Introduzione
Una delle componenti più importanti della civiltà occidentale è la co-
siddetta tradizione razionalistica ereditata dai greci: è la tradizione della
discussione critica non fine a se stessa ma volta alla ricerca della verità.
In questo ambito la scienza assume un ruolo fondamentale per la sua
capacità di liberare la nostra mente dalle antiche credenze, dai pregiudi-
zi e dalle certezze immutabili e di offrirci nuove congetture, ipotesi ardi-
te.
La scienza è quindi apprezzata per la sua influenza liberatrice, come
una delle maggiori forze che operano in favore della libertà umana.
Le teorie, le leggi e le definizioni scientifiche sono importanti come
patrimonio cognitivo degli individui soltanto nella misura in cui essi
siano in grado di problematizzare, di cogliere i campi di validità, le rela-
zioni con i fenomeni e con gli latri concetti, di comprendere lo status di
verità provvisorie e non di dogmi.
Il metodo scientifico è la modalità tipica con cui la scienza procede
per raggiungere una conoscenza della realtà oggettiva, affidabile, verifi-
cabile e condivisibile. Esso consiste nella raccolta di evidenza empirica e
misurabile attraverso l’osservazione e l’esperimento, nella formulazione
di ipotesi e teorie da sottoporre nuovamente al vaglio dell’esperimento.
Nella scuola dell’infanzia lavorare sul pensiero scientifico significa
partire dal presupposto che le caratteristiche di tale metodo (ciclo cono-
scitivo induttivo, ipotetico deduttivo, trasversalità, creatività, curiosità,
problematizzazione, senso critico) afferiscano a molte aree disciplinari.
Spesso l’insegnamento scientifico, anche nelle scuole di base, è impo-
stato in modo opposto, in consonanza con una concezione dogmatica
della scienza e preoccupata di impartire la conoscenza enciclopedica del-
le verità scientifiche.
Il formalismo, il precocismo nozionistico sono sempre in agguato, an-
che quando si hanno intenzioni pedagogiche opposte, dovrebbero essere
quindi essenziali competenze culturali ed epistemologiche dell’adulto
atte a permettere di individuare le modalità più adatte allo sviluppo co-
gnitivo del bambino della scuola dell’infanzia.
I bambini dovrebbero sviluppare un atteggiamento scientifico inteso
come modello di conoscenza presente e futura, proprio dell’individuo
stesso: l’educazione scientifica dovrebbe fornire l’occasione per dare e-
spressione alle più autentiche esigenze del bambino nella conquista
Introduzione XIV
dell’autonomia, della costruzione e dell’esplorazione del reale, della so-
lidarietà e della collaborazione.
La conoscenza assume così la forma di una rottura con una rappre-
sentazione parziale per accedere ad una più obiettiva, che integra cioè
un nuovo punto di vista. Lo sviluppo del pensiero scientifico e più pro-
priamente, come afferma Matthew Lipman, di un pensiero complesso,
nelle sue accezioni di complesso, critico, creativo, caring, dovrebbe con-
tribuire all’acquisizione di quella dimensione della personalità che può
essere indicata come un atteggiamento scientifico nell’analisi e nella ri-
soluzione di ogni situazione problematica e di approccio conoscitivo che
la vita propone.
Il bambino dovrebbe essere coinvolto, attraverso l’educazione scienti-
fica, in situazioni educative dove è egli stesso a farsi protagonista del
proprio percorso di apprendimento, pronto a non assorbire passivamen-
te nozioni già stabilite, stereotipate ed immutabili, ma ad elaborare, ri-
flettere, ipotizzare, interrogarsi ed interroga rese stesso e gli altri.
Come afferma M. Lipman, il pensiero critico ci aiuta semplicemente a
non pensare in modo acritico e a non agire senza riflettere.
Le osservazioni svolte in due scuole dell’infanzia statali di Roma nel
periodo compreso fra il settembre 2008 e il maggio 2009 e la partecipa-
zione al corso di formazione per gli insegnanti ‚Fare Scienza‛ organizza-
to dal Comune di Roma ha fatto si che si siano potuti evidenziare quali
limiti, nonostante la normativa vigente (Orientamenti Educativi del
1991, 2007, Le Otto Tesi del Comune di Roma, normative ministeriali, le
Indicazioni provinciali per la scuola dell’infanzia della Provincia auto-
noma di Bolzano–Alto Adige del 2009) le programmazioni e gli studi in
materia, siano presenti nella pratica educativa in questi contesti scolasti-
ci, ancora, purtroppo, legati a modelli educativi caratterizzati dalla su-
perficialità, dalla frammentazione, dimenticando, come afferma Bateson,
che è il contesto che fissa il significato.
Il sapere è statico, già creato per l’assimilazione passiva, senza alcuna
rielaborazione personale e senza il rispetto dei tempi di ogni singolo
bambino.
L’importanza della manipolazione e della rielaborazione grafico pit-
torica e gestuale spontanea è altamente trascurata e il bambino è costret-
to a sopprimere la propria individualità in un contesto di emulazione e
competizione, dove non gli si lascia il tempo di riflettere, osservare, spe-
rimentare, ipotizzare liberamente.
Nella prima parte dell’elaborato verrà illustrato il credo pedagogico
del filosofo e pedagogista statunitense John Dewey (1859–1952) e del fi-
Introduzione XV
losofo e direttore dell’ Institute for the Advancement og Philosophy for
children e dell’Institute for critical thinking, M. Lipman, i quali sottoli-
neano con forza la necessità di un’educazione intellettuale e di uno svi-
luppo di un equipaggiamento mentale e di una responsabilità cognitiva
individuale e collettiva.
Nella seconda parte vengono riportate le osservazioni svolte nelle
due scuole dell’infanzia, su un gruppo di bambini di età mista, compre-
sa fra i tre e cinque anni, utilizzando come strumenti di documentazione
registrazioni audio, video, carta e penna, supporto fotografico e raccolta
di materiale utilizzato nelle situazioni educative a cui si è assistito.
Parte prima
EDUCARE AL PENSIERO
Capitolo primo
Educare al pensiero
1.1. L’educazione tradizionale
Il filosofo greco Plutarco di Cheronea sosteneva che le dottrine peda-
gogiche potevano suddividersi in due modi: quelle che consideravano
l’allievo un ‚vaso da riempire‛ e quelle che lo vedevano come una ‚fiac-
cola accesa‛.
Nel primo caso l’azione pedagogica è caratterizzata dal ruolo attivo
dell’adulto e da un ricevere passivo del bambino (scuole tradizionali);
nel secondo, entrambi sono soggetti attivi del processo di apprendimen-
to con lo scopo di mantenere tale ‚fiaccola‛ viva e accesa (modello a cui,
secondo la pedagogia moderna a partire dalla Scuola Attiva, bisogne-
rebbe tendere).
L’educazione, nel suo senso più vasto, è il mezzo della continuità sociale del-
la vita. Ognuno degli elementi che costituiscono un gruppo sociale *…+ nasce
immaturo, inerme, privo di lingua, di credenze, di idee, di norme sociali. Ogni
individuo, ogni unità, che sia il portatore dell’esperienza della vita del suo
gruppo, scompare a suo tempo. Eppure la vita del gruppo continua
1
.
Nella società, la scuola è la più importante delle istituzioni perché co-
stituisce il mezzo attraverso cui le generazioni passate e presenti tenta-
no, deliberatamente, di dare un’impronta al futuro. Essa stessa è artefice
della futura società e si impone, quindi, il problema di un’educazione
del pensiero del bambino, affinché divenga un adulto non dipendente
dalla mente di un altro ma, che possa essere libero di esprimere le pro-
prie idee, i propri giudizi, ipotesi e verità.
È quindi necessaria un’educazione del pensiero del bambino.
Il pensare diviene, allora, una dimensione fondamentale dell’esistere
e come tale deve costituire un’essenziale direzione pedagogica, laddove
il progetto educativo è inteso, non solo come istruire, ma come educare
il soggetto alla consapevole conquista della sua umanità, del suo essere.
1
JOHN DEWEY, Democracy and education: An introduction to the Philosophy of Educa-
tion, New York, Macmillan, 1916, trad. it. Democrazia ed educazione, Firenze, La
Nuova Italia, 1961, p. 45.
Capitolo primo 4
È l’educazione stessa che insiste perché gli individui siano ragionevo-
li ed esercitino il buon giudizio, ponendosi come menti libere ed auto-
nome rispetto all’imposizione, alle credenze e ai pregiudizi.
L’educazione tradizionale, ancora radicata nella realtà scolastica, è
un sistema in cui il centro di gravità è al di fuori del bambino. Norme,
concetti, metodi, vengono imposti da un’autorità estranea ed indiscutibi-
le, dove il bambino, essere libero e creativo in potenza, viene costretto ad
una passività mentale che lo porta ad assimilare materiali astratti già
pronti, nel più breve tempo possibile, attraverso un’uniformità, una ge-
nerale superficialità e stereotipizzazione e frammentarietà di concetti,
che porta all’acquisizione di una quantità fissa di abilità e risultati che
tutti dovrebbero possedere egualmente ed in un tempo determinato.
La scuola tradizionale è una scuola statica, conservatrice ed omologan-
te che si basa sul metodo della competizione e dell’emulazione, limitando
lo spirito di collaborazione e il lavoro comune. Piuttosto che servire alla
formazione di un uomo sociale, essa è funzionale principalmente a pla-
smare individui ubbidienti all’autorità, acritici e passivi.
Le scuole tradizionali impongono programmi e metodi di apprendi-
mento che rimangono estranei alle capacità effettive dell’alunno, propo-
nendo un sapere immutabile, codificato una volta per tutte e separato
dall’esperienza.
Di fronte a tale situazione, ancora assai diffusa, nonostante le ricer-
che pedagogiche e le recenti normative (Orientamenti Educativi del 1991
e del 2007) risulta necessario un reale adeguamento del sistema educati-
vo, che si ponga come obiettivo quello di fornire al bambino le condizio-
ni e le modalità idonee al potenziamento delle sue capacità, attraverso la
sperimentazione, il dialogo, l’esperienza, l’osservazione.
1.2. Il pensiero riflessivo
Con John Dewey (1859-1952) filosofo e pedagogista statunitense, da
cui Matthew Lipman riprende parte del suo credo, viene analizzato il
ruolo del pensiero, in tutte le sue forme, nell’educazione. Un’educazione
concettualmente opposta a quella tradizionale prima descritta. In cui è il
bambino stesso che progetta il proprio apprendimento in un contesto di
libertà dove l’esperienza risulta il fondamento essenziale.
Educare al pensiero 5
Dewey in How we think sostiene che il miglior modo di pensare «è il
pensiero riflessivo: quel tipo di pensiero che consiste nel ripiegarsi mentalmente
su un oggetto e nel rivolgere ad esso una seria e continuata attenzione»
2
.
Dewey afferma:
Il problema del metodo nella formazione di abiti di pensiero riflessivo è quel-
lo di stabilire condizioni capaci di far sorgere e di guidare la curiosità; di stabili-
re nelle cose sperimentate connessioni che più tardi promuoveranno il corso
delle suggestioni, creeranno problemi e propositi atti a favorire la connessione
ordinata nella successione delle idee.
3
.
Nel suo saggio vengono analizzati alcuni processi mentali ai quali si
da la definizione di pensiero.
Primo fra questi è la corrente della coscienza, un corso non controllato di
idee, automatico e privo di regole.
Il pensiero riflessivo a sua volta somiglia a questo casuale flusso di co-
se che attraversa la mente in quanto anch’esso consiste in una successio-
ne di idee, ma se ne differenzia perché non è casuale, la riflessione in
questo caso non implica una mera sequenza, ma una conseguenza di co-
se pensate, un ordine che fa si che ognuna di esse ne determini la succes-
siva come il proprio risultato e a sua volta, ciascun risultato si appoggia
o si riferisce ai precedenti.
Le parti successive del pensiero riflessivo nascono l’una dall’altra e si
sostengono a vicenda, non in una confusa mescolanza, dove ogni fase è
un termine del pensiero, dove la catena dei pensieri deve tendere ad una
conclusione.
Un'altra accezione, che si discosta dal pensiero riflessivo, è quella di
credenza.
Questa riguarda tutto ciò di cui non abbiamo una conoscenza sicura e
che viene comunque utilizzata come base per l’agire.
Le credenze sono idee prese da altri, ed accettate perché sono idee ge-
neralmente correnti, non perché l’individuo le ha esaminate o perché la
sua mente ha avuto una parte attiva nel raggiungere o concepire tali
credenze.
2
J. DEWEY, How we think, New York, Healt, 1933, trad. it. Come pensiamo, La
Nuova Italia, Firenze, 1961, p. 62.
3
Ivi, p. 122.