4
INTRODUZIONE
5
Anche solo nell’ambito del Novecento, la critica d’arte di Giovanni Testori, riconsiderata
nell’insieme e nell’arco di tutta la sua vita, si presenta in una grande vastità: interventi, articoli
(soprattutto come critico d’arte al «Corriere della Sera» di Milano), numerose presentazioni in
cataloghi, poesie dedicate ad artisti (esistono scritti e prefazioni a partire già dagli anni
dell’Università).
La critica-scrittura in riferimento alle arti figurative è una situazione di confine, di frontiera,
ricca di capitoli illustri, affascinante. È una concezione della lettura critica che traspone
un’opera d’arte figurativa nel nuovo impulso di un’originalità di scrittura: traduce, “tradisce”,
nella continua evasione dal pensiero astratto, categoriale, s’invera in una continua forza di
trapassi, di risonanze. Il libro critico finisce per configurare una sorta di spazio-tempo, al
crocevia delle occasioni, dell’imprevisto, di cultura e di umano, di teatro dell’esistenza, ma
anche d’immaginazione che si aggroviglia in cifre, simboli, inganni, nuove luci, inedite relazioni.
Nella scrittura d’arte, Giovanni Testori, come ricorda Stefano Crespi
1
, «cade come un’ipotesi
estrema». C’è una sorta di circolarità nella sua opera, come una presenza molteplice e
perennemente conflittuale: dalla narrativa al teatro, alla poesia, dalla critica d’arte antica a
quella contemporanea, dalla pittura esercitata in proprio alla diretta recitazione, all’intervento
morale sui quotidiani. Ma da qualsiasi punto entriamo nella sua opera, i generi s’inglobano, si
sovrappongono, si svuotano nella loro fatiscente architettura: per una sorta di concezione
plenaria, e appunto estrema, della parola, magmatica, iperbolica, indefinibile rispetto a
categorie o codici storiografici.
La scrittura stessa era da lui intesa allo stesso modo del disegno. Enzo Golino (che era stato
redattore delle pagine culturali del «Corriere della Sera») ricorda le pagine dattiloscritte di
Testori: fitte, senza margini, con correzioni illeggibili; Testori si scusava dicendo che non sapeva
sopportare il bianco (il bianco dell’assenza, del vuoto, del puro enigma). Una scrittura che
oltrepassa l’opacità della pagina bianca, così come la sua concezione della critica («del qui
scrivente») rompe il cerchio della schedatura, degli accertamenti, della filologia, dei sistemi,
delle dottrine. È una scrittura (come dice in un suo saggio dedicato a Tanzio da Varallo) che
1
S. CRESPI, Postfazione, in G. TESTORI, La cenere e il volto. Scritti sulla pittura del Novecento, Le Lettere,
Firenze 2001, pp. 281-296.
Un accostamento costante all’opera critico-letteraria di Testori (già al suo esordio) è stato condotto da
Carlo Bo; vedi C. BO, Testori, Longanesi, Milano 1995.
6
«scende, sale, risale, guadagna i cieli *…+ ansima, soffre, s’infetta, delira, annaspa, boccheggia,
e poi spira e muore»
2
.
L’universo artistico sembra essersi via via rivitalizzato in repertorio, informazione,
riappropriazione ludica, ironica, simulazione. Permane in Testori una concezione dell’arte
come oltranza, pathos, potentemente anacronistico.
TESTORI E PICASSO
«Picasso deformava per essere più vicino alla realtà, proprio per non tradire la qualità del corpo e
dell’espressione umana, che non è regolare ma irregolare e che rispecchia, ovviamente, sia l’anima che il
corpo.»
3
Oggi la critica è concorde sul fatto che quest’artista non è stato soltanto il più grande del suo
tempo, ma uno dei più grandi in assoluto.
Testori, nel corso della sua vita, ha scritto e recensito molti artisti (pittori, scrittori,
drammaturghi ecc.), dai più antichi ai contemporanei. È strano, quindi, che non abbia mai
scritto un libro su Pablo Picasso, il genio del Novecento. Ma ciò non significa che non abbia mai
“parlato” di lui. L’ha fatto, in altri modi: sulle riviste artistiche e sui quotidiani, attraverso le
lettere e i manifesti.
A Testori piaceva Picasso? Sì e no. Il suo giudizio sull’artista cambia molto nel corso della sua
vita, cosa che può sembrare assolutamente normale, dato che il primo scritto è del 1945 (e
Testori è un ragazzo di ventidue anni) mentre l’ultimo è del 1992 (Testori ormai settantenne e
indebolito dalla malattia che lo condurrà in breve tempo alla morte). L’aspetto singolare è che
il giudizio muta radicalmente, antiteticamente, nel giro di un paio d’anni
4
.
L’obiettivo del mio lavoro è stato, dunque, quello di ricostruire questa linea di giudizio di
Testori su Picasso, attraverso le pubblicazioni giovanili su riviste come «Argine Numero» e
«Numero Pittura», le lettere agli amici pittori e critici d’arte, per ultime le recensioni delle
mostre degli anni della maturità apparse sul «Corriere della Sera». Ovviamente ho tenuto
2
G. TESTORI, Sennacherib e l’angelo, in Il Seicento lombardo. Saggi introduttivi, Milano, Electa, Milano
1973, p. 22.
3
G. SOAVI, Picasso & Co, Elli e Pagani, Milano 1975, p. 9.
4
Mi riferisco al giudizio contrapposto che emerge dagli articoli del «Corriere della Sera», in particolare
tra l’articolo del 1979 e quello del 1982.
7
conto, anche se in maniera minore, del cambiamento della sua pittura (impossibile che il
cubismo non lo sfiorasse) cosa che ha permesso di rilevare il moto fluttuante del suo giudizio.
Fondamentale per questa ricerca è stata l’analisi del panorama artistico, storico e critico in cui
Testori s’inserisce con il suo giudizio. Importantissime le idee (artistiche e critiche) dei suoi
amici e colleghi: in primis Roberto Longhi (suo maestro), Renato Guttuso, Fausto Morlotti e
Francesco Arcangeli, seguiti da Eugenio Treccani e Bruno Cassinari
5
. Ho tenuto conto dei loro
giudizi su Picasso sia per quanto riguarda lo stile propriamente picassiano, sia per quanto
riguarda la figura stessa dell’artista. Lo sfociare in un discorso politico è stato inevitabile dal
momento che Picasso, dagli anni Trenta in poi (in coincidenza con la creazione della sua opera
capitale, Guernica) è stato associato al comunismo e alla Resistenza. Stare con Picasso e
apprezzare un’opera come Guernica voleva dire (e vuol dire, in parte, tutt’ora) prendere una
posizione politica. Questo dipinto rappresenta un punto cardine del mio lavoro, quindi mi è
sembrato necessario e doveroso dedicare a esso un intero capitolo della ricerca.
Ho così ordinato i diversi argomenti partendo dalla trattazione di Guernica, nel primo capitolo,
per poi passare a una descrizione, si spera la più sintetica, ma precisa, possibile, del panorama
artistico-culturale italiano degli anni intorno alla seconda guerra mondiale. Il terzo capitolo è
una trattazione della mostra su Picasso svoltasi al Palazzo Reale di Milano nel 1953; trattandosi
di una tappa fondamentale per comprendere il tema del picassismo in Italia, ho cercato di
raccogliere il maggior numero di notizie e recensioni relative all’evento (soprattutto articoli di
giornale), uno dei più importanti di quegli anni. Il capitolo successivo è dedicato alla cerchia
intellettuale di Testori. All’interno di esso, un paragrafo tratta del rapporto tra Longhi e
Picasso, dato che la critica d’arte di Longhi è alla base sia di quella di Testori, che di quella di
Arcangeli, ovviamente con le diversità dovute al passaggio generazionale. Un altro paragrafo è
intitolato a Guttuso e Picasso dal momento che il pittore di Bagheria era in stretto contatto
con l’artista spagnolo, dal punto di vista artistico, ma anche, e forse soprattutto, da quello
politico. Infine un accenno a Morlotti (e alla critica su di lui), il pittore amico di Testori, che
inizialmente aveva guardato molto a Picasso, ma da cui poi se n’era allontanato.
Finalmente si passa al fulcro del mio lavoro, ovvero alla critica di Giovanni Testori su Picasso,
trattata nel quinto capitolo, che, per comodità di comprensione, è stato suddiviso in paragrafi
temporali. Il decennio più importante, perché più ricco di interventi, è quello degli anni
5
Non ho dedicato un paragrafo specifico a Treccani e Cassinari, ma li ho inseriti nel panorama artistico-
critico generale.
8
Quaranta. Gli anni Cinquanta vedono poche pubblicazioni, ma di estrema importanza. Gli anni
Sessanta testimoniano una situazione di silenzio per quanto riguarda il giudizio su Picasso e sul
cubismo in generale. Gli interventi critici su Picasso riprendono dalla fine degli anni Settanta e
proseguono fino al 1992. In questo caso ho deciso di raggruppare il materiale relativo a tutto il
periodo a fronte della contiguità delle tematiche, dato che si tratta di articoli apparsi tutti sul
«Corriere della Sera». In questo modo il discorso critico sembra trovare un’appropriata
conclusione. In coda al lavoro ho riportato le schede delle mostre relative agli articoli di
Testori, nonché gli articoli veri e propri del critico, i manifesti e le lettere.
Spero che questo lavoro possa contribuire a sviluppare una linea di ricerca che finora è stata
poco studiata. Di Testori, infatti, si tende a privilegiare la critica sugli artisti del passato,
soprattutto quelli del Seicento lombardo, nonostante egli abbia avuto idee molto interessanti
e innovative riguardo agli artisti contemporanei. Mi auguro, quindi, che questo lavoro su
Testori e Picasso possa avviare tutta una serie di ricerche sul rapporto tra Testori e altri artisti
del suo tempo.
9
CAPITOLO I
GUERNICA DI PICASSO
10
1.1 Un’icona del Novecento
Nemmeno un’approfondita conoscenza degli intimi rovelli dell’artista sarebbe sufficiente a
farci comprendere ciò che è veramente Guernica (fig. 9), dato che questo dipinto non è una
presa di posizione attorno a Picasso, ma attorno alle condizioni del mondo; allo stesso modo la
biografia di Dante non ci permetterebbe di apprezzare e capire il compito e la funzione di
Beatrice nella Divina Commedia.
«I dipinti non sono che ricerca e sperimentazione. Non faccio mai un quadro come opera d’arte;
ognuno di essi è una ricerca. Sono sempre alla ricerca e c’è una sequenza logica in ciò che ricerco. È
per questa ragione che li numero; è un esperimento nel tempo; li numero e li dato; forse un giorno
qualcuno me ne sarà riconoscente.»
Così disse Picasso ad Alexander Liberman
6
a proposito degli schizzi preparatori delle opere e,
nel caso di Guernica, è di estrema importanza perché comprendiamo come l’artista sapeva che
qualcuno alle sue spalle avrebbe sbirciato tra i suoi progetti. È significativo il fatto che, per la
prima volta nella storia, un artista abbia creato, catalogato e conservato con cura delle serie
così vaste di studi preparatori. Il materiale preparatorio a Guernica consiste in disegni e
pitture, oltre a numerose fotografie dei vari stadi dell’opera; un analogo dossier esiste per i
due murali Guerra e Pace
7
(figg. 13-14).
Il dipinto rappresenta l’assalto militare dei tedeschi alla cittadina basca di Guernica. Tuttavia,
sarebbe inappropriato ignorare «l’elevato grado di stilizzazione nel trattamento delle forme e
dello spazio»
8
e considerare il quadro come un semplice documento di reportage bellico.
L’opera rimane tutt’oggi una tra le più discusse e l’influenza che essa ha esercitato su più di
una generazione culturale è impressionante.
Il 3 novembre 1998 Kofi Annan, segretario generale delle Nazioni Unite, rivolgendosi al
Consiglio Internazionale del Museum of Modern Art di New York, con riferimento a un arazzo
rappresentante Guernica, copia della tela originale di Picasso, appeso nel corridoio fuori dalla
sala del Consiglio di Sicurezza, dichiarò:
6
R. ARNHEIM, Guernica. Genesi di un dipinto, Feltrinelli, Milano 1964, p. 4.
7
I due murali sono stati dipinti da Picasso nel 1952 (quindici anni più tardi rispetto a Guernica) per
l’antica cappella di Vallauris.
8
ARNHEIM, Guernica, p. 25.
11
«Il mondo è cambiato moltissimo da quando Picasso ha dipinto quel primo capolavoro politico, ma
non è diventato più semplice. Siamo prossimi alla fine di un secolo tumultuoso che ha visto
esprimersi il meglio e il peggio dell’uomo. La pace regna in una regione mentre la furia genocida
imperversa in un’altra. Una ricchezza senza precedenti coesiste con la più terribile indigenza, un
quarto della popolazione mondiale rimane afflitta dalla povertà.»
9
Lo spietato realismo di tale analisi sui progressi compiuti dopo il 1937, quando Picasso rispose
con la potenza di questa tela al catastrofico bombardamento della capitale spirituale delle
province basche, dimostra anche quanto siamo lontani dal raggiungimento dello sfuggente
obiettivo delle Nazioni Unite, la «pace duratura sul pianeta». La dichiarazione di Annan al
Consiglio Internazionale del MOMA riconosce a Guernica un ruolo irripetibile nella storia
dell’arte mondiale: quello di icona universale ormai elevata a modello il cui monito è che essa
sia destinata a ripetersi.
Appena cinque anni dopo, durante l’ultima settimana di gennaio del 2003, sulla scia della
tragedia delle Torri Gemelle, l’arazzo di Picasso fu coperto da un telo blu per nasconderlo agli
occhi del pubblico. Considerando il ruolo di Guernica nel programma educativo delle Nazioni
Unite, la decisione risultò anomala ma profondamente simbolica. Secondo Fred Eckhard, un
portavoce cui fu assegnato l’impossibile incarico di minimizzare il significato di questo gesto, la
ragione era solo che il blu era più adatto come sfondo per le telecamere rispetto al misto dei
neri, bianchi e grigi di Picasso, che creavano un effetto di confusione visiva. Altri osservatori,
tuttavia, furono pronti a tirare conclusioni diverse. Il problema non stava nei colori o nelle
forme, ma piuttosto riguardava il fatto che l’immagine metteva in risalto l’imbarazzante
contraddizione tra il presunto sostegno a valori moralmente giusti e una campagna a favore
della guerra. Guernica aveva l’effetto, dissero, di confondere lo spettatore
10
.
In risposta alla copertura dell’arazzo, Laurie Breton, rappresentante dell’Australia alle Nazioni
Unite, sottolineò in tono di sfida:
«Durante tutto il dibattito sull’Iraq notevoli sono stati l’offuscamento, l’evasività, il negazionismo,
soprattutto quando si arriva alla sordida realtà dell’azione militare. È forse vero che viviamo nell’era
delle cosiddette bombe intelligenti, ma l’orrore che resta sul campo sarà esattamente identico a
9
Comunicato stampa delle Nazioni unite SG/SM/6782, 3 novembre 1998. Vedi G. VAN HENSBERGEN,
Guernica: biografia di un’icona del Novecento, il Saggiatore, Milano 2006, p. 9.
10
VAN HENSBERGEN, Guernica, p. 10.
12
quello che colpì gli abitanti di Gernika (denominazione della città in lingua basca) *…+. E su questo
non sarà possibile calare un velo.»
11
È evidente che, dal giorno della sua creazione, la forza emotiva di Guernica non è mai
diminuita. Anche una riproduzione, un poster o un arazzo continuano a rispecchiare l’orrore
della guerra e mettono duramente in luce la nostra predisposizione alla crudeltà.
Progressivamente, nel corso degli anni, Guernica ha reinventato se stessa: un’opera scaturita
da una guerra specifica è diventata qualcos’altro, parla di riconciliazione e speranza per una
duratura pace mondiale.
Ma veniamo all’evento che ha portato Picasso alla creazione del quadro. Lunedì 26 aprile 1937,
mentre le forze nazionaliste del generale Franco avanzavano verso nord per isolare Bilbao e
prendere il controllo delle province basche, fu deciso di schiacciare la resistenza con una
massiccia ostentazione di forza. Dalle quattro del pomeriggio, per tre ore, sessanta aerei
tedeschi sganciarono una pioggia di bombe incendiarie su Guernica, riducendola a un cumulo
di macerie in fiamme. In Europa, fino ad allora, non si era mai visto niente del genere. Nessun
evento lasciava presagire altrettanto chiaramente quello che il mondo avrebbe presto
conosciuto come «guerra totale»: innocenti bombardati in modo indiscriminato o mitragliati a
bassa quota mentre fuggono dal carnaio della città verso le colline. I giornali riferirono
particolari dettagliati della tragedia e un’ondata di terrore scosse tutto il pianeta.
Il 1° maggio, a Parigi, Pablo Picasso, allora il maggior artista vivente, cominciò a dare forma
concreta al fortissimo senso di ripugnanza per l’accaduto tratteggiando con eccezionale
rapidità alcuni spunti iniziali. Nelle due settimane successive produsse una valanga di schizzi,
disegni e pitture preparatorie, realizzati con passione febbrile. Alla fine del giugno 1937 era
arrivato agli ultimi ritocchi di un dipinto talmente grande da dover restar pigiato in un angolo
dell’enorme studio di rue des Grands-Augustins. La tela, intitolata Guernica, presenta quello
che a prima vista sembra un guazzabuglio di animali e figure umane contorte in un’austera
gamma di neri, bianchi e sfumature di grigio. Alcune fotografie scattate da Dora Maar, la nuova
amante di Picasso, ci mostrano l’artista all’opera. Picasso corre su e giù per tutta la tela, ne
percepisce e ne interpreta la presenza quasi palpabile e mette alla prova, senza sosta, la
pressione soffocante dello spazio interiore del dipinto, incolla sulla tela pezzi di carta straccia
11
Toronto Star, 9 febbraio 2003. Vedi VAN HENSBERGEN, Guernica, pp. 10-11.
13
per provare possibili cambiamenti e poi rapidamente li rimuove. Idee e scarabocchi, composti
e sovrapposti, vengono risucchiati nel vortice creativo dell’opera e costretti alla forma.
In preda a una fretta disperata, Picasso coprì circa trenta metri quadrati di tela in poco meno di
sei settimane. Un risultato senza dubbio straordinario. Da tale caos, l’artista riuscì a forgiare
un’immagine incisiva e profondamente inquietante. Non compaiono allusioni specifiche a
Guernica o al terrore piovuto dal cielo. Al contrario, Picasso decise di impiegare immagini la cui
semplicità e il cui messaggio potessero superare qualsiasi barriera culturale. Alla base del
dipinto giace il cadavere, decapitato, schiacciato, e fatto a pezzi, di un guerriero caduto,
vagamente evocativo di un busto classico. Sopra, la mole di un cavallo contorto per il dolore e
visibilmente in punto di morte minaccia di crollare al suolo. A destra, tre donne in pose diverse
ma tutte ugualmente disperate si affacciano sulla scena. Sullo sfondo, quasi invisibile a prima
vista, un uccello su un tavolo (una colomba? un gallo?). All’estremità sinistra, l’immagine
tragica che incornicia il dipinto: una madre con il corpo inerte del suo bambino tra le braccia, a
sua volta sovrastata da un toro impassibile; solo la coda dell’animale, infuocata, sembra
animata di vita.
Di primo acchito non pare emergere un chiaro rapporto di causa ed effetto. Non c’è un modo
semplice di leggere la narrazione e scoprire esattamente in quale momento del racconto ci
inseriamo. Però tra i muri distrutti, le porte cieche e i tetti, capiamo che questo è lo scenario di
un evento terrificante.
Quando fu mostrata per la prima volta all’Exposition Internationale di Parigi, l’opera fu accolta
da uno strano silenzio. A dire il vero, considerando la freddezza iniziale, in particolare da parte
della delegazione ufficiale basca, sarebbe stato ragionevole pensare che Guernica finisse
arrotolato e archiviato nel retro dello studio parigino di Picasso com’era accaduto per Les
Demoiselles d’Avignon, lasciato a riempirsi di polvere dal 1907. Poco maneggevole e difficile da
trasportare, questo era forse il destino più probabile. D’altra parte, nelle roccaforti
repubblicane di Madrid, Barcellona e Valencia, dove probabilmente poteva essere esposto,
sarebbe solo servito a demoralizzare i miliziani che avevano sotto gli occhi ogni giorno l’orrore
che il quadro di Picasso rappresentava così vividamente.
Durante la seconda guerra mondiale, comunque, e soprattutto dopo l’attacco a Pearl Harbour,
le immagini di Guernica divennero più riconoscibili e dolorosamente familiari. Una città
europea dopo l’altra venne bombardata. Infine, le lezioni catastrofiche di Hiroshima e Nagasaki
14
portarono alla cruda consapevolezza che il mondo sarebbe cambiato per sempre. Senza
scherzare affatto, il presidente degli Stati Uniti Harry Truman annunciò tristemente: «Temo
che le macchine siano più avanti della morale di alcuni secoli, e quando la morale si sarà messa
al passo sarà ormai diventata inutile.»
12
Guernica era stato orribilmente lungimirante. Ritrae una moderna carneficina di massa, solo
vagamente nascosta dietro un antico rituale di morte. Ogni comunità sulla faccia della terra
che abbia sofferto le atrocità della storia è diventata sinonimo del quadro Guernica e del
luogo, Gernika, la patria spirituale offesa dei baschi assediati.
Il 23 settembre 1998, a Washington, il senatore John McCain prese la parola in Senato:
«Non ci è mancata la retorica ma abbiamo dimostrato la nostra dolorosa inadeguatezza quando si è
trattato di far seguire alle parole azioni risolute *…+. Il signor Presidente ha vistosamente esibito al
palazzo delle Nazioni Unite di New York il famoso e inquietante Guernica di Picasso. Quell’opera era
simbolo per l’artista della carneficina, della sofferenza umana in proporzioni enormi, risultato della
guerra civile spagnola che fu preludio della Seconda Guerra mondiale. Forse è troppo astratta per
quei Paesi della Nazioni Unite che si oppongono all’uso della forza per mettere fine alle atrocità
diventate simbolo della ex Jugoslavia, o per coloro che ritengono che la guerra del Kosovo sia un
problema interno della Serbia.»
13
Proprio come Anna Frank è diventata simbolo di tutti i bambini ebrei uccisi nei campi di
sterminio e Auschwitz rappresenta l’orrore dell’Olocausto, Guernica è diventato sinonimo di
massacro indiscriminato: in qualunque angolo del mondo si verifichi una tragedia simile, la
mente torna su quel quadro. Ogni giorno che passa, da qualche parte del mondo, nei
parlamenti, nelle camere di consiglio e nel dibattito pubblico, viene citato Guernica per
conferire a un’argomentazione maggior immediatezza e spessore morale. Guernica di Picasso è
l’immagine che ricorre quando si ha a che fare con una catastrofe. Riprodotto in milioni di
copie, imitato da altri artisti e ancora più spesso rivisitato, esso rimane tuttavia intatto e puro
nella sua forza.
Quello che è straordinario di Guernica è che, nonostante tutto, rifiuta di cedere e sprofondare
sotto il peso della propria ubiquità. È tuttora un’immagine che risveglia gli incubi della nostra
storia passata e contemporaneamente tratteggia lo scenario terrificante di quanto ancora deve
12
VAN HENSBERGEN, Guernica, p. 13.
13
US Congressional Record, 23 settembre 1998. Vedi VAN HENSBERGEN, Guernica, pp. 13-14.
15
accadere. Nonostante la commercializzazione e la miriade d’interpretazioni psicologiche,
sociologiche, storiche e artistiche, che da sole riempirebbero un’intera biblioteca,
immancabilmente riesce ad ammutolire lo spettatore che lo vede per la prima volta. E
Guernica possiede la dote, ancora più insolita, di parlare all’intimo dell’individuo pur
rimanendo allo stesso tempo un simbolo universalmente compreso.
Da Parigi nel 1937 alle Nazioni Unite oggi, il significato del dipinto si è esteso ben oltre le
intenzioni e il controllo di Picasso. Guernica ha vissuto di vita propria, instaurando un legame
con il suo pubblico che è spesso rimasto totalmente separato dalla vita del genio che l’ha
donato al mondo. Negli anni il pubblico e le circostanze storiche hanno visto continui
mutamenti. Guernica, com’è logico, è ormai datato dal punto di vista stilistico; ma mentre il
supporto dell’opera, a causa d’intense tumultuose vicende, è ormai ogni giorno più fragile,
come opera d’arte Guernica è invecchiata molto bene. Non ha mai perduto la sua rilevanza, né
il fascino magnetico, capace di rapire lo spettatore. Dalla prima comparsa a Parigi fino all’arrivo
in Spagna 44 anni dopo, ha rappresentato un secolo e ha contribuito a definirlo. Guernica, nel
bene e nel male, più di ogni altra immagine della storia, ha dato un fondamentale contributo al
nostro modo di vedere.
1.2 Il quadro: una descrizione della guerra?
Prima della guerra civile spagnola Picasso non aveva mai mostrato un grande interesse per la
politica, ma a partire dal luglio del 1936 era diventato un paladino della causa repubblicana
14
,
sostenendola anche finanziariamente. Accettò il posto onorario di direttore del Museo del
Prado, e riferì sullo stato dei quadri trasferiti da Madrid a Valencia. In gennaio aveva inciso una
serie di vignette comiche intitolate I sogni e le menzogne del generale Franco. Vediamo allora
come il tema della guerra civile spagnola ebbe a interessarlo ancor prima di Guernica (del resto
va ricordato che Picasso era nato in Spagna, a Malaga).
Poi, come detto, il 26 aprile 1937 avvenne il bombardamento e la distruzione pressoché totale
di Guernica.
14
H. THOMAS, Storia della guerra civile spagnola, Londra 1961 (riedita presso Einaudi, Torino 1963), p.
444-445.
16
Già dal gennaio 1937 il governo spagnolo in esilio commissionò a Pablo Picasso una pittura
murale per il padiglione spagnolo per l’Esposizione Universale di Parigi.
In seguito alla commissione affidatagli e agli eventi intercorsi nel frattempo, Picasso si accinse
a concentrare in una sola immagine il dramma vissuto dalla sua patria dilaniata dai fascisti. Una
guerra è un avvenimento lungo e complesso, capace di fornire a uno spettatore attento
innumerevoli episodi, strategici, politici, statistici, fotografie di materiale bellico, di città
distrutte, di eroismo e di morte, descrizioni da parte di testimoni oculari evocanti precise
immagine; s’aggiunga la conoscenza da parte di uno spagnolo della Spagna in generale
attraverso la sua storia, i suoi paesaggi, la sua letteratura e pittura; e si aggiunga l’immenso
panorama delle personali memorie, abbraccianti i primi 19 anni di vita di un giovane
estremamente sveglio, e integrate da successive visite in patria; e, ancora, la riserva
d’immagini d’ogni genere accumulatesi in 56 anni, raccolte dall’osservazione quotidiana, dai
sogni e dalle fantasie, dalle letture e dalle pitture, dalla sua stessa prolifica opera creativa. Si
aggiunga, finalmente, che Picasso ha lavorato in un’epoca nella quale la società non fornisce
più regole, convenzioni e neppure suggerimenti circa la forma che si ritiene consona a una
raffigurazione di tal fatta.
Il bombardamento di Guernica nell’aprile del 1937
15
agì da catalizzatore per la sua invenzione
creativa. L’evento, che non gli forniva l’immagine ma la sostanza di essa, nel suo insieme fu
impressionante: non si trattava semplicemente di danni, ma della devastazione pressoché
totale di una pacifica comunità umana. Effettivamente Guernica poteva anche essere
considerata un obiettivo militare, essendo un nodo stradale assai vicino alle linee, ma tutto sta
a indicare che i tedeschi la bombardarono deliberatamente, con l’intenzione di distruggerla,
per osservare «con occhio clinico»
16
gli effetti di un’incursione così spietata. Inoltre Guernica
rappresentava, nella mente di ogni spagnolo, l’incarnazione dell’antica fierezza e libertà; in
definitiva, questo incidente luttuoso era pregno di significati storici e umani.
15
Gli autori danno date differenti riguardi al bombardamento di Guernica, per quanto la data 28 aprile
1937 (che non è giusta) sia quella più spesso ricordata. C’è anche qualche confusione delle prime fonti di
notizie; tutte concordano, comunque, sul fatto che l’attacco ebbe luogo di lunedì, giorno di mercato,
quando la città era particolarmente affollata. Questo dato conferma la data di lunedì 26 aprile 1937.
Molte fonti riportano la notizia che il bombardamento durò ben tre ore e un quarto.
Per ulteriori approfondimenti si veda THOMAS, Storia, p. 418.
16
THOMAS, Storia, p. 444.
17
Una violenta polemica internazionale scoppiò subito dopo Guernica: fu un episodio che turbò
l’opinione pubblica e ancor più l’animo di chi apparteneva per origine e formazione a quella
terra.
In che modo l’argomento trattato nel murale sostiene la realtà dei fatti? Come ho anticipato, ci
sono svariate interpretazioni dell’opera, per questo motivo ho cercato di trattare questo punto
nella maniera più oggettiva possibile
17
.
Picasso condensò l’evento del bombardamento nel tempo e nello spazio. È interessante notare
come la veduta globale del dipinto sia limitata a un ambiente estremamente ristretto: forse
l’angolo di una stanza e le pareti più basse di una o due facciate. Nessun panorama della città
con i suoi edifici bruciati o i tetti scoperchiati, nessuna casa del governo, nessuna chiesa. Non si
tratta di una cronaca storica di eventi ma di una tragedia di esseri umani scorta entro il limitato
angolo di vista di contadini terrorizzati dal disastro. Lo stesso genere di approccio è evidente
nelle figure: nonostante nel 1937 Guernica contasse più di 10 mila abitanti
18
, il murale non
presenta alcuna folla, ma ci sono solo nove figure (quattro donne, un bambino, la statua di un
guerriero, un toro, un cavallo, un uccello
19
). Le vere protagoniste dell’azione sono le quattro
donne, forse perché al momento dell’attacco aereo quasi tutti gli uomini stavano combattendo
al fronte; o forse per un’altra ragione: le donne e i bambini sono il simbolo dell’umanità
innocente, indifesa, vittimizzata
20
.
Nonostante Guernica sia stata attaccata in un soleggiato pomeriggio di primavera
21
, il dipinto
indica un periodo di oscurità. Con ogni probabilità l’ambiente scuro è stato scelto per il
simbolismo connesso: come se l’evento fosse stato possibile solo alla luce delle lampade e
delle fiamme. Ci sono due lampade: un piccolo lume a olio (sorretto da una donna) che fa
molta luce, e una grande lampada appesa al soffitto che invece appare inefficace.
17
Mi sono basata soprattutto sulle osservazioni e i commenti di Rudolf Arnheim. Si veda ARNHEIM,
Guernica.
18
Furono uccisi 1654 abitanti dei 7000 civili e si contarono 889 feriti. (Si veda G. CORTENOVA, Pablo
Picasso. La vita e l’opera, Mondadori, Milano 1991, p. 195).
19
Buona parte dei personaggi si possono trovare già nella Minotauromachia del 1935; non solo, ma se
invertiamo il lato sinistro e destro del dipinto troveremo una disposizione pressoché identica nelle due
composizioni.
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E, del resto, donne e bambini sono stati spesso presentati da Picasso come ciò che vi è di più perfetto
nel genere umano: in innumerevoli dipinti e disegni ne ha celebrato la bellezza, la grazia, la vitalità, la
nobiltà; perciò un attacco sferrato contro di loro doveva significare per Picasso un attacco contro la
sostanza stessa dell’umanità.
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Alle 16.30.