INTRODUZIONE 
 
 
L’incipit è il luogo del testo nel quale la narrazione, trasmettendo le prime 
fondamentali informazioni riguardo alla trama, stabilisce un tramite, getta un 
ponte tra il racconto e i suoi destinatari. Nei primi minuti del testo filmico il 
racconto, per stimolare quel delicato meccanismo percettivo e cognitivo che fonda 
il coinvolgimento dello spettatore, deve far appello ad ogni mezzo, impiegare 
ogni stratagemma. I primi minuti della narrazione filmica danno vita a delle forti 
impressioni che diventano la base delle nostre aspettative durante l’intera visione: 
pertanto l’incipit, come luogo privilegiato di ingresso dello spettatore nel film, è 
un momento di centrale importanza perché, attraverso esso, la macchina narrativa 
si mette in moto strutturando i passi successivi del racconto.  
Il discorso si complica se si cerca di studiare l’incipit in un genere 
cinematografico come il noir, che ancora fa tanto discutere perché privo di 
definizioni che riescano a coglierne la natura oltre che le caratteristiche peculiari: 
difficoltà dovuta, senz’altro, al fatto che il noir, a differenza di altri generi 
cinematografici, non ha antecedenti illustri in campo artistico come ad esempio la 
commedia.  
Il noir si configura quindi come genere ‘atipico’ nella storia del cinema, 
tanto più che prima della metà degli anni cinquanta non aveva ancora una 
denominazione chiara e univoca che racchiudesse in sé i film che lo costituivano: 
questo vuol dire che la definizione di film noir si è imposta quando ormai la sua 
stagione volgeva al termine, quindi tutti quegli autori che per un decennio hanno 
realizzato pellicole noir erano inconsapevoli di dare il proprio contributo alla sua 
crescita.  
È in ambito francese, precisamente in due articoli usciti nel 1946, che per la 
prima volta viene utilizzato il termine: il primo firmato da Nino Frank per 
L’Ecran francais
1
 e il secondo di Jean Pierre Charter sulla Revue du cinema
2
. I 
due articoli aprono quindi la strada al genere, che riceve la sua definitiva 
consacrazione dieci anni più tardi, quando Raymonde Borde ed Etienne 
Chaumeton pubblicano un libro sull’argomento, Panorama du film noir 
                                                 
1
 Citato in Leonardo GANDINI, Il film noir americano, Torino, Landau, 2001, p. 12. 
2
 Ibidem.
Introduzione 
 5 
américain
3
. Se Frank e Charter poterono analizzare pochi film, visto che la 
produzione di film noir ha inizio intorno al 1940, nel 1955, anno di pubblicazione 
del libro di Borde e Chaumeton, il corpus di film su cui lavorare è molto più 
ampio. Il Panorama ebbe, soprattutto negli Stati Uniti, molta influenza sugli studi 
successivi dedicati al film noir: perciò lo si è scelto come testo base per realizzare 
questo studio, soprattutto per quanto riguarda la scelta del periodo di produzione 
da analizzare. I due autori del Panorama procedono in maniera metodica visto 
che, dopo aver definito l’oggetto e individuato le fonti, suddividono la produzione 
noir in quattro fasi indicando: 
 
- una nascita (Les années de guerre et la formation d’un style-1941-1945); 
- un apogeo (La grande époque-1946-1948); 
- un declino (Décadence et trasformation-1949-1950); 
- una conclusione (La fin d’une série-1951-1953). 
 
Il periodo che si è scelto di analizzare è quello che va dal 1946 al 1950, che 
comprende, quindi, l’apogeo e il declino, considerati come punti di massima 
espressività: nell’apogeo il noir raggiunge i suoi livelli più alti e nel declino 
vengono alla luce determinati elementi che segnano la trasformazione e i 
cambiamenti che il genere subisce. Gli autori del Panorama hanno anche indicato 
le fonti del genere
4
:  
 
- l’espressionismo tedesco, sul piano della messa in scena, dell’illuminazione, 
della scenografia; 
- la letteratura hard boiled, per quanto riguarda il soggetto; 
- la psicoanalisi, per ciò che riguarda il carattere irrazionale della motivazione 
criminale e l’ambivalenza dei sentimenti che caratterizza i personaggi. 
 
Questi tre aspetti saranno approfonditi nel primo capitolo, il cui fine è quello 
di configurare un quadro generale sul cinema noir, in particolare:  
                                                 
3
 Raymonde BORDE, Etienne CHAUMETON, Panorama du film noir américain, Paris, Les 
Editions de Minuit, 1955.  
4
 Cfr. Le sources du film noir, in Raymond BORDE, Etienne CHAUMETON, 1955, op. cit., pp. 
17-34.
Introduzione 
 6 
- nel caso dell’espressionismo tedesco è stato interessante tracciare i legami 
di un rapporto triplice tra pittura espressionista, cinema espressionista e film noir.  
Se esiste, ed è palese, un legame tra lo stile pittorico espressionista e la messa in 
scena cinematografica di quel periodo, è altrettanto evidente come il noir, a sua 
volta, si ispiri al cinema espressionista tedesco per quanto riguarda l’aspetto 
formale che concerne le tecniche di illuminazione e la scenografia;
5
 
- per quanto riguarda l’influenza della narrativa hard boiled sul noir, dopo 
aver delineato i problemi generici inerenti la questione dell’adattamento 
cinematografico, e aver individuato i livelli su cui è possibile effettuare un’analisi 
comparata del testo scritto e di quello audiovisivo, si è scelto di analizzare 
l’esordio del film Il Postino sona sempre due volte di Tay Garnett per poi 
realizzare un confronto con l’incipit dell’omonimo romanzo di James Cain da cui 
esso è tratto; 
- infine, per quanto riguarda la psicoanalisi, da una parte si sono esaminati 
dei film che la richiamano in modo esplicito tramite la presenza di uno specialista 
che interviene nella spiegazione di un caso, dall’altra parte, delle pellicole che si 
limitano a render conto di un certo tipo di atmosfera psicologica, mettendo in 
scena personaggi che soffrono di problemi mentali, senza però darne soluzione 
interpretativa. Ci si è anche soffermati ad analizzare quelli che sono gli emblemi 
visivi e figurativi del noir, notando come determinati oggetti contribuiscano ad 
alimentare quel clima di ambiguità, incertezza e senso di disorientamento che 
circonda il personaggio noir. 
Nonostante il primo capitolo permetta di iniziare ad elaborare una 
rappresentazione concettuale della struttura del noir, il problema della definizione 
di questo genere atipico comunque rimane, e si inserisce nella più ampia 
problematica della suddivisione dei generi cinematografici, che a sua volta 
somiglia molto alla classificazione della letteratura romanzesca popolare 
(romanzo storico, d’avventura, sentimentale, poliziesco): il sistema di produzione 
hollywoodiano ha quindi molto in comune con la letteratura di genere - alla quale 
fa appello in materia di adattamento, come si è detto prima -  in particolare la 
vocazione ad indirizzarsi ad un pubblico più vasto possibile. Infatti una dialettica 
tipica dell’industria culturale è quella del rapporto tra ‘tradizione’ e 
                                                 
5
 Ci siamo serviti di alcuni fotogrammi del film Il Gabinetto del Dottor Caligari (1920) di Robert 
Wiene al fine di comprendere in che senso gli elementi della scenografia espressionista hanno 
influenzato il noir.
Introduzione 
 7 
‘innovazione’, tra ‘vecchio’ e ‘nuovo’: pertanto essa si fonderà sia su criteri di 
standardizzazione, facendo sì che ogni prodotto soddisfi una determinata parte di 
pubblico (i cui gusti ha contribuito essa stessa a formare), sia su criteri di 
differenziazione, facendo in modo che ogni prodotto si presenti come diverso da 
tutti gli altri, al fine di catturare sempre nuovi strati di pubblico o perlomeno di 
non stancare quelli già conquistati. Il film di genere quindi, come una 
conseguenza diretta dell’industrializzazione del sistema di produzione 
hollywoodiano, è il risultato di questa tendenza. Scrive Jacqueline Nachace:  
 
Il genere è nel contempo un potentissimo strumento di differenziazione e 
standardizzazione; due imperativi che caratterizzano la produzione 
industriale di film da parte dei grandi studi… I film che rientrano in uno 
stesso genere si assomigliano tutti e tuttavia ciascuno è unico.
6
  
 
Nei ventitré film prescelti si è riscontrato questo aspetto in quanto, data 
l’ambiguità riguardo la definizione di noir, se da una parte i film visionati, sotto 
certi aspetti, sembrano riconducibili ad un unico filone, dall’altro, dato il 
problema della contaminazione dei generi, le pellicole si differenziano molto 
l’una dall’altra al punto che per alcune sembra potersi parlare non più di noir, ma 
di gangster film ad esempio. Quindi, secondo alcuni, questo genere non può avere 
una definizione rigida ma piuttosto sembra racchiudere diversi sottogeneri
7
.  
Di quale strumento ci si può servire allora per determinare l’appartenza di 
un film al suo genere? Secondo la Nacache la risposta è da rintracciarsi 
nell’incipit del film. 
 
Il metodo più sicuro per identificare il genere consiste indubbiamente 
nell’analisi degli inizi dei film. Momento solenne in cui lo spettatore 
entra nel film, l’insieme dei titoli di testa e dei primi minuti della 
narrazione costituisce un luogo privilegiato per tutti gli indicatori di 
genere…Confrontiamo cinque film di generi molto diversi… Per alcuni, 
il riconoscimento comincia dal logo dello studio; in seguito le 
informazioni aggiungendosi le une alle altre ridurranno progressivamente 
                                                 
6
 Jaqueline NACACHE, Il cinema classico hollywoodiano, Recco-Genova, Le Mani, 2000, p. 26. 
7
 Per quanto riguarda l’intento di non voler considerare il noir come un genere, e quindi il tentativo 
di sfaldarlo in tanti piccoli sotto-generi cfr. Raymond DURGNAT, L’albero genealogico del nero, 
in Marina FABBRI, Elisa RESEGOTTI (a cura di) I colori del nero. Cinema, Letteratura, Noir, 
Milano, Ubulibri, 1989, pp. 166-168.
Introduzione 
 8 
il campo delle possibilità. Vi partecipano la grafia dei caratteri dei titoli 
di testa, lo sfondo visivo scelto per questi ultimi e il loro 
accompagnamento musicale, l’ambientazione, la scaletta dei piani e il 
regime narrativo della prima scena, la presenza o l’assenza di una voce 
fuori campo ecc. La raccolta un po’ rigida di tutti questi indicatori è 
sorprendente per come attira potentemente l’attenzione dello spettatore 
sul dispositivo cinematografico. In seguito, l’obiettivo consisterà 
viceversa nel far perdere allo spettatore ogni coscienza di tale 
dispositivo, grazie a quella fluidità narrativa che sfocia nella trasparenza 
hollywoodiana
8
.  
 
Fra gli indicatori che la Nacache segnala nel suggerire l’incipit di un film 
quale metodo di identificazione di un genere cinematografico, si è preferito 
tralasciare elementi formali (ad esempio i titoli di testa) per soffermarsi sui primi 
minuti del film: questo perché interessa, oltre all’analisi cinematografica in sé, 
mettere a confronto il metodo filmico e quello narrativo di creare un inizio. 
In questo senso è stato utile nel secondo capitolo comprendere l’importanza 
e il funzionamento dell’inizio di un testo: ci si è quindi soffermati ad analizzare le 
funzioni dell’esordio nella retorica antica, ossia i modi possibili di catturare 
l’attenzione dell’uditorio secondo le circostanze, il contenuto dell’orazione e 
l’effetto da ottenere. 
L’analisi del racconto ha considerato per molto tempo l’inizio solo dal punto 
di vista tematico: la mancanza, il danneggiamento, la tensione ed il conflitto tra i 
personaggi sono situazioni ricorrenti che hanno il compito di introdurre 
nell’esordio quel cambiamento dell’azione che dà inizio all’intrigo, sebbene i 
confini tra i due siano labili e sfumati. 
Siccome nel cinema gli studi sugli inizi sono ancora alle prime mosse e visto 
che le strutture narrative che danno via all’inizio sono rigide e ripetitive, si è 
cercato di applicare le concezioni di alcuni autori (soprattutto Propp e Bremond) a 
determinati film noir, ottenendo risultati interessanti. 
Sebbene lo studio sia incentrato sull’inizio, non si possono comunque 
trascurare i suoi rapporti con la fine in quanto entrambi sono rispettivamente le 
porte di ingresso e di uscita dal testo, quindi luoghi privilegiati di generazione di 
senso: in tal caso si sono configurati due schieramenti opposti; c’è infatti da un 
                                                 
8
 Jaqueline NACACHE, Il cinema classico hollywoodiano, Recco-Genova, Le Mani, 2000, p. 23.
Introduzione 
 9 
lato chi sostiene che sia l’inizio che determini la fine, e chi, al contrario giudichi 
che sia la fine a determinare l’inizio, considerandolo quindi come luogo si per sé 
privo di valore. Solo con il contributo della teoria di Greimas e l’introduzione 
della nozione di contratto, l’esordio ha acquisito il valore di momento 
fondamentale nella comunicazione narrativa.     
Il terzo capitolo nasce invece dallo sforzo di unire i risultati raggiunti nel 
primo (in cui si è trattato del noir in generale) e nel secondo (l’inizio in 
narratologia), analizzando l’incipit del film Dietro la porta chiusa di Fritz Lang 
del 1948: questo capitolo finale costituisce il nucleo di applicazione pratica delle 
teorie elaborate in precedenza.  
La scelta del film è stata dettata dell’esigenza di trovare, tra tutti i film noir 
visionati, quello che fosse capace di riassumere in sé una maggiore quantità di 
elementi caratteristici del genere, e soprattutto il cui incipit fosse sufficientemente 
significativo e rappresentativo dell’intero film, oltre che della maniera prettamente 
noir di anticipare il resto della narrazione.  
La chiave di lettura dell’intero film sarà mostrare come la natura di 
doppiezza e ambiguità dell’esordio, viene resa e mantenuta tale attraverso 
determinati mezzi d’espressione quali l’organizzazione dello spazio interno 
all’inquadratura, la voce over, l’illuminazione. Quindi si cercherà di capire come 
il senso dell’intero film scaturisce dall’unione del tema (significato) e dei mezzi di 
espressione propri del cinema (significanti). 
Per raggiungere questo risultato, dopo aver analizzato in maniera dettagliata 
i fotogrammi dell’incipit, per esigenza di sintesi, quelli successivi all’esordio, 
dopo essere stati riuniti in sequenze e schematicamente raccolti sottoforma di 
tabella
9
, saranno esaminati tramite gli stessi criteri di analisi adottati per l’inizio 
del film.  
 
 
 
 
                                                 
9
 Per quanto riguarda il metodo di analisi ci si è ispirati a quello proposto da Michel MARIE, 
Descrizione /analisi. Riflessione sulla nozione di descrizione di un testo filmico in vista della sua 
analisi, ora in Paolo MADRON (a cura di ), L’analisi del film, Parma, Pratiche, 1984, pp. 27-35.
CAPITOLO 1 
LE ORIGINI DEL GENERE NOIR
Capitolo I - Le origini del genere noir 
 11 
1.0. INTRODUZIONE 
 
Secondo Raymond Borde ed Etienne Chaumeton, autori di Panorama du 
film noir amØricain
1
, le maggiori influenze che portarono alla nascita del genere 
sono da rinvenire nell’Espressionismo tedesco, per quanto riguarda la messa in 
scena con particolare riferimento all’illuminazione e alla scenografia; nella 
narrativa hard-boiled per quanto riguarda il soggetto; nella psicoanalisi per ciò 
che concerne “il carattere irrazionale della motivazione criminale e l’ambivalenza 
dei sentimenti che caratterizza i personaggi.”
2
 
Scopo di questo capitolo è quindi verificare le relazioni che il genere noir 
intrattiene con i tre aspetti sopra menzionati.  
 
 
1.1. ARTE COME ESPRESSIONE: PITTURA E CINEMA 
 
L’Espressionismo è quella corrente culturale che sorge all’inizio del 
Novecento, che si afferma dapprima nel campo delle arti figurative, estendendosi 
poi alla letteratura, alla musica, al teatro e infine al cinema, acquisendo in 
quest’ultimo campo un’importanza decisiva con un particolare sfruttamento delle 
risorse di questa manifestazione artistica e soprattutto comportando una vera e 
propria rivoluzione all’interno del linguaggio cinematografico. 
Nel campo delle arti figurative l’Espressionismo riafferma con forte irruenza 
il carattere soggettivo dell’opera d’arte come libera e immediata espressione di 
una realtà interiore, l’unica valida per l’ artista, che vi manifesta la sua visione 
estetica. 
Benché fu la Germania il terreno più favorevole per lo sviluppo della nuova 
tendenza, l’Espressionismo è un fenomeno europeo con due focolai distinti: il 
gruppo francese dei Fauves (belve) e quello tedesco Die Brucke (il ponte)
3
 che si 
formarono entrambi all’inizio del Novecento (sebbene alla nascita del fenomeno 
contribuirono artisti operanti già da fine Ottocento come Van Gogh, Gauguin, 
Munch ed Ensor). 
                                                 
1
 Raymond BORDE, Etienne CHAUMETON, Panorama du film noir amØricain, Paris, Les 
editions de Minuit, 1955. 
2
 Ibidem, p.18. 
3
 Per un approfondimento su Fauvismo ed Espressionismo, cfr. Roberto CANNATA, Il Fauvismo 
e l’Espressionismo, Milano, Fratelli Fabbri Editore, 1976.
L’incipit nel film noir americano. Una proposta di analisi semiotica. 
 12 
Nel 1905 i Fauves esposero a Parigi nel Salon d’Automne quadri 
dall’impatto cromatico molto violento; di questo gruppo facevano parte Matisse, 
Vlaminck, Derain, Marquette ed altri. Gli artisti usavano il colore come fosse 
dinamite, rifiutando le leggi della prospettiva e la spazialità classica, distaccandosi 
dal naturalismo e dalla sensibilità alla luce tipica degli impressionisti. 
Sempre nello stesso anno a Dresda si formò il gruppo Die Brucke (il ponte), 
nome scelto in quanto gli artisti tendevano a creare un legame tra tutti i fermenti 
anti-impressionisti europei. Gli appartenenti a tale gruppo dichiaravano il loro 
impegno nel restituire alla pittura lo slancio e la violenza derivata da una visione 
della tragicità della condizione umana attraverso un linguaggio spontaneo e reale 
rendendo così la pittura incisiva, immediata, al fine di accentuare il valore 
emotivo della comunicazione. Per quanto riguarda le tecniche grafiche fecero un 
forte uso della xilografia per i forti contrasti che questa creava tra luce ed ombra; 
il colore era usato per ottenere accostamenti cromatici esagerati, aspri e violenti 
tanto da esasperare la carica psicologica della rappresentazione con un senso di 
drammaticità che, ad esempio, nei Fauves non era presente. I principali 
protagonisti di questo gruppo furono Kirchner e Nolde; in essi sono presenti i 
tratti tipici dell’Espressionismo come la violenza cromatica e la deformazione 
caricaturale, uniti ad una forte carica di disagio esistenziale ed angoscia 
psicologica. 
L’origine comune dei due movimenti è l’aperto contrasto con 
l’Impressionismo, infatti letteralmente ‘espressione’ è il contrario di 
‘impressione’. L’impressione è un moto dall’esterno all’interno (im-primere): è la 
realtà (oggetto) che si imprime nella coscienza (soggetto). L’espressione è un 
moto inverso che comporta la proiezione dei sentimenti dall’interno all’esterno 
(ex-primere), quindi l’artista esprime il sentimento individuale più che 
rappresentare oggettivamente la realtà, deformando coscientemente quest’ultima 
affinché risulti evidente che ciò che si vede nella tela non è la riproduzione di un 
oggetto così come appare, ma come lo sente l’autore che proietta in esso la propria 
vita interiore in modo da emozionare lo spettatore, provocando in lui reazioni 
psicologiche violente. 
Un secondo gruppo espressionista dal nome Der Blaue Reiter (il cavaliere 
azzurro) si costituì a Monaco nel 1911. Principali ispiratori del movimento furono 
Kandinskij e Marc. E’ proprio con questo movimento che l’Espressionismo prese
Capitolo I - Le origini del genere noir 
 13 
una svolta decisiva; se infatti nella pittura fauvista o dei pittori del gruppo Die 
Brucke la tecnica era di rendere espressiva la realtà esterna così da farla coincidere 
con le risonanze interiori dell’artista, Der Blaue Reiter propose invece un’arte 
dove la componente principale era l’espressione interiore dell’artista che al limite 
poteva anche ignorare totalmente la realtà esterna ad esso. Da qui ad una pittura 
del tutto astratta il passo era breve; infatti fu proprio Kandinskij il primo pittore a 
scegliere la strada dell’astrattismo totale. 
Questa breve panoramica sull’Espressionismo in pittura è servita per 
introdurre quello che sarà il secondo punto oggetto del paragrafo, ossia il cinema. 
Infatti, se da sempre esistono relazioni tra le arti visive in ragione della, sia pure 
relativa, omologia di linguaggi, si dovrà riconoscere che una certa 
intercambiabilità di ruoli è riconosciuta a cinema e pittura se non altro a livello 
linguistico, come ad esempio la frequenza con cui determinati aspetti sia del 
soggetto, che dello stile di un film, vengono descritti con termini presi in prestito 
dalle arti figurative, per esempio quando si parla di ‘paesaggio’, di ‘ritratto’ 
oppure di ‘stilizzazioni espressioniste’.
4
 
Vediamo ora come proprio queste ultime caratterizzano i film tedeschi del 
dopoguerra non solo a livello di forma, ma anche di contenuto. Con il film Il 
gabinetto del Dottor Caligari, si ha il primo frutto cospicuo dell’incontro tra 
espressionismo e cinema. Il film, proiettato per la prima volta a Berlino nel 
febbraio del 1920, diretto da Robert Wiene, sulla base di una sceneggiatura di 
Hans Janowitz e Carl Mayer, prodotto dalla Decla, genera una forte impressione 
sugli spettatori dell’epoca, inaugurando una delle stagioni più ricche e vitali del 
cinema muto. Il successo del Caligari aprì la strada a un vero e proprio filone che 
sarebbe durato fino al 1927. 
Il film verrà ora analizzato dal punto di vista della scenografia e 
dell’illuminazione per vedere come queste hanno influenzato il noir dal punto di 
vista della messa in scena.  
Il Caligari dimostrò che facendo uso di set interamente ricostruiti in studio 
era possibile avvicinarsi alla stilizzazione della pittura espressionista; infatti 
l’elemento centrale del film espressionista è quello scenografico, come sosteneva 
lo stesso Warm, scenografo del Caligari, dicendo che “i film devono essere 
                                                 
4
 Per un approfondimento su una tipologia di film che a vario titolo pongono il problema delle 
relazioni tra cinema e pittura, cfr. Antonio COSTA, Cinema e pittura, Torino, Loescher, 1991.
L’incipit nel film noir americano. Una proposta di analisi semiotica. 
 14 
disegni a cui si dà vita”
5
; di qui l’eccezionale rilievo dato dal cinema 
espressionista alla composizione dell’inquadratura. Scrive infatti Mario 
Verdone:“se nel cinema classico la figura umana è l’elemento più espressivo ed il 
set ed i costumi e l’illuminazione sono subordinati ad essa, nel cinema 
espressionista l’incisività espressiva abbraccia ogni elemento della messa in 
scena”
6
, nel senso che nel Caligari le scenografie recitano tanto quanto gli attori, o 
meglio, gli attori si fondono e confondono con le scenografie visto che anche il 
loro corpo diventa elemento visivo di un insieme di linee in movimento, come ad 
esempio nella scena in cui Cesare, rasente i muri, si dirige da Maria. 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Esempio di fusione tra attore e scenografia espressionista in questa scena del film Il 
Gabinetto del Dottor Caligari (1919) di Robert Wiene, in cui Cesare si dirige da Maria per 
rapirla. 
 
La scenografia faceva uso di disegni dipinti su tela riproducenti in modo 
deformato i dati del reale (strade sghembe, palazzi storti, prospettive falsate, linee 
incrociate improvvisamente secondo angolazioni impreviste) con un significato 
metaforico che è quello di provocare nello spettatore una sensazione di 
straniamento, inquietudine. Gli elementi della scenografia espressionista tesi a 
trasmettere un forte senso di oppressione sono resi evidenti attraverso superfici 
stilizzate, forme simmetriche o distorte giustapposte ad altre simili, ma comunque 
alterate come se fossero viste in specchi deformanti. 
                                                 
5
 Mario VERDONE, Scena e costume nel cinema, Roma, Bulzoni, 1986, p. 144. 
6
 Ibidem, p. 145.
Capitolo I - Le origini del genere noir 
 15 
  
  
Altre scene dello stesso film che mostrano il paesaggio espressionista che, con le sue 
distorsioni e prospettive falsate, crea un senso di angoscia e chiusura. La figura umana, se 
presente, è come accerchiata dal paesaggio che tende a rinchiudersi sopra ad essa, suscitando 
un’idea di intrappolamento.  
 
Lo stile espressionista aveva la funzione di rappresentare i fenomeni sullo 
schermo come fenomeni dell’anima, quindi il film, calandosi nei meandri 
dell’inconscio della follia del desiderio, smontava il linguaggio tradizionale 
sovvertendo i normali rapporti tra oggetti e personaggi quasi come se fosse il 
prodotto immediato visibile esterno di un avvenimento psicologico. La messa in 
scena espressionista simbolizzava quel ritirarsi generale nel proprio guscio che si 
verificò nella Germania del dopoguerra, come nota Siegfried Kracauer: 
 
Caligari è il primo di una lunga serie di film girati interamente in interni. 
Mentre a quell’epoca gli svedesi si impegnavano nel tentativo di rendere 
il vero aspetto di una bufera di neve o di una foresta, i registi tedeschi, 
almeno fino al 1924, erano talmente infatuati degli effetti in interni da 
ricostruire interi paesaggi entro le pareti dello studio. Preferivano 
dominare un universo artificiale piuttosto che dipendere da un mondo 
esterno in balia del caso. Il loro rinchiudersi nello studio era un momento
L’incipit nel film noir americano. Una proposta di analisi semiotica. 
 16 
del generale rinchiudersi in un guscio. Poiché avevano deciso di cercare 
rifugio nell’interno dell’animo, i tedeschi non potevano certo permettere 
allo schermo di esplorare quella realtà che avevano abbandonato. Ciò 
spiega il notevole ruolo dell’architettura da Caligari in poi, che ha colpito 
molti osservatori…Le facciate e gli interni architettonici non erano 
soltanto sfondi ma anche geroglifici: esprimevano la struttura dell’anima 
in termini di spazio.
7
 
 
Relativamente all’analisi del legame tra scenografia espressionista e film 
noir, l’elemento che accomuna entrambi è dato sicuramente dal fatto che linee 
oblique e verticali vengono privilegiate rispetto a quelle orizzontali. Come 
nell’Espressionismo, gli elementi compositivi del noir sono asimmetrici, angolari, 
verticali. Lo spazio viene scomposto e tende a rinchiudersi sopra i personaggi 
spingendoli verso il basso dell’inquadratura. Inoltre l’obliquità, che tende a 
frantumare lo schermo rendendolo insicuro e instabile, si adatta perfettamente alla 
scenografia urbana del noir, alle superfici stradali lisce bagnate dalla pioggia, ai 
giochi espressionistici di ombre proiettate sui muri, a vetrine scintillanti in 
contrasto con l’oscurità dell’esterno.  
 
 
Scena iniziale del film La sanguinaria (1949) di Jhoseph H. Lewis. La città del noir, con le sue 
strade di desolazione, è spesso bagnata dalla pioggia.  
                                                 
7
 Siegfried KRACAUER, Da Caligari a Hitler. Una storia psicologica del cinema tedesco, 
Torino, Lindau, 2001, p. 121.
Capitolo I - Le origini del genere noir 
 17 
Ecco che la città nel noir emerge cinematograficamente come frammentazione e 
non come unità, come oggetto di una distorsione, temporale e spaziale, attraverso 
procedimenti stilistico figurativi, che è un po’ quello che si riscontra nel 
paesaggio della scenografia espressionista in cui manca un senso di omogeneità, 
continuità in virtù del fatto che le sue linee spezzate e distorte obbedivano a 
ispirazioni figurative in funzione dell’inquadratura, della sequenza, dell’azione. 
Come sostiene Franco La Polla: 
 
L’aspetto realistico della città è innegabile, ma non si può non leggere 
quella scenografia, anche in termini, se non di metafora, di atmosfera 
spirituale. La città notturna dei ‘40 è sempre anche un paesaggio 
dell’anima o la scena di una potenziale irruzione dell’inconscio…
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Il tono cupo e oscuro del noir che abbraccia ogni elemento della messa in 
scena era forse una proiezione esterna dell’inconscio non meno di quanto lo era 
stato per il cinema espressionista tedesco. 
Per quanto riguarda l’angolazione delle riprese, lo stile visivo del noir 
prevede che queste siano estreme; primissimi piani, riprese oblique dal basso e 
dall’alto, formano una sorta di ossessione espressiva. L’angolazione più ricorrente 
è quella in cui il personaggio viene ripreso dall’alto con la macchina da presa 
posta sopra la sua testa, per sottolineare il destino che incombe sul protagonista, 
destino che già lo spettatore conosce o intuisce, e che la macchina da presa con la 
ripresa dall’alto rafforza, facendo in modo che tra questo individuo 
ridimensionato e vulnerabile e lo spettatore che lo osserva dall’alto si crei un 
legame di superiorità a favore di quest’ultimo.  
 L’inquadratura dall’alto è, in realtà, una soggettiva della perfida 
Barbara O’Neil (Miss Robey), che osserva dalla finestra, in modo minaccioso, l’arrivo della 
protagonista Cecilia nel film Dietro la porta chiusa (1948) di Fritz Lang. 
                                                 
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 Franco LA POLLA, Sogno e realtà americana nel cinema di Hollywood, Bari, Laterza, 1987, p. 
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