7
INTRODUZIONE
A partire dal case study «Boris», innovativa serie
italiana in onda sui canali satellitari Fox e poi Fx, la tesi prova
ad esplorare il mondo delle audience contemporanee, sempre
piø fluttuanti e diffused; le tendenze globali e i fenomeni piø
italiani; il contesto di cultura convergente in cui tutti noi siamo
immersi, che vede l’ibridazione di convergenza mediatica,
intelligenza collettiva e cultura partecipativa, come sostenuto
da Henry Jenkins; le vecchie e nuove competenze richieste agli
utenti di media nel prossimo futuro.
In particolare nella tesi si parla di quell’ibrido tra
audience e fan che partecipa ad eventi pubblici, è attivo on line,
e che si costituisce in micro – comunità di gusto legate
dall’oggetto di culto, in questo caso un serie televisiva.
Una meta-serie, anzi, perchØ si tratta di una serie sul
dietro le quinte di una fiction tv. La premessa narrativa è letta
in questa sede come una forma di media literacy, capace di
stimolare, se non addirittura di accrescere, le competenze
mediali delle proprie audience, attraverso il gioco della messa a
nudo dei meccanismi della produzione televisiva, uniti ad una
8
satira abrasiva sul sistema televisivo italiano, estendibile al
sistema paese.
Accanto a Boris, vengono fatti esempi di altre meta-
serie di culto d’oltreoceano, quali Extras (Bbc), Studio 60 on
the Sunset Strip (Nbc), 30 Rock (Nbc), Entourage (Hbo). I
prodotti sono confrontati tra loro rispetto soprattutto alle
strategie di coinvolgimento delle audience e alle competenze
mediali attivate.
Il lavoro propone anche uno sguardo panoramico
all’altro lato della medaglia, la produzione, ovvero come si
muovono le media companies nel contesto attuale, in costante e
imprevedibile mutamento, quali sono le risposte che offrono
alla domanda di partecipazione delle audience engaged. Lo si
fa attraverso l’occhio dei «produttori creativi» di Boris, ovvero
i suoi autori.
Quanto pesa e peserà l’engagement nella creazione e
diffusione di contenuti mediali? E’ un’altra domanda cui si
tenta, se non di dare una risposta, almeno di soffermare
l’attenzione.
Infine, nel terzo capitolo, è presente la parte applicativa
del lavoro, una ricerca etnografica condotta sulle audience-fan
di Boris, attraverso interviste in profondità (a 6 spettatori di
9
Boris, divisi tra «addetti ai lavori»- ovvero operatori del settore
media come registi, montatori, producer etc – e «non addetti ai
lavori» - studenti universitari, compresi in un range di età dai
24 ai 30 anni). Tra gli obiettivi della ricerca : capire come mai
Boris è diventata una serie di culto in Italia; studiarne le
modalità di fruizione e l’influenza di Internet nella diffusione
del prodotto; studiare i livelli di coinvolgimento emotivo,
cognitivo e partecipativo rispetto a temi, personaggi e stili del
prodotto (engagement); evidenziare le competenze (di genere,
cognitive, mediali, digitali) mobilitate. Sia negli “addetti ai
lavori” che non. Conclude il lavoro di tesi un report finale di
ricerca sui dati raccolti, come le interviste e durante due
osservazioni partecipanti in occasione di eventi pubblici targati
Boris
10
11
CAPITOLO 1
PREMESSE TEORICHE. THE COLD OPEN
Stagione Veroamore.
1
«Era la prima stagione. Ero una donna single. E Lost me
lo guardavo io e il mio divano. Era la terza stagione e
cominciavo a vedermi con LUI. Mai di lunedì (non aveva visto
le prime due serie, non avrebbe capito nulla, deconcentrandomi
con richieste di spiegazioni). Alla quarta stagione avevo una
figlia (sono una decisionista. Eppoi con LUI era veroamore),
ma ho fatto un patto: dovevo poter vedere Lost. LUI ha capito,
perchØ era il veroamore. Così in caso di risvegli, colichette,
poppate, ci pensava LUI. PerchØ Lost non può essere registrato
e guardato poi. Il suo bello è commentarlo immediatamente
dopo (noi di Lost non siamo pochi, sapete. E abbiamo anche
una certa influenza: la prima puntata di quest’anno rischiava il
posticipo per fare spazio al discorso sullo stato della nazione di
Obama, a reti unificate. Ma il suo staff gli ha consigliato di
1
Volpe M., Stagione Veroamore, «D la Repubblica delle Donne»,
17/04/2010
12
spostarlo. Bravi). Quando c’è stato lo sciopero degli
sceneggiatori e le puntate sono slittate è stato un casino. Avevo
già prenotato un trullo in riva al mare, senza tv; quelle cose che
uno fa eppoi si dice, perchØ? Ma LUI mi mandava i file video
che riuscivo a scaricarmi all’internet point del paese piø vicino,
guardandomeli poi sul portatile. A questo punto, converrete,
LUI è di sicuro il veroamore. La quinta serie non mi ha
entusiasmato, ma non è che smetti di amare un uomo perchØ ha
un momento no. Ora, alla sesta, mi organizzo in vista
dell’inevitabile vuoto. Niente piø attese per la serie successiva,
niente piø clic sui blog in cerca di anticipazioni, nØ discussioni
su « L’uomo giusto per Kate è Sawyer o Jack» (Sawyer), « I
viaggi nel tempo danno la possibilità di cambiare anche il
passato? E fino a che punto». Cosa faremo dopo? Un altro
figlio, probabilmente, visto che l’appartamento lo abbiamo già
ristrutturato. Un’altra serie così non ci sarà. Me ne posso fare
una ragione, purchè me lo promettano: non ci faranno il film.
Che non me li rovinino, come hanno rovinato quelle povere
ragazze di Sex & the City. Preferisco la nostalgia alla
delusione. Come sempre nel veroamore».
13
Nell’articolo che fa da incipit al presente capitolo gli
studiosi delle audience contemporanee ritroveranno temi e
trends sempre piø presenti nelle loro ricerche. Per cominciare,
solo venti o trenta anni fa un articolo simile non si sarebbe
potuto leggere su nessun giornale. Download, file video, blog,
forum sono parte così fondante della modernità, che si danno
per scontati e se ne fa un uso automatico, ma non lo erano fino
al passato piø prossimo. I media sono realmente costitutivi
della vita quotidiana
2
, inestricabilmente legati ad essa. Prima
dell’avvento del web 2.0 però, le discussioni sui prodotti cult
(non solo mediali, anche se questi si candidano piø
spontaneamente ad assurgere a tale ruolo) avvenivano
esclusivamente all’interno di nicchie, o «subculture» di
appassionati, e le tracce di tale attività non erano visibili come
sta succedendo ora. Le audience si fanno rumorose, il web è lo
strumento privilegiato per far sentire la loro voce. Una voce
che le media companies dovrebbero imparare (e forse stanno
lentamente imparando) ad ascoltare. E non per filantropia o
generosità, che non sono certo i driver del loro agire, ma
perchØ la loro influenza ha una indiscutibile ricaduta sociale e
soprattutto economica. «Le media companies sono obbligate a
2
Abercrombie N., Longhurst B., Audiences, A sociological theory
of Performance and Imagination, SAGE Publications Ltd, London, 1998
14
rivalutare la natura dell’impegno degli utenti e il valore della
partecipazione dell’ audience in risposta ad un cambiamento
dell’ambiente mediale caratterizzato da una digitalizzazione e
un flusso mediale attraverso piø piattaforme, l’ulteriore
frammentazione e diversificazione del mercato mediale, e
l’aumento della forza e della capacità degli utenti di plasmare il
flusso e la ricezione dei contenuti mediali
3
».
Chi sono i «noi di Lost» che hanno così tanta influenza
da far spostare un discorso tv del Presidente degli Stati Uniti?
Come si muovono nel mediascape contemporaneo? Come
cambiano i loro comportamenti in seguito all’avvento di
internet, della tv digitale e della proliferazione di contenuti
mediali multipiattaforma? Si tratta della parte piø attiva e
cutting edge di quelle che Abercrombie e Longhurst
definiscono audience diffuse
4
. Si tratta dei fans
5
.
3
http://www.henryjenkins.org/2008/03/the_moral_economy_of_web_20_pa.
html in Andò R., Marinelli A., PerchØ studiare il fandom?Obiettivi e metodi
delle ricerca sulle audience, 25/05/2009, consultabile all’indirizzo
http://wip.scriptaweb.eu/pratiche-sociali-ambienti-
digitali/2009/05/19/perche-studiare-il-fandom-obiettivi-e-metodi-della-
ricerca-sulle-audience/
4
Ibidem.
5
Essere fan non è l’unico modo di essere audience. Si riporta una
sintetica schematizzazione di Sorice (Sorice M., Alla ricerca dell’audience
perduta, «Economia della cultura», a. XVII, n. 3, 2007) sulle varie teorie
succedutesi nel tempo, raggruppate in quattro macro-aree dipendenti dai
15
diversi paradigmi di ricerca, dalle diverse teorie di riferimento e dalle
diverse idee di «società» (e dall’evoluzione tecnologica) soggiacenti alle
varie tradizioni della media research. Quattro «etichette» dunque, per
riassumere il quadro delle ricerche.
La prima definisce l’audience come massa manipolabile di
individui alienati. Essa fa riferimento ai diversi tipi di audience derivanti
dalla teoria ipodermica, dalle prime ricerche nate nell’ambito della
sociologia funzionalista dei media statunitense a molti degli approcci
sviluppatisi nell’alveo della cosiddetta teoria critica.
La seconda considera l’audience come pubblico di cittadini
coscienti dei loro diritti. In questo caso il riferimento va a un gruppo di
teorie e approcci disciplinari sviluppatisi lungo un ampio arco temporale,
dai primi studi di Katz e Lazarsfeld sul ruolo degli opinion leaders (two
steps flow of communication) all’approccio Uses & Gratifications fino alle
prime ricerche (sorte all’interno della Scuola di Birmingham) sulle capacità
di resistenza da parte del pubblico dei media. Emerge l’immagine di uno
spettatore attivo: in grado cioè di costruire attivamente il senso dei prodotti
che consuma, di attribuire senso ai programmi in modo relativamente libero
dalla struttura del testo, servendosene per i suoi interessi, le sue conoscenze
e le sue esperienze.
La terza etichetta rappresenta l’audience come insieme di mercati
con specifiche caratteristiche socio-demografiche: tale definizione fa
riferimento alla vasta area di studi che muovendosi dalle ricerche
motivazionali giunge da una parte al marketing e dall’altra all’articolato
universo dei metodi di misurazione dell’audience. Questa etichetta
tipologica rappresenta l’idea di audience soggiacente alle tradizionali
ricerche sull’ascolto televisivo. Si tratta, in sostanza, di un pubblico
statistico, fatto di una media di individui e solitamente studiato attraverso
survey. La rappresentazione del pubblico televisivo, e in particolare quella
che in Italia proviene dalle rilevazioni dell’Auditel, ha proprio queste
caratteristiche (la «correttezza» di questa rappresentazione dell’ audience
verrà esaminata nel paragrafo Ratings vs Engagement del secondo capitolo).
Una quarta etichetta, infine, è quella che teorizza l’audience come
partner interattivi capaci di avere un controllo attivo dei processi
comunicativi. In tale area si collocano alcune delle tendenze piø attuali della
ricerca sull’audience: dalle ricerche nate nell’ambito dei Cultural Studies
alle teorizzazioni di Abercrombie e Longhurst sulle diffused audience, dagli
studi sugli utenti dei new media fino alle ricerche sulle forme di
16
1.1. Dalle audience diffuse ai fan.
La tripartizione dell’audience elaborata nel 1998 da
Nick Abercrombie e Brian Longhurst si fonda sulla
successione nel corso del tempo (tripartizione diacronica) e al
contempo sulla compresenza nelle diverse forme di fruizione
mediale (tripartizione sincronica) di tre tipi di audience: simple,
mass e diffused. In estrema sintesi: la simple audience si fonda
su un legame molto stretto tra emittente e ricevente, in un
quadro comunicativo immediato e diretto (un concerto, uno
spettacolo teatrale). La mass audience si fonda su una fruizione
despazializzata, come per esempio nella partecipazione
domestica a qualunque tipo di spettacolo; il processo
comunicativo è reso possibile dalla mediazione esercitata dai
mezzi di comunicazione. La distanza performer-audience può
essere anche molto elevata e l’attenzione richiesta al pubblico
può variare in funzione delle condizioni contestuali della
mediattivismo e, in generale, sui processi di trasformazione del pubblico in
micro- comunità «estese».
Il presente lavoro si muove all’interno di quest’ultima etichetta,
nella consapevolezza che, piø che sulle definizioni, tanto la ricerca
accademica quanto il mercato si concentrano di piø sull’ esperienza
connessa all’essere audience. Si indica col concetto di audiencing quella
perdita di definizione dei singoli atti di consumo, quel dinamismo dei
comportamenti di chi «si sente e si vive in quanto audience» (Andò R.,
Marinelli A., Dalla parte delle audience, Per una rilettura delle pratiche di
consumo mediale, Sociologia del lavoro,n.108, ed. Franco Angeli, 2008)
17
fruizione stessa. La comunicazione di massa, infatti, permette
sia una fruizione distratta e sostanzialmente «irrituale» dei
prodotti mediali, sia quella tipica di segmenti di pubblico che si
collocano dentro dinamiche di grande partecipazione
6
. Con
l’espressione diffused audience si indicano infine dei soggetti
sociali che sono sempre e costantemente parte di un pubblico, a
prescindere dalla compresenza di qualche forma di
performance. («Il soggetto è sempre parte di un pubblico a
prescindere dal singolo atto di fruizione e da singoli eventi»
7
).
Per fare un esempio pratico, si è audience diffusa di un film
anche se non si è ancora spettatori di quel film, ma si è visto il
trailer su internet. Si è audience diffusa di un gruppo musicale
se si condividono su social network Ugc riguardanti quel
gruppo. E così via.
Abercrombie e Longhurst definiscono i fan una forma
di skilled audience
8
. Sono la parte piø attiva e innovativa
dell’audience diffusa in quanto partecipanti attivi nella
6
Sorice M., Teorie e metodi della ricerca sull’audience, in De
Blasio E., Gili G., Hibberd M., Sorice M., La Ricerca sull’audience,
Milano, Hoepli, 2007
7
Abercrombie N., Longhurst B., Audiences, A sociological theory
of Performance and Imagination, SAGE Publications Ltd, London, 1998 in
Andò R., (a cura di), Audience Reader. Saggi e riflessioni sull’esperienza di
essere audience, Guerini e associati, Milano 2007
8
Vedi nota 6.
18
costruzione e nella circolazione di significati testuali. Persone
diverse per età, razza, istruzione, contesto socio- economico-
culturale che hanno in comune uno o piø oggetti di passione.
Abitano al contempo spazi fisici e spazi virtuali (dalla propria
camera, agli eventi, ai forum di discussione e alle community
on line), quotidiani e straordinari (dalla fruizione individuale ai
raduni e alle visioni collettive) on e off line
9
. Ne è passato di
tempo da quando essere fan era sinonimo di devianza, di
fanatismo (da cui fan trae l’etimologia), colorato di una nota
dispregiativa
10
. Basta osservare il social network Facebook per
averne la prova: una delle applicazioni piø usate per esprimere
le proprie preferenze in fatto di video musicali, spezzoni di
film, commenti piø disparati è «diventa fan». Ci si presenta
agli altri come fan di (I’m a big fan è espressione comunissima
oltreoceano), si stringono legami, anche a distanza, con
persone sconosciute ma dai gusti mediali affini. PerchØ essere
fan oggi vuol dire «organizzare la propria esistenza ogni giorno
9
Andò R., Marinelli A., PerchØ studiare il fandom?Obiettivi e
metodi delle ricerca sulle audience, 25/05/2009, consultabile all’indirizzo
http://wip.scriptaweb.eu/pratiche-sociali-ambienti-
digitali/2009/05/19/perche-studiare-il-fandom-obiettivi-e-metodi-della-
ricerca-sulle-audience/
10
Tra le tante rappresentazioni dei fan visti in quest’ ottica, basta
ricordare l’emblematico Misery non deve morire (Misery), diretto da Rob
Reiner nel 1990,
o Guardia del Corpo (The Bodyguard), di Mick Jackson,
1992
19
intorno ad una certa attività (per esempio seguire un evento
sportivo o una fiction) o a una relazione con particolari prodotti
o generi mediali. Queste servono al soggetto per gestire le
proprie relazioni con gli altri e per organizzare riflessivamente
il proprio sØ e la vita quotidiana»
11
. Essere fan significa
mescolare senza soluzione di continuità la propria identità, il
proprio progetto identitario, con le star o i prodotti mediali
preferiti. Come un virtuale curriculum, o biglietto da visita che
definisce a quali universi si appartiene e a quali no. Una
password che funge da chiave d’accesso per altri simili, e
d’esclusione per chi non condivide certi gusti, prodotti,
canzoni, etc. Non è raro ascoltare conversazioni del tipo :
«Quel ragazzo non fa per me. Non guarda Boris!»; od
osservare innumerevoli mi piace a mò di commento di video,
note e canzoni condivisi on line; imbattersi navigando on line
in svariati nickname del tipo Mcdreamy151, HIMYMaddicted,
etc., solo per fare qualche esempio. Universi fatti di immagini,
gesti, parole e, piø in generale significati archiviati e messi in
comune, terreno di condivisione di esperienze. I fan tendono
costantemente all’arricchimento dei propri archivi,
incorporando programmi su programmi all’interno dei loro
11
Lezione di Romana Andò 11/02/2010
20
interessi allo scopo di facilitare piø intense ed ampie occasioni
di comunicazione con gli amici che condividono interessi
comuni o possiedono gusti compatibili
12
(non uno ma svariati
veriamori dunque... parafrasando l’articolo. I contenuti mediali
ammettono evidentemente la poligamia dei sentimenti). Di piø:
l’arricchimento degli archivi avviene spesso in modo virale tra
comunità già formate, quando nelle stesse micro-comunità si
diffondono tramite passaparola o in modi simili prodotti
mediali.
PerchØ essere fan significa anche essere audience in
relazione. In principio coi testi mediali, di cui ci si appropria,
sottraendoli tatticamente agli autori; poi con gli autori, coi
quali si ingaggia una lotta volta a rivendicare il possesso delle
rappresentazioni mediali; con gli altri fan, con cui si dà vita a
comunità interpretative, che legittimano il sentirsi parte del
fandom, l’ esperienza di essere audience. E infine con
l’economia, della quale in alcuni casi si replicano le forme,
costruendo una economia ombra, sotterranea, alimentata di
lavoro nero, per la produzione dei propri testi.
13
12
Ibidem.
13
Jenkins H., «Fatevi una vita!» Fan, bracconieri, nomadi, (Get a
life!Fans, Poachers, Nomads) in Andò R., (a cura di), Audience Reader.
Saggi e riflessioni sull’esperienza di essere audience, Guerini e Associati,
Milano 2007