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INTRODUZIONE
Nel seguente lavoro si è scelto di trattare un aspetto peculiare
del pensiero di Jacques Lacan: l’oggetto (piccolo) a. Prima
dell’esposizione o di una qualsiasi spiegazione, è necessaria
una nota introduttiva e un’avvertenza.
Il filosofo in questione rientra nella corrente di pensiero del
post-strutturalismo, nonché nel filone più generico del post-
modernismo. La corrente del post-strutturalismo non si pone,
come si potrebbe pensare in un primo momento, in
opposizione allo strutturalismo, bensì cerca di spingere alle
estreme conseguenze i concetti che sono propri di
quest’ultimo. Infatti lo strutturalismo cerca di dimostrare che
l’uomo non è il libero attore e fautore delle proprie azioni e
scelte, come poteva affermare il positivismo: l’uomo non si
trova più in una posizione centrale, ma è conseguenza di una
struttura che lo influenza e lo forma. Ora, il “post” dello
strutturalismo lacaniano dev’essere inteso come un andare più
in profondità nel discorso della struttura, un andare “oltre“.
Lacan stesso è, infatti, celebre per la sua frase “l’inconscio è
strutturato come un linguaggio” :
“[…] questo inconscio ha, in ultima analisi, una struttura che
non è altro che una struttura di linguaggio”
1
Arrivare ad affermare che l’inconscio, ciò che di più intimo c’è
nell’uomo ha una struttura che è quella del linguaggio,
significa, da un lato, affermare che questa “intimità” (questo
termine viene messo tra virgolette perché, appunto, Lacan
giungerà, in seguito, ad articolarla nei termini di una ex-timità)
è qualcosa di relativo, dall’altro che la struttura; l’Altro ci
penetra a tal punto da forgiare quel vortice caotico di
significanti che è in noi, il quale viene articolato, in un secondo
1
Jaques Lacan, Il seminario: Libro VII, Einaudi, Torino, 1994, p. 40
5
momento, dalla coscienza per creare il soggetto che, appunto, è
effetto di significante.
Proprio perché la corrente post-strutturalista s’inserisce nel
filone più ampio del post-moderno e proprio perché il post-
moderno stesso viene definito da Lyotard “l’incredulità nei
confronti delle grandi narrazioni”
2
, anche in Lacan non c’è una
grande narrazione, non c’è la Verità intesa come concetto
unitario e perfetto come l’essere parmenideo. La verità,
trattando Lacan, dev’essere scritta come egli stesso scrive la
donna, ovvero “La donna”, con la barra, proprio perché, come
si vedrà parlando del seminario XX, la donna, e anche la verità
lacaniana, è “pas-tout”, è “non-tutta”. Lo stesso Lacan, nel
seminario XVII, afferma “La verità, vi dico, non potrebbe
enunciarsi che da un semi-dire”
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ed, in effetti, egli, durante
tutto il suo percorso di pensiero, manterrà quest’affermazione,
a parte in rarissimi punti. La verità lacaniana è qualcosa che è
nell’ordine della litote; è qualcosa che egli ci fa raggiungere
per via negativa, è qualcosa che ci fa intravvedere nella
penombra. Questo lo si percepisce in diversi punti dei suoi
seminari. Innanzitutto la decisione della scelta del matema, dei
simboli matematici per identificare concetti: se Lacan avesse
impiegato delle vere e proprie definizioni, egli sarebbe caduto
nell’errore del concetto da una parte e nella possibilità di
essere incasellato dall’altra, cosa che comunque alcuni studiosi
cercheranno di fare, come si può leggere nel seminario XVII,
dove Lacan critica coloro che chiama i “filosofi ontologici”
che hanno cercato di de-finire il concetto di “Altro” lacaniano,
semplificandolo in Dio. In secondo luogo, la scelta di Lacan di
avvalersi di esempi e di metafore, in modo da mostrare
direttamente applicato il suo insegnamento, anziché
soffermarsi sulla teoria.
2
Jean-François Lyotard, La condizione postmoderna, Feltrinelli, Milano, 2001, p. 6
3
Jacques Lacan, Il seminario: Libro XVII, Einaudi, Torino, 2001, p. 124
6
Il risultato di tutto questo lavoro è un testo che lui stesso dice
nel seminario XX: “non lo si legge facilmente”
4
. Tuttavia,
proprio in virtù di questa difficoltà di comprensione,
cognizione, esso è altamente interpretabile da parte del lettore.
Questa conclusione porta a due conseguenze : da una parte non
è detto che ciò che viene esposto in detto lavoro corrisponda a
ciò che intendeva Lacan, dall’altra non è detto che sia l’unica
chiave per interpretare gli argomenti trattati. Tuttavia, essendo
questo un lavoro di tesi, per definizione, si tratta in questo
scritto di “porre”, appunto, qualcosa di concreto; di qui la
necessità di trasformare i grafi lacaniani in parole e in concetti,
di spiegare - entro i limiti del possibile - vocaboli che egli
stesso non ha mai voluto chiarire, proprio per poter esprimere
liberamente e senza preconcetti il proprio pensiero, libero dai
vincoli concettuali e dalle definizioni che pongono rigide
chiusure attorno al significato di una parola.
Come si accennava all’inizio, questa trattazione prende in
considerazione l’oggetto a. Questo concetto, come vedremo in
seguito, costituisce uno dei concetti fondamentali nel pensiero
lacaniano e, proprio per questo motivo, tentare di fare un
lavoro esteso su tutto il pensiero di Lacan, dal primo all’ultimo
seminario, sarebbe fuori dalla portata di una tesi. Dunque, ci si
occuperà della trattazione del suddetto argomento,
limitatamente a quattro seminari che costituiscono una delle
delle tappe importanti del pensiero lacaniano. I seminari scelti
sono: il seminario VII (L’etica della psicoanalisi), il seminario
X (L’angoscia), il seminario XVII (Il rovescio della
psicoanalisi) e, infine, il seminario XX (Ancora). Si noterà
come l’oggetto a sia un concetto che, sebbene venga
comunemente definito “l’oggetto causa del desiderio”, assuma
molte sfumature diverse e sia onnipresente nel pensiero
4
Jacques Lacan, Il seminario: Libro XX, Einaudi, Torino, 1983, p. 26
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lacaniano, anche quando non sia stato ancora ufficialmente
formulato (prima del seminario X, ad esempio). C’è, lungo il
susseguirsi dei seminari annuali di Lacan, un’evoluzione di
quest’oggetto che si spera il seguente lavoro metta in luce.
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1. DA DAS DING ALL’OGGETTO A: IL SEMINARIO
VII
Il punto di partenza del presente lavoro è, appunto, il seminario
VII, intitolato “l’etica della psicoanalisi” e tenutosi negli anni
1959-1960. In questo seminario, il pensiero di Lacan è molto
più improntato sulla parola freudiana e sul discorso
psicoanalitico, piuttosto che su quello strutturalista: si può dire
che la psicoanalisi viene trattata in un quadro più
clinico/fisiologico; infatti viene nominato da Lacan l’apparato
neuronale con distinzione in neuroni ω, ϕ e ψ, reazioni motorie
etc. e questo accade anche nel seminario X, dove Lacan
affronterà il tema dell’oggetto a indicando tutta una topologia
corporea che parte dai tre luoghi scoperti già da Freud con la
fase orale, anale e fallica e aggiungendone altri due: quello
scopico e uditivo. Ne “L’etica della psicoanalisi” l’oggetto a
non viene delineato in maniera precisa e ufficiale.
“L’object a viene formalizzato da Lacan come resto a partire
dai seminari del 1962-1963 (Il seminario. Libro X.
L’angoscia, 2004, Einaudi, Torino 2007) e del 1964 (Il
seminario. Libro XI. I quattro concetti fondamentali della
psicoanalisi, 1973, Einaudi, Torino 2003)”
5
Questo seminario è molto importante per l’evoluzione del
pensiero di Lacan e vengono introdotte qui alcune tematiche
che poi verranno riprese ed elaborate anche in futuro: ad
esempio il discorso di Kant con Sade o il tema della seconda
morte in Antigone. Tuttavia, quello che interessa qui è
analizzare, in modo più approfondito, il concetto che Lacan
introduce di das Ding e vedere poi come quest’ultimo sia in
relazione con un altro tema fondamentale di questo seminario:
il problema della sublimazione nell’amore cortese. Questa
scelta non è casuale: servirà a mettere in luce le affinità di das
5
Raoul Kirchmayr, «A cosa può servirci l'object (petit) a.» Aut Aut, Settembre 2009, p.
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Ding, che in questo seminario si costituisce come un’intima
esteriorità nel cuore del soggetto, con quello che in seguito
verrà definito ufficialmente come “oggetto piccolo a”.
1.1 Das Ding
La questione di das Ding viene introdotta quasi all’inizio del
seminario, precisamente nelle due lezioni tenutesi del 9
dicembre 1959 e del 13 gennaio 1960.
Nella prima lezione, Lacan introduce agli studenti l’Entwurf di
Freud, opera del 1895 dove il padre della psicoanalisi tratta dei
processi primari e secondari, l’uno governato dal principio di
piacere e il secondo dal principio di realtà. Il Lustprinzip, o
principio di piacere, è quello che si potrebbe definire il
“principio di minimo sforzo”: per Freud il principio di piacere è
un principio economico che ha per scopo quello della
gratificazione immediata, ovvero, di evitare il dispiacere e di
procurare piacere che, equivalgono, l'uno, all'aumento della
quantità di eccitazione e, l'altro, alla sua riduzione.
Questo principio si contrappone al Realitätsprinzip, il principio
di realtà, in quanto, se da una parte il principio di piacere spinge
il soggetto a ottenere il piacere ad ogni costo, il principio di
realtà cerca di mediare tra questo bisogno e le possibilità
dell’ambiente circostante. Si tratta di un principio regolatore
che ha lo scopo di rinviare la gratificazione in funzione delle
condizioni imposte dal mondo esterno. Da un punto di vista
economico corrisponde a una trasformazione dell'energia libera
in energia "legata". Secondo la teoria freudiana, infatti, il
soggetto tende a riprodurre le azioni che gli hanno procurato
appagamento in un meccanismo che Freud chiama “coazione a
ripetere”, che porta il soggetto a uno stato di dolore proprio
perché queste azioni non sono gestibili, vanno oltre la sua
volontà. Ma cosa c’è dietro la coazione a ripetere? C’è una
pulsione particolare, che Freud definisce “demoniaca”, la cui
azione oltrepassa il campo dell’umano. La vita sul nostro
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pianeta ha avuto origine da materia inanimata, per intervento di
una forza di cui nulla sappiamo. Così è nata la vita, nelle sue
forme più elementari. In seguito si è evoluta, fino a raggiungere
le forme più complesse e a raggiungere il livello di coscienza.
Ma questa evoluzione non è, per Freud, una tendenza insita
nella vita, quanto piuttosto l’effetto continuato di interventi
esterni. Di per sé, la vita ha la tendenza a ritornare allo stato
originario della vita inorganica: “Se possiamo considerare come
un fatto sperimentale assolutamente certo e senza eccezioni, che
ogni essere vivente muore (ritorna allo stato inorganico) per
motivi interni, ebbene, allora possiamo dire che la meta di tutto
ciò che è vivo è la morte, e, considerando le cose al ritroso, che
gli esseri privi di vita sono esistiti prima di quelli viventi”
6
.
Questa tendenza demoniaca è la pulsione di morte. Ad essa si
contrappongono le pulsioni sessuali, che assumono così il ruolo
di pulsioni di vita. Il pensiero di Freud assume un carattere
dichiaratamente dualistico. Non solo nell’uomo, ma in tutto ciò
che vive esiste una tendenza alla morte, a tornare all’inorganico
da cui è nata la vita, contrastata dalla tendenza a preservare la
propria unità e ad associarsi ad altre unità vitali, costituendo
organismi più complessi. Su quest'argomento Lacan tornerà
proprio in questo seminario, successivamente.
Lacan sente il bisogno di introdurre la Cosa per chiarire alcune
ambiguità presenti in Freud nell’opposizione tra questi due
princìpi. Innanzitutto, c’è da dire che Freud scrive in tedesco e
Lacan parla in francese e tra le due lingue ci sono differenze.
Infatti, se il francese ha solo un termine per definire “la cosa”,
ovvero la chose, che deriva dal latino causa, in tedesco ci sono
due termini per intendere questo stessa parola, ma con due
sfumature diverse: Il primo è die Sache e il secondo è, appunto,
das Ding. Lacan ci dice che “La Sache è proprio la cosa, il
6
Sigmund Freud, Al di là del principio di piacere, in Opere 1917-1923, Boringhieri, Torino
1977, p. 224