Introduzione
Affrontare un autore come Levinas rende necessario fare delle premesse circa la difficoltà
critica, nel senso etimologico del termine, di ritagliare e analizzare un solo tema tra quelli su cui
egli ha esercitato la sua capacità teoretica e in cui ha proiettato le sue priorità etiche e religiose.
Infatti, il pensiero levinasiano ruota intorno alla convinzione secondo cui la metafisica coincide con
l’etica, sicchè fare un discorso di filosofia morale implica considerazioni metafisiche, senza le quali
non si comprenderebbe il percorso del nostro autore. Va inoltre sottolineato che tutte le opere
levinasiane sono redatte come raccolte di saggi, spesso scritti in diversi periodi. Ne consegue che
ogni opera racchiude non solo una molteplicità di argomenti, ma anche diverse tappe, in un
crescendo di maturità filosofica.
Nel presente lavoro si sono scelte come categorie nevralgiche del pensiero levinasiano la
soggettività e la creaturalità, quali si sviluppano in Altrimenti che essere o al di là dell’essenza.
Tuttavia, sarà imprescindibile, spesso, citare altri lavori dove sono presenti ulteriori suggestioni e
chiarificazioni sul tema scelto, perché Levinas usa il metodo del dire e del disdire e connette
circolarmente i semantemi portanti della sua filosofia in un circolo virtuoso che si va ampliando e
arricchendo, mostrando che il percorso della sua maturazione filosofica non sempre è parallelo
alla cronologia delle sue opere. Perciò, fare i conti col suo secondo capolavoro (pubblicato nel
1974 ma includente saggi dal ’68 al ’72), rende necessari i riferimenti alle opere precedenti e
seguenti, al fine di non compromettere l’organicità del discorso. Il motivo per cui si è ritenuto
opportuno considerare in particolare quest’opera, è il fatto che, proprio qui, contro quello che
considera il delirio di onnipotenza dell’intenzionalità e del libero arbitrio, Levinas mette in scena
un soggetto come Sub-jectum
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, come soggezione, passività, vulnerabilità, colpevolezza contratta
prima della libertà, in un passato non rap-presentabile, immemorabile, e pone l’accento sulla
responsabilità per Altri, fino alla sostituzione e all’essere ostaggio
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. Ecco, io credo che questa non
sia solo una tesi ma che sia una verità originaria, al di là dei particolarismi culturali e filosofici; e
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In AE la soggettività del soggetto è il tema fondamentale, più che in TI (cfr. J. Rolland, Dell’altro uomo. Il tempo, la
morte e il Dio, postfazione in DMT, p. 310)
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«Solo una libertà disposta a ospitare l’alterità fino al sacrificio è unica e universale» (LC, p. 27) «una struttura
universale della soggettività o dell’umano, che consiste nell’assunzione di responsabilità nei confronti del prossimo fino
alla sostituzione vicaria» (F. Camera, Dal particolare all’universale. Emmanuel Levinas e l’idea messianica, in Durante
M. (a cura di), Responsabilità di fronte alla storia. La filosofia di Emmanuel Levinas tra alterità e terzietà, il
Melangolo, Genova 2008, p. 30)
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che l’uomo possa guadagnare la sua dignità, la sua umanità e la ragione, solo se intende in questo
modo la propria soggettività e agisce facendo di questa, l’unica, sola, propria massima di un’etica
universale, soprattutto in un’epoca in cui si parla spesso di diritti, libertà
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, remunerazioni e crediti
e troppo poco di doveri, debiti e colpe; si pre-tende e si chiede sempre, mentre si dà e si risponde
solo se la logica proporzionale promette un guadagno.
La tesi che qui si vuole discutere parte da un passo di Altrimenti che essere (pp. 154-155) in
cui mi sembra che sia condensata tutta l’attualità e la serietà del pensiero di Levinas :
Si ragiona in nome della libertà dell’io, come se io avessi assistito alla creazione del
mondo e come se potessi essere responsabile solo di un mondo uscito dal mio libero
arbitrio. Presunzioni di filosofi *…+ o rinuncia di irresponsabili. *…+ ma la soggettività
di un soggetto arrivato tardi in un mondo che non è nato dai suoi progetti, non
consiste nel progettare *…+ il <<ritardo>> non è insignificante. I limiti che esso impone
alla libertà della soggettività non si riducono alla pura privazione. Essere responsabile
al di là della propria libertà *…+ sopportare l’universo-carico opprimente, ma disagio
divino. Migliore dei meriti e delle colpe e delle sanzioni proporzionate alla libertà
delle scelte. Se nel nostro discorso dei termini etici sorgono ancor prima di quelli
della libertà e della non libertà, è perché prima della bipolarità del bene e del male
presentati alla scelta, il soggetto si trova compromesso con il Bene nella passività
stessa del sopportare. La distinzione tra libero e non libero non sarebbe l’ultima
distinzione tra umanità e inumanità *…+ ci fu un tempo irriducibile alla presenza,
passato assoluto, irrappresentabile *…+ questa anteriorità della responsabilità in
rapporto alla libertà significherebbe la Bontà del Bene *…+ Diacronia: differenza
insormontabile tra il Bene e me, senza simultaneità dei termini divisi. Ma anche
non-indifferenza in questa differenza *…+ assegnazione ad un desiderio del non-
desiderabile *…+ questa sostituzione di ostaggio - è la soggettività e l’unicità del
soggetto.
É chiaro dunque che il "che cosa devo fare?" kantiano, nel momento in cui il volto indifeso
dell’Altro mi guarda, risvegliando la mia identità come responsabilità, viene prima delle domande
"che cosa mi è dato conoscere?" o "che cos’è l’essere?" o "che cos’è metafisica?"
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. Dunque si
tratta di capire che la creaturalità non può significare altro che il primato - essenzialmente an-
archico - della responsabilità, del ciò ch’io devo fare, sulla libertà, l’intenzionalità, il possesso e la
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Lo stesso Levinas affronta l’argomento nel saggio I diritti umani e i diritti altrui (in FS, pp. 121-131). La libertà
affonderebbe le radici in una bontà originaria nella quale l’io si libera dall’egoismo per rispondere di Altri, per
difendere i diritti dell’altro uomo. La mia libertà e i miei diritti prima di mostrarsi nella mia contestazione della libertà e
dei diritti dell’altro uomo, si mostreranno sotto forma di responsabilità. (cfr. ivi, pp. 130-131)
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«Non si saprà mai quale volontà tiri le fila del gioco. […] Ma un principio si apre una strada, attraverso tutta questa
vertigine e tutto questo tremore, quando il volto si presenta e reclama giustizia» (TI, p. 302)
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rappresentazione (che in Levinas si collocano sullo stesso piano, quello ontologico
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). Questi sono i
temi più classici del pensiero levinasiano, riassumibili nell’affermazione dell’etica come filosofia
prima
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, ma il proposito di questa dissertazione è di mostrare come sia impossibile comprenderne il
senso profondo senza riportarla alla nozione di soggettività e alla condizione di creaturalità.
Ci troviamo però al cospetto di un problema metodologico-organizzativo, vale a dire la
difficoltà di dividere il discorso per argomenti, di fronte al quale si è trovato del resto lo stesso
autore a causa della circolarità, quasi ipnotica, della sua filosofia. D’altro canto, come egli stesso
dice, la necessità della tematizzazione obbliga a una divisione dei capitoli, sebbene i temi non si
prestino a uno svolgimento lineare e non possano veramente isolarsi e non proiettare l’uno
sull’altro i loro riflessi e ombre
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.
Nel primo capitolo, "Critiche alla filosofia occidentale. Al di là di Husserl e Heidegger", si
parlerà della contrapposizione di Levinas alla dimensione ontologica e gnoseologica, che si
configura come totalità sintetica che non appaga la domanda di senso. Si tratta, dunque, di un
superamento sia di Husserl sia di Heidegger - verso i quali, nonostante tutto, il nostro autore
ribadirà sempre il suo debito -, nella direzione di una soggettività concreta, mutuata
dall’esistenzialismo e dalla tradizione ebraica, che si ipostatizza, distaccandosi dall’essere, ma
ritrovandosi a fare i conti con l’incatenamento a sé e con l’evento della morte.
Nel secondo capitolo, "Temporalità e creazione", si analizzerà la temporalità come passato
immemorabile attraverso l’idea di creazione ex nihilo e la condizione creaturale del soggetto, ad
un tempo attivo e passivo, dipendente e indipendente. Si mostrerà che per Levinas esiste una
temporalità diacronica che è impossibile recuperare razionalmente e di fronte alla quale il
soggetto si trova da una parte, in diastasi, deposto, in quanto non è principio, perché la sua
condizione di possibilità è eterocoscenziale, dall’altra parte autonomo nella sua separazione dal
Creatore. Si mostrerà, dunque, come la dipendenza della creatura dal Creatore sia sui generis e
come rimandi all’idea cartesiana dell’Infinito nel finito.
Nel terzo capitolo, "La soggettività etica: Altri e l’Altrimenti che essere", sarà affrontata la
svolta levinasiana verso la dimensione dell’etica, pensata come più originaria dell’ontologia. A
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Levinas si chiede: «Il soggetto si comprende fino alla fine a partire dall’ontologia?» (AE, p. 38)
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«Il nostro rapporto col Metafisico è un comportamento etico» (TI, p. 76) «Il piano etico preesiste al piano ontologico»
(Ivi, p. 206)
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Cfr. AE, p. 25.
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partire da questa dimensione, l’alterità del tempo e dell’altro uomo (Altri) potranno salvare il
soggetto dal solipsismo a cui è incatenato nel suo conatus essendi. Infatti, da una parte, il volto
d’Altri, vale a dire del prossimo, rompe e ir-rompe nell’essenza del soggetto, in un modo tale che
non è sospendibile intenzionalmente, dall’altra parte, il soggetto è già strutturato come Uno-per-
l’Altro, o addirittura Altro-nel-Medesimo, ab origine.
Nel quarto capitolo, "Il soggetto come Sub-jectum: la responsabilità prima della libertà",
l’analisi verterà sul rapporto tra responsabilità e libertà del soggetto, conseguente dalle
conclusioni dei capitoli precedenti. La responsabilità come comandata an-archicamente dal Bene o
al di là dell’essere metterà in questione la pretesa di assolutezza del soggetto e della sua libertà,
salvandola dalla violenza dell’arbitrarietà, attraverso l’incontro col volto d’Altri. E la responsabilità
verso Altri, si radicalizzerà fino a diventare per Altri, e fino a connotare il soggetto come ostaggio,
nell’ ossessione e nella persecuzione.
Nel quinto capitolo, "Il Dire, l’unicità del soggetto e il tempo messianico", si faranno accenni al
problema linguistico del Dire e del Detto e si cercherà di dare una risposta alle questioni poste da
Ricoeur circa le aporie del linguaggio levinasiano e la malvagità dei termini etici, spiegando perché
sia importante porre l’accento sull’oltraggio e sull’impossibilità del riscatto della colpa. In questo
contesto si cercherà, inoltre, di risolvere le accuse rivolte al nostro autore: a) di non praticabilità
della responsabilità del soggetto per le colpe di tutti; b) di annullamento della soggettività, che
deriverebbe dai fondamenti della sua filosofia. Sarà pertanto mostrato come la singolarità del
soggetto sia, invece, recuperata da Levinas in quanto unicità e insostituibilità e come la dignità
dell’uomo si basi sul compito infinito di espiazione che rende ogni uomo Messia.
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