5
Fëdor Dostoevskij è riconosciuto come uno dei più grandi romanzieri russi di ogni
epoca. Il suo pensiero abbraccia gli anni che vanno dal 1846, anno della
pubblicazione del suo primo romanzo: Povera gente, al 1880, anno in cui termina la
pubblicazione del suo ultimo capolavoro: I Fratelli Karamazov.
Dostoevskij è stato uno scrittore abbastanza prolifico, soprattutto considerando la
mole dei suoi romanzi, nonché le condizioni avverse in cui sono stati scritti.
La carriera letteraria del celebre romanziere russo si estende per diversi anni, quindi,
non può essere valutata come un unico blocco.
Generalmente i critici dello scrittore russo tendono a dividere in due fasi il suo
pensiero. La svolta sarebbe segnata dalla pubblicazione de Le memorie del
sottosuolo, a partire da questo breve, ma intenso scritto, si è soliti riconoscere l’inizio
della fase matura del pensiero dostoevskiano. Per le ragioni che saranno esplicitate, il
presente lavoro prende in considerazione particolarmente l’ultima opera di
Dostoevskij: I Fratelli Karamazov.
Per una comprensione il più possibile vicina alla concezione di Dostoevskij è
necessario prestare attenzione alla vita dello scrittore per diversi motivi: anzitutto la
vita di Dostoevskij sembra già calare in una lettura di un suo romanzo. Ovunque si
incontrano morte, incertezza, malattia, sofferenza, instabilità, dubbi; ma anche
speranza, fede e, soprattutto, Cristo.
Non è un caso che sia proprio un evento tragico della vita dello scrittore a segnare il
suo ritorno a Cristo. Precisamente ci si riferisce ai quattro anni di detenzione in
Siberia, dove Dostoevskij al contatto con il popolo, riabbraccia con passione la
persona di Cristo, per poi non lasciarla più. Questo è un evento centrale non solo per
ciò che concerne la biografia dell’autore, ma anche per l’economia che riveste nel
suo pensiero, indirizzato da quel momento in poi in una precisa direzione.
La figura di Dmitrij Karamazov sembra quasi rievocare, per certi aspetti, queste
vicende. In un dialogo tra Dmitrij e suo fratello Alesa, Dostoevskij pare voglia
tornare, attraverso le parole di Dmitrij, a quel momento del passato in cui ha trovato
la salvezza:
<< Fratello, in questi due mesi mi sono sentito dentro un uomo nuovo, un uomo
nuovo è resuscitato in me! Era chiuso in me, ma non sarebbe mai apparso senza quel
colpo di fulmine. E ho paura! Che cosa mi importa di rompere con il martello il
minerale nelle miniere per vent’anni? Questo non mi ha fatto paura, ma adesso temo
un’altra cosa: che quest’uomo resuscitato si allontani da me! Anche là, nelle miniere,
sottoterra, si può trovare vicino a sé, in un altro forzato e assassino, un cuore umano,
e capirsi con lui, perché anche là si può vivere ed amare, e soffrire! >>
1
.
1
F. Dostoevskij, I Fratelli Karamazov, Rusconi editore, Cuneo, 2004, cit., p. 628
6
Il riferimento alla biografia del romanziere è necessario non solo per un chiarimento
della personalità dello scrittore ma anche per ricostruire il contesto in cui si è
sviluppata la sua produzione. Quasi tutti i romanzi, fatta eccezione per l’ultimo, sono
stati scritti in una situazione a dir poco difficile. Per ogni romanzo sarebbe possibile
citare una lettera in cui Dostoevskij si lamenti per l’esito, per l’andamento della
stesura del piano, per i continui fastidi procurati dalle malattie cui era affetto, per i
debiti da estinguere e altri motivi.
Avendo a che fare con un artista, per quanto sui generis, queste circostanze sono
importanti. In effetti, Dostoevskij va valutato anche come artista.
In questo senso è indispensabile il contributo del critico russo Michail Bachtin.
Nella sua prospettiva Dostoevskij ha impresso una svolta alla narrativa mondiale
portando alla luce quella peculiarità artistica del romanzo che il critico definisce
“polifonia”.
Fare ricorso ad un’esplicitazione di questa nuova tecnica narrativa è allora
fondamentale. Ma la pur dettagliata analisi di Bachtin, in qualche modo, non è
sufficiente per una comprensione globale del genio dostoevskiano. Infatti, il critico
russo, pur rivendicando un approccio differente rispetto alle diverse interpretazioni
su Dostoevskij, finisce per cadere nell’errore opposto
2
.
Bachtin si limita a considerare Dostoevskij soltanto dal punto di vista artistico, non
solo fermandosi a questa prospettiva che già pone delle problematiche, ma
rivendicando l’impossibilità del superamento del suo punto di vista, pena la perdita
della necessità di avvicinarsi a Dostoevskij mantenendo intatta l’architettura
polifonica. Ciò mette in crisi altri tipi di approcci.
Si rende necessaria, quindi, una via di fuga dalla prospettiva bachtiniana, ma capace
di mantenere in piedi il suo dictat.
Il superamento di Bachtin si può compiere soltanto con un ulteriore scavo che prenda
in considerazione lo sviluppo del pensiero di Dostoevskij. Ma per fare questo
bisogna innanzitutto riconsegnare lo scrittore a quello che doveva essere il suo
2
Per una rassegna delle interpretazioni filosofiche su Dostoevskij, si rimanda al prezioso e puntuale
contributo di S. Givone: “Dostoevskij e la filosofia”, Laterza editore, Bari, 1984. Givone ha inoltre il
merito di riassumere efficacemente la prospettiva di Bachtin nei confronti di queste stesse
interpretazioni: << La storia delle interpretazioni filosofiche di Dostoevskij appare a Bachtin come
assolutamente sospetta. Sia che nell’opera di Dostoevskij gli interpreti abbiano visto lo sviluppo
organico e dialettico d’un sistema di pensiero sorretto da una concezione fondamentalmente
unitaria, sia che la negazione di questa unitarietà abbia suggerito l’ipotesi d’un Dostoevskij filosofo
essenzialmente sperimentale e cioè capace di produrre e di portare all’estremo nei diversi
personaggi possibilità speculative anche opposte, il significato dirompente dell’opera dostoevskiana
resta nascosto. Questo significato, infatti, non sta in una determinata visione del mondo, bensì nel
fatto che l’idea stessa di visione, di concezione comprensiva e conclusiva, risulta infine impossibile>>.
(S. Givone, op. cit., p. 47)
7
orizzonte culturale di riferimento. Questo deve anche condurre a considerare
Dostoevskij innanzitutto un uomo russo, con tutto ciò che comporta. Inoltre, per
perseguire tale scopo, è auspicabile tenere soprattutto in considerazione gli studiosi
russi che si sono avvicinati a Dostoevskij.
Ancora una volta la vita del romanziere suggerisce di porre attenzione al rapporto
molto stretto che ebbe con il filosofo russo Vladimir Solov’ev. Se questa è una
possibilità che propone diversi temi, il quadro può essere esteso anche al periodo che
precede quest’amicizia. Dostoevskij conosce Solvo’ev già nella piena maturità
artistica; il confronto fra i due intellettuali è un dialogo e non un improbabile
indottrinamento di uno verso l’altro. Tenendo conto di tutto ciò, si tenterà di
dimostrare come il contatto con il filosofo russo avrà degli effetti importanti
nell’ultimo romanzo di Dostoevskij.
Attraverso diverse testimonianze storiche, la maggior parte di esse dirette, è possibile
notare come almeno dalla seconda metà del 1800 Dostoevskij stesse studiando e
riflettendo sui temi proposti da letture di carattere patristico, ortodosso, cattolico e in
minor parte ateo.
Assumendo come centrale il rapporto con Solov’ev, che si fa stretto a partire dal
1877, diviene quasi obbligatorio concentrare l’attenzione sull’ultimo romanzo;
l’unica pubblicazione dostoevskiana di rilievo che segue il 1877.
Sarà pertanto necessario portare degli esempi il più possibile convincenti riguardo
alla ricostituzione di quel quadro culturale che, ovviamente, deve riflettersi anche
nell’ultima opera dello scrittore, che qui gode di un’attenzione privilegiata.
Tutto questo è d’obbligo per affrontare nuovamente un approccio più completo nei
confronti della struttura polifonica dei romanzi, capace di raccogliere la sfida
proposta da Bachtin ed eventualmente di superarla.
Sostanzialmente per Bachtin la polifonia è una soluzione artistica escogitata dal
genio russo indipendentemente da qualsiasi concezione che, al massimo, potrebbe
aver accompagnato la sua strutturazione. Ma Bachtin non si limita a questo; per il
critico russo qualsiasi approccio filosofico portato avanti nei confronti di Dostoevskij
tende a “monologizzare” la sua opera, contravvenendo così alle sue principali
caratteristiche artistiche.
Probabilmente Bachtin stesso era cosciente dell’impossibilità di limitare
l’interpretazione di Dostoevskij al piano artistico, ma intanto la sua provocazione, se
presa sul serio, esige una risposta.
E’ riconosciuto all’unanimità l’impulso che Dostoevskij ha dato a diverse tematiche,
oltre gli indiscutibili meriti artistici. Se le parole di Berdjaev in merito al romanziere
russo possono sembrare eccessive, tanto da definire Dostoevskij << il più grande
8
metafisico russo >>
3
, ciò nondimeno si auspica un approccio capace di rendere
ragione tanto della polifonia quanto delle tematiche affrontate dallo scrittore.
Una possibile risposta si ottiene proprio facendo riferimento a quell’orizzonte
culturale cui si accennava prima.
Per ammissione di Bachtin stesso la polifonia vive uno sviluppo temporale in
Dostoevskij, per cui si presenta ne I Fratelli Karamazov nella sua forma più
compiuta. Ciò va anche in direzione dell’opportunità di mettere in risalto il rapporto
tra Dostoevskij e Solov’ev.
Se è presente in Dostoevskij una concezione che non solo accompagnerebbe la
formazione della polifonia, ma anzi esigerebbe quest’ultima per compiersi, allora
Bachtin può essere “superato”.
Dato l’itinerario appena tracciato, il presente lavoro percorre binari in qualche modo
obbligati. Questo corrisponde all’impossibilità di prendere in considerazione l’intera
produzione dello scrittore; la stessa impossibilità si riscontra per un approccio a I
Fratelli Karamazov capace di affrontare in tutta la totalità e complessità un romanzo
così ricco.
Lo sforzo che qui si è tentato di portare avanti non può certo mirare a raggiungere un
risultato definitivo. Può, al massimo, essere considerato un piccolo passo su un
sentiero poco battuto tra le innumerevoli interpretazioni di Dostoevskij.
Capitolo I
La vita di Dostoevskij
3
N. Berdjaev, La concezione di Dostoevskij, Einaudi editore, Roma, 1945, cit. p. 15
9
1.1 Un’infanzia profetica?
Fëdor Dostoevskij è nato a Mosca il 30 ottobre 1821. La sua era una normale
famiglia russa in cui << l’osservanza religiosa, sia da parte di suo padre, uno
scontento medico militare, sia da parte di quella brava donna di sua madre, era cosa
ovvia >>
4
.
L’orizzonte religioso avvolge in sostanza tutte le esperienze del bambino, dalle visite
alle chiese fino ai pellegrinaggi estivi. E’ rilevante come già la tenera età mostri i
segni che caratterizzeranno la futura personalità dello scrittore russo. Infatti, proprio
in quest’ambiente fortemente religioso, si svela una particolarità spirituale che non
abbandonerà mai Fëdor: << può darsi che nei monasteri egli abbia veduto anche, a
messa, femmine invasate, esorcizzate, scene paurose e commoventi. Alle porte delle
chiese c’erano sempre ammassati i poveri. Il ragazzo si sentiva stranamente attratto
da quegli uomini cenciosi che si inchinavano profondamente e pregavano con tanto
impegno >>
5
.
Sempre in tenerissima età Fëdor avrebbe, per la prima volta, provato una forte
esperienza religiosa. Infatti all’età di otto anni, mentre assisteva alla messa << un
giovane accolito collocò un librone enorme sul leggio, nel centro della chiesa, lo aprì
e lesse: “C’era un uomo nella terra di Uz il cui nome era Giobbe; e quest’uomo era
perfetto e giusto ed era un uomo che aveva il timore di Dio e fuggiva il male …” Il
ragazzo si sentì pervaso da una strana estasi; una devozione mista a felicità […] Un
bambino pensoso. La fede di Giobbe lo commosse; di Giobbe anche la ribellione
dovette echeggiare nel suo cuore. Ad ogni modo, il piccolo, diventato uomo, non
poté mai leggere quella pagina senza sentire ciò che egli stesso definiva “una
esaltazione morbosa”. E per lui, il sipario su questo dramma di Dio e dell’uomo, non
doveva mai abbassarsi completamente >>
6
.
In effetti le sensazioni che Dostoevskij provò quella prima volta alla lettura del libro
di Giobbe non abbandonarono mai completamente lo scrittore, come ci conferma
questa lettera del 1875 indirizzata alla moglie:
<< sto leggendo i passi su Elia ed Enoch (sono bellissimi) […] Leggo il libro di
Giobbe che mi entusiasma morbosamente: quando smetto di leggere, giro un’ora per
4
A. Jarmolinsky, La vita e l’arte di Dostoevskij, Ugo Mursia e c. editore, Milano, 1959, p. 9
5
Ibidem, p. 10
6
Ibidem
10
la stanza, quasi piangendo […] Questo libro, Anja, è una cosa strana, è uno dei primi
ad avermi colpito in vita mia: allora ero ancora un ragazzino! >>
7
.
La famiglia Dostoevskij era abbastanza nutrita: << Michail fu il primogenito; un
anno dopo, il 30 ottobre 1821, nacque Fjodor; l’anno seguente venne Varvara e , nel
1825 l’ultimo del primo gruppo, Andrej. Passarono quattro anni e nacquero due
gemelle, una delle quali visse pochi giorni soltanto; ai ragazzi non fu risparmiata la
visione della piccola bara. A tempo debito la figliolanza aumentò di altre due unità.
Fjodor era inseparabile da Michail >>
8
.
Il piccolo Fëdor si dimostrò subito un ragazzo molto attivo, ma la sua fresca vivacità
fu costretta a scontrarsi con l’oscura figura del padre. Questo non è un aspetto
secondario, perché la figura del padre, in diverse sfaccettature, tornerà in alcuni tra i
romanzi più importanti dello scrittore; avendone peraltro un’importanza affatto
marginale. Non è da escludere, ma neanche da enfatizzare oltre misura, che il
rapporto padre figlio nei primi anni di Fëdor si rifletta nelle sue opere
metabolizzando quelli che possono essere stati dei veri e propri traumi infantili. Per
tutte queste ragioni, è opportuno spendere alcune parole riguardo quest’aspetto
dell’infanzia di Fëdor.
<< L’affetto dei figli per il padre era, forse, tinto di paura e anche di risentimento.
Non poche volte la madre e la balia dovettero far scudo ai piccoli contro le ire
incontrollabili del dottore. E, anche se egli non ricorreva al bastone, manteneva una
disciplina rigida e credeva nelle maniere dure e categoriche che, certamente, non
contribuivano a rischiarare l’atmosfera opprimente e puritana che creava nella sua
casa >>
9
.
Il signor Dostoevskij era un uomo molto attento alla formazione culturale dei suoi
figli. La sera era un’abitudine consolidata quella di leggere opere di storia russa e
passi del vangelo, prima delle preghiere della notte. Il padre di Fëdor teneva anche
all’immagine sociale della famiglia nonostante che << le entrate del dottore erano
scarse, poiché il suo stipendio non arrivava a seicento rubli l’anno e la professione
libera rendeva molto modestamente. Ciononostante egli si mise in mente di diventare
proprietario di un fondo di terreno nel suo paese >>
10
.
Ma lo sforzo economico fu superiore alle sue possibilità, quindi al dottore non restò
che fare debiti. Purtroppo il padre di Fëdor non seppe gestire la situazione di
7
F. M. Dostoevskij – A. G. Dostoevskaja, Corrispondenza 1866-1880, Il Melangolo editore, Genova,
1987, p. 261
8
A. Jarmolinsky, op. cit., p. 11
9
Ibidem, p. 13
10
Ibidem, p. 18
11
emergenza ed in poco tempo << si trovò senza una copeca, esperienza questa che,
poi, doveva diventare una dolorosa consuetudine per il figlio Fjodor >>
11
.
In ogni caso la nuova proprietà di Darovoje che tanto era costata non solo in termini
di denaro, ma anche di affanni e preoccupazioni, divenne meta fissa delle vacanze
estive. E’ proprio durante queste che furono delle felici estati per i piccoli
Dostoevskij, si vennero ormai consolidando le caratteristiche caratteriali del futuro
scrittore.
<< Fjodor andava fra i contadini al lavoro e faceva commissioni per essi che, in
compenso, permettevano al padroncino di tenere la mano sull’aratro e di tenere le
redini. Gli elementi della vita rurale, le zolle che si sgretolavano sotto il vomere, la
figura tozza del contadino emergente dal campo, la paglia intrecciata che faceva da
tetto alle capanne grigie, devono aver trovato albergo nella mente del ragazzo. Ma le
impressioni che rimasero in lui per tutta la vita, riguardavano più la gente che il
paesaggio >>
12
.
Non è un’inutile esagerazione sottolineare l’importanza che questi episodi avranno
nel futuro modo di pensare di Dostoevskij. Infatti non è un caso che a distanza di
tanti anni, lo scrittore tornò a riflettere proprio su un evento che accadde in una di
quelle stesse estati in vacanza a Darovoje. Siamo nel 1876 ed una considerazione sul
popolo russo trasporta Dostoevskij a citare un evento del passato per lui molto
significativo:
<<niente nella vita amavo quanto il bosco con i suoi funghi e le bacche selvatiche,
con i suoi insetti e uccellini, i suoi ricci e scoiattoli e quell’umido profumo, tanto
caro, di foglie marcenti. Anche adesso, mentre scrivo, mi par di sentire l’odore del
nostro boschetto di betulle; sono impressioni che restano per tutta la vita. Ad un
tratto, in mezzo alla profonda calma sentii chiaro e distinto il grido: “Viene il lupo”.
Cacciai un urlo, e fuori di me dalla paura, gridando con tutta la mia forza corsi sul
prato, direttamente verso il muzìk che arava. Era questi il nostro muzìk Marej. […]
Egli fermò la cavallina, udendo il mio grido, e quando io, di tutta corsa, mi afferrai
con una mano al suo aratro, e con l’altra ad una manica, notò il mio spavento >>
13
.
Segue un breve e tenero dialogo in cui il contadino cerca di calmare il ragazzino
spaventato. Frenato lo spavento, il contadino accompagna con il suo sguardo
protettore il ritorno del ragazzo verso casa. Questo ricordo tornò a far visita
all’animo sconvolto dello scrittore deportato in Siberia per delitti politici (evento su
cui bisognerà tornare in seguito); a testimonianza del grande significato che rivestì
per Dostoevskij:
11
Ibidem, p. 19
12
Ibidem, p. 21
13
Fedor Dostoevskij, Diario di uno scrittore, Bompiani editore, Varese, 2010, p. 275
12
<< improvvisamente, vent’anni dopo, in Siberia, mi ricordai del nostro incontro con
tanta chiarezza. Vuol dire che esso era rimasto nel mio animo, così da sé, senza
volontà alcuna da parte mia, e il ricordo era tornato quando occorreva; mi ricordai
del dolce sorriso materno del povero muzìk servo della gleba, dei suoi segni di croce,
dei suoi cenni del capo: “Ma guarda come si è spaventato il ragazzino!”. E
particolarmente di quel grosso dito sporco di terra, con il quale dolcemente e con
timida tenerezza egli aveva sfiorato le mie labbra tremanti. […] Chi lo obbligava?
Egli era un nostro servo, io ero il suo signorino; nessuno avrebbe mai saputo come
egli mi aveva accarezzato e non l’avrebbe ricompensato per questo. Amava forse
tanto i bambini? Esiste gente così. L’incontro era avvenuto in un campo deserto, e
forse soltanto Dio aveva visto, di lassù, di quale sentimento profondo, illuminato e
umano e di quale delicata, quasi femminile tenerezza, poteva essere colmo il cuore di
un muzìk russo rozzo e bestialmente ignorante, il quale allora non aspettava e non
prevedeva neppure la propria libertà >>
14
.
Sarà necessario tornare più avanti sull’importanza che il popolo russo ebbe per
Dostoevskij, soprattutto in relazione all’ortodossia.
1.2 I primi studi
<< Ormai i due primi figli erano diventati giovanetti e bisognava cominciare a
pensare al loro avvenire. Naturalmente nessuno si preoccupò di studiare le loro
inclinazioni. Secondo la logica, il medico militare doveva decidersi per una
professione nell’ambito dell’esercito. Risolse di iscriverli alla Scuola Militare in
Ingegneria a Pietroburgo, un istituto gravoso e molto scelto >>
15
.
Oltre a cominciare degli studi che non tenevano conto delle loro rispettive
inclinazioni, i due fratelli dovettero iniziare l’avventura scolastica con il lutto nel
cuore:
<<al tempo in cui ciò fu deciso, la madre era già avanti sulla strada della
consunzione. La tisi si era sviluppata rapidamente. […] Michail e Fëdor si dovettero
separare da lei più presto di quanto pensassero. Morì prima della loro partenza >>
16
.
Nel caso di Fëdor il lutto fu, in un certo senso, doppio:
<<Il 29 gennaio del 1837, in seguito alla ferita ricevuta a duello, moriva Puskin. La
notizia arrivò in casa Dostoevskij un mese dopo, al momento dei funerali della
madre. Fjodor andava ripetendo che, se non avesse già portato il lutto per sua madre,
avrebbe chiesto al padre il permesso di vestirsi di nero per Puskin >>
17
.
14
Ibidem, p. 277
15
A. Jarmolinsky, op. cit., p. 25,26
16
Ibidem, p. 26
17
Ibidem
13
L’avventura a Pietroburgo si rivelò subito difficile. I due fratelli dovettero subire i
favoritismi riservati agli scolari benestanti; le loro rispettive carriere furono così
separate. Fëdor perdette il suo solo amico. In queste occasioni si rende già manifesta
la grande sensibilità del futuro romanziere.
<< Forse, per un giovane sensibile, la disciplina e lo studio forzato al massimo, erano
più sopportabili della crudeltà cosciente dei suoi colleghi >>
18
, ma come se non
bastasse << finito il primo anno, seppe che non era stato promosso, malgrado la sua
convinzione di aver superato brillantemente gli esami. Attribuì questa disgrazia a
certi professori che, secondo lui, gli rimproveravano la sua rudezza. Se ne addolorò
tanto da ammalarsi e fu costretto a letto per diversi giorni >>
19
.
Il bilancio di questa prima esperienza non può che essere negativo: <<alla scuola di
Ingegneria, Fjodor visse un tumulto di pensieri ed emozioni che, invece di fargli
assaporare le estasi dell’adolescenza, gli provocarono le disperazioni di questa
età >>
20
.
Quelle inclinazioni così forti nel giovane Dostoevskij non potevano essere ancora a
lungo domate. I libri rappresentano per lui un conforto cui si dedicava in ogni
momento disponibile. Inizia così lentamente a chiarirsi alla sua mente quel turbine di
pensieri:
<< Riesco abbastanza bene nello studio del “significato dell’uomo e della vita”;
posso studiare i caratteri mediante la lettura degli scrittori in compagnia dei quali
trascorro liberamente e gioiosamente la parte migliore della mia vita; non ti dirò più
nulla su di me. Mi sento sicuro di me. L’uomo è un mistero. Un mistero che bisogna
risolvere, e se trascorrerai tutta la vita cercando di risolverlo, non dire che hai perso
tempo; io studio questo mistero perché voglio essere un uomo >>
21
.
Questo è ciò che Fëdor confessa a suo fratello Michail in una lettera datata agosto
1839.
La tanto agognata indipendenza si rivelò dura anche sotto un altro aspetto,
sicuramente più materiale rispetto ai problemi di ogni adolescente; ma che lo
accompagnerà, purtroppo, per tutta la vita:
<< fin dall’inizio della sua permanenza a scuola, sentì il morso della mancanza di
denaro, quella mortificazione, che poi, lo avrebbe avvilito per tutta l’esistenza >>
22
.
Fëdor mostrò sin da subito sia l’incapacità pratica a gestire il denaro che la
sventatezza con cui accumulava debiti cui non era capace di far fronte:
18
Ibidem, p. 31
19
Ibidem, p. 32
20
Ibidem, p. 34
21
F. Dostoevskij, Lettere sulla creatività, Feltrinelli editore, Milano, 2005, p. 26
22
A. Jarmolinsky, op. cit., p. 38,39
14
<< le somme modestissime che riceveva non era capace di conservarsele. Pareva che
il danaro gli fuggisse per un buco della tasca e quindi, siccome rimaneva spesso
senza un centesimo, prese il vizio di fare debiti. La situazione indecorosa doveva
ferire di molto il suo orgoglio >>
23
.
Mentre si susseguivano le lettere di Fëdor al padre per avere più soldi, il ragazzo non
riusciva a comprendere quale fosse la situazione di suo padre. Ridotto ormai in
povertà, vedovo, il dottore affogava i suoi tormenti nell’alcool. Conduceva una vita
dissoluta che verosimilmente accentuò le sue furie colleriche fino a quando <<venne
ucciso dai suoi servi di Cermasna. L’identità degli assassini era nota al contado
locale e persino al prete. Eppure non vi fu processo. Si dice che i parenti di Mosca,
arrivati sul posto, fecero presto a sapere la verità, ma riuscirono a convincere la
polizia ad attribuire la morte ad un colpo apoplettico. C’erano molti uomini coinvolti,
e portarli dinanzi al tribunale significava spedirli in Siberia. I parenti conclusero che
per gli eredi quel risultato avrebbe rappresentato la perdita di molti lavoratori e,
d’altra parte, una macchia sul blasone di famiglia. Lo scandalo venne soffocato >>
24
.
La tragedia fu sicuramente un duro colpo per Fëdor, che in quel momento di
difficoltà non soltanto economiche, probabilmente covava un risentimento per il
padre, a suo giudizio incapace di risolvere i suoi problemi finanziari a Pietroburgo.
La morte del padre giunta in questa situazione, potrebbe aver lasciato per sempre un
senso di colpa che qui è possibile solo accennare e che spetta ad altre discipline
scandagliare ulteriormente. Si può però notare come il tema del rapporto padre figlio,
talora anche in modo terribilmente drammatico, sia un tema ricorrente delle sue
opere.
In una situazione così angosciosa veniva sempre più chiaro nell’intimità del futuro
romanziere che la sua strada non era l’ingegneria militare. I cinque anni di studi si
chiusero con un ironico episodio:
<<tutte quelle nozioni acquisite con tanto sforzo, svanirono come l’acqua scorre via
dalla schiena di un’anitra. Sembrerebbe che l’effetto principale raggiunto da quegli
studi, fu di aver fomentato in lui il disprezzo per le scienze. La sua capacità come
ingegnere può essere valutata dal fatto che egli, agli esami finali, pare che abbia
presentato il progetto di una fortezza dimenticando di metterci le entrate. Gli amici
che raccontavano la storia, dicevano che il commento scritto dell’imperatore: “chi è
quel cretino che ha fatto questo?” abbia irritato Dostoevskij al punto di farlo decidere
a lasciare il servizio >>
25
.
23
Ibidem, p.39
24
Ibidem, p. 41
25
Ibidem, p. 44
15
Ormai era chiaro che la sua strada era un’altra. Ma quella che per ora era solo una
sua convinzione interiore, trovò presto un’eccezionale conferma.
1.3 La fama letteraria
Mentre, come al solito, lo scrittore era alle prese con i debiti e la sua salute iniziava a
dare problemi, Fëdor è angosciato per il suo futuro.
<<Egli non aveva nessuna intenzione di continuare la carriera alla quale era stato
preparato. La strada della sua vita doveva essere la letteratura, non l’ingegneria. E
invece, eccolo incatenato al servizio >>
26
.
Eppure mentre la vita scorreva sempre uguale, furono proprio le circostanze a
portarlo ad una nuova esistenza, che fino a quel momento gli sembrava impossibile.
<< Pagava i creditori, faceva bisboccia e correva dietro alla fortuna e alle carte. E,
dopo un giorno di gran vita, eccolo di nuovo a pane e latte preso a credito o con
danaro imprestato da amici e da usurai. Egli non era tanto vittima della mancanza di
denaro, quanto della incapacità a spenderlo con giudizio. Fu in questi tempi, forse,
che cominciò a conoscere così intimamente le sordide taverne della città e notò,
come non aveva mai notato, i dettagli naturali degli ambienti, come i suoni,
l’evaporazione di grasso bruciato, i tovaglioli unti, l’aria balbettante della Lucia, le
grida dei camerieri per chiamarsi l’un l’altro, il cozzare delle palle del biliardo e
l’usignolo senza canto che beccava il fondo della sua gabbia >>
27
.
L’istinto dello scrittore scrutatore degli animi stava venendo a galla. Un prolifico
laboratorio fu la sala d’aspetto dello studio di un dottore, suo coinquilino.
<< A volte qualcuno dei suoi scarsissimi rubli, finiva anche nella tasca di qualche
cliente del dottore coabitante, i quali erano, per lo più, povera gente. Dostoevskij si
sentiva attratto da questi infelici come quando, da bambino, abitava nell’ospedale. Si
aggirava per la sala d’aspetto, offriva una tazza di tè e li studiava. Entrava così nella
vita di afflizioni e abbruttimento dei miserabili e dei sofferenti. Il materiale per la sua
penna era quello >>
28
.
Dostoevskij è ormai pronto per lasciare l’impiego in ufficio e soddisfare la sua
passione; aveva la sensazione che la vita gli stesse sfuggendo di mano ed era ora di
recuperare il tempo perduto. Non gli importava nulla se era privo di un
sostentamento fisso e pieno di debiti. Così << quando all’età di ventitré anni le
dimissioni fecero di lui un uomo libero, le sue condizioni erano disastrose. Iniziava la
vita sotto i peggiori auspici >>
29
.
26
Ibidem, p. 47
27
Ibidem
28
Ibidem, p. 48
29
Ibidem, p. 50
16
Effettivamente Fëdor aveva già iniziato ad appuntare le sue impressioni, fino a
tentare una vera e propria elaborazione compiuta; un romanzo.
<< Quel che malgrado tutte le difficoltà non gli faceva perdere il coraggio, era una
grande speranza. Nello stesso tempo in cui esponeva a Karepin (il suo tutore) la sua
situazione disastrosa, scriveva a Michail che stava ultimando un romanzo. Era
qualcosa di definito su cui avrebbe potuto costruire >>
30
.
La strada che portò al successo il debutto letterario di Dostoevskij fu davvero
singolare.
<< L’entrata di Dostoevskij sul palcoscenico letterario fu un’autentica scena da
melodramma, una di quelle scene che abbondano nella sua arte e nella sua vita. Il
manoscritto di Povera Gente non finì sulla scrivania dell’editore di Note della Patria
(un giornale russo); trovò, invece, la sua strada, il come non è ben chiaro, ma forse
per intercessione di Grigorovic, per arrivare nelle mani di un giovane
prodigiosamente attivo che, a quel tempo, non era che un povero scrittorello ma
aveva già un suo sviluppatissimo senso degli affari: Aleksej Nekrasov >>
31
.
Nekrasov promise a Dostoevskij che avrebbe sottoposto all’attenzione di Belinskij,
critico letterario a quel tempo attento ai giovani scrittori promettenti, il manoscritto
di Povera gente. E così << Belinskij al principio si mostrò scettico circa il nuovo
Gogol che l’editore raccomandava alla sua attenzione e, prima che toccasse il
manoscritto passarono due o tre giorni. Ma poi anche lui rimase sveglio tutta la notte
per finirlo. Al mattino pretese di vedere l’autore. E così Dostoevskij fu portato alla
presenza del grande critico. […] Quel che in sostanza Dostoevskij udì, fu che aveva
scritto un grande libro, un libro che raggiungeva profondità oltre le possibilità
dell’autore stesso >>
32
.
I suoi sogni sembravano avverarsi, ciò che da sempre aveva presagito dentro di sé
essere il suo posto nel mondo, finalmente sembrava diventar chiaro a tutti.
<<Dostoevskij uscì inebriato da quella intervista. […] Stava sulla soglia di un nuovo
mondo; tutto il suo essere fluttuava nella esaltazione morbosa. Non era meritevole di
quella gloria? No; ma se ne sarebbe reso degno. Anche lui diventava parte del
cenacolo di Belinskij. Sarebbe stato fedele al maestro. Fu quello il più straordinario
momento che gli fosse toccato, e invero, che dovesse mai toccargli, in vita sua >>
33
.
La fama permise al nuovo talento di Pietroburgo di inserirsi pienamente nel circolo
di Belinskij, di fare la conoscenza di Turgenev, che a quel tempo lo stimava
moltissimo, oltre che dei salotti aristocratici. Dostoevskij però non si ferma; la sua
30
Ibidem, p. 51
31
Ibidem, p. 52
32
Ibidem, p. 53
33
Ibidem, p. 54
17
mente è un’inarrestabile fucina d’idee. In poco tempo pubblica Romanzo in nove
lettere e soprattutto Il sosia lavoro che gli portò via tante energie e sul quale contava
molto per un ulteriore successo. Il lavoro trova effettivamente una prima entusiasta
accettazione, << eppure c’è qualcosa che non va. I suoi amici che avevano lodato
smodatamente Il sosia, dopo una seconda lettura lo trovano manchevole. Anche gran
parte del pubblico lo respinge perché prolisso e, quel che più irrita l’autore, scialbo.
Il pensiero che possa aver disilluso l’aspettativa del suo pubblico e rovinato quel che
poteva diventare un capolavoro, diventa una spina nel suo cuore. La disgrazia lo fa
letteralmente ammalare >>
34
.
Quanto Dostoevskij tenesse all’idea che aveva cercato di esprimere ne Il sosia, è lui
stesso a confermarlo. Infatti nel fascicolo del mese di novembre del 1877, all’interno
del Diario di uno scrittore, dopo tanti anni, con queste parole ripensa a quello
sfortunato lavoro:
<< Questo racconto senz’altro non è riuscito, ma la sua idea era abbastanza brillante
e nulla di più serio di questa idea ho introdotto mai più nella letteratura. Ma come
forma esso non mi riuscì. In seguito lo corressi moltissimo, quindici anni dopo, per
l’edizione delle mie opere complete, ma anche allora mi convinsi che non era una
cosa riuscita; adesso se riprendessi la stessa idea e la riesponessi di nuovo, le darei
tutt’altra forma; ma nel 1846 questa forma non la trovai e non dominai la mia
materia >>
35
.
Questa delusione lo fa sbalzare dall’euforia all’umore nero, fino all’apatia. Continua
ad accumulare debiti e progetti che vanno a monte. Inoltre l’incapacità di rapportarsi
agli altri, lo fece entrare in collisione con il circolo di Belinskij, quindi anche con
Nekrasov e Turgenev. Quelli che fino a poco prima lo avevano lusingato e colmato
di complimenti, non avevano compreso che dietro gli strani atteggiamenti di
Dostoevskij vi erano soltanto timidezza e disagio. Particolarmente dolorosa fu la
separazione da Belinskij, fantasma del quale non riuscì mai a liberarsi
completamente.
1.4 Lo spettro della malattia
Ma come spesso accadde nella sua vita, quelli che sembravano momenti difficili,
esaltavano l’ottimismo di Dostoevskij, che effettivamente godette di tranquillità
all’uscita dal circolo. La strana felicità durò poco. I debiti lo pressavano e la salute
peggiorava, anche perché Fëdor rifiutava le cure dei medici.
Nell’estate del 1846 si recò in visita dal fratello Michail che in quel momento si
trovava lontano da Pietroburgo, precisamente a Reval. Prima di ripartire fu costretto
34
Ibidem, p. 57
35
F. Dostoevskij, Diario cit., p. 1144
18
a farsi visitare da un dottore. L’esito non fu clemente: <<nel paziente erano
facilmente visibili gli esiti delle malattie avute da bambino: scrofola e rachitismo. Il
dottore […] sospettò che il paziente fosse affetto, inoltre, da un’oscura infermità
nervosa. […] Lo stesso carattere di Dostoevskij rivelava il suo male. Era irascibile e
sospettoso, portato a magnificare le inezie e a deformare i fatti comuni >>
36
.
Lo scrittore presto dovette venire a conoscenza della gravità del suo male; l’epilessia.
Il periodo che va dal 1846 al 1849 vide Dostoevskij vittima di diversi attacchi
epilettici che lo lasciavano per diversi giorni costretto a letto e privo di forze.
Sulla genesi di questa malattia molti ricorrono all’ipotesi secondo la quale
Dostoevskij si ammalò in conseguenza di un trauma. Potrebbe questo essere stato la
morte del padre? Non è dato saperlo con certezza. Fatto è, però, che personaggi
importanti delle sue opere sono affetti da questo stesso male, che quindi trova diverse
descrizioni nei suoi romanzi e potrebbe rivestire anche un significato ulteriore. Basti
pensare a come il protagonista de L’Idiota, il principe Myskin, riesca a prevedere il
futuro negli istanti che precedono un attacco.
In questa sede preme rilevare come la malattia di cui lo scrittore ara affetto
condizionò tutta la sua carriera. Numerosissime lettere ne danno certa testimonianza.
1.5 Il circolo di Petrasevskij
Gli incontri al circolo letterario di Belinskij furono sostituiti con quello che divenne
l’immancabile venerdì sera al circolo di Petrasevskij. Erano, questi ultimi, incontri di
carattere prevalentemente politico, in cui andava per la maggiore il socialismo e il
fourieriesmo, che non esaltò mai Dostoevskij; << vero è che egli sentiva un grande
bisogno di cameratismo, di vita comune, di compagnia >>
37
.
Infatti Fëdor qui poteva esprimersi liberamente.
Le cose iniziarono, però, a cambiare quando s’incominciò a pensare di dare
un’organizzazione strutturale al circolo, cui evidentemente corrispondesse anche una
maggiore efficacia pratica. Una parte dei partecipanti, tra cui anche Dostoevskij,
fondò un proprio salotto letterario. I più intraprendenti, tra questi tali Filippov e
Spensev riuscirono a procurare, per il nuovo salotto letterario, una stamperia
clandestina, alla quale partecipò in misura minore anche Dostoevskij. Da qui
iniziarono a diffondere degli scritti proibiti. Purtroppo per lui questa discutibile
iniziativa, che ne faceva un fuorilegge, l’avrebbe pagata a caro prezzo.
Intanto Dostoevskij non aveva ancora maturato idee così chiare, infatti
contemporaneamente frequentava un altro ambiente d’idee opposte; che però nello
36
A. Jarmolinsky, op. cit., p. 68
37
Ibidem, p. 78