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Tra i funghi produttori di micotossine, alcuni sono in grado di
sintetizzare più tossine e al contempo, una stessa tossina può essere prodotta da
diversi funghi. La presenza delle micotossine nell’ambiente non è strettamente
correlata alla contemporanea presenza fisica del fungo, in quanto esse possono
persistere anche dopo la scomparsa del produttore. La qualità e la quantità
della produzione delle tossine sono influenzate da diversi fattori ambientali e
non, quali l’acqua la temperatura, il pH, e l’eventuale utilizzo di agenti biocidi
in campi coltivati (Ritieni e Randazzo, 1997). I substrati ideali per la crescita
dei funghi che sintetizzano tossine sono rappresentati dalle derrate alimentari,
dalle granaglie quali mais, riso, orzo e frumento, e dai mangimi per animali,
soprattutto se immagazzinati in condizioni microclimatiche di umidità e
temperatura favorevoli (Bottalico, A.; et al. 1988).
Le micotossine presentano sia notevoli differenze da un punto di vista
chimico, sia un’ampia gamma di effetti biologici dovuti alla loro capacità di
interagire con differenti organi e/o sistemi bersaglio. Le differenti attività
biologiche manifestate dalle micotossine nei vari organismi sono causate da
interazioni delle stesse e/o dei loro derivati con le diverse molecole cellulari,
quali: DNA, RNA, proteine funzionali, cofattori enzimatici, e costituenti di
membrana.
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Per quanto riguarda gli effetti tossici prodotti dalle micotossine,
raramente essi conducono a fenomeni patologici di tipo acuto in quanto il
rischio maggiore risiede nell’accumulo delle stesse all’interno degli organismi
viventi con eventuale insorgenza di sintomatologie di tipo cronico (Berry, C.L.;
et al. 1988). Tuttavia, anche se di difficile valutazione, esiste un rischio reale
per l’uomo, alla luce dei numerosi ritrovamenti di micotossine negli alimenti e
nei prodotti zootecnici (Jalinek, C.F.; et al. 1987) e dai risultati di alcune
indagini epidemiologiche condotte su popolazioni di aree geografiche più a
rischio, che evidenziano una significativa correlazione positiva tra la presenza
di micotossine nella dieta e l’incidenza di alcune malattie endemiche
(WHO/IARC, 1993).
Fra le muffe che attaccano e colonizzano le piante o le derrate alimentari,
il genere Fusarium, un genere di funghi imperfetti comprendente almeno 50
specie raggruppate in 12 sezioni (Nelson, P.E.; et al. 1983), rappresenta uno
dei maggiori problemi sia di natura fitopatologica sia micotossicologica. Infatti
molte specie di Fusarium sono dannose per l’agricoltura, sia per gli effetti
diretti nocivi sulle piante che parassitizzano, a cui sottraggono o alterano i
componenti nutritivi, con conseguente degradazione del substrato colonizzato,
sia per la capacità di tali organismi di produrre un’ampia varietà di metaboliti
tossici (Marasas, W.F.O.; et al. 1984).
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Inoltre, le specie di Fusarium sono largamente distribuite nel suolo e nei
substrati organici e sono diffuse in tutte le aree del pianeta tanto da essere state
isolate dai ghiacci permanenti nell’Artico e dalla sabbia del Sahara (Booth, C.;
et al. 1971). Esse, comunque, abbondano nei suoli coltivati sia delle regioni
temperate, sia di quelle tropicali e sono fra le specie fungine più
frequentemente isolate dai patologi vegetali (Booth, C.; et al. 1971).
Le malattie causate dalle specie di Fusarium sono di tipo vascolare
(tracheofusariosi) e di tipo parenchimatico (marciumi, cancri), e lo spettro di
piante che possono essere attaccate è molto ampio (Nelson, P.E.; te al. 1981).
In particolare, sono causa di grande preoccupazione i danni che le specie
di Fusarium possono causare sui cereali. Le fusariosi di mais, grano, riso e
sorgo, i cui prodotti sono spesso alimento base per la maggioranza della
popolazione mondiale, sono malattie diffusissime nel pianeta e causano ogni
anno perdite di prodotto per miliardi di dollari (Leslie, J.F.; et al. 1990).
Tuttavia un ampio spettro di altre coltivazioni, di grande importanza sia dal
punto di vista alimentare, sia commerciale, possono essere attaccate da specie
di Fusarium, con gravi danni sia di tipo diretto per la perdita di raccolto, sia
per le contaminazioni da micotossine dei prodotti.
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Fra queste, la coltivazione del fico può essere seriamente danneggiata a
seguito dell’infezione da specie di Fusaria che nel complesso causano sulla
pianta la malattia nota come endosepsi del fico.
1.2 Endosepsi del fico
Il fico (Ficus carica L. Moraceae) è una pianta di origine asiatica, che
non richiede particolari cure agronomiche e, la cui coltivazione si è
facilmente diffusa in tutto il bacino del mediterraneo. La maggior parte della
produzione mondiale di fichi é concentrata tra Turchia, Tunisia, Grecia,
Marocco e Italia.
Il fico, che presenta frutti maschili (caprifichi) e femminili (eduli),
produce infiorescenze (ipoantodi) carnose, da globose a piriformi, provviste
di un breve peduncolo, di una cavità interna centrale che comunica con
l'esterno per mezzo di un orifizio (ostiolo); i fiori tappezzano la parte interna
degli ipoantodi. Dal loro sviluppo si formano le infruttescenze, i siconi, che
contengono una polpa gelatinosa, dolce o molto dolce, di colore da
biancastro a rosso vinoso. Il siconio del caprifico è tappezzato internamente
con numerose centinaia di infiorescenze femminili e poche centinaia di
infiorescenze maschili; il siconio dei frutti eduli femminili contiene solo
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infiorescenze femminili (Wiebes, J.T. 1979) I caprifichi producono il polline
e offrono un riparo invernale per l’insetto impollinatore rappresentato dalla
vespa del fico (Blastophaga psenes L.) che dimora negli ovari dei fiori
pistilliferi.
L'utilizzazione quasi esclusiva dei siconi è il consumo diretto allo stato
fresco oppure in alternativa come prodotto essiccato. La particolare
morfologia del siconio rende facilmente accessibile a funghi ed insetti la
penetrazione tramite l'ostiolo e il successivo sviluppo all'interno del siconio
stesso. Tale sviluppo é facilitato dalla composizione del siconio per cui i
fichi sono un ottimo terreno di coltura per la crescita dei patogeni fungini.
Oltre alla contaminazione dei frutti freschi, c’è da segnalare un rischio
molto elevato di contaminazione dei frutti secchi.
La tecnologia di essiccazione nella maggioranza dei casi è di tipo
naturale, al sole, e può avvenire sull'albero o dopo la raccolta. Nel primo
caso i fichi sono raccolti quando già parzialmente disidratati e sono posti
interi su graticci esposti al sole per un periodo di 4-8 gg; nel secondo caso
invece i siconi sono raccolti ad uno livello di disidratazione meno avanzato,
tagliati longitudinalmente e posti ad essiccare per 12-16 gg. (Godini, A. Fico,
Frutticultura Speciale, REDA, Autori Vari 1991).
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Di conseguenza, tale metodologia di essiccazione combinata alla
composizione chimica e alla morfologia del siconio può facilmente spiegare
l’elevato rischio di contaminazione fungina correlata ai fichi secchi. A tale
riguardo è stato riportato in letteratura la colonizzazione da parte dell'
Aspergillus flavus nei fichi essiccati, con conseguente contaminazione dei
fichi di aflatossine (Buchanan, J.R.; et al. 1975.) Ulteriori ricerche hanno
dimostrato che i fichi freschi possono essere colonizzati da varie specie di
Aspergillus, delle sezioni Nigri, Flavi, e Circumdati, produttori di
ocratossine, aflatossine e di acido ciclopiazonico (Doster, M.A.; et al.1996).
I controlli effettuati, su partite di fichi importati, presso gli organi competenti
di frontiera sono focalizzati sulla determinazione del livello di aflatossine
presenti e il loro superamento é causa spesso del rifiuto delle partite stesse.
Inoltre, Subbarao e Michailides (1993) hanno evidenziato il ruolo non
secondario che svolgono i funghi appartenenti al genere Fusarium nella
colonizzazione del siconio, ed in particolare quello svolto dalle specie che
causano l’endosepsi del fico ( Subbarao, K.V.; et al 1993.)
L’endosepsi del fico, definita anche come marciume rosa, bruno, o
soffice del fico, ha raggiunto ormai un ruolo estremamente importante dal
punto di vista commerciale fra le patologie fungine dei siconi arrivando a
causare perdite anche del 50% di prodotto (Michailides, T.J.; et al. 1996).
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Lo sviluppo della malattia è facilitato dai danni meccanici arrecati sulla
superficie esterna dei frutti (Michailides, T.J.; et al. 1996). I primi sintomi
dell’endosepsi si evidenziano con imbrunimenti all’interno della cavità dei
fichi quando il siconio comincia a maturare. Quando molte infiorescenze
sono infettate, la malattia si manifesta esternamente con lesioni marcescenti
attorno all’ostiolo del siconio. La malattia si diffonde nel frutto attraverso il
peduncolo, ed un micelio spesso può a volte apparire sulla superficie del
siconio. Caldis (1927), ha messo in evidenza le relazioni fra la malattia e la
vespa del fico, evidenziando i rapporti fra la malattia e i cicli dell’insetto e
mostrando come la vespa del fico conduca polline e propaguli fungini ai fichi
maschili e femminili recettivi.
Caldis (1927) ha individuato in F. moniliforme, il principale agente
della malattia, definendo, sulla base della colorazione del micelio aereo e su
basi morfologiche una varietà tassonomica distinta e specifica del fico che
definì F. moniliforme var. fici. Successivamente, Subbarao e Michailides
(1992), dopo aver mostrato che le caratteristiche morfologiche utilizzate da
Caldis per definire F. moniliforme var. fici come agente patogeno
dell’endosepsi del fico, non fossero uniche per tale patogeno e che tale
popolazione non mostrava neanche specificità per il fico, abbandonarono la
definizione di varietà per utilizzare solo il nome di F. moniliforme.
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Recentemente, inoltre, Subbarao e Michailides (1993) hanno dimostrato
che in California almeno tre erano le specie responsabili dell’endosepsi del
fico: F. moniliforme, F. solani, F. dimerum, oltre alle quali ancora più
recentemente sono state identificate da eminenti esperti altre due specie quali
F. proliferatum e F. subglutinans (Marasas, W.F.O.; Nirenberg, H.;
Logrieco, A. comunicazione personale). Queste due ultime specie, insieme a
F. moniliforme, appartengono alla sezione Liseola del genere (Nelson, P.E.;
et al.
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1983) e rappresentano la forma anamorfica di Gibberella fujikuroi il
teleomorfo con il quale convivono in un rapporto metagenetico (Nelson,
P.E.; et al. 1983). Mentre F. solani e F. dimerum non producono tossine
note, le specie della sezione Liseola sopra indicate sono in grado di produrre
diversi metaboliti tossici trai quali posseggono un ruolo di primo piano le
fumonisine (Gelderblom, W.C.A.; et al. 1988), e l’acido fusarico (Yabuta,
T.; et al. 1937) , insieme a molecole interessanti, ma di più recente
acquisizione quali fusaproliferina e beauvericina (Logrieco, A.; et al. 1997).
La fotografia riportata nella pagina seguente, tratta dal lavoro di
Subbarao e Michailides (1996), mostra dei siconi con sintomi di endosepsi
causata da Fusarium spp. Nella figura A le frecce indicano le lesioni esterne
di un siconio infettato, mentre nella figura B, le frecce indicano il micelio del
fungo colonizzatore.
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1.3. FUMONISINE
Le fumonisine sono un gruppo di tossine isolate per la prima volta in
Sud Africa da colture di Fusarium moniliforme e correlato con casi di
micotossicosi sia di equini che di suini ( Gendelbrom, W.C.A.; et al. 1988).
Al gruppo delle fumonisine appartengono almeno 8 differenti composti
correlati chimicamente tra di loro e riconducibili strutturalmente all’1,2,3
tricarbossi pentanoico acido 2-ammino-12,16-dimetil polidrossieicosano. La
fumonisina B1 (fig 1) con la B2 e la B3 rappresentano dal punto di vista
quantitativo le tre più importanti fumonisine. Il loro accumulo e la loro
ingestione attraverso mangimi contaminati sono stati correlati con diversi
casi di ELEM (leucoencefelomalacia equina); (Thiel, P.G., et al. 1991); e di
sindrome da edema polmonare nei suini ( Ross, P.F.; et al. 1990). Inoltre
negli animali che hanno subito danni da fumonisine sono evidenti i danni in
sede autoptica a livello epatico e renale.(Visconti, A.; et al. 1999 ) La
presenza di fumonisine, con altre tossine prodotte da Fusarium spp. é stata
associata in alcune regioni del globo, nord Italia, Sud Africa e sud est
asiatico, alle abitudini alimentari delle popolazioni autoctone ed a una
maggiore incidenza di patologie neoplastiche esofagee (Franceschi, S.; et al.
1990). In tali regioni la dieta é particolarmente ricca, o addirittura
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esclusivamente composta da cereali e da mais che rappresentano il substrato
ideale di accrescimento di Fusarium tossinogeni e a conferma di ciò
numerosi studi riportano una elevata presenza di fumonisine quali
contaminanti naturali. (Rheeder, J.P.; et al. 1992) (Fun, S. Chu; Guo, Y. Li;
1994)
Il meccanismo di azione delle fumonisine é solo parzialmente
conosciuto ma la loro struttura chimica non dissimile da quella degli
sfingolipidi consente di ipotizzare un ruolo delle fumonisine nella
regolazione del metabolismo sfingolipidico.
Le fumonisine sono inibitori naturali della biosintesi degli sfingolipidi
perché esse interagiscono in studi fatti su epatociti di ratto con l’enzima
cerammide sintetasi. (Norred, W.P.; et al. 1992) Sulla base di questi dati
biologici insieme a numerose altre sperimentazioni sulle attività delle
fumonisine " L’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro" ha
provveduto ad inserire nel gruppo B2, composto possibile cancerogeno per
l’uomo, le tossine prodotte da Fusarium moniliforme (Visconti, A., et al.
1999). Tale decisione non imputa alle solo fumonisine la responsabilità
dell’azione carcinogenica degli estratti di colture da tale fungo; ma i rapporti
quantitativi relativi dei metaboliti presenti negli estratti e gli studi condotti su
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fumonisine pure inducono a suggerire che siano esse le reali responsabili di
tali fenomeni biologici.
1.4. BEAUVERICINA e FUSAPROLIFERINA
La beauvericina (fig 2) é stata isolata la prima volta da Beauveria
bassiana (Hamill, R.; et al. 1969), utilizzando dei saggi di tossicità su larve
di Artemia Salina (Scott, P.M.; et al. 1971) quali sistemi di monitoraggio
biologico. La beauvericina é chimicamente un lattone trimero ciclico formato
alternativamente da tre residui di N-metil-phenilalanina e tre residui di acido
D-α-idrossiisovalerico legati con legami depsipeptidico. La struttura chimica
della beauvericina é strutturalmente correlabile alla famiglia delle enniatine
(Logrieco, A.; et al. 1997).