2
Nonostante le premesse, l’ afflusso dei capitali nei campi restava
insoddisfacente per via della più ampia remunerazione che gli stessi
capitali consentivano di realizzare se impiegati nei settori economici
extra-agricoli.
In non pochi casi, poi, alle tendenze indicate si affiancava una si-
tuazione di partenza caratterizzata da una bassissima propensione all’
indebitamento da parte degli agricoltori.
Nel tempo questa scarsa ( ma crescente ) propensione all’ inde-
bitamento ha trovato giustificazione nella natura particolarmente in-
certa dell’ attività agricola.
Elementi di incertezza quali il rapporto tra fattori conferiti e pro-
dotti ottenuti, la qualità delle produzioni, i prezzi ottenuti per i prodotti
venduti, e sui quali i singoli agricoltori hanno scarsa influenza, risulte-
rebbero notevolmente accentuati dalla presenza degli oneri finanzia-
ri. In questo contesto, si comprende l’importanza dell’ impostazione
centralistica inizialmente data alla politica del credito agrario, rispec-
chiata fedelmente, fino a tutto il 1993, dalla legge del 5 luglio 1928 n.
1760.
La legge prevedeva, appunto, la concessione di contributi statali
per le operazioni di credito agrario, oltre alla possibilità di concorrere
alle spese per il pagamento degli interessi
2
.
2
G. MUZZIOLI, Banche e agricoltura, Bologna, 1983.
3
E’ importante rilevare come la disciplina del credito agrario age-
volato in Italia si sia ispirata in primo luogo al principio della commisu-
razione della durata delle operazioni di prestito al normale ciclo pro-
duttivo agricolo ( nel caso del credito agrario di esercizio ), e a quello
delle specifiche opere da realizzare ( nel caso del credito agrario di
miglioramento ).
Un sistema di garanzie ad hoc, infine, garantiva gli enti finanziatori
dai rischi connessi all’ erogazione del credito agli agricoltori.
Il legislatore dell’ epoca, inoltre, ritenne importante legare l’ utiliz-
zazione del credito allo scopo per il quale esso veniva concesso, onde
evitare che i finanziamenti venissero invece utilizzati per scopi diversi.
Volendo individuare in Europa alcune impostazioni tipiche dei si-
stemi di finanziamento dell’ agricoltura, si possono distinguere:
• Paesi in cui l’ agricoltura viene posta sullo stesso piano degli altri set-
tori produttivi per quanto concerne l’ aspetto finanziario e creditizio, e
che pertanto all’ agricoltura non hanno dedicato una legislazione
speciale ( es.: il Regno Unito );
• Paesi in cui le agevolazioni creditizie all’ agricoltura sono largamen-
te diffuse ed erogate per lo più da strutture cooperative bancarie (
es.: Germania, Austria, Paesi Bassi );
• Paesi in cui le istituzioni, mediante una legislazione specifica, gioca-
no un ruolo determinante nel garantire il finanziamento del settore a-
gricolo ( es.: Francia, Italia, Spagna).
4
Sotto il profilo della fisionomia giuridica del credito agrario, i
cambiamenti più significativi si registrano negli anni settanta in relazio-
ne al rapporto di finanziamento (disciplina del conto corrente agrario)
e al momento della provvista (autorizzazione degli Istituti di Credito
Agrario ad emettere obbligazioni).
In ogni caso, l’esclusività dell’oggetto degli enti erogatori consen-
tiva agli stessi di finanziare solo attività direttamente riconducibili ad
una nozione di agricoltura, quella desumibile dalla citata legge fon-
damentale sul credito agrario, che non era in grado di recepire le tra-
sformazioni che l’ agricoltura italiana aveva subito negli ultimi anni.
Questa situazione rendeva estremamente incerto, sotto il profilo
della sua legittimità, il finanziamento di operazioni non previste dall’
ordinamento e che, pur tuttavia, si traducevano sicuramente in un au-
silio allo sviluppo dell’ agricoltura.
Dopo numerosi progetti di legge presentati in Parlamento per e-
liminare le conclamate insufficienze della legge del 1928, e in una si-
tuazione in cui quasi ovunque scarseggiano le risorse finanziarie pub-
bliche destinabili all’ incentivazione dell’ agricoltura, il “ Testo Unico
delle leggi in materia bancaria e creditizia “ che il Governo ha ema-
nato con D. lgt. 1° settembre 1993, n. 385 non incontra limiti nel finan-
ziamento di nuove attività per le quali si giustifichi l’ applicazione delle
norme speciali sul credito agrario.
5
Si tratta di un provvedimento preso sulla spinta della creazione
dell’ Unione Europea, con il quale è stato riformato l’ intero sistema
creditizio italiano, introducendo principi più moderni e adeguati a
competere con le banche dei partners esteri.
I requisiti di maggiore flessibilità ed efficienza sono garantiti dalla
eliminazione dell’elenco delle singole operazioni finanziabili (senza
che venga meno la natura di credito di scopo)e dal fatto che, esten-
dendo a tutte le banche la capacità di erogare finanziamenti di cre-
dito agrario, “l’eventuale impossibilità di considerare un finanziamento
come un’ operazione di credito agrario comporta sì la perdita dei pri-
vilegi previsti per lo stesso, ma non anche l’ illegittimità dell’ operazio-
ne come in precedenza”
3
.
Il T.U., precisando che sono finanziamenti agrari quelli destinati al-
le attività agricole e zootecniche “nonché a quelle connesse e colla-
terali“, svincola il credito da un concetto di agrarietà eminentemente
di natura fisica - caratteristico della vecchia impostazione - per anco-
rarlo ad uno di natura prevalentemente economica rappresentato
dalla filiera agro-alimentare.
3
R. COSTI, L’ ordinamento bancario, Bologna, 1994.
7
CAPITOLO PRIMO
PROFILI GENERALI DEL TESTO UNICO
DELLE LEGGI IN MATERIA BANCARIA E CREDITIZIA
1.1. - IL TESTO UNICO: EVOLUZIONE DEL SISTEMA CREDITIZIO
ITALIANO IN ARMONIA CON L’ ORDINAMENTO COMUNITARIO
L’ ordinamento creditizio italiano, fondato sulla legge bancaria
del 1936, è rimasto praticamente inalterato fino agli inizi degli anni no-
vanta, quando, in vista di un pieno adeguamento del sistema eco-
nomico italiano alle direttive comunitarie, è emersa l’ esigenza di con-
sentire agli enti creditizi di operare secondo le logiche del mercato.
In effetti, il sistema bancario italiano ha goduto per molto tempo
di una condizione di quasi monopolio assicurata dalla rigida segmen-
tazione operativa, dall’ assenza di altri intermediari finanziari e dal di-
vieto di ingresso nel mercato italiano imposto dalle autorità creditizie
alle banche estere
1
.
Si rendevano pertanto necessari provvedimenti volti a rimuovere i
vincoli giuridici che limitavano l’ operatività degli enti creditizi e ad
accrescerne l’ efficienza e la stabilità, affinché questi potessero muo-
versi nel settore bancario, in quello del mercato mobiliare e in quello
1
D. ZUCCHELLI, Il T.U. in materia bancaria e creditizia, in Cooperazione di credito, Roma,
Genn/Mar 1994.
8
assicurativo basandosi esclusivamente sulla logica d’impresa, in un
regime di perfetta concorrenza con gli altri enti creditizi e con gli altri
operatori del mercato finanziario.
D’altra parte, in ambito comunitario, sarebbe stata presto elimi-
nata ogni protezione di tipo burocratico nei confronti della concorren-
za degli enti creditizi degli altri Paesi della CEE.
In questo contesto si collocano i decreti legislativi 14 dicembre
1992, n. 481 e 1° settembre 1993, n. 385, emanati entrambi dal Gover-
no nell’ esercizio della delega contenuta nell’art. 25 della legge 19
febbraio 1992, n. 142, che ha dettato i principi e i criteri direttivi per il
recepimento della seconda direttiva comunitaria (89/646/CEE) relati-
va al coordinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e
amministrative sull’ accesso all’ attività degli enti creditizi e il suo eser-
cizio.
Il legislatore, infatti, prevedendo che l’attuazione della seconda
direttiva bancaria avrebbe significativamente modificato
l’ordinamento esistente, ha contestualmente delegato il Governo ad
emanare “ un Testo Unico delle disposizioni adottate, coordinate con
le altre disposizioni vigenti nella stessa materia, apportando le modifi-
che necessarie a tal fine”.
Con la seconda direttiva sono stati introdotti per la prima volta i
principi del mutuo riconoscimento, della licenza unica e del controllo
da parte dell’ autorità di vigilanza del Paese di origine; è stato chiesto,
9
in sostanza, agli Stati membri di aver fiducia in banche già autorizzate
in altri Paesi comunitari.
La prima vigorosa sterzata verso il rinnovamento dell’ ordinamen-
to creditizio italiano si è avuta con la legge 30 luglio 1990, n. 218 (c.d.
legge “Amato-Carli”), i cui obiettivi erano: la privatizzazione del siste-
ma bancario mediante la trasformazione degli enti creditizi pubblici in
società per azioni; l’ incoraggiamento, mediante la previsione di be-
nefici fiscali, alla realizzazione di concentrazioni che avrebbero confe-
rito al settore bancario un assetto dimensionale più consono alle mu-
tate condizioni del mercato; l’ introduzione del concetto di gruppo
polifunzionale.
Questo nuovo modello organizzativo, nella fase iniziale della ri-
strutturazione del sistema bancario italiano, rappresentava uno stru-
mento rispondente con efficacia all’ esigenza di offrire una più vasta
gamma di servizi finanziari, pur mantenendo al proprio interno una
netta specializzazione funzionale, nel rispetto della tradizionale distin-
zione tra enti creditizi che operano a breve termine ed enti che ope-
rano a medio e lungo termine.
Il d. lgt. 481/92, invece, ha introdotto il modello della banca uni-
versale, non impedendo, peraltro, agli operatori italiani di optare per il
gruppo polifunzionale o per modelli organizzativi intermedi tra il grup-
po e la banca universale: in ogni caso, deve essere garantito il criterio
10
della “sana e prudente gestione”, che viene valutato di volta in volta
dalle Autorità creditizie, e di cui si dirà meglio in seguito.
Queste “novità” hanno trovato definitiva consacrazione nel nuo-
vo Testo Unico il quale, tuttavia, pur avendo abrogato la legge ban-
caria del 1936 (insieme a tantissime altre leggi), si è nettamente di-
stanziato da questa solo in alcuni punti, pure di fondamentale impor-
tanza: l’ organizzazione ed i poteri delle Autorità creditizie; la tutela del
risparmio e la maggiore attenzione dedicata alla trasparenza delle
condizioni contrattuali; la definitiva riorganizzazione strutturale e fun-
zionale del settore bancario; e l’ apertura di nuovi e più proficui rap-
porti con l’ economia.
A proposito di quest’ ultimo aspetto, cioè dei rapporti tra sistema
bancario ed economia o, più precisamente, dei rapporti banca- im-
presa, occorre ribadire la preclusione per la cosiddetta “banca-
mista”, ma solo con riferimento al controllo dell’ impresa sulla banca,
essendo quello della banca sull’ impresa rimesso all’ autorizzazione
della Banca d’ Italia.
In definitiva, e con riferimento all’ art. 6 del Testo Unico, l’ affer-
mazione della vocazione europeista del nostro sistema creditizio viene
vissuta dal legislatore ora come limite ai suoi poteri di coordinamento,
ora come punto di riferimento verso cui deve necessariamente tende-
re la stessa azione di coordinamento.
11
1.2. - LA DESPECIALIZZAZIONE DEL DIRITTO BANCARIO E LA PRO-
BLEMATICA DELLA BANCA UNIVERSALE
Prima del recepimento in Italia delle disposizioni comunitarie e
prima di avviare il processo di ristrutturazione dell’ ordinamento crediti-
zio italiano, la legge bancaria del 1936 e le diverse discipline di settore
da essa derivate avevano imposto una forte specializzazione delle
imprese bancarie.
In particolare, l’ordinamento previgente imponeva in modo e-
splicito solo la specializzazione cosiddetta istituzionale fra aziende ed
istituti di credito, ma consentiva anche tutte le specializzazioni che le
Autorità creditizie avessero ritenuto opportuno introdurre al fine di ga-
rantire l’ efficienza, la stabilità e la liquidità del sistema creditizio: così si
parla anche di specializzazione funzionale, settoriale e territoriale.
Il processo di despecializzazione, avviato con una serie di prov-
vedimenti durante gli anni ottanta, è stato completato solo con il d.
lgt. 481/92 e recepito dal T.U. del 1993.
Con l’ assunzione del modello della banca universale è stata so-
stanzialmente ratificata l’ esigenza di maggiore efficienza del sistema
bancario, manifestata in primis all’ interno dello stesso: ogni ente cre-
ditizio, avvertendo la necessità di fornire ai risparmiatori e alle imprese
la gamma completa dei prodotti finanziari, insieme al continuo am-
pliamento di quest’ ultima, è andato via via allargando il proprio am-
12
bito operativo, fino ad eliminare di fatto ogni segmentazione del mer-
cato.
Il T.U. 385/93, in definitiva, riconosce a tutte le banche (sopravvi-
ve solo la distinzione delle banche cooperative, peraltro solo parzial-
mente sottratte alla disciplina generale)pari e più ampie possibilità
operative, consentendo a ciascuna di esse di organizzarsi autono-
mamente al fine di esprimere al meglio la propria vocazione imprendi-
toriale.
Quello che è stato un “moto naturale” del settore bancario pri-
ma, e che ha assunto dignità legislativa nel T.U., poi, trova una delle
definizioni più sintetiche ed insieme esaustive nel citato concetto della
despecializzazione.
In primo luogo si deve parlare di despecializzazione del diritto
bancario, in quanto il Testo Unico rappresenta il superamento
dell’impostazione corporativa che caratterizzava la legge bancaria
del 1936.
Esso, infatti, non contiene più solo disposizioni relative alla banche
e alle Autorità creditizie, riservando ampio spazio anche alle norme
sulla trasparenza delle condizioni contrattuali e, quindi, alla tutela
dell’ azionariato e della clientela, quali elementi indispensabili per la
realizzazione di un mercato perfettamente concorrenziale.
In secondo luogo, deve parlarsi di despecializzazione con riferi-
mento ai tre aspetti: operativo, istituzionale e temporale.
13
Despecializzazione istituzionale perché, venuta meno la tradizio-
nale distinzione tra azienda di credito ordinario ed istituto di credito
2
, si
assiste all’ assorbimento nell’ unico concetto di “banca” di qualunque
tipo di operatore bancario.
Despecializzazione temporale perché risulta superata la differen-
ziazione temporale delle forme di raccolta del risparmio o, più in ge-
nerale, di provvista fra il pubblico tra breve, medio e lungo termine
3
.
Despecializzazione operativa non perché viene meno la distin-
zione tra attività a breve, a medio o a lungo termine, ma perché ad
ogni ente creditizio viene consentito, previa previsione statutaria (valu-
tata ed autorizzata dalla Banca d’ Italia alla luce del citato criterio
della sana e prudente gestione), di esercitare, oltre all’attività banca-
ria propriamente detta, una qualsiasi delle altre attività ammesse al
beneficio del mutuo riconoscimento (art. 1 c. 2 T.U.): diventa cioè una
questione organizzativa del singolo operatore bancario, che dovrà
opportunamente adeguare la propria struttura operativa.
Trattando della c.d. legge “Amato-Carli”, si è detto della previ-
sione di agevolazioni fiscali concernenti i processi di trasformazione e
concentrazione, agevolazioni che esprimono l’atteggiamento di favo-
2
Si tratta del fenomeno della cosiddetta “doppia intermediazione”, in forza del quale si è assistito non
solo ad un flusso di capitali di rischio e di credito dalle aziende ordinarie agli istituti, ma anche ad una
integrazione strutturale tra tali operatori: gli istituti, pertanto, operano normalmente attraverso la rete
di sportelli delle banche partecipanti.
3
La despecializzazione temporale, in ogni caso, non implica l’irrilevanza a fini di vigilanza del sincro-
nismo delle scadenze tra raccolta e impieghi, presupponendo solo che un medesimo ente creditizio
possa operare tanto nel breve, quanto nel medio-lungo termine, senza doversi nessariamente articolare
in più soggetti giuridici.
14
re del nuovo ordinamento creditizio verso il gruppo bancario, quale
unico strumento organizzativo (insieme all’ attività di vigilanza pruden-
ziale delle Autorità creditizie) capace di ottenere gli effetti della de-
specializzazione operativa degli intermediari: il rischio, infatti, è che la
banca finanziatrice si trovi ad operare secondo schemi ad essa poco
noti e che potrebbero legare le sue possibilità di sviluppo alle vicende
gestionali delle aziende finanziate.
1.3. - LE “ FINALITA’ “ PERSEGUIBILI DALLE AUTORITA’ CREDITIZIE
DI VIGILANZA
Uno dei principi cardine del T.U. del 1993 è quello della sana e
prudente gestione, considerato il criterio-guida delle valutazioni e de-
gli interventi delle Autorità creditizie di vigilanza.
A questo proposito, è significativo notare che, mentre nel D.lgt.
n.481/92 (in linea con la seconda direttiva comunitaria) il suddetto cri-
terio era considerato indicativo solo della eventuale valutazione posi-
tiva degli azionisti della banca detentori di partecipazioni qualificate,
nel T.U. esso rileva ai fini della verifica di tutti gli elementi cui la Banca
d’ Italia condiziona il rilascio dell’ autorizzazione all’ esercizio dell’ atti-
vità bancaria.
La dottrina prevalente ritiene che la tendenza liberalizzatrice di
ispirazione comunitaria si sia sostanzialmente risolta in un ridimensio-
namento della discrezionalità nell’esercizio dei poteri di controllo: poi-
15
ché il principio del mutuo riconoscimento attribuisce la vigilanza pub-
blica sulle banche alle Autorità creditizie dello Stato membro di origi-
ne, per esempio, i poteri delle Autorità creditizie del Paese ospite si li-
mitano alla salvaguardia della liquidità aziendale e, dunque, degli o-
biettivi di politica monetaria.
L’ autorità di controllo può esercitare un’azione di vigilanza volta
a perseguire la stabilità e l’efficienza della banca, ma non anche a
determinare la struttura del mercato o a vincolare le scelte d’ impresa
alle decisioni di politica economica del Paese.
Il fatto stesso di aver lasciato spazio nel T.U. ad entrambi i modelli
organizzativi della banca universale e del gruppo polifunzionale pone
in evidenza la volontà di predisporre un apparato di controllo orienta-
to prevalentemente alla regolamentazione delle attività e non degli
intermediari.
Fermi questi principi, il concreto esercizio dell’ attività bancaria
rimane subordinato, più che nella legge del 1936, al rispetto delle re-
gole prudenziali dettate dalle autorità di controllo.
Risultando ampliati i campi di intervento delle Autorità creditizie,
esse esercitano i loro poteri di normazione secondaria (attribuitigli da
numerosi articoli del Testo Unico) principalmente per quanto concer-
ne l’ attività bancaria e creditizia, la trasparenza delle condizioni con-
trattuali, il funzionamento dei sistemi di pagamento e l’emissione di va-
lori mobiliari.
16
Come già anticipato, l’ elaborazione della normativa secondaria
incontra un limite microeconomico nella sana e prudente gestione
dei soggetti vigilati, ed un limite macroeconomico nella stabilità com-
plessiva, nell’ efficienza e nella competitività del sistema creditizio e fi-
nanziario.
Si noti, in proposito, che nella legge bancaria del 1936 le finalità
della Vigilanza non erano esplicitamente elencate, ma solo implici-
tamente desumibili attraverso i poteri e gli strumenti riservati all’organo
di controllo, ed erano finalità sia di vigilanza, sia di politica monetaria.
Un’ altra limitazione ai poteri della Banca d’ Italia deriva dall’art.4
del T.U., che le impone la determinazione e la pubblicazione dei prin-
cipi e dei criteri ai quali si informa l’ attività di vigilanza, il rispetto degli
orientamenti della legislazione nazionale in tema di trasparenza
dell’attività amministrativa e, infine, la pubblicazione annuale di una
relazione sull’ attività svolta.
Sempre secondo il principio della sana e prudente gestione, se
un ente creditizio mostra interesse per l’ adozione del modello della
banca universale, la Banca d’ Italia deve verificare, a norma
dell’art.56 del T.U., che le modifiche anche statutarie finalizzate
all’ampliamento del raggio di azione dell’ ente non risultino repentine
ma progressive: saranno quindi determinanti il grado di inserimento
della banca nel territorio, le capacità imprenditoriali di gestione e, so-
prattutto, l’ aver via via instaurato rapporti con altre istituzioni creditizie