Introduzione Da quasi cinque anni una parolina magica impazza nelle
librerie, nelle sale cinematografiche e nel web: Twilight.
Una semplice parola che fa da passepartout al mondo
immaginario, romantico e a tratti pericoloso e seducente, creato
sapientemente dalla penna di Stephenie Meyer.
Quello di Twilight è senza dubbio un fenomeno letterario di
genere senza precedenti, di portata mondiale, che ha saputo
incantare milioni e milioni di fan(soprattutto adolescenti), e che
ha di fatto riportato alla ribalta una delle figure mitiche più
usata, rielaborata, osannata e consumata di sempre: il vampiro.
La saga di Twilight, che significa letteralmente
“crepuscolo”, ha paradossalmente “illuminato” e re-indirizzato
i riflettori sulla figura simbolo dell’intero filone horror-gotico,
trainandola così all’alba del XXI secolo.
Il racconto della Meyer, ha da una parte il merito di aver
rialzato il sipario su un personaggio che negli ultimi dieci anni
(dai tempi del successo di Anne Rice) aveva perso il suo
magnetismo letterario e cinematografico, relegato in un
angolino in attesa che qualcuno gli ridesse spolvero e lustro,
dall’altra, la scrittrice statunitense ha di fatto contribuito in
modo profondo (e forse irreparabile) a rielaborare totalmente
l’archetipo stesso del vampiro, fin nelle sue fondamenta.
I vampiri di Twilight non hanno più niente del buon e
vecchio, ma soprattutto inquietante, Dracula di Stoker.
Dopo più di un secolo l’affascinante signore delle tenebre
per eccellenza, è diventato nulla più che un super eroe moderno
dall’armatura, anzi dal corpo stesso, scintillante. Una sorta di
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prototipo dell’uomo perfetto che tutte le donne cercano: bello,
ricco e potente. E se ha i canini un po’ aguzzi poco importa.
Il vampiro descritto in Twilight, Edward, non impaurisce,
non è un seduttore con la S maiuscola (almeno non più nel
senso in cui Stoker lo intendeva), non beve sangue umano, ma
solo animale, ed è immune a croci, aglio, ostie consacrate e
quant’altro possa essere utile a distruggerlo, almeno stando alla
tradizione folkloristica. E’ un vampiro, ma che di un vampiro
sembra non avere più alcuna caratteristica. Egli non incarna più
il prototipo della figura demoniaca che per almeno due secoli
ha terrorizzato generazioni di lettori, ma è bensì un vampiro-
umano. Anche troppo umano.
Questa figura così emblematica e spaventosa, usata come
metafora del capitalista, ma anche come metafora di
impronunciabili paure sociali a cui l’uomo moderno andava
incontro in modo incerto, sembrava essere destinata a resistere
nei secoli, immutata e immutabile, destinata a preservare le sue
oscure peculiarità che l’hanno resa di fatto la figura terrificante
entrata di forza nell’immaginario di noi tutti.
Eppure, dopo più di un secolo dall’opera di Stoker, molte
cose sembrano essere cambiate con i nuovi undead (non–morti)
della Meyer. Sembra che anche la figura più immutabile di
tutte, il vampiro, si sia dovuta riadattare all’epoca post-
moderna per non dover soccombere all’oblio e all’incertezza di
una società profondamente cambiata nelle paure stesse.
Da queste primissime considerazioni appare evidente
l’evoluzione drastica che la figura del vampiro ha subito in
quest’ultimo secolo e mezzo, ed infatti il primo punto che
analizzeremo in questo lavoro di tesi, sarà proprio capire se e
cosa, è rimasto di quei tratti “draculiani” nei moderni vampiri
di Twilight, e se è ancora possibile dopo un’evoluzione così
radicale dell’archetipo, ricondurlo seppur minimamente alle
origini.
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La nostra analisi però si amplierà toccando anche un
secondo punto cruciale che riguarderà la saga di Twilight nel
suo insieme. La letteratura americana dal ’600 in poi ha dato
alla luce grandi opere che sono state ricondotte all’interno di
uno specifico immaginario letterario: quello calvinista-
puritano, che sembra accompagnarci anche nel XXI secolo,
seppur con alcune varianti. Dal Paradise Lost di John Milton, a
La lettera scarlatta di Howthorne, passando per il Robinson
Crusoe di Defoe al Moby Dick di Melville, questi grandi
romanzi ci hanno tramandato specifici archetipi, simboli e
metafore che hanno di fatto contribuito a costruire le
coordinate di questo immaginario, entro le quali si inseriscono
molte altre opere del secolo scorso, e che abbiamo cercato di
usare e applicare anche alla saga di Twilight, per capire se
anche’essa si prestasse a rientrare in questo specifico filone
letterario.
Abbiamo cercato di capire dunque, se e come, questi
archetipi di “vecchio stampo” siano stati utilizzati all’interno di
un racconto diverso anni luce dalle opere sopra citate, ma che
nonostante il passare dei secoli, ancora potrebbero prestarsi a
fare da basi a un’opera di genere prettamente moderna, come
quello urban-fantasy a cui Twilight appartiene.
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Capitolo Primo Vampiri vecchi e nuovi
I.1. Il vampiro:un primo assaggio. Da The Vampyre di Polidori
al Dracula di Stoker I vampiri, prima o poi, ritornano sempre. E questo è un fatto
innegabile. Nessun’altra figura mitica come quella del
Nosferatu , è mai riuscita con tanta assiduità a rimanere sempre
“viva” attraverso i secoli, e a suscitare come se fosse sempre la
prima volta, così tanto terrore, fascino e curiosità.
Probabilmente non c’è neanche da stupirsi più di tanto di
questa intramontabilità del vampiro, visto che la sua specialità
è proprio quella di vivere per sempre, e per sempre sembra
essere anche il suo magnetismo sull’immaginario collettivo.
Credere oppure no all’esistenza di questa figura così
emblematica è una questione puramente soggettiva, anche se
fin dal settecento sono state raccolte molte testimonianze
sull’esistenza reale (o presunta tale) dei vampiri.
Ma al di là del crederci o meno, molti studiosi nel corso dei
secoli si sono interrogati sulla nascita del mito di questa figura,
e due filoni di pensiero sono stati elaborati.
Il primo ci dice che il vampiro è antico quanto la storia
umana, e le sue origini risalgono alla notte dei tempi. La
seconda ipotesi ritiene che il vampiro, come oggi lo
conosciamo, nasca soltanto sulla base di materiale seicentesco,
nell’Europa del primo XVIII secolo 1
.
1
M. Introvigne, La stirpe di Dracula , Mondadori, Milano, 1997, p.25.
6
Se sia vera la prima o la seconda ipotesi, o se ce ne siano
altre più accreditate, non sta a noi dirlo, quello che sappiamo
con certezza però, è che la figura del vampiro ha abbandonato
le credenze folkloristiche (era visto come personificazione
della paura ancestrale del ritorno dei morti) per entrare di
prepotenza nella letteratura a partire dall’inizio dell’800,
trovando nel filone gotico-romantico un terreno più che fertile
per essere sviluppata.
Il primo vero racconto che ha per protagonista il signore
delle tenebre è per l’appunto The Vampyre , scritto da John W.
Polidori nel 1816 durante il suo soggiorno a Villa Diodati, a
Ginevra, insieme a Lord Byron e ad altri famosi scrittori del
tempo, come Percy Shelley e la sua futura moglie, Mary
Wollstronecraft, autrice di Frankestein .
Il racconto, che narra le vicende del giovane Aubrey in
viaggio con un aristocratico molto strano, Lord Ruthven, che si
scoprirà solo alla fine essere un vampiro, fu pubblicato solo nel
1819 e attribuito erroneamente a Lord Byron anziché a
Polidori. Il poeta inglese però subito smentì la paternità del
manoscritto, e da allora non ci sono stati più dubbi su chi fosse
stato a scriverlo.
Sappiamo che Polidori modellò il personaggio di Lord
Ruthven ispirandosi proprio alla figura di Byron. Grazie a
questo elaborato infatti, si andò costruendo un primo prototipo
delle caratteristiche del vampiro. Egli veniva descritto nel
racconto come un nobile aristocratico, di bell’aspetto ed
enigmatico, molto riservato e sfuggente, attratto dalle belle
fanciulle che puntualmente venivano trafitte dal suo sguardo
magnetico e penetrante. Insomma il primo prototipo di
vampiro, sembrava essere a tutti gli effetti un Don Giovanni di
mestiere, con in più il “vizio” di uccidere e succhiare il sangue
delle vittime che cadevano ai suoi piedi.
Polidori ce lo descrive così:
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Pareva attratto soltanto dalle risate argentine delle fanciulle; con
la sola occhiata egli riusciva a soggiogarle infondendo in quei cuori
spensierati un brivido di sgomento. Coloro che attribuivano questa
sensazione di paura, non sapevano spiegarsene la ragione: alcuni la
attribuivano a quel suo occhio grigio e freddo come la morte che
pareva posarsi sui volti senza penetrarli e che giungeva invece, fino
ai più riposati congegni del cuore. Lo sguardo di lui, in effetti,
colpiva come un raggio di piombo che pesava sulla pelle senza
attraversarla. […] Il suo volto era mortalmente pallido e non si
tingeva mai di colore vivo, né per rossore di modestia, né per vampa
di passione; aveva, tuttavia, lineamenti bellissimi cosicché le donne
smaniose di mettersi in mostra facevano di tutto per conquistarlo o
per strappargli, almeno, un cenno di attenzione 2
.
Dunque il primo vampiro con cui abbiamo a che fare in
letteratura è altolocato, sfuggente e seduttore, per nulla
ripugnante.
Nonostante egli sia un frequentatore di salotti, è anche un
essere isolato, visto come un diverso che vive ai margini della
società perché esente dalla regole sociali che volontariamente
trasgredisce.
Ma la figura del vampiro già con Polidori appare come un
simbolo di tabù 3
. Sappiamo che è un essere sospeso tra una
non-vita e una non-morte, sfuggito alla morte vera e propria ma
indegno di ritornare in vita. E’ un essere che per poter
sopravvivere nella sua non-vita, ha bisogno di nutrirsi
dell’elemento vitale per eccellenza: il sangue.
L’atto stesso del succhiare il sangue dalle sue vittime è stato
interpretato come atto erotico distruttivo, degno di un amore
corrotto.
2
J. W. Polidori, The Vampyre , Newton Compton, Roma,1993, pp. 45-46.
3
D. Punter, Storia della letteratura del terrore , Editori riuniti, Roma,1997,
p. 105.
8
L’eros melanconico del vampiro, si traduce in distruzione-
possesso-incorporazione dell’oggetto del desiderio,
riflettendone la sconfinata nostalgia per un amore vero che non
sarà più, in quanto non-vivo 4
.
E’ quindi il tabù del sesso, o meglio del represso sessuale
(come lo chiamerà Freud quasi agli inizi del ‘900) a cui il
vampiro è associato fin da subito. La trasgressione erotica del
vampiro, è di riflesso la trasgressione repressa di un’intera elite
che l’epoca vittoriana ardentemente condannava e che
giudicava immorale.
Liberare desideri sessuali, giudicati inquietanti e
“perturbanti” per l’animo dell’individuo, rappresentava una
sorta di regresso dell’uomo alla condizione animale, una
condizione che faceva paura, e che con il progredire della
scienza, era di fatto inaccettabile per la società dell’epoca.
Il vampiro quindi, già con Polidori, diventa una metafora
mostruosa sulla quale riversare paure e angosce indicibili e che
andavano tenute segrete. Ma il ferreo conformismo dell’epoca
vittoriana si andava inevitabilmente sgretolando, e questo lo si
intuiva già dal finale che Polidori diede alla sua opera, nel
quale Lord Ruthven riesce senza ostacoli e senza essere punito,
a uccidere l’ennesima fanciulla caduta nelle sue grinfie.
Dopo Polidori, molti altri scrittori si sono cimentati nella
stesura di romanzi il cui protagonista era un vampiro. Come
non menzionare a tal proposito Varney il vampiro (1845-47) o
la famosa e ammaliante Carmilla di Le Fanu (1872), che hanno
di fatto posto ulteriormente le basi per la definitiva costruzione
dell’archetipo del vampiro, che troverà il suo massimo
compimento nell’opera vampiresca più celebre di tutti i tempi,
vera pietra miliare della letteratura horror-gotica: Dracula .
L’opera di Stoker scritta nel 1897, ci regala “la figura più
nota, completa e definita di vampiro moderno, che ha
4
V. Teti, La melanconia del vampiro , Manifestolibri, Roma, 2007, p.253.
9
condizionato tutta la successiva letteratura vampirica, per non
parlare delle influenze esercitate su una sterminata produzione
cinematografica” 5
.
Il Dracula di Stoker è stata ed è, una delle figure letterarie
più studiate e interpretate di tutti i tempi, vista come metafora
delle più importanti espressioni dei dilemmi sociali e
psicologici sul finire dell’Ottocento, vista come espressione
della paura del passaggio da un’epoca all’altra (dall’età
vittoriana a quella moderna), e ancora riutilizzata nel pieno
Novecento come personificazione del capitalista, che succhiava
il sangue al proletario alienato e sfruttato 6
.
Insomma, su Dracula sembrano riversarsi tutte le paure, le
inquietudini, le angosce, di una società che andava incontro
all’incertezza della modernità, e che non ha trovato altro modo
per allontanarsene, se non riversarle appunto su una figura
mostruosa. E’ proprio questo motivo dell’angoscia, della
malinconia di un’epoca, che ci conduce alla tematica del
doppio che molto ha a che fare con la figura del vampiro, e in
particolare con quella di Dracula.
5
Ivi, p. 165.
6
F. Moretti, Segni e stili del moderno , Einaudi, Torino, 1987, p. 115.
10
Da molti critici infatti, il vampiro è stato interpretato anche
come metafora di quella paura che accompagna l’uomo da
sempre e che di fatto si concretizzò durante i regimi dittatoriali:
quella che dentro ogni individuo si nasconda un lato oscuro,
malvagio, un doppio appunto. La bestialità, ad esempio, di cui
l’uomo si era reso artefice durante i totalitarismi, sono un
chiaro segnale della doppiezza della personalità umana, una
personalità oscura che la società nel suo insieme non poteva
permettersi di guardare in
faccia, per non
soccombervi. Siamo noi
stessi ad essere il nostro
doppio, ospitando in noi
quel lato negativo e
sconosciuto della nostra
personalità, che
cerchiamo di allontanare
mediante la costruzione
di un mostro sul quale
proiettare le nostre paure.
Al di là però di tutte le
possibili interpretazioni a
cui Dracula si è prestato,
è importante ricordare
che Stoker con la sua
opera ha dato veridicità
alla figura stessa del vampiro, riportandolo nei suoi territori
d’origine, la Transilvania, ma anche l’Inghilterra. L’autore
irlandese si dedicò a un lungo studio sui luoghi d’origine delle
leggende vampiresche, per rendere quanto più realistico
possibile il suo romanzo, così come studiò attentamente anche
il personaggio di Vlad Tepes Dracula, principe di Valacchia,
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