5
INTRODUZIONE
La ―finanza comportamentale‖ o ― behavioral finance‖ può definirsi come la
scienza che studia il funzionamento dei mercati ed il comportamento degli
investitori, utilizzando conoscenze e strumenti propri di altre discipline delle scienze
umane per essere in grado di interpretare il più realisticamente possibile il complesso
mondo finanziario. Questo recente approccio di ricerca segna in particolare
l‘incontro della finanza con la psicologia e, più in generale, con le scienze cognitive
e di decision-making.
Se a prima vista sembrerebbe azzardato e forse eccessivamente accademico
cercare di affiancare discipline così diverse fra loro per lo studio dei mercati
finanziari, in realtà un‘analisi più attenta confermerebbe la necessità di partire dallo
studio del comportamento umano per la comprensione dei mercati, poiché
precisamente gli individui ne sono i protagonisti diretti ed indiscussi, con le loro
emozioni ed aspetti umani.
Da sempre l‘economia, alla ricerca della massima semplicità, ha risolto il
problema della psicologia dell‘operatore economico inventan do il cosiddetto homo
œconomicus, ovvero l‘agente economico perfettamente razionale e massimizzatore
della sua funzione di utilità.
L‘ipotesi di razionalità perfetta dell‘investitore ha permesso alla scienza
economica, ed in particolare alla finanza, di raggiungere risultati molto brillanti in
modo relativamente semplice con la formulazione di teorie quali le seguenti: valore
atteso ed utilità attesa di Von Neumann e Morgerstern (1944); efficienza del mercato
6
di Eugene Fama (1970); scelta del portafoglio di Harry Markowitz (1952) e Capital
Asset Price Model di Sharpe e Linter (1964).
L‘assunto base di tale risultati è stato l‘ipotesi di razionalità perfetta, che ha
aiutato a spiegare molto dei comportamenti umani e di quello dei mercati.
Il punto è che, però, è possibile constatare che non sempre l‘andamento dei
mercati stessi appare in linea con quanto postulato dall‘approccio metodologico
tradizionale. Non si può negare, infatti, la presenza di ―anomalie‖ cui non si è in
grado di dare una plausibile spiegazione se non immaginando nuovi criteri di
organizzazione e nuovi livelli di decisione. Inoltre, gli investitori che popolano i
mercati finanziari non sembrano identificarsi con l‘ homo œconomicus prospettato
dalla teoria classica. Di conseguenza, i movimenti di mercato ―assurdi‖ o illogici
(apparsi tali, chiaramente, ex post) potrebbero essere attribuiti al fatto che i soggetti
economici, caratterizzati da ―razionalità limitata‖, non comprendano, interpretino e
gestiscano le nuove informazioni in maniera sempre corretta.
Ancora, sui mercati si sviluppano canali informativi artificiali, fenomeni
emozionali considerevoli e processi imitativi il cui peso è stato rivelato dalla
presenza, tutt‘altro che rara ed effimera, delle bolle speculative.
L‘incontro d ella finanza con la psicologia, invero, ha consentito di
approfondire, in senso descrittivo, una folla di comportamenti non razionali ed un
insieme di variabili che i modelli classici della finanza non hanno tenuto in adeguata
considerazione o comunque spiegato in maniera del tutto esauriente.
La finanza comportamentale, prendendo l‘abbrivio dagli aspetti tipicamente
emotivi che caratterizzano l‘investitore, si sforza di ricercare motivazioni più
plausibili di quelle tradizionali per i trend di Borsa quotidianamente osservabili.
Nello specifico, questo nuovo filone di studi analizza il modo in cui l‘interazione tra
7
fattori psicologici, sociali, culturali ed una serie di bias euristici possano condurre ad
erronee valutazioni delle attività finanziarie.
Nel corso della trattazione si cercherà di fornire una panoramica del complesso
di ―distorsioni mentali e psicologiche‖ che interferiscono con le scelte di
investimento ed il sottostante processo di decision making.
Occorre tuttavia evidenziare che la relazione intercorrente tra il modello
normativo (della finanza classica) e quello descrittivo (della finanza
comportamentale) appare di assoluta complementarità, poiché nessuno dei due può
essere assunto come unico paradigma. Di fatto, si va nell‘ottica di un‘u nificazione,
come del resto sostenuto da Thaler.
1
L‘obiettivo principale del presente lavoro di ricerca è quello di approfondire lo
studio sull‘euristica dell‘ over-reaction nei mercati finanziari, ovvero la tendenza a
reagire troppo o troppo poco rispetto ad un evento o ad una nuova informazione,
fuoriuscendo dagli schemi della logica Bayesiana. In particolare, si farà riferimento
agli articoli di De Bondt e Thaler nei quali si osserva che il legame tra
comportamento di mercato e psicologia individuale conduce a delle forti evidenze
concernenti il grado di prevedibilità degli andamenti del mercato, determinando
l‘assenza dell‘efficienza (specialmente nella forma debole).
Sulla falsa riga delle ricerche effettuate sul mercato azionario americano, si
procederà all‘analisi di quello italiano per verificare la presenza dei due effetti
collegati all‘ipotesi di reazione eccessiva: l‘ effetto direzionale e l‘effetto grandezza.
Il primo postula che alle variazioni estreme dei prezzi fanno seguito movimenti di
segno opposto. I titoli che in un dato periodo realizzano una performance molto
positiva (winner), in quello successivo, saranno tra coloro che otterranno risultati
1
Per i riferimenti bibliografici completi, si rimanda ai vari capitoli.
8
negativi. All‘opposto , le azioni che hanno ottenuto rendimenti anormalmente bassi
(loser), nei periodi futuri realizzeranno andamenti positivi.
Il secondo effetto implica che quanto maggiore è la variazione del prezzo tanto più
forte sarà la reazione che segue. Se, nel periodo precedente, un titolo ha ottenuto la
migliore performance, in quello successivo realizzerà il risultato peggiore e
viceversa.
La presente tesi si articola in cinque capitoli. Il complesso del lavoro, tuttavia,
può essere scomposto in tre parti: la prima ripercorre l’excursus teorico della finanza
classica; la seconda attiene alla finanza comportamentale; la terza esamina l‘euristica
dell’over-reaction e presenta uno studio effettuato sul mercato italiano.
Più in dettaglio, nel primo capitolo si esporrà la teoria dell‘utilità attesa, che
rappresenta uno degli impianti teorici fondamentali per l‘interpretazione delle
modalità con cui vengono affrontare le decisioni in condizioni di incertezza, ovvero
quelle in cui sia possibile (ed anche necessario per le decisioni) attribuire una
distribuzione di probabilità ai possibili risultati futuri prodotti da un‘azione.
Successivamente, si procederà ad una descrizione sia teorica che grafica degli
atteggiamenti nei confronti del rischio e ad una elencazione di quelle che sono le
principali misure dell‘avversione al rischio.
Nella parte finale di tale capitolo, si introdurrà la moderna teoria delle selezione del
portafoglio di Markowitz e quindi il criterio di media-varianza, la diversificazione, la
costruzione della frontiera efficiente con solo attività rischiose ed anche in presenza
di un titolo senza rischio nonché l‘individuazione del portafoglio ottimo con l‘ausilio
delle curve di indifferenza. L‘esposizione proseg ue per arrivare al cuore della teoria
del portafoglio, cioè al modello che esprime la relazione di equilibrio tra rendimento
e rischio: il C.A.P.M.
Nel secondo capitolo verranno richiamati gli elementi fondamentali della teoria
dei mercati efficienti: le sue ipotesi, le sue implicazioni e le sue derivazioni.
9
L‘esposizione di questi punti sarà seguita da un breve richiamo ai paradigmi che
cercano di spiegare l‘andamento dei prezzi nel mercato azionario: Dow Theory e
Random Walk Theory. Successivamente, verranno analizzate nello specifico le tre
forme di efficienza del mercato che emergono dalla classificazione proposta da
Fama.
Il terzo capitolo affronterà la teoria della finanza comportamentale, i cui studi
forniscono una prospettiva nuova e stimolante nel tentare di risolvere problemi che
trovano soluzioni insoddisfacenti o parziali nella teoria tradizionale. In particolare,
saranno descritti i principali comportamenti euristici riscontrati nel corso degli anni
da vari autori: ancoraggio, distorsione per conferma e senno di poi, over-confidence,
rappresentatività, fallacia del giocatore, disponibilità e riconoscimento, bilanci
mentali, il comportamento da gregge e over/under reaction.
Per completare il quadro della finanza comportamentale, si esporrà il contenuto
della Prospect Theory, formulata da Daniel Kahaneman e Amos Tversky, la quale
costituisce il contributo fondamentale alla teoria delle decisioni nei mercati finanziari
segnando il superamento della teoria dell‘utilità attesa.
Nel quarto capitolo si discuterà della validità della teoria dell‘efficienza del
mercato finanziario, partendo dal concetto di ―riflessività‖ proposto da George Soros.
Saranno esposte le motivazioni che hanno condotto alla formulazione di questo
nuovo concetto che sembra sfidare quello di equilibrio, inteso quale fonte di
ispirazione degli economisti classici al fine di definire leggi universalmente valide,
utili sia per spiegare che per prevedere i comportamenti economici.
In seguito ad una breve esposizione della logica Bayesiana, si analizzerà
l‘ipotesi di over-reaction mostrando le evidenze ed i risultati emergenti dalle ricerche
di De Bond e Thaler.
Nel quinto ed ultimo capitolo si presenterà un‘analisi empirica volta a
determinare in quale misura il fenomeno dell‘ over-reaction si manifesta nel mercato
10
azionario italiano. In particolare, partendo dalle quotazioni ufficiali dei titoli,
recuperate presso la Borsa italiana, si ripercorreranno gli step della ricerca esposta
nel quarto capitolo, al fine di giungere a delle conclusioni circa la coerenza tra i
risultati ottenuti e quelli ipotizzati dall‘euristica sotto esame.
Le conclusioni formulate in seguito alla verifica non sostengono l‘ipotesi di
―over-reaction‖ per quanto riguarda il mercato azionario italiano, po iché i rendimenti
dei titoli ―vincitori‖ e ―perdenti‖ non hanno mostrato modelli di inversione coerenti
con l‘effetto direzionale e grandezza. Pertanto la strategia che suggerisce di
acquistare i titoli del portafoglio perdente e di vendere i titoli del portafoglio
vincente, nel periodo successivo a quello di formazione, non avrebbe permesso la
realizzazione di abnormal profit nel lungo periodo. Per inciso, da un lato sembra che
l‘assenza di over-reaction sia fortemente legata alle PMI; dall‘altro, si è pal esata una
presenza di un effetto stagionale, non nel mese di gennaio ma in quelli fino marzo
inizio aprile negli CAR, dei portafogli perdenti.