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INTRODUZIONE
Negli anni sessanta l‟Italia vive uno dei periodi di maggior
mutamento dal momento della nascita della Repubblica. Il
miracolo economico a partire dal 1958 ha cambiato
profondamente il volto del paese sotto ogni profilo economico,
sociale, culturale ed è inevitabile che queste accelerate
trasformazioni si riflettano anche nel campo della politica. Per
la prima volta dal 1948 l‟asse governativo si sposta
decisamente verso l‟ala sinistra del sistema, con la storica
intesa che porta dopo un lungo decennio di preparazione alla
formazione dei primi governi di centro – sinistra. Proprio la
durata della fase che precede la svolta testimonia quante e quali
resistenze provochi l‟alleanza tra la Dc e il Psi sulla base di una
piattaforma di riforme economiche e sociali ritenute troppo
avanzate. Paradossalmente, il periodo maggiormente
riformatore coincide con il governo Fanfani al quale il Psi offre
solo l‟appoggio esterno. Quando infatti si forma il primo
esecutivo organico di centrosinistra la conflittualità tra
socialisti e democristiani si fa esplosiva. Proprio sulle difficoltà
di arrivare a un accordo tra Moro e Nenni si innesca il tentativo
di far fallire l‟alleanza di governo, sgradita alla destra interna
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ed esterna alla Dc. Farla fallire con ogni mezzo, anche con
quelli incostituzionali prospettati dai generali del Sifar. Il “caso
Sifar” non è solo una intricata vicenda politica, è uno scoop
giornalistico straordinario, il primo nella storia del giornalismo
italiano. E ovviamente l‟eco che ha suscitato questa inchiesta
nell‟opinione pubblica italiana ha pochi precedenti dello stesso
livello. Eppure non si diede molto credito a Scalfari e a
Jannuzzi, autori della “scoperta”, che furono anzi attaccati da
più parti: politici, industriali, alti ufficiali e soprattutto dagli
altri organi di stampa.
È proprio questo l‟obiettivo che questa tesi si prefigge:
analizzare come la stampa reagì a uno scandalo di così grossa
portata. Per fare questo bisogna, però, ovviamente, prima
capire come si arrivò a questo episodio, e perciò analizzare
tutte le vicende storiche che portarono alla nascita del centro –
sinistra, e alla sua crisi che successivamente spingerà Segni e
De Lorenzo, secondo quanto riportato dall‟”Espresso” e
confermato dalle varie commissioni istituite nel tempo, a stilare
e organizzare questo famigerato “Piano Solo”.
Se oggi siamo a conoscenza di quanto avvenuto nel luglio del
1964, sicuramente gran parte del merito è stato di due
giornalisti, Eugenio Scalfari e Lino Jannuzzi, che più volte
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sono stati criticati, e che ancora oggi portano sulle spalle il
“peso” di questo scoop, nel bene e nel male. Scoop che li ha
portati a essere conosciuti come due dei più rinomati giornalisti
nel panorama mediale italiano, e che ancora oggi causa
polemiche di ogni tipo, anche in seguito a dichiarazioni degli
stessi giornalisti che lasciano intendere che non tutto ciò che è
stato riportato nel ‟67 fosse vero.
Probabilmente quella del “caso Sifar” rimarrà una vicenda
oscura e non pienamente conoscibile; ma forse proprio per
questo suo alone di mistero, suscita un immenso interesse in
chiunque decida di approfondire la propria conoscenza
sull‟argomento.
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1. DAL CENTRISMO AL CENTRO –
SINISTRA
1.1 Da Fanfani a Tambroni: il centrismo oscilla tra
sinistra e destra
“Nell‟estate del 1964, per la prima e certo non ultima volta
nella storia della Repubblica, vi fu un tentativo di sovvertire
l‟ordinamento democratico. Il Presidente della Repubblica
Antonio Segni aveva incaricato Moro di formare il nuovo
governo, ma appariva sempre più impaziente man mano che i
negoziati tra i partiti si prolungavano. Era nota a tutti la
contrarietà di Segni alla formula di centro-sinistra e la sua
avversione per i socialisti. Il 15 luglio 1964, durante le
consultazioni per il nuovo governo, Segni prese l‟iniziativa
davvero anomala di convocare al Quirinale il comandante dei
carabinieri, generale Giovanni De Lorenzo. Questo
avvenimento creò un notevole subbuglio, soprattutto in
considerazione del fatto che il giorno prima si erano
temporaneamente interrotti i negoziati tra i quattro partiti di
centro-sinistra. Cosa avevano in mente il presidente e il
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generale? La risposta affiorò oltre cinque anni dopo, e solo in
parte, quando nel marzo 1969 il governo fu costretto da una
veemente campagna di stampa a nominare una commissione
parlamentare d‟inchiesta sulle attività del generale De
Lorenzo.”
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Ma come si arrivò a tutto questo? Per rispondere a
questo interrogativo si deve ripercorrere la nascita tormentata
del centrosinistra, incubato per quasi dieci anni tra resistenze
così forti che una volta piegate, riemergono dopo meno di un
anno dal varo del nuovo governo con tanta virulenza da
minacciare addirittura la solidità dell‟edificio democratico
italiano.
Per capire meglio ciò che accadde in quella lunga estate del
1964, bisogna però prima analizzare il cambiamento che era
avvenuto in Italia tra la fine della terza e l‟inizio della quarta
legislatura. Di centrosinistra si era cominciato a parlare fin
dalla II Legislatura, quando il centrismo era apparso debole sia
da un punto di vista numerico in Parlamento sia da un punto di
vista più propriamente politico, dal momento che l‟Italia aveva
imboccato con sempre maggiore accelerazione la strada dello
sviluppo. Il paese cambiava rapidamente pelle sotto il profilo
1
P. Ginsborg, Storia d‟Italia 1943-1996 Famiglia, società, Stato; Giulio
Einaudi , Torino, 1998, p. 331
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economico, culturale e sociale; era dunque necessario che
cambiasse pelle anche da un punto di vista politico.
Il problema del cambiamento scuoteva tutti i partiti di governo
e di opposizione: cambiare significava modificare gli equilibri
di quadripartito e trovare nuovi interlocutori. Dove? A destra o
a sinistra? Questa era il dilemma esplosivo nel partito di
maggioranza relativa dalle tante anime, di destra, di sinistra, di
centro. E qui fin dall‟inizio si sviluppavano le maggiori
resistenze. La Dc diventava dunque un vero e proprio campo
di battaglia con feriti e morti, tra i quali persino il potentissimo
segretario democristiano Amintore Fanfani che della politica di
“apertura a sinistra” era stato il fondatore. Nel 1959 si arrivava
alla resa dei conti: Fanfani, in quel momento anche presidente
del Consiglio, nel giro di pochi mesi lasciava entrambe le
cariche.
A questo punto il partito democristiano si trovava nella difficile
situazione di dover individuare un degno sostituto alla guida
del partito al più presto; la scelta ricadeva sull‟onorevole Aldo
Moro, un esponente di spicco della Dc, ma privo di una sua
corrente di riferimento. L‟accordo sul suo nome scattava
soprattutto per la convinzione condivisa che rappresentasse un
segretario di passaggio in attesa di un congresso che stabilisse
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chi doveva essere il nuovo segretario del partito. E questo
congresso si svolgeva qualche mese dopo, precisamente il 23
ottobre dello stesso anno, a Firenze.
Si arrivava alle assise con un gran numero di divisioni interne
al partito, assai più profonde di quelle del passato.
“Riassumendo e schematizzando ecco le diverse posizioni al
congresso di Firenze: la sinistra propone la politica più
coerente, ma non attuale; Moro cerca una difficile saldatura tra
la necessità presente del centro-destra e la necessità futura del
centro-sinistra; i dorotei collocano in un domani storico il
problema del Psi e difendono il governo Segni come l‟unica
soluzione politica possibile, che non mette in discussione
l‟egemonia democristiana; Fanfani prospetta l‟apertura al Psi e
il ricorso ad elezioni straordinarie, e critica l‟apertura a destra;
la destra propone una politica di centro-destra che la grande
maggioranza della Dc rifiuta praticandola di fatto.”
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Malgrado i dorotei fossero assai più inclini ad ascoltare i
consigli delle gerarchie ecclesiastiche nei confronti delle quali
Fanfani si presentava più autonomo, rifiutavano l‟alternativa
dell‟apertura alla destra. Come osserva Giovagnoli, “in un
certo senso, anzi, la loro nascita contribuì a impedire che
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G. Tamburrano, Storia e cronaca del centro sinistra, Feltrinelli, Milano,
1971, p. 17
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l‟intransigenza fanfaniana provocasse la formazione di un
blocco di questo tipo. Una spaccatura del mondo cattolico e
della Dc si sarebbe infatti risolta in una operazione di destra,
l‟unica operazione di destra veramente vincente che si potesse
realizzare allora in Italia. Fin dall‟inizio, i dorotei ribadirono
una chiara pregiudiziale antifascista e si distinsero dalle
posizioni più a destra nel partito, come quelle di Scelba,
Andreotti, Scalfaro. Essi inoltre non escludevano la prospettiva
di allargare l‟area democratica includendo i socialisti, ma era
per loro essenziale procedere in modo unitario.”
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Tuttavia la diffidenza verso i socialisti restava in relazione
soprattutto alla cautela con la quale i dorotei guardavano alla
distensione internazionale che, a loro giudizio, si prestava alla
strumentalizzazione dei comunisti. “Anche su questo terreno
Moro si distinse all‟interno del blocco doroteo e in
collegamento con gli orientamenti della S.Sede mostrò
particolare sensibilità per le istanze neutraliste della tradizione
socialista, per le possibilità aperte dagli sviluppi della
distensione, per le iniziative volte a contenere lo sviluppo degli
armamenti.”
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3
A. Giovagnoli, Il partito italiano: la democrazia cristiana dal 1942 al
1994, Laterza, Bari, 1996, p. 102
4
A. Giovagnoli, Il partito italiano, cit., p. 103
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Risultavano minoritarie invece le posizioni espresse da
Granelli in nome della corrente “Base”, ”secondo la quale il
partito doveva mantenere una specifica autonomia dal governo
e svolgere nei confronti di questo una forte azione di indirizzo
programmatico”, e in minoranza si ritrovavano Scelba e
Andreotti, battuti anche sulla loro richiesta di uno scioglimento
delle correnti per ritornare alla fase degasperiana. In effetti
“con la caduta di Fanfani tramontò il partito quale centro
dell‟organizzazione politica della società civile e strumento per
condurre in profondità la trasformazione del paese. Prevalse
invece la posizione dei dorotei, che sottolinearono il ruolo del
partito come strumento permanente di tramite fra gli elettori e
il Parlamento, come disse Colombo. Secondo quest‟ottica si
giudicava che Fanfani fosse andato troppo oltre, trasformando
la mediazione tra elettori e deputati in una sorta di controllo del
partito sugli uni e sugli altri.”
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La percezione di un conflitto interno aspro aveva
probabilmente consigliato un cambiamento nel sistema del
voto finale delle assise, cioè un maggioritario, grazie al quale la
corrente dei dorotei si guadagnava la maggioranza assoluta.
Moro si schierava con loro e veniva cosi confermato segretario,
5
Ivi, p. 105
15
nonostante forse le sue idee fossero più vicine a quelle dei
“fanfaniani”. Decisiva risultava essere la sua scelta, poiché egli
poteva contare su una ventina di voti personali, quanto bastava
a fare la differenza rispetto alla corrente dell‟ex segretario,
capace di conquistare 39 seggi ( il 27,3% del totale ). Meno
minacciose per i “dorotei” erano invece le altre correnti: quella
del “rinnovamento” ( 9 seggi, il 6,3% ), quella “scelbiana” ( 7
seggi, il 4,9% ), quella “primavera” ( 4 seggi, il 2,8% ) e quella
“base” ( 3 seggi, il 2,1% ).
In definitiva il punto cruciale del congresso restava aperto su
un interrogativo: “prenderà corpo una nuova maggioranza, che,
sia pure nella necessaria gradualità, avvii il dialogo con il Psi?
Ecco la risposta di Moro: il Psi, allo stato delle cose, è
indisponibile per lo sviluppo della democrazia, ma la Dc ha il
dovere di tenere aperto il problema del Psi e di svolgere una
politica che tenda a rompere i legami tra socialisti e
comunisti.”
6
Restava comunque netto il no alla cooptazione
destra nella compagine governativa; una cooptazione che non
si sarebbe mai attuata.
La sinistra di Base coglieva però le contraddizioni visibili nella
posizione di Moro, che collocava l‟apertura al Psi in un futuro
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G. Tamburrano, Storia e cronaca del centro sinistra, cit., p. 15
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ancora indeterminato, finendo col mantenere in vita un governo
condizionato dal voto dei missini e dei monarchici. Questa
ambiguità non solo ritardava l‟evoluzione democratica dei
socialisti e il loro avvicinamento al centro del sistema; ma si
conciliava assai poco col suo rifiuto a far maggioranza
all‟interno della Dc con le correnti di sinistra democristiana. I
“basisti” poi insistevano sulla politica economica rivendicando
un‟azione mirante a contrastare lo strapotere del capitale
privato.
Come è stato osservato “pesarono, nella complessa e
contraddittoria posizione assunta da Moro, le difficoltà
costituite dalle distanze notevoli esistenti tra Psi e Dc su
problemi fondamentali, come la politica estera, dalla ostilità
irriducibile ad ogni intesa con i socialisti non solo di larga parte
della democrazia cristiana, ma anche e direi soprattutto delle
gerarchie cattoliche. Colombo si sbarazzò del problema
socialista con questa affermazione: “Il socialismo italiano non
può dal giorno alla notte mettere da parte come un cappello le
sue posizioni”. Perciò, l‟incontro col Psi non è problema
politico, ma storico, esige tempi lunghi. Per i dorotei il
problema del Psi era… un problema del Psi e non della Dc: in
questo è la differenza fondamentale fra dorotei e Moro. I