Leadership”, Organizational Dynamics 19 (1990): 44.
15
La vicenda è narrata molto bene nel film “Pirates of Silicon Valley” (1999, in Italia “I pirati di
Silicon Valley” ) di Martin Burke, basato sul libro “Fire in the Valley: The Making of The
Personal Computer” di Paul Freiberger e Michael Swaine.
16
“Lo Steve Jobs che ritornò in Apple era un leader m olto più capace – precisamente perché era
stato malamente sbattuto fuori.” – Randall Stross, “What Apple’s Steve Jobs Learned in the
Wilderness”, The New York Times , 2 ottobre 2010, ultimo accesso 4 novembre 2011,
http://www.nytimes.com/2010/10/03/business/03digi.h tml?adxnnl=1&adxnnlx=1320429938-
F8ZB7qXVZYQHZIhDNU34eg .
13
I.1. Il concetto di leadership
Non esiste una definizione di leadership universalmente riconosciuta:
è un termine troppo vago perché possa avere lo stes so significato per
chiunque. Inoltre, comporta una complessa interazio ne fra il leader , i
collaboratori e la situazione contingente.
Esiste però un filo conduttore tra le varie definiz ioni che ne sono state
date: l’influenza sociale, cioè l’abilità di influe nzare i collaboratori a
perseguire volontariamente i traguardi organizzativ i. All’interno di un
contesto organizzativo, infatti, la leadership è stata definita da Chester
Schriesheim, James Tolliver e Orlando Behling (1978 ) come
un processo di influenza sociale nel quale il leade r cerca la partecipazione volontaria
dei collaboratori nello sforzo per il raggiungiment o dei traguardi organizzativi.
17
Tom Peters e Nancy Austin (1985) l’hanno invece des critta in termini
più ampi:
Leadership significa visione, entusiasmo, amore, fi ducia, verve, passione, ossessione,
coerenza, uso di simboli… perfetta drammaticità (e la gestione che ne deriva),
creazione di eroi a tutti i livelli, coaching, effi cienza, e molte altre cose. La leadership
deve essere presente a tutti i livelli organizzativ i. Dipende da un milione di piccole cose
fatte con ossessione, coerenza e cura ma tutto ques to milione di piccole cose non
porta a nulla se la fiducia, la visione e la convin zione di base non sono presenti.
18
Il concetto di leadership implica però qualcosa che va oltre l’autorità e
il mero esercizio del potere. Perché esista un leader , infatti, è necessario che
vi siano anche dei followers , cioè degli individui non votati a trascinare le
folle quanto a far parte di quest’ultime. In queste definizioni manca, quindi,
proprio la prospettiva dei followers , che cercano, rispettano e ammirano chi
alimenta in loro tre risposte emotive: i sentimenti d’importanza, di comunità
e di entusiasmo.
17
Chester A. Schriesheim, James M. Tolliver e Orland o C. Behling, “Leadership Theory: Some
Implications for Managers”, MSU Business Topics (1978): 35.
18
Tom Peters e Nancy Austin, A Passion for Excellence (New York: Random House, 1985), 5-6.
14
Il sentimento d’importanza si risveglia quando i followers sentono che
il lavoro di ciascuno è degno di nota; questo li sp inge allora gli uni verso gli
altri e dà vita al sentimento di comunità: i followers si trattano con rispetto e
dignità e si impegnano a lavorare insieme perseguen do gli obiettivi
dell’organizzazione. Lavorando insieme in un clima di unità è allora facile
raggiungere il sentimento di entusiasmo, grazie al quale la gente si impegna
nel proprio lavoro e si sente piena di energie.
19
I.2. Leadership vs. management
Nonostante i tratti comuni siano parecchi – l’influ enza sociale, il
lavoro con e sulle persone, il raggiungimento degli obiettivi organizzativi –
non bisogna però confondere il processo di leadership con il management .
Come spiega Bernard Bass (1990),
leaders manage and managers lead, but the two activ ities are not synonymous.
20
La principale funzione della leadership è di produrre movimento e di
portare al cambiamento, adattivo – per sopravvivere – o costruttivo. Il leader
dà ispirazione e sostegno emotivo, sprona i collabo ratori nel raggiungimento
degli obiettivi comuni, crea la vision e il piano strategico dell’organizzazione;
in poche parole, fa le cose giuste .
La finalità primaria del management , invece, è di provvedere all’ordine
e alla coerenza dell’organizzazione, rendendola sta bile. Il manager si occupa
della pianificazione e del controllo, investiga e o rganizza, amplia la vision e
19
Robert Kreitner e Angelo Kinicki, Comportamento organizzativo. Dalla teoria all’esper ienza
(Milano: Apogeo, 2008), 344-45.
20
“I leaders gestiscono e i managers guidano, ma le d ue attività non sono sinonimo l’una
dell’altra.” – Bernard M. Bass, Bass & Stogdill’s Handbook of Leadership: Theory, R esearch,
and Managerial Applications (New York: Free Press, 1990), 383.
15
mette in atto il piano strategico dell’organizzazio ne, ideati dal leader ; in
sostanza, il manager fa le cose nel modo giusto .
Un’altra differenza rilevante giace nelle modalità con cui si svolgono le
stesse attività di management e di leadership . Nella pianificazione del
bilancio, ad esempio, il manager si occuperà principalmente di stabilire
un’agenda dettagliata e di allocare le risorse nece ssarie in modo efficiente per
raggiungere gli obiettivi organizzativi; il leader , invece, penserà a stabilire la
direzione dell’organizzazione e il quadro generale, costruendo una vision di
lungo termine, e ad elaborare una strategia per met tere in atto i cambiamenti
organizzativi necessari. Nel reclutamento del perso nale, per fare un altro
esempio, il manager si concentrerà nella strutturazione del lavoro dei singoli,
delle loro relazioni all’interno dell’organizzazion e e del contesto fisico in cui
questi lavoreranno; il leader , invece, si occuperà di comunicare la vision agli
impiegati, di coinvolgerli e di costruire con loro gruppi di lavoro che possano
rispondere pienamente alla mission dell’organizzazione.
21
Edgar Schein (1992) sostiene, invece, che
the unique function of leadership that distinguishe s it from management and
administration is this concern for culture. Leaders create culture and… must manage
and sometimes change culture.
22
L’interesse per la cultura organizzativa, come abbi amo visto in questo
paragrafo, non è certamente l’unica differenza tra leadership e management .
Il rapporto esistente fra leadership e cultura organizzativa va però
approfondito, soprattutto per quanto riguarda le or ganizzazioni il cui leader è
anche il fondatore o co-fondatore, come Apple Inc.
21
Peter G. Northouse, Leadership. Theory and Practice (Thousand Oaks: SAGE Publications,
1997), 8-9.
22
“L’unica funzione della leadership che la distingue dalla gestione e dal controllo è questo
interesse per la cultura. I leaders creano cultura e… devono gestire e a volte cambiare la
cultura.” – Edgar H. Schein, Organizational Culture and Leadership (San Francisco: Jossey-
Bass Publishers, 1992), 209.
16
I.3. Leadership e cultura organizzativa
Il concetto di “cultura organizzativa” divenne popo lare nei primi Anni
Ottanta, ma gli studi al riguardo iniziarono oltre trent’anni prima. Le prime
definizioni si focalizzavano sui diversi livelli de lla cultura aziendale e sulla
contrapposizione tra culture forti e culture deboli ; molte, inoltre, davano
maggiore importanza alle componenti cognitive – ass unti, credenze, valori –,
mentre altre espandevano il concetto per includere comportamenti e
artefatti, portando a una comune distinzione fra i livelli visibili e i livelli
nascosti della cultura organizzativa. Per contrasta re queste visioni – o forse
per farle coincidere – bisognerà attendere la defin izione di cultura
organizzativa di Edgar Schein (1992), che vedremo p iù avanti.
23
Il primo modello di cultura organizzativa si deve a Geert Hofstede, che
dal 1973 al 1978 studiò le diverse strutture mental i di 115 mila impiegati di IBM
distribuiti in 50 Paesi. Hofstede (1984) identificò le cinque dimensioni in cui,
a suo avviso, le culture nazionali si differenziava no: la distanza dal potere (la
misura in cui gli individui meno potenti accettano che il potere sia distribuito
in maniera diseguale all’interno dell’organizzazion e), l’individualismo
(contrapposto al collettivismo), la mascolinità (un a cultura maschile
enfatizza lo status, mentre una cultura femminile p resta maggiore attenzione
alle relazioni interpersonali e al benessere organi zzativo), il rifiuto
dell’incertezza (la misura in cui ci si sente minac ciati da situazioni
destrutturate) e l’orientamento a lungo termine (i valori associati a questa
dimensione sono perseveranza e parsimonia, contrapp osti al rispetto delle
tradizioni e all’adempimento delle obbligazioni soc iali, valori tipici
dell’orientamento al breve periodo). La ricerca di Hofstede è particolarmente
importante perché sottolinea come la cultura nazion ale e la cultura
organizzativa siano diverse: la cultura nazionale s caturisce dalla coerenza dei
23
Kathryn A. Baker, “Organizational culture”, in Organizational Culture: An Introduction , a
cura di Nasreen Taher (Hyderabad: ICFAI University Press, 2004), cap. 11.
17
valori, mentre quella organizzativa deriva principa lmente dalla coerenza
delle pratiche aziendali.
24
Sulla scia del modello di Hofstede, Charles O’Reill y, Jennifer Chatman
e David Caldwell (1991) svilupparono un modello bas ato sull’idea che le
culture organizzative potessero essere comparate at traverso uno studio dei
diversi valori in esse presenti. I tre studiosi def inirono il coinvolgimento
organizzativo ( organizational commitment ) come l’integrazione fra la
specificità organizzativa (struttura e cultura spec ifiche dell’organizzazione) e
la specificità individuale (personalità e motivazio ne specifiche dell’individuo)
ed elaborarono l’ Organizational Culture Profile (OCP), uno strumento
costituito da sette valori che descrivevano il prof ilo organizzativo e quello
individuale: innovazione, stabilità, rispetto per l e persone, orientamento al
risultato, attenzione al dettaglio, capacità di lav orare in gruppo e aggressività.
I valori rilevati dovevano quindi essere posti in c orrelazione e se ne otteneva
l’indice d’integrazione reciproca tra individuo e o rganizzazione. Il modello
non intendeva misurare l’influenza della cultura or ganizzativa sulla
performance , ma l’associazione tra la specificità individuale e quella
organizzativa: è stato dimostrato, infatti, che se i valori degli individui sono
contigui a quelli dell’organizzazione, esiste una c orrelazione positiva con la
soddisfazione individuale del lavoratore, il suo co involgimento organizzativo,
il contenimento del turnover e la qualità della performance .
25
Daniel Denison (1990) presentò invece quattro diver se prospettive
inerenti al funzionamento della cultura organizzati va, traducibili in quattro
concetti distinti:
24
Geert H. Hofstede, Culture’s Consequences: International Differences i n Work-Related
Values (Thousand Oaks: SAGE Publications, 1984).
25
Charles A. O’Reilly III, Jennifer Chatman e David F. Caldwell, “People and Organizational
Culture: A Profile Comparison Approach to Assessing Person-Organization Fit”, The
Academy of Management Journal 34 (1991): 487-516.
18
- il concetto della coerenza: una prospettiva comune, credenze
condivise e valori collettivi miglioreranno il coor dinamento
interno e promuoveranno un senso d’identificazione da parte
dei membri dell’organizzazione;
- il concetto della mission : un obiettivo, una direzione e una
strategia condivisi coordineranno e galvanizzeranno i membri
dell’organizzazione, spingendoli verso obiettivi co muni;
- il concetto del coinvolgimento o della partecipazio ne: il
coinvolgimento e la partecipazione contribuiranno a creare un
senso di responsabilità e di comproprietà, portando quindi al
coinvolgimento organizzativo e alla lealtà;
- il concetto dell’adattamento: norme e credenze che migliorino
la capacità di un’organizzazione di ricevere, inter pretare e
tradurre i segnali dell’ambiente esterno in cambiam enti
organizzativi promuoveranno la sua sopravvivenza, l a sua
crescita e il suo sviluppo.
Questi quattro concetti si concentrano su due diver si aspetti della
cultura ma, soprattutto, pongono l’accento su due s ue diverse funzioni, come
illustrato in Tabella 1.
stabilità / controllo cambiamento / flessibilità
interno coerenza coinvolgimento / partecipazione
esterno mission adattamento
Tabella 1. Matrice dei concetti di Denison (1990) s ulla cultura organizzativa.
I primi due concetti tendono a promuovere la stabil ità; i due seguenti
sono invece orientati al cambiamento e all’adattame nto. Il primo e il terzo
concetto vedono la cultura in chiave di dinamiche i nterne all’organizzazione;