INTRODUZIONE
Le società contemporanee, perlopiù occidentali, oltre a contenere gli
avvicendamenti di regimi e democrazie con un interesse teleologico di
stato liberale nel rispetto e tutela dei diritti di ognuno, tendono a con -
siderare e riformulare l’idea, il concetto di uomo, la sua identità, la sua
posizione, la sua relazione, il suo scopo nella storia dell’umanità.
È l’uomo, il protagonista dei nostri tempi, l’artefice del nostro e pro -
prio destino, il protagonista che ritorna al centro dell’universo, il mez -
zo concreto per sviluppare le teorizzazioni per lo sviluppo della socie -
tà. L’uomo è il soggetto e l’oggetto del nostro discutere. Va ben inteso
che l’uomo soggetto-oggetto non è da intendersi nel senso comune e
visivo di maschio, bensì nell’originario significato d’individuo, argo -
mento del genere umano.
La mia ricerca, infatti, pone l’attenzione su un’ancora presente ideo -
logia di tipo maschilista, nel tentativo di superarla col supporto di teo -
rie e autrici femministe, della psicanalisi e dell’approccio fenomenolo -
gico contemporaneo, per riflettere su questioni fondamentali per il ri -
spetto e la tutela della dignità umana.
L’approccio iniziale è storico: difatti la teorizzazione dell’incarna -
zione dell’anima ha precedenti eccellenti nella filosofia greca dove nei
maggiori esponenti, Platone e Aristotele, troviamo la principale tratta -
zione di anima e corpo della Grecia antica. Già in Platone troviamo la
contemplazione di un concetto del terzo genere, antica e contempora -
nea disfatta del binomio maschile-femminile, uomo-donna.
Il caso particolare che interessa è specifico: all’interno del binomio
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uomo–donna, oltre le scelte sessuali vi è un discorso successivo, carat -
terizzato principalmente dalla distinzione fra genere e sessualità, dove
si sviluppa il fenomeno dell’ermafrodito, individuo che ha in sé con -
temporaneamente caratterizzazioni genitali maschili e femminili in
maniera più o meno equilibrata.
Il tema è assai antico, poiché da Platone ad Aristotele, fino al rac -
conto del mito nella metamorfosi di Ovidio, vi sono descrizioni di un
essere del genere. Grazie alle ricerche di Giulia Sissa, si può analizza -
re la relazionalità tra anima e corpo, dall’antichità al contemporaneo.
La scienza poi, in età moderna, ha iniziato a tentare di dare risposte
a domande sul perché nascono o esistono esseri umani con delle carat -
teristiche differenti dalla norma, dal comune. Nasce e si sviluppa così
la teratologia, scienza che studia i cosiddetti mostri, mescolanza di
umano e animale, di maschile e femminile. Il mostro, infatti, in epoca
antica era normalmente il frutto del rapporto sessuale fra dio e uomo,
condanna di un atto da non compiere, anticipazione mitologica del
peso della condanna del peccato e della colpa. L’avvento dell’embrio -
logia spiegherà poi come con determinati incastri del codice genetico
si hanno questi fenomeni, rari ma reali. Da qui la classificazione di
mostri politici morali e fisici, grazie alla raccolta delle lezioni del
1974–1975 di M. Foucault nell’opera “Gli anormali”.
È interessante osservare come si è sviluppato il processo di norma -
lizzazione e penalizzazione di mostri e anormali che la società indivi -
dua, per valutare il giusto peso della condanna e il giusto posto nel -
l’ambiente comune.
I mostri divengono cibernetici, seguendo le tesi di Braidotti, Cavare -
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ro e altre, che affrontano le anomalie e soprattutto le discriminazioni
in senso contemporaneo, sviluppando tesi di para–fantascienza, cioè
scienza apparente o irreale che ritrova nell’attualità forti riscontri nel -
l’attacco all’inerme.
Tesi che si confronteranno con la relazionalità di Jessica Benjamin,
le teorie sul genere della Butler, il normale e il patologico da Cangui -
lhem a Foucault. Il tentativo è quello non di dare risposte, ma conti -
nuare a porsi delle domande. Tutti possiamo essere vittime e carnefici
di discriminazioni di ogni tipo, ed è per questo motivo che la nostra ri -
cerca, antropologica e politica, deve fermentare.
È il corpo stesso che ci avvicina e non ci allontana dall’altro, che ci
pone in stretto contatto con il resto del genere umano e con il mondo
che ci circonda e ci contiene. Non è facile superare i limiti culturali,
imposti nei secoli da società tendenti a uniformarsi a canoni di norma -
lità. È forse davvero la tendenza a un pensare comune, superiore al -
l’inferiore che ha permesso lo sviluppo di guerre, genocidi e intolle -
ranze.
La diversità, da sempre, invece di essere vista come apporto di ric -
chezza alla complessità delle idee per sviluppi di tesi universali, è con -
siderata un limite. L’adeguamento al normale è un compromesso, è la
soluzione alla paura del diverso.
La paura, mista alla velata attrazione, è forse la causa maggiore del
voler allontanare, ghettizzare ed escludere i soggetti eccentrici. La
trattazione di tesi, falsamente nuove, sulla dignità dell’individuo è il
fondamento per oltrepassare i pregiudizi culturali, morali e sociali.
La questione della sessualità non è marginale, anzi è fondamentale
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per la crescita e la caratterizzazione delle generazioni attuali e future.
L’ermafrodito è dunque il pretesto per affrontare la questione dell’ap -
partenenza a un genere o una sessualità, uno che non esclude l’altro.
L’interiorità è sempre specchio dell’esteriorità? Una persona che na -
sce con un corpo di uomo e da sempre sente una forte componente
femminile, o addirittura si sente esclusivamente femmina e donna fino
a voler cambiare fisicamente il suo apparato genitale, come esprime il
suo interiore nell’esterno? E’ addirittura il caso, seppur abbastanza
raro, dell’ermafrodito, che è davvero doppio e pure uno! Come pure
l’omosessualità, da sempre considerata deviazione o inversione del
comune dell’eterosessualità. Siamo tutti vivi secondo natura.
La necessità nell’affrontare quest’argomento, nasce dal forte deside -
rio di riconoscimento di chi non vive secondo il precetto della fami -
glia e dei valori attinenti, per lo più cristiani. Questo però è falso, per -
ché essere cristiano vuol dire vivere gli insegnamenti della figura del
Cristo e non aderire a valori costruiti lungo i secoli sull’adeguamento
della famiglia padre, madre e figli. La ricerca va verso la riscoperta
del valore del vivere comune, insieme, non la tolleranza bensì il ri -
spetto e riconoscimento dell’altro non come ombra di sé, come oscu -
ramento del proprio io ma come aiuto e completamento alle proprie
virtù e attitudini.
Spero che il mio tentativo permetta nuovi confronti, approcci e illu -
minazioni su un terreno sebbene molto esplorato, ancora da conquista -
re: la libertà dell’uomo.
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CAPITOLO 1
L’INCARNAZIONE DELL’ANIMA, ALCUNI ANTECEDENTI
1.1 Il concetto e la definizione di anima nella filosofia
antica
1.1.1 Platone
La straordinarietà della filosofia greca è forse davvero quella di
aver imposto le principali questioni speculative, per cui ancora oggi si
sviluppano numerose critiche, nel tentativo di districare ulteriormente
le tesi e affermazioni sui capisaldi della filosofia classica, madre di
tutte le filosofie.
Questo primo capitolo pone l’attenzione principalmente sul tema
dell’anima.
Sicuramente il principale promotore dell’argomento è Platone, che
depone in Socrate la sua definizione di uomo: l’uomo è la sua anima;
il corpo è lo strumento di cui si avvale. Prima di Socrate, l'anima ave -
va differenti significati. Per esempio, in Omero corrispondeva ad una
larva inconsapevole, resto dell’uomo che varcava la porta degli inferi.
Negli Orfici e nei pitagorici invece era un dèmone, che per un'origina -
ria colpa commessa cadeva in un corpo, da cui, sia attraverso le tra -
smigrazioni, sia mediante le purificazioni, tornava poi a liberarsi (teo -
ria della cosiddetta metempsicosi).
Ma essa non coincide con la razionalità dell’uomo. Nei Presocratici
é stata in vario modo correlata col principio, ma in maniera ancora ab -
bastanza generica.
E’ Socrate a porre l'anima come capacità di conoscenza e determina -
zione della propria vita morale. Egli la descrive come interiorità spiri -
tuale, come coscienza morale, intesa come fatto individuale, come
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personale responsabilità, e non passiva e conforme adeguazione for -
male a norme esteriori. La questione che però Socrate non riesce pro -
prio a risolvere riguarda l’immortalità dell’anima. Se l'anima fosse
mortale e se, con la morte del corpo, anche lo spirito dell'uomo si dis -
solvesse, allora la dottrina di Socrate, da sola, non basterebbe.
Vivere per il corpo significa vivere per ciò che é destinato a morire;
vivere, invece, per l'anima significa vivere per ciò che é destinato ad
essere per sempre. L'uomo giusto che in questa vita viene ucciso, per -
de il corpo che è mortale, ma salva l' anima, immortale.
Platone si concentra su questo problema nel "Fedone" .
Delle tre prove dell'immortalità, la seconda è particolarmente signi -
ficativa. L' anima umana é capace di conoscere cose " immutabili ed
eterne ". Ma la condizione necessaria e indispensabile per cui essa
possa conoscere queste cose, é che essa abbia una natura loro affine,
altrimenti queste rimarrebbero al di fuori delle sue capacità. Ebbene,
come quelle cose sono immutabili ed eterne, così anche l'anima deve
essere ontologicamente immutabile e immortale. E' questa una prova
che porta alle estreme conseguenze il principio, già ben radicato nel
pensiero greco, che solo il simile conosce il proprio simile, ma rigua -
dagnato sul piano metafisico, sulla base della scoperta del mondo in -
tellegibile delle idee. Un'altra prova dell' immortalità dell' anima é che
essa partecipa più di ogni altra cosa all' idea di vita e, di conseguenza,
come potrebbe partecipare anche a quella di morte ?
Gadamer sottolinea una questione riguardo l’opera del Fedone : è
possibile che Platone si sia soffermato solo a risolvere l’immortalità
dell’idea dell’anima e non quella dell’anima individuale? La questione
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riguarda il rapporto fra universale e particolare.
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In Platone il problema effettivamente non esiste, perché per lui è
evidente che la vera essenza, il vero essere si rivela nel linguaggio e
che esso è anche e sempre individuato. La psyché non è solo un con -
cetto generale, ma è onnipresenza della vita nel particolare, nell’ente
vivente.
La debolezza dell’argomentazione di Socrate è una conferma del fat -
to che le idee non sono separabili dal particolare.
Ulteriori prove, Platone le fornisce nella "Repubblica" e nel "Fe -
dro" . Nella “ Repubblica ” mostra che i mali del corpo distruggono il
corpo, mentre quelli dell'anima, anche portati alle estreme conseguen -
ze, non la distruggono; il che significa appunto che é incorruttibile.
Nel "Fedro" , infine, la prova viene concentrata intorno al concetto di
automovimento.
La soluzione di questo problema Platone l'ha affidata ai grandi miti
del "Gorgia” , del "Fedone" e della "Repubblica".
Il nucleo concettuale, l’essenza del discorso in tutte le rappresenta -
zioni immaginifiche di Platone è sempre lo stesso: i buoni riceveranno
un premio per le loro virtù. Quelli che vissero una vita media, e quindi
commettendo colpe sanabili, sconteranno una pena che li purificherà
dall'ingiustizia commessa, mediante la sofferenza, perché dalla ingiu -
stizia, afferma Platone, "non ci si può liberare in modo diverso" . Quel -
li che commisero ingiustizie insanabili saranno condannati nella Ade a
soffrire i patimenti più grandi.
Inoltre, Platone afferma che Zeus costituì come giudici nell'aldilà tre
1 GADAMER, HANS GEORGE, L’inizio della filosofia occidentale, a cura di
Vittorio De Cesare, Guerini e associati, Milano, 1993, pag.62
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suoi figli. Tale affermazione si rifà pienamente al vangelo: “Il Padre
non giudica nessuno, ma affida il giudizio al figlio" .
Ognuno deve cercare di fare ordine nel disordine delle passioni del
proprio animo, così come deve cercare di portare ordine nel disordine
che si trova nella società e nello Stato. Fare questo significa portare
unità nella molteplicità e mediare le varie scissioni con la giusta misu -
ra in tutti i sensi; operare come il Demiurgo quando ha prodotto il
mondo, trasformando l'originario caos nel cosmo, legando i molti con
l'uno e l'uno coi molti.
La "imitazione di Dio" , che Platone indica come fine supremo dell'
etica così come della politica, consiste appunto nell'agire come ha agi -
to Dio, producendo il mondo, il quale altro non é che cosmo e ordine,
creare ordine nelle proprie cose.
1.1.2 Aristotele
Il discepolo di Platone elabora la concezione della psychè nel -
l’opera “ De Anima” , dove manifesta per diversi aspetti un intento po -
lemico e in contrapposizione circa delle dottrine sviluppate da Platone
sullo stesso argomento. Secondo Aristotele, per Platone l’anima è un
elemento divino nell’uomo che come tale si contrappone al corpo, so -
pravvivendogli. Danneggiata poi da una condotta ingiusta, l’anima po -
trebbe riacquistare il proprio stato di salute, solo sottoponendosi però
ad una equa punizione.
Aristotele vuole conoscerne la natura, l’essenza e le proprietà attra -
verso l’acquisizione di un metodo, o più di uno. Egli si chiede a quale
genere appartenga, se sia in atto o in potenza, se sia costituita da parti
o meno, se è unica per la specie o no, e se le anime si differenzino per
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specie o per genere. Il logos poi sarà uno o diverso per ciascun’anima?
Se essa poi si divide in parti, si analizzerà l’interezza o le parti? Tale è
il mistero dell’anima e cioè che essa non è divisa, come il corpo, in di -
verse parti, ciascuna individuata da una diversa funzione, ma è con -
centrata intensivamente in ognuno dei suoi aspetti.
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Aristotele sembra tendere per la considerazione delle affezioni del -
l’anima come comuni al corpo, sostenendo la necessità di considerare
nella loro definizione sia gli aspetti formali che materiali.
L’anima è sostanza, in quanto forma di un corpo naturale che in po -
tenza ha la vita; è atto del corpo. Essa è atto primo di un corpo che ha
la vita in potenza.
L’anima è inseparabile dal corpo, su sfondo della definizione ilemor -
fica, nel fatto che le attività dell’anima sono attività anche di corri -
spondenti parti del corpo. Esistono però delle attività psichiche prive
della necessità di una corrispondente attività corporea: l’attività intel -
lettiva.
La corrispondenza tra gli atti dell’anima e quelli del corpo si potreb -
be ritenere insufficiente a garantire la loro inseparabilità. Infatti, si po -
trebbe arrivare tanto a una posizione ilemorfica come ad una dualisti -
ca.
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. Se il motivo per cui l’anima è forma del corpo è che le sue attivi -
tà implicano corrispondenti mutamenti nel corpo, ammettere che quel -
la intellettiva implica indirettamente il possesso del corpo non è suffi -
ciente a definirla sua forma, almeno finché non si dimostra l’unità rea -
le delle parti dell’anima che è possibile distinguere per la funzione.
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2 GRASSO R., ZANATTA M., La forma del corpo vivente, studio sul De Anima
di Aristotele, ed. Unicopli, Milano, 2005, pag. 26
3 Ibidem, pag.28
4 Ibidem, pag. 34
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