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INTRODUZIONE
Lo scopo di questa tesi è dimostrare che l’attenzione all’ambiente non solo è un
approccio eticamente responsabile, ma anche una scelta utile per i profitti dell’impresa
che la esercita e per il benessere della società in cui quest’ultima è inserita. Questo
perché il cittadino-consumatore è divenuto attento, disincantato e assuefatto al
vecchio marketing, che si basava quasi esclusivamente sull'immagine, e cerca di avere
maggiore consapevolezza di fronte ai suoi acquisti, premiando chi conduce buone
pratiche e chi mostra di possedere una visione di lungo termine.
Per chi si occupa di comunicazione e marketing queste considerazioni assumono
ancora più rilevanza, proprio perché sarà loro compito coinvolgere in un terreno
comune di dialogo aziende e consumatori. I comunicatori e gli adetti al marketing non
devono più dissimulare la realtà con l’unico scopo di vendere – una pratica molto
diffusa negli anni ’90 – ma diffondere e mantenere la verità delle imprese,
promuovendo nuovi stili di vita più sostenibili.
Il concetto di sostenibilità è fondamentale nell’attuale crisi mondiale che ci costringe
ad una rivalutazione dei modelli economici predominanti e ad assumere una
prospettiva di lungo periodo, tenendo sempre a mente che il pianeta in cui viviamo è
uno solo e deve essere tutelato e mantenuto per le generazioni future.
Questo nuovo approccio all’economia pone degli interrogativi morali ed etici a chi
intraprende un’impresa e a chi si occupa di sviluppo. Perciò, per meglio compredere la
Green Economy, e conseguentemente il Green Marketing, sarà necessario compiere
una breve analisi del rapporto tra etica ed economia e cercare di capire come una
visione di tipo storico, come quella di Karl Polanyi (cap. 1.1), sarà utile per
comprendere, non solo le origini del problema che hanno condotto a sviluppare questi
nuovi modelli, ma le prospettive future di questo settore, che, secondo molti analisti,
potrebbe essere quello trainante per uscire dalla crisi.
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1. ETICA ED ECONOMIA
Obiettivo di questo capitolo è descrivere il rapporto che intercorre tra etica e
economia, alla ricerca del nesso tra il comportamento degli individui e lo sviluppo
economico. Per rispondere a tali quesiti, è necessario intraprendere un percorso che
attraversa la storia del pensiero filosofico, economico, sociale e politico.
Innanzitutto, è utile definire l’oggetto della nostra analisi:
L’etica - dal greco antico “èthos”, lett. έθος (o ήθος)
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, che significa carattere,
comportamento, costume o consuetudine - è quella branca della filosofia che studia i
fondamenti oggettivi e razionali che permettono di distinguere i comportamenti umani
buoni, giusti o moralmente leciti, rispetto ai comportamenti ritenuti cattivi o
moralmente inappropriati. Si distingue da morale che, invece, indica l’insieme di valori,
norme e costumi di un individuo o di un determinato gruppo umano.
L’etica è descrittiva quando si limita a rappresentare il comportamento umano;
normativa, se dà indicazioni su quali valori siano giusti e perciò da realizzare con uno
sforzo positivo o rimuovendo gli ostacoli che società, cultura e tradizione oppongono;
soggettiva, se si occupa del soggetto che vuole e agisce solo nel dovere, a esclusione di
ogni altro volere ed azione; oggettiva o intersoggettiva quando l’azione è valutata in
relazione ai valori morali comuni e alle istituzioni sociali storiche (Fanfani, 2009/2010).
Per economia - dal greco ο ἴ κος (oikos), “casa” inteso anche come beni di famiglia, e
νόμος (nomos), “norma” o “legge” - si intende sia l'utilizzo di risorse scarse per
soddisfare al meglio bisogni individuali e collettivi contenendo la spesa, sia un sistema
di organizzazione delle attività di tale natura poste in essere da un insieme di persone,
organizzazioni e istituzioni. (Wikipedia, 2011)
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Riferito a ήθος il termine etica acquista il significato di principi di comportamento condivisi da una
comunità.
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Il rapporto tra economia ed etica è sempre stato difficile e labile perché nella storia del
pensiero si sono presentati diversi atteggiamenti su entrambi gli oggetti qui presi in
considerazione. Alcuni studiosi hanno individuato una natura diabolica dell’economia,
mentre altri hanno visto in essa una natura positiva. Per quel che riguarda l’etica,
invece, i differenti approcci non riguardano tanto la sua natura quanto la sua posizione
nei confronti dell’economia. Certi pensatori ritengono che sia intrinseca all’azione
economica, mentri altri sostengono che sia estrinseca a essa.
Analizzando la storia del pensiero, è possibile ritrovare una forte ripresa di interesse
nel tema durante i periodi di crisi, ad esempio negli anni Trenta del secolo scorso di
fronte alla Grande Depressione ritornò l’idea che il decadimento non fosse solo di
natura economica, ma anche morale ed intellettuale: fu visto come un momento di
rovina della società nel suo insieme.
Per approfondire l’analisi dei differenti approcci cui si accennava precedentemente,
verranno affrontate le tesi di due pensatori del ‘900 di origine culturale opposta: Karl
Polanyi ed Amartya Sen. Il primo socialista e umanista, il secondo liberale-progressista.
1.1. IL CONTRIBUTO DI KARL POLANYI
Karl Polanyi (1886- 1964) studioso di Diritto e Filosofia a Budapest, dove fu tra i
fondatori del Circolo Galilei, centro d’incontro di studenti e intellettuali progressisti è
autore di un saggio fondamentale per la storia dell’economia: La grande
trasformazione. Un’opera che si caratterizza per il suggestivo e complesso intreccio tra
sociologia, politica, economia, storia e, soprattutto, antropologia, attraverso il q uale
egli conduce una ferma e lineare critica alla società di mercato.
A causa della crisi attuale, che colpisce il sistema occidentale-capitalistico nel suo
insieme, quest’opera è stata riscoperta in virtù dei contributi in essa presenti:
impopolari al momento della pubblicazione, nel 1944, e perciò per lungo tempo
relegati nell’oblio, ma drammaticamente attuali all’epoca di chi scrive. Furono gli
avvenimenti storici a lui contemporanei a contraddirlo. Infatti, l’opera fu scritta
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durante la Seconda Guerra Mondiale che vide le democrazie liberali occidentali,
insieme all’URSS, vittoriose sulla dittatura nazista. Anche se, in realtà, la vittoria fu
propriamente politica, piuttosto che del sistema economico, all’epoca il trionfo della
democrazia fu visto come il successo del capitalismo.
Tuttavia, ancora oggi, in un mondo dove la globalizzazione mostra in maniera ancora
più evidente le lacune della società di libero mercato, il suo pensiero, non rientrando
nel paradigma liberista così come in quello marxista, è ancora poco conosciuto.
Il libro di Polanyi tratta del decadimento delle istituzioni liberali e del vistoso
cambiamento da esse subito negli anni ’30 del XX secolo. La grande trasformazione,
per l’autore, è l’utopia di un libero mercato autoregolato. Il sistema capitalistico è
fallito poiché ha annientato l'ambiente culturale, ha atomizzato le esistenze e
desertificato la società. Lo studioso ungherese, già nell’incipit del primo capitolo,
dichiara in maniera esplicita questa convinzione: “la civiltà del diciannovesimo secolo è
crollata”. Prosegue, poi, indicando le intenzioni della sua opera: “questo libro si occupa
delle origini politiche ed economiche di questo avvenimento oltre che della grande
trasformazione che l'ha seguito” (Polanyi, 2010).
Secondo Polanyi, infatti, “la civiltà del diciannovesimo secolo poggiava su quattro
istituzioni. La prima era il sistema dell'equilibrio del potere che per un secolo impedì
che tra le grandi potenze scoppiassero guerre lunghe e devastatrici. La seconda era la
base aurea internazionale, che simboleggiava un'organizzazione unica dell'economia
mondiale. La terza era il mercato autoregolato che produceva un benessere
economico senza precedenti. La quarta era lo stato liberale.”Fonte e matrice del
sistema era la grande utopia mercato autoregolato, anche se la caduta della base
aurea fu la causa della catastrofe e nel frattempo “la maggior parte delle altre
istituzioni erano state sacrificate nel vano sforzo di salvarla” (Polanyi, 2010).
Per l’autore ungherese, “era inevitabile che la società prendesse delle misure per
difendersi, ma qualunque misura avesse preso, essa ostacolava l’autoregolazione del
mercato, disorganizzava la vita industriale e metteva così la società in pericolo, in un
altro modo. Fu questo dilemma a spingere lo sviluppo del sistema di mercato in un
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solco preciso ed infine a far crollare l’organizzazione sociale che si basava su di esso”
(Polanyi, 2010).
Polanyi dedica tutto il resto dell’opera all’illustrazione di questa tesi. Partendo dalla
nascita del capitalismo, attraverso lo sviluppo e le modifiche istituzionali e legislative
avvenute in Inghilterra nel XVIII secolo, mostra come, grazie a provvedimenti come le
Poor’s Law ed il loro superamento, si creò un nuovo instabile equilibrio che si diffuse
su scala globale. Intervallano l’argomentazione interessanti digressioni storico-
antropologiche, come l’analisi dello scambio di beni degli abitanti delle isole Trobriand,
utili ad avvalorare la sua tesi di fondo per cui vi è un tratto di unicità ed innaturalità
nella società di mercato.
Egli conduce un discorso decisamente lineare, dove mostra in maniera stringente
come i fenomeni economici poggino sempre su basi valoriali extra-economiche e come
i rapporti economici siano per lo più embedded, cioè immersi, nella vita sociale.
Quest’ultimo aspetto si dimostra essere in contraddizione con l’ascesa del capitalismo,
grazie al quale si è verificato un predominio dei rapporti economici sulla società:
questa contraddizione, portata alle estreme conseguenza, ha avuto come suo sbocco
naturale e sociale il fascismo, cioè il dominio incontrastato della sfera economica sulla
società, per mezzo dell’abolizione della partecipazione democratica nella vita pubblica.
Una questione centrale è la mistificazione che sta alla base del mercato autoregolato:
lavoro, terra e moneta sono elementi essenziali dell’industria che vengono considerati
come merci, ma questa considerazione è errata. Infatti, per Polanyi, “il lavoro è
soltanto un altro nome per un’attività umana che si accompagna alla vita stessa la
quale a sua volta non è prodotta per essere venduta ma per ragioni del tutto diverse”
e continua afffermando che “la terra è soltanto un altro nome per la natura che non è
prodotta dall’uomo, la moneta infine è soltanto un simbolo del potere d’acquisto che
di regola non è affatto prodotto ma si sviluppa attraverso il meccanismo della banca o
della finanza di stato.” Infine, conclude sostendendo che “nessuno di questi elementi è
prodotto per la vendita. La descrizione, quindi, del lavoro, della terra e della moneta
come merci è interamente fittizia.” (Polanyi, 2010).