Il prof. Francesco Mazzini,
Che nonostante I suoi molteplici impegni mi ha seguito sempre con molta
professionalità, disponibilità e cortesia.
Un ringraziamento non può mancare al Sig. Franco Martinelli, il quale si
è prodigato nell’aiutarmi a ricercare molti articoli sull’argomento trattato.
E’ d’uopo ricordare altresi’, l’Ufficio Pianificazione Strategica, della
Direzione Generale del Monte dei Paschi di Siena, che si è reso
disponibile e mi ha fornito diverso materiale bibliografico.
Alla fine di questo excursus un pensiero è d’obbligo ai miei genitori che,
ridimensionando il loro presente, hanno permesso di costruire il mio
futuro.
Introduzione.
L’organizzazione economica nella sua globalità, pone tre problemi
fondamentali: il cosa, il come e per chi produrre. Sicuramente una valida
risposta ai suddetti quesiti ci e’ fornita dal meccanismo di mercato che
opera attraverso la domanda e l’offerta. Adam Smith nella sua opera “La
ricchezza delle nazioni” (1776), affermò che l’ordine nel sistema
economico era ottenuto attraverso una “mano invisibile” che agiva per
l’inerzia impressa dall’egoismo di ogni individuo impegnato a realizzare
il proprio tornaconto:”Il vizio privato è pubblica virtù”. Tale concetto
venne ripreso ed elaborato in termini matematici più tardi da Leon Walras
(1834-1910). Smith stesso riconobbe però che tali virtu’ del meccanismo
di mercato tramite il prezzo, dovevano essere ridimensionate se non si era
in presenza di concorrenza perfetta;
se cosi’ non fosse il mercato potrebbe essere inefficiente ed avere dei
fallimenti, come le economie di scala, le esternalita’, le asimmetrie
informative ecc. Un fallimento di mercato si paga in termini di efficienza
allocativa della produzione o del consumo. L’ analisi di Smith, anche se
per molti aspetti risulta ormai essere obsoleta, rimane molto valida ed
attuale sul concetto di efficienza e del libero mercato.1 Nella teoria
economica classica la concorrenza era considerata come un processo
dinamico, infatti molti classici erano contrari all’intervento dello stato
nell’economia , perché sostenevano che si sarebbero potuti ottenere
risultati efficienti con un processo dinamico della concorrenza2. Questa è
anche la spiegazione per cui la teoria classica non effettua distinzione fra
1
Smith condanna chiaramente I monopoli. Da uno dei suoi più
famosi brani traspare il chiaro disaccordo: “ Gli operatori dediti al
medesimo commercio raramente si incontrano, sia pure per divertimento
e svago, senza che la loro conversazione si risolva in una cospirazione ai
danni del pubblico o in qualche artificio per rialzare I prezzi”
2
H. Hovenkamp, The Sherman Act and the classic theory of
competition , 74 Iowa L.Rev. 1989 pg 1019.
intese verticali ed orizzontali. Con la teoria dei prezzi tale concetto è
divenuto statico e ristretto.
La concorrenza perfetta e’ quasi impossibile da raggiungere nella
realtà operativa, infatti si e’ in presenza di tale forma di mercato quando
nessun produttore di un bene o servizio è in grado di influenzare il
prezzo. Nella concorrenza perfetta c’è un elevato numero di produttori
che offrono lo stesso bene o dei beni omogenei, indistinguibili fra loro.
Sicuramente non possiamo soffermare la nostra analisi al modello di
concorrenza perfetta anche perchè come si e’ capito è un meccanismo
quasi idilliaco. Tale modello non è in grado di rappresentare fedelmente i
movimenti economici delle industrie moderne che sono una miscela di
imperfezioni monopolistiche e di fattori di concorrenza. La realtà
economica sembra essere dominata dalla concorrenza imperfetta, come si
può facilmente evincere dagli scenari industriali americani, asiatici,
europei. Per farsi un’idea di cosa sia la concorrenza imperfetta, bisogna
prima accennare al modello del monopolio come estremizzazione opposta
alla concorrenza perfetta.
Si ha una situazione di monopolio quando sul mercato c’è un solo
produttore di un determinato bene, tale individuo è chiamato monopolista
Si intuisce facilmente che in questo caso, in antitesi col precedente, ogni
singolo produttore è in grado di influenzare il prezzo di mercato del bene
prodotto. La conseguenza logica ed elementare di questo sistema, sarà
che il monopolista cercherà di fissare il prezzo in modo da massimizzare
il proprio profitto per una determinata quantità da lui offerta.
Naturalmente anche questa forma, come la concorrenza perfetta, è
quasi impossibile da incontrare nella realtà operativa che è invece una
platea in cui ci sono forme intermedie fra i due casi improbabili esposti
fin qui: concorrenza perfetta e monopolio. Da queste poche righe si
desume che concorrenza imperfetta vuol significare anche incertezza
economica, e l’incertezza sicuramente non fa piacere agli imprenditori,
che spinti dal loro obiettivo primario, la massimizzazione del profitto,
potrebbero falsare il gioco della concorrenza per assicurarsi il pezzo di
una torta, la spartizione dei mercati o di alcuni segmenti, che è per loro
parecchio appetibile, ma che può innescare un meccanismo pericoloso per
il benessere sociale della collettività. Si è cercato di contrastare questo
problema fin dai tempi remoti, si è cercato di impedire il formarsi di
concentrazioni, intese, posizioni dominanti, che portano all’ovvio
risultato di distorcere il funzionamento del mercato a vantaggio dei più
potenti. Si possono ricordare a proposioto le raccomandazioni medioevali
ai mercanti, di chiedere un “giusto prezzo” per le loro merci, o la
condanna dell’accaparramento di generi alimentari in periodo di carestia.
Nel 1776 Adam Smith attaccò le grandi compagnie commerciali
“Compagnie delle Indie”, che controllavano in condizioni di monopolio i
traffici su lunga distanza. Vennero contestate a proposito le “patenti”
concesse dal sovrano, con l’unico obiettivo di assicurare a queste
compagnie, il diritto di operare al riparo dalla concorrenza, su un
determinato mercato. Oggi si può affermare con assoluta certezza che la
concorrenza economica è efficiente nello spingere al rinnovamento
tecnologico le imprese, e per la formazione del prezzo più basso sul
mercato.
Scopo di questo lavoro è appunto quello di analizzare gli attuali
trend verso le concentrazioni che sono sempre più frequenti a qualsiasi
livello aziendale sia nel settore industriale sia soprattutto dei mercati
finanziari. Tali concentrazioni possono favorire il sorgere di accordi,
intese, abusi di posizione dominante fra imprese che possono portare a
restrizioni della libera concorrenza. Sicuramente un ruolo importante in
questo nuovo approccio alla visione dei mercati, questa “nuova cultura”
in Italia, culla di molteplici monopoli, è svolto dall’Autorità Garante
della concorrenza e del mercato che opera da qualche anno grazie alla
legge 287/1990. Definita nuova cultura perchè questa legge in Italia è
arrivata giusto cento anni dopo dello Sherman act3 americano.(1890) .
3
Gli obiettivi economici dello Sherman Act, trapelano nella teoria
economica classica. In questo secolo le teorie economiche della
concorrenza sono state soggette a cambiamenti e parallelamente il diritto
dell’Antitrust. Il peso dell’approccio economico all’interno dei processi
decisionali muta col tempo, e con esso muta il diritto dell’antitrust.
Si possono ricordare alcuni effetti concreti di questa legge
d’oltreoceano, ad esempio nel 1911 venne smembrato in 34 società lo
Standard Oil Trust , che aveva il predominio assoluto ed incontrastato nel
settore petrolifero. Di recente invece c’è stata la ristrutturazione della
AT&T, gigantesca società che controllava l’intero servizio telefonico
americano.
L’arretratezza concettuale del vecchio rispetto al nuovo continente
verso la libera concorrenza, non è stata solo un problema italiano, ma un
po' di tutta l’Europa, tardiva fra l’altro, anche al processo di rivoluzione
industriale. Tale lentezza è stata causata sicuramente dall’evolversi degli
eventi storici. Un po' in tutta l’Europa si era abituati ad un sistema di tipo
corporativo, si era abituati ad avere lo stato alle spalle sempre presente in
maniera asfissiante e mai come mero arbitro. Il concetto dominante nel
dopoguerra era che “non ci può essere libertà se c’è proprietà”, mentre in
America con i federalisti, con Jefferson, il principio cardine era che ”non
ci può essere libertà senza proprietà”. In una tavola rotonda4 Giuliano
Amato riferiva a proposito che in Europa si pensava: “Cresci difendendoti
dalla concorrenza e non, cresci grazie alla concorrenza”.
Dalla metà degli anni 70 invece, un movimento “tellurico” si
espande sempre più minaccioso. La maggior parte dei paesi
industrializzati europei, in questo periodo, viveva una fase caratterizzata
da un processo di progressiva integrazione, questo è bastato per
sottoporre le imprese europee, soprattutto quelle produttrici di beni
oggetto di scambi internazionali e del settore finanziario, ad una crescente
concorrenza. Inizialmente le imprese reagirono con difficoltà alle
pressioni concorrenziali a cui venivano sottoposte. Tali crisi però sono
state superate grazie al rinnovamento tecnologico ed a innovative
tecniche di produzione che hanno avuto un duplice beneficio:
1°) le imprese sono diventate più solide e tecnologicamente
avanzate,
4
Presso l’Università degli Studi di Siena 1998
2°) i consumatori hanno tratto dei vantaggi dalla situazione
scaturita in termini di efficienza del mercato e di qualità dei prodotti e dei
servizi loro forniti.
CAPITOLO PRIMO
L’EVOLUZIONE DEL CONCETTO
DI CONCORRENZA
E RELATIVA TUTELA.
1.1. La concorrenza perfetta.
Il concetto di concorrenza, almeno per gli occidentali è un concetto
che a livello intuitivo ognuno possiede e lo si associa spesso alla rivalita’
che c’è fra due o più soggetti per raggiungere un obiettivo. Il confronto
concorrenziale in genere è stimolante per gli individui in “lotta”, in
“gara” in cui solo alcuni saranno premiati, quelli più efficienti. La
concorrenza secondo Maffeo Pantaleoni “è la sorgente più energica di
dinamismo sociale. E’ il più forte demolitore di ogni specie di posizione
acqisita. E’ una minaccia permanente per tutti quanti coloro che sono
arrivati, siano cose, persone o forme di organizzazione 5.”
E’ nella teoria dei prezzi, che si va ad affermare a livello
nozionistico il concetto di concorrenza perfetta che ancora oggi
predomina. Tale definizione coincide con quella operata da
E.H.Chamberlin che nel suo lavoro6 la divide in concorrenza “pura” e
“perfetta”.
La concorrenza pura richiede due requisiti necessari e sufficienti:
5
M. Pantaleoni (1925, p. 217)
6
The Theory of Monopolistic Competition, Cambrige 1993.
(Traduzione italiana: La teoria della concorrenza monopolistica, Firenze
1961)
• la singola impresa è influenzata dal prezzo, cioè è price-taker;
• I prodotti presenti sul mercato sono omogenei e fungibili.
La concorrenza pura se ha anche altri requisiti quali:
• non vi sono barriere all’ingresso;
• le risorse impiegate godono di mobilità assoluta;
• l’informazione sul mercato7 è totale,
allora il modello diviene perfetto. L’impresa che opera in un regime di
concorrenza perfetta avrà una curva di domanda8 piatta, questo
permetterà di vendere all’impresa una qualsiasi quantità Q9 ad un prezzo
dato. In una situazione di concorrenza perfetta l’impresa avrà il suo punto
di massimo profitto o equilibrio concorrenziale quando la funzione
positiva del costo marginale intersecherà quella del ricavo marginale, cioe
quando il prezzo ugualia il costo marginale. (Grafico n°1 in appendice).
Se ci si dovesse trovare sotto tale “prezzo critico”, naturalmente le nuove
imprese diserteranno questo settore industriale, finchè il prezzo P non
sarà nuovamente al livello di equilibrio. In caso contrario, ossia nel caso
in cui il prezzo di mercato sarà superiore al costo marginale o punto di
pareggio, nuove imprese saranno invogliate ad entrare in quel mercato,
per realizzare il surplus dato dalla differenza fra prezzo di mercato e
prezzo di pareggio. La presenza di nuove imprese però, innescherà un
meccanismo che fungerà da volano per far muovere in basso, verso il
punto critico di pareggio, il prezzo di mercato10.
7
F.M. Scherer e D Ross, Industrial market structure and economic
performance , Boston, 3a ed. 1990. P 16 ss.
8
Per quanto riguarda la curva d’offerta dell’impresa
concorrenziale, questa sarà identica alla curva, inclinata
positivamente del costo marginale.
9
Naturalmente la quantità Q di beni da produrre dipende dalla
funzione del costo marginale
10
Economics, Samuelson – Nordhaus, Mc Graw Hill inc. New
York 1985.
E’ importante precisare però, che tale meccanismo è valido se le
imprese possono entrare ed uscire da quel mercato senza sostenere dei
costi, in altre parole non ci devono essere delle barriere sia “all’entrata”
che “all’uscita”. Inoltre tale ragionamento crolla quando la curva del
costo marginale dell’impresa è inclinata verso il basso. In questo caso se
ci si muove a destra di una curva decrescente del costo marginale, si trova
che il prezzo unitario addizionale, è maggiore del costo marginale. Il
risultato di questo discorso è che l’impresa concorrenziale, con costi
marginali decrescenti, per ottenere un profitto addizionale, espanderà la
propria produzione oltre la curva cm. Cosi’ facendo si arriva ad un
traguardo evidente: un impresa o un piccolo numero di imprese
espanderanno sempre più la produzione a tal punto da accaparrarsi una
parte notevole di mercato. Si arriverà dunque ad avere o una situazione di
monopolio, o di oligopolio, o una forte imperfezione della concorrenza
che rappreasenta uno scostamento dal modello teorico della concorrenza
perfetta.
1.2 Il monopolio.
Dalle pagine precedenti, si comprende che il monopolio e’ una
forma di mercato in cui c’e una sola impresa che produce un determinato
bene. Nella teoria dei prezzi il modello del monopolio viene posto in
maniera diametralmente opposta a quello della concorrenza. Abbiamo già
avuto modo di precisare che il monopolista difficilmente accetta il prezzo
di mercato come dato, perchè egli è in grado di influenzarlo, e quindi
sceglie i livelli di prezzo e di output che massimizzano il suo profitto
globale. In questa operazione però il monopolista ha comunque un
vincolo importante che è la curva di domanda dei consumatori. Tale
curva si differenzia da quella del modello concorrenziale perché risulta
avere una inclinazione verso il basso11. Un altra condizione necessaria
affinchè ci si trovi in posizione di monopolio, è che devono essere
11
La quantità prodotta dal monopolista, essendo l’unico produttore,
coincide con l’intera produzione del mercato,
presenti barriere per accedere al mercato da parte di nuovi concorrenti,
infatti il monopolio 12 potrà nascere e potenziarsi solo in presenza di tali
ostacoli, siano essi giuridici, economici o politici. L’impresa che opera in
regime di monopolio si definisce dunque price-maker, perché è in grado
di decidere da sola il prezzo di vendita. Per la massimizzazione dei
profitti nel monopolio, l’impresa deve perseguire la condizione secondo
la quale il costo marginale cm eguaglia il ricavo marginale rm13. Da un
punto di vista grafico (Grafico n° 2 in appendice), si vede bene, che in
questo regime il consumatore vede lievitare Il prezzo dal punto p1 al
punto p2, ed allo stesso modo vede ridurre la quantità dal punto q2 al
punto q1 mentre l’impresa vedrà incrementare esponenzialmente I propri
guadagni. I consumatori da questa situazione subiranno delle perdite pari
all’area p1p2AB, perché la rendita del consumatore14 si è ridotta proprio
in questa misura. Per il monopolista invece I profitti aggiuntivi,
graficamente sono rappresentati dall’area p1p2AC. Possiamo concludere
che Il monopolio causa una perdita secca o “deadweight loss” che risulta
essere l’area ABC della nostra figura, calcolabile come la differenza fra le
perdite subite dai consumatori ed I profitti del monopolista.
La misura della perdita di benessere derivante dal monopolio si
concretizza , in base a quanto esposto in precedenza, dal prezzo più alto e
dalla quantità inferiore rispetto ud una industria perfettamente
concorrenziale. In questa situazione il valore della merce non risulta
massimizzato, ma lo si potrebbe fare riallocando le risorse in modo da
soddisfare interamente I consumatori. In concorrenza perfetta non è
pessibile nessuna forma di riallocazione delle risorse, efficiente per
incrementare l’utilità dei consumatori. Proprio questa è la motivazione
per la quale le teorie economiche condannano il monopolio.
12
Si è in presenza del monopolio naturale quanndo esistono sul
mercato in considerazione le economie di scala .
13
Il ricavo marginale consiste nel ricavo aggiuntivo che si ottiene
quando la produzione aumenta di una unità.
14
Tale rendita è data dalla differenza tra il prezzo che il
consumatore sarebbe disposto a pagare , e quello che effettivamente paga.
1.3 L’oligopolista collusivo: un’analisi empirica.
Un caso assai simile a quello del monopolista risulta essere
quello dell’oligopolista collusivo. Il modello di oligopolio, prevede un
mercato in cui sono presenti pochi imprenditori che vendono un
determinato bene. In queste condizioni, non è raro che I “pochi”
produttori si accordino fra loro per interagire strategicamente a danno
della libera concorrenza e dei consumatori. Questo è un fenomeno molto
diffuso e da una recente indagine negli USA è emerso che delle 1043
società analizzate, 94 hanno ammesso di aver fissato illegalmente i prezzi
di mercato. L’analisi empirica di questo meccanismo distorsivo della
concorrenza attraverso la concentrazione, a mio parere, ha dato un
significativo ed inaspettato risultato: i successi “attesi” sono l’eccezione
anziché la regola. I pricipali effetti di queste concentrazioni sono stati:
i tassi di profitto sono solo lievemente più alti nelle imprese
concentrate rispetto a quelle che non lo sono;
i costi di R&S e di pubblicità sono più bassi in industrie non
concentrate e assenti in quelle concorrenziali;
3) le industrie con maggiore grado di concentrazione hanno i prezzi
molto più vischiosi di quelle concorrenziali. 15
1.4 Evoluzione del concetto di concorrenza.
Lo scenario economico reale, presenta delle notevoli differenze dal
modello “accademico”, esposto in precedenza. La concorrenza pura e
perfetta, richiede dei requisiti improbabili da trovare nella realtà, che
invece è ricca di forme di imperfezioni di mercato. In un suo lavoro16
15
(fonti: Bureau of census, Census of manufacturing; National
Science Foundation; Federal trade commission Quarterly Financial
Report; Economic report of the President; Internal revenue service,
Statistic of income )
16
The Economics of Imperfect Competition, London 1934
Robinson scrisse che “la realtà è una realtà di monopoli”, anche Sraffa e
Chamberlin nei loro lavori17 condannavano l’astratto modello di
concorrenza perfetta, per orientarsi sempre più verso una struttura di
concorrenza che cerca di metabolizzare tutti I tipi di imperfezioni presenti
nel mercato. Robinson18 e Chamberlin19 esposero rispettivamente la teoria
della concorrenza imperfetta e la teoria della concorrenza monopolistica,
le quali furono molto importanti per la politica economica, ma non per il
diritto antitrust. L’invalidità della concorrenza perfetta fu studiata
successivamente anche da J.M.Clark20 il quale introdusse nel 1940 il
concetto di concorrenza workable.
La “workable competition” afferma che non necessariamente le
imperfezioni del mercato sono da eliminare, perché queste possono essere
annullate dalla presenza di altre imperfezioni21. Il mercato secondo Clark
può essere efficiente anche se ci sono delle imperfezioni, ma è importante
17
P.SRAFFA 1926 .The laws of returns under competitive
conditions. Pg 535 ss.; E.H. CHAMBERLIN, The theory of monopolistic
competition, Cambrige,1993.
18
Analisi della discriminazione dei prezzi in concorrenza perfetta,
dovuta ai costi d’informazione ed ai costi di trasporto. Lo studio fu
ripreso ed ampliato da F.Machlup, Characteristics and types of price
discrimination , in Business concentration and price policy, Princeton,
1975. Pg 397 ss.
19
Analisi della formazione dei prezzi in regime di oligopolio. Lo
studioso ha dimostrato come nei mercati ad alto tasso di concentrazione,
le imprese pur non accordandosi esplicitamente sui prezzi, possano
ottenere degli effetti anticoncorrenziali.
20
Toward a concept of workable competition,1940. Pg 241 ss.
Clark in un altro suo lavoro critico il modello di concorrenza perfetta per
la sua estrema staticità. Competition is a dinamic process, Washington,
1961
21
Teoria del counter- poison
vedere se nel segmento preso in considerazione ci sia un tipo di
concorrenza funzionante, praticabile o workable22.
1.5 La scuola di Harvard:
“La struttura, il comportamento, il risultato.”
La scuola di Harvard, ha rappresentato una pietra miliare per quel
che riguarda la “scienza dell’antitrust” fino al 1970. Il concetto ripreso ed
ampliato dalla suddetta Scuola, è quello di Clark e mira ad identificare un
segmento efficiente della produzione, in base al paradigma “Struttura-
Comportamento-Risultato economico”23 per vedere se il settore
considerato abbia le caratteristiche della workable competition. Il
paradigma della scuola Harvardiana stabilisce che, il risultato economico
in alcuni mercati, dipenda dal comportamento dei venditori e degli
acquirenti e sia legato a fattori quali: prezzi, pubblicità, ricerche di
mercato, investimenti in R&S ed ancora altri. A sua volta Il
comportamento degli acquirenti e dei venditori, è influenzato dalla forma
di mercato su cui operano e dalla sua struttura che è ravvisabile dal:
numero dei venditori, numero dei compratori, tipi di prodotti, eventuali
barriere all’ingresso o all’uscita ecc. Dal concetto di workable
competition e dal paradigma di Harvard, prima Sosnick24, poi Scherer e
22
Il concetto di Clark ha portato un contributo importante alla
disciplina antitrust sia americana che europea, risolvendo molti contrasti
sul tema.
23
Tale paradigma è stato inventato ad Harvard negli anni 40 da
Edward Mason e si può ritrovare in, Price and Production Policies of
Large-Scale Enterprises, 29 Am. Econ. Rev. pg 61 ss. (1939).
The Current State of the Monopoly Problem in The United States,
62 Harward L. Rev. pg 1265 ss. (1949).
24
S.Sosnick, A Critique of concepts of Workable competition , 72
Quarterly J.Econ. pg 380 ss (1958).
Ross25, hanno cercato di identificare gli elementi necessari affinchè un
settore di mercato rientri nel modello della workable competition. Gli
elementi in questione possono essere suddivisi in tre categorie:
1°) di struttura26;
2°) di comportamento27;
3°) di risultato28.
25
Sherer & Ross. Industrial Market Structure and economic
Performance, Boston 1990. Pg 53 ss.
26
Nella prima categoria rientrano le caratteristiche specifiche
del mercato, in cui ci devono essere un elevato numero di
operatori, non devono essere presenti barriere all’ingresso di
nuovi soci ed I prodotti offerti devono avere delle differenze
qualitative correlate a delle differenze di prezzo.
27
La seconda categoria è costituita dalle norme
comportamentali degli operatori di mercato tipiche della
workable competition. I concorrenti non possono contare su
eventuali variazioni unilaterali dei prezzi e su un coseguente
adeguamento certo di tutti gli operatori; non ci devono essere
collusioni fra operatori; non si deve ricorrere a tattiche di
mercato scorrette; non si deve garantire protezione ad operatori
inefficienti; le campagne promozionali devono avere solo
contenuto informativo e non fuorviante; non ci devono essere
discriminazioni durature di prezzo a danno della concorrenza.
28
Nella terza categoria rientrano I criteri di risultato: la
produzione e la distribuzione deve risultare senza sprechi o
inefficienze; la qualità dei prodotti deve soddisfare le attese dei
consumatori; I profitti devono essere appena sufficienti a
remunerare gli investimenti, l'’fficienza e l'’nnovazione; i prezzi
devono creare situazioni di stabilità, e devono generare scelte
razionali; si deve saper sfruttare l’opportunità di introdurre
processi produttivi innovativi o tecnologicamente superiori; le
spese di pubblicità devono essere contenute; I produttori più
attenti alle esigenze dei consumatori, verranno premiati dal
successo.