CAPITOLO 1
I PRESUPPOSTI DI BONJOUR ALLA LUCE DEL PROBLEMA
CARTESIANO Il presente studio intende affrontare l'analisi della giustificazione epistemica
delle credenze empiriche. In primo luogo è necessario stabilire in cosa consista la
giustificazione; in secondo luogo se sia possibile ottenerla; infine dovremo
considerare quale sia il tipo di giustificazione appropriata, di genere
fondazionalista, coerentista od altro.
La struttura costitutiva dell'uomo esige la ricerca di una giustificazione per non
abdicare al suo contenuto razionale. Il problema della giustificazione delle
credenze sorge in quanto la giustificazione non è immediata né evidente ma ha
bisogno di modelli di qualche genere per poter risalire a ragioni cogenti. In questo
senso, la giustificazione è un mezzo per la verità che consente di giungere alla
conoscenza vera e propria. La necessità della giustificazione trae dunque la sua
origine da una questione venerabile, che è stata formulata in maniera definita e
matura a partire da Cartesio. Il problema di cui Cartesio si fece interprete consiste
nell'analisi dello scarto che esiste tra ciò che è e ciò che sembra. L'incongruenza
tra essere ed apparire è il fatto che genera una sfiducia verso le apparenze
1
. In
questo senso, il dubbio metodico che Cartesio mette in atto deriva dall'assunzione
di questa sfiducia da parte di un'istanza scettica. La permanente possibilità di
sbagliare presente nell'uomo viene generalizzata dallo scetticismo all’intero
1
Siamo in grado di riconoscere questo scarto ogni qualvolta riconsideriamo da altri punti di vista quello
che inizialmente ci era parso diverso sotto un solo punto di vista.
6
campo della conoscenza. L’esperienza che sbagliamo a volte (o spesso) implica
che possiamo sempre sbagliare: lo scettico ne conclude che tutta la conoscenza,
come tale, è sospetta. La questione giustificativa è probabilmente l'ambito di
applicazione principale del dubbio. Cartesio considera seriamente l'impianto dello
scetticismo per contrastarlo sul suo stesso terreno. In questo senso, ritengo che lo
studio di BonJour riprenda una forma di ragionamento cartesiana, in quanto si
pone in confronto diretto con lo scetticismo. Avendo a che fare con le regioni
limite tra la filosofia e lo scetticismo, BonJour porta avanti senza sosta la propria
domanda di chiarificazione della teoria. Mi sembra che quest'atteggiamento, per
quanto in linea con quello di ricerca proprio del filosofo, non sia interamente
corretto per due ragioni: in primo luogo esso non è compatibile con il limite
proprio della condizione umana; in secondo luogo, come mostrerò nella
conclusione del presente studio, non sembra compatibile nemmeno con i risultati
della logica. La parte positiva dello studio consisterà infatti nell'innesto di due
elementi apparentemente contrapposti: l'impossibilità di raggiungere un
fondamento ultimo nella conoscenza e l'esistenza di una giustificazione.
La distinzione tra apparire ed essere dipende, a mio avviso, dal fatto che le cose
possiedono un proprio significato, il quale non è di affermazione immediata. La
distinzione, in questo senso, riguarda lo scarto tra il significato che l'uomo
attribuisce ad una certa cosa ed il significato che la cosa ha in sé stessa
2
. Mi rendo
conto che tale prospettiva deve basarsi sull'assunzione forte che il reale sia
interamente intellegibile. Se il reale non fosse intellegibile, ogni giustificazione
razionale che l'uomo formuli a proposito delle proprie credenze dovr ebbe fare i
conti con un sostrato di realtà non interpretato e non interpretabile. In questo caso,
non si potr ebbe ottenere una giustificazione vera e propria delle credenze. Al
2
Poiché la struttura umana è imperfetta ed incompleta ritengo, come BonJour, che non sia sufficiente
poggiare su una metafisica di tipo idealista: i significati non sono applicati ma scoperti nelle cose, che
dunque esistono in sé stesse. Considereremo la questione più a fondo nel paragrafo dedicato alla teoria
corrispondentista di verità.
7
contrario, se la stessa realtà è intellegibile allora esiste la verità: il nostro compito
è quello di ricercare l'interpretazione corretta tra le altr e, ossia quella che descrive
la verità 3
.
Ritengo che si debbano distinguere diversi ambiti in cui è presente la distinzione
tra apparire ed essere.
La prima distinzione riguarda l'apparire del mondo fisico rispetto alla realtà delle
cose. Tale distinzione è quella a cui Cartesio ed i cartesiani hanno fatto maggior
riferimento. BonJour stesso si sofferma in diversi paragrafi a considerare il
problema del mondo esterno. A mio parere, tuttavia, esso si dimostra poco
interessante in quanto la sua discussione non è in grado di apportare sviluppi
significativi. L'analisi di essa potrà approdare al massimo a stabilire l'esistenza
degli oggetti esterni.
In secondo luogo, distinguo il significato che ci appare rispetto al significato reale
delle cose. L'uomo possiede capacità che lo portano a svolgere considerazioni
limitate rispetto alle proprie credenze. Ritengo che sia più importante focalizzare
la discussione sul significato che possiedono le cose. L'apparire del mondo fisico,
infatti, non è in grado di apportare nozioni utili alla giustificazione finché non
viene interpretato: il semplice fatto che le cose esistano non è che una parte della
giustificazione di esse, in generale o per noi.
La giustificazione delle credenze empiriche deve avere due scopi: in primo
luogo consentire la giustificazione del soggetto a sé stesso; in secondo luogo
permettere la giustificazione rispetto alla verità delle cose. Affinché l'uomo
possieda una giustificazione corretta è necessario che questi due scopi coincidano,
in mod o che l'interpretazione del soggetto coincida con la verità. Un'analisi di
questo tipo, naturalmente, non può evitare di prendere in considerazione il
3
Ritengo che un'analisi approfondita della questione dell'intellegibilità del reale porti all'affermazione
che esista un essere intelligente superiore che abbia costituito il mondo. Mi limito ad accennare questo
fatto, che è esterno al presente studio, per sottolineare la mancanza di tale argomentazione in
qualunque opera di BonJour.
8
significato di coscienza di un individuo. Infatti, il mancato accordo tra gli scopi si
potrebbe riferire ad una coscienza di tipo soggettivistico sebbene coerente,
laddove una coincidenza indicherebbe una coscienza di tipo oggettivo 4
.
Se il riferimento è ad una coscienza di tipo oggettivo, la giustificazione di una
credenza empirica su un oggetto da parte di un soggetto consegue proprio dal fatto
che l'oggetto possiede esso stesso una giustificazione.
Laurence BonJour ha dedicato grandissima parte dei propri studi all'analisi e
discussione della conoscenza empirica. Prima di discutere la teoria di
giustificazione epistemica proposta da BonJour, è essenziale porre l’accento sui
presupposti che egli fa propri e che rimangono invariati, ancorché approfonditi,
nel corso degli anni. In questo senso possiamo parlare di uno sviluppo dell’opera
e del pensiero dell’autore, e non solo di una cambiamento di opinione rispetto agli
oggetti di studio. Una modificazione dei presupposti iniziali avrebbe significato,
infatti, la costituzione di due teorie di conoscenza giustapposte e incomparabili tra
loro, laddove una modificazione nelle conclusioni dimostra invece un
approfondimento delle posizioni iniziali e un’apertura critica ai punti di vista
distinti che costituiscono l’argomento. I tentativi risolutivi di BonJour rimangono
legati alle risposte standard della conoscenza empirica: la soluzione coerentista
prima e quella del fondazionalismo assoluto in seguito.
4
Purtroppo queste considerazioni non compaiono in BonJour, in modo che non mi è possibile
confrontarmi sul suo pensiero in questo frangente.
9
1. PRESUPPOSTI DELLA CONOSCENZA
Bisogna anzitutto dedicarsi alla ricerca delle condizioni per le quali si ritiene
che si dia conoscenza per l’uomo. Tali condizioni non sono stabilite e definite una
volta per tutte: a questo proposito dovremo operare una distinzione tra due
concezioni della conoscenza, quella forte e quella debole. Vaglieremo poi i
problemi e le virtù di cui sono portatori le due concezioni.
L’epistemologia è lo studio filosofico della conoscenza: della sua natura, requisiti
e limiti. La conoscenza prende avvio dalle credenze. L’uomo, infatti, trova in sé
delle credenze di cui può rendere o non rendere ragione. In questo senso
consideriamo che siano le credenze a fare da punto di partenza. La conoscenza,
per essere tale, dovrà rispettare requisiti più forti.
Nel definire che cosa sia la conoscenza, BonJour adotta il concetto tradizionale di
conoscenza proposizionale: the knowledge that something is the case, that a
certain proposition is true 5
. A questo proposito egli stabilisce le condizioni che
vanno soddisfatte per avere conoscenza:
1. A deve credere che P;
2. P deve essere vero;
3. la credenza di A che P deve essere adeguatamente giustificata.
6
Le tre condizioni di conoscenza definite sopra sono state messe in dubbio a
partire da un breve studio di Edmund Gettier, pubblicato nel 1963
7
. Esso parte da
casi in cui sono soddisfatte le condizioni richieste dalla concezione tradizionale
5
L. BonJour, The Structure of Empirical Knowledge , 1985, Harvard University Press, Cambridge,
Massachusett s, p. 3.
6
L. BonJour, Knowledge justification and truth. A sellarsian approach to epistemology Ch.3 §8 p. 1; L.
BonJour, The Structure of Empirical Knowledge , p. 3; Stanford Encyclopedia of Philosophy, The
analisys of knowledge , § 1.
10
di conoscenza, per quanto intuitivame nte non sembra che si dia reale conoscenza.
Il “ Gettier problem ” consiste in questo: posto che io possieda una certa
conoscenza la cui giustificazione è falsa, da essa può essere implicata una
credenza che è vera, per quanto in modo solo accidentale
8
. Il dis corso può essere
reso più chiaro in termini di probabilità. L'unico modo che ho per approssimarmi
alla verità è quello di cercarla in via probabilistica, come probabilità di verità. In
questo senso, non basta che sia alta la probabilità di A che P. Infatti, è necessario
che sia alta la probabilità della probabilità di A che P. Per questo motivo, diventa
necessario modificare la concezione di conoscenza aggiungendo una condizione
ulteriore. Per una persona A, conoscere una proposizione P al tempo t significa
che:
1. A deve credere o accettare P in t.
2. P deve essere vero.
3. A deve avere una ragione o giustificazione che renda molto probabile che
P sia vero.
4. Non deve essere un fatto accidentale che P sia vero rispetto alla ragione
che possiede A. (Detto in modo diverso, bisogna che ci sia un legame tra
la ragione che possiede A e la verità di P.)
7
Edmund L. Gettier, Is Justified True Beliefs Knowledge? , Analysis, vol 23 (1963), pp. 231-233. In
The Structure of Empirical Knowledge , BonJour non ritiene che il problema di Gettier sia essenziale al
fine del proprio lavoro in quanto egli considera principalmente il problema della giustificazione delle
credenze, che tratta un ambito indipendente rispetto a quello della conoscenza. Mi sembra, tuttavia,
che entrambi i problemi poggino sul problema del regresso, che dà avvio alla riflessione di BonJour.
8
L’implicazione è valida in quanto è del tipo (F → V). Riporto in traduzione mia uno degli esempi che
dà BonJour in Epistemology , p. 44: Alvin vede in un campo diverse pecore. Ora, gli animali che egli
vede sono in realtà grossi cani che somigliano a pecore. Le pecore, tuttavia, ci sono realmente, ma
sono nascoste dietro ad alcuni alberi. Ecco per quale motivo la concezione di conoscenza proposta in
apertura è criticata da Gettier: la giustificazione per pensare che ci siano pecore nel campo è adeguata
secondo la prima concezione mentre è falsa per la seconda, la quale sembra tuttavia maggiormente
giustificata.
11
Anche in questo caso, tuttavia, A deve giustificare la giustificazione che fornisce
per P. Il problema resta, in quanto si può procedere all’infinito nella richiesta
giustificativa: questa è la prima apparizione dell’argomento del regresso, che
vedremo in seguito.
La conoscenza umana è aperta all’errore e non mostra i segni
dell’infallibilità. Essa, infatti, ha una maggiore possibilità di trovarsi nel dubbio
piuttosto che nella certezza. Questa constatazione è una conferma della sua
incompletezza. La questione dell’incompletezza della conoscenza, come
accennato, è alla radice del problema d ella giustificazione epistemica. La
parzialità del nostro conoscere lascia spazi bianchi nel processo giustificativo e
rende necessario uno studio a l riguardo. Affrontando la questione della parzialità
della conoscenza umana, dovremmo quindi chiederci se tale incompletezza sia
strutturale e intrascendibile oppure se possa essere valicata. Da un punto di vista
idealista, per il quale l'essere si identifica con il pensiero, la conoscenza totale è
interamente raggiungibile. Nella visione realista, che è quella assunta da BonJour,
e che è maggiormente verosimile alle possibilità ed alla struttura dell'essere
umano, la conoscenza umana è imperfetta e parziale e, per quanto sempre
perfettibile, è limitata e prospettica. Da tale analisi risulta che anche la
giustificazione risulterà sempre immancabilmente incompleta. Il problema, infatti,
non è dovuto ad una insufficienza accidentale dello strumento ma ad una
incapacità strutturale dell’uomo di conoscere in maniera perfetta le cose. Se non
conosciamo mai perfettamente è concepibile l’obiezione che insiste sul fatto che
non possiamo conoscere nulla e dunque nemmeno giustificare nulla, lasciando le
nostre convinzioni nell’irrazionalità. Tuttavia l’obiezione non è conclusiva:
concedere che non si possa avere una conoscenza totale non significa che la
12
conoscenza parziale non sia di alcun valore
9
. Infatti, posso possedere diversi punti
di vista grazie ai quali posso costruire una conoscenza parziale che, almeno sotto
certe condizioni, si rivelerà corretta. Traggo dall'ambito geometrico una
similitudine a mio parere cogente: la differenza tra conoscenza parziale e
conoscenza completa è rappresentata dallo scarto ineliminabile tra qualunque
figura inscritta all'interno di una circonferenza e la c irconferenza stessa.
Esistono diversi tipi concepibili di ragioni epistemiche. In primo luogo, si può
avere evidenza a favore della verità di una proposizione: the most familiar and
obvious way to […] believe is to have evidence in favor of the truth of the
proposition in question 10
. L’evidenza, secondo BonJour, consiste nel possedere
informazioni di genere appropriato, alla luce delle quali diventa chiaro che la
proposizione sia vera
11
. Ci sono inoltre casi in cui le proposizioni sono definite
autoevidenti, ovvero dove the very content of the proposition in question
somehow provides or constitutes evidence for its own truth 12
. Esistono poi casi in
cui l’evidenza non basta: casi di percezione sensoriale, in cui il tipo di ragione
epistemica è diverso, casi di memoria, che hanno una ragione epistemica che
implica il riferimento al tempo etc. Per quanto BonJour ammetta la validità di un
genere di fondazione di tipo evidenziale oltre a quella inferenziale, egli si rende
conto che essa è complessa da raggiungere. L'elenco mostra che il concetto di
giustificazione epistemica non è semplicemente identico al concetto di evidenza.
In questo senso, possiamo distinguere proposizioni evidenti assolutamente vere e
senza bisogno di premesse da giustificare, che sono dette categoriche; ed
9
Cfr. anche S. Vanni Rovighi, Introduzione allo studio di Kant , La Scuola, p.27.
10
L. BonJour, Epistemology , p. 39.
11
In realtà si può ancora distinguere tra sistemi di credenza in cui l’evidenza è correggibile e sistemi con
evidenza incorreggibile. Da un punto di vista intuitivo, però, è altamente problematico che ci siano
forme di evidenza indubitabile, non suscettibili di essere minimamente ingannevoli. Se l’evidenza è
incorreggibile non potrò ammettere né spiegare la possibilità di un errore teoretico, come stabilisce il
sistema cartesiano. Il sapere diventa incontrovertibile e infallibile.
12
L. BonJour, Epistemology , p. 40.
13
illazioni, ovvero proposizioni che dipendono da premesse e dunque suscettibili di
giustificazione. Questa distinzione riguarda i generi possibili di fondazione
evidenziale: di tipo eidetico od empirico. Proprio queste ultime sono quelle
riferite alle credenze empiriche. BonJour compie due osservazioni che mettono in
luce i caratteri posseduti dalle credenze e comportano due problemi:
1. Dipendenza: ogni ragione epistemica richiede una base di qualche tipo
perché si possa pensare che la proposizione sia vera o verosimile. Tuttavia
non è detto che essa sia l'informazione indipendente data dall'evidenza. La
dipendenza di ogni credenza da una credenza ulteriore genera il problema
del regresso, che analizzeremo nel seguito.
2. Internalità della giustificazione: l’idea di giustificazione epistemica
richiede che la base conduttiva della verità sia interna all’ambito cognitivo
della persona che detiene la credenza. In questo modo, la persona è
cosciente della propria ragione giustificativa. Nel seguito analizzeremo
più a fondo l'assunzione della concezione internalista propria di BonJour 13
.
All’interno di ogni teoria di giustificazione epistemica si può avanzare un
problema ulteriore, concernente la condizione di giustificazione: quanto deve
essere forte la ragione o giustificazione perché ne risulti conoscenza? Secondo la
prospettiva di Cartesio, la ragione in questione deve essere conclusiva e deve
essere in grado di garantire la verità della proposizione in modo che non esistano
possibilità per cui la proposizione possa essere falsa, date quelle specifiche
ragioni. In questo caso, rileva BonJour, siamo di fronte ad una concezione forte
di conoscenza
14
. Se la conoscenza completa non è interamente raggiungibile,
tuttavia, questa concezione deve essere esclusa. Esistono moltissimi casi in cui
13
Ibidem , p. 41.
14
BonJour utilizza qui la terminologia introdotta da N. Malcolm in Knowledge and Certainty .
14
riteniamo di avere conoscenza secondo il senso comune o l’intuizione ma non
possiamo soddisfare una condizione di conoscenza forte. In effetti, it is very hard
to find beliefs for which there is not some possible way in which the proposition
in question could be false in spite of some reasons or justification for thinking
that it is true 15
. Per rispondere a questa difficoltà si è tentato di introdurre un
requisito di conoscenza più debole. La concezione debole di conoscenza non
prevede che le ragioni giustificative siano conclusive o garantiscano la verità, ma
solo che siano ragionevolmente forti per permettere alla credenza di essere
verosimile. Posta una simile concezione, scrive BonJour, [i]t is at least fairly
plausible to suppose that most or all of the beliefs that we intuitively regard as
cases of knowledge do in fact satisfy this lesser demanding condition 16
. Tale
concezione, tuttavia, deve rispondere ad obiezioni altrettanto onerose. Dovremo
chiederci quale sia il livello di verosimiglianza che la proposizione debba
possedere, per essere intesa come conoscenza. La richiesta di quantificare mette
in gioco il grado di probabilità che una certa credenza deve possedere per essere
accettat a. Non è chiaro a quale ragione ci si possa appellare per fissare il livello
di giustificazione in maniera non arbitraria.
Poste le condizioni di conoscenza di Gettier, dobbiamo chiederci se esse valgano
all’interno della teoria debole di conoscenza. Se la concezione di conoscenza è
debole si può pensare che la verità di una credenza sia sempre, in qualche modo,
accidentale. Come rileva BonJour, [t]here is always some chance that a belief
that is only weakly justified will turn out to be false (since weak justification does
not guarantee truth), and it thus seems to be always to some extent a matter of
luck or accident whether this chance of falsity is realised in any specific case
[…] 17
. La quarta condizione non è in grado di emanciparsi dalla terza: c’è sempre
15
L. BonJour, Epistemology , p. 42.
16
Ibi .
17
Ibidem , p. 46.
15
la possibilità che, poiché vale la terza, la quarta non sarà mai pienamente
soddisfatta
18
oppure sarà essa stessa condizionata in modo non necessario.
In secondo luogo c’è il problema, serio e irrisolvibile, concernente il grado di
giustificazione richiesto dalla concezione debole di conoscenza, la quale
stabilisce how likely the truth of the proposition must be in relation to the reason
or justification that the person has 19
. A questo proposito, BonJour analizza il
problema dal punto di vista delle probabilità. Se si considera come conoscenza
una credenza che possieda un particolare grado di probabilità di essere vera, la
congiunzione di più credenze, che possiedano entrambe il grado sufficiente per la
conoscenza, non possiederà essa stessa il grado adeguato per essere catalogat a
come conoscenza. Secondo le regole d el calcolo della probabilità, la
congiunzione avrà un grado di probabilità minore rispetto ai singoli congiunti
20
.
BonJour prosegue l’analisi affermando che, se la concezione debole di
conoscenza è corretta, allora il soggetto non sarà giustificato nel tenere per vere
le conseguenze delle sue credenze, making it again unclear whether and why the
concept of knowledge has any real i mportance 21
. Un esempio ulteriore che
BonJour mette in luce è il problema definito paradosso della lotteria. L’esempio
della lotteria mostra che, posto un livello qualunque arbitrariamente alto 22
di
probabilità per ritenere vera una credenza (e dunque per poterla definire
conoscenza), si otterrà sempre un paradosso. Ad esempio, s e riteniamo che una
credenza assurga a conoscenza se possiede probabilità 0,99 di essere vera, allora
per ottenere il paradosso basterà postulare una lotteria di 100 biglietti in cui uno
solo sia vincente. In questo caso avremo, per ogni biglietto, la probabilità di 0,99
18
La terza condizione parla, infatti, di probabilità e non di certezza assoluta.
19
Ibi .
20
Ad esempio, date due probabilità di 0,9, la loro probabilità congiunta è di (0,9x0,9)=0,81.
21
L. BonJour, Epistemology , p. 47.
22
Infatti il paradosso può essere trovato per ogni grado di probabilità diverso da 1, che è la certezza
assoluta. Il paradosso sarà dato per ogni 1-ε>0.
16
di essere perdente. Tuttavia, poiché 0 ,99 è la soglia oltre la quale accettiamo una
credenza come conoscenza, potremo affermare di conoscere con certezza che
tutti quanti i biglietti sono perdenti. Ma naturalmente questo è falso, in quanto un
biglietto è vincente. La spiegazione, tut tavia, fallisce da un punto di vista
intuitivo, in quanto uno dei biglietti sarà certamente vincente
23
.
Definiti questi possibili concetti di conoscenza, la scelta che rimane va
compiuta, secondo BonJour, tra:
1. la concezione forte della conoscenza;
2. la concezione debole della conoscenza.
Tuttavia non sembra che ci siano ragioni sufficienti per soddisfare la concezione
cartesiana: in mancanza di esse, l'assunzione di una tale teoria potrà soddisfare
poche se non nessuna delle nostre ordinarie credenze, lasciando per la maggior
parte ingiustificata la nostra esigenza di conoscenza e verità. In “Probabilistic
Justification and the Regress Problem” 24
, gli autori affermano che la distinzione
tra fondazionalismo probabilistico e non probabilistico corrisponde alla
distinzione di BonJour tra fondazionalismo moderato e fondazionalismo forte. La
concezione debole soffre di un problema altrettanto strutturale. Il livello di
giustificazione è ottenuto in maniera probabilistica. Ma uno studio unicamente
probabilistico è insufficiente al raggiungimento della verità: ogni probabilità, per
definizione, è esposta all'errore.
Secondo BonJour questo dilemma, che sorge dall’incertezza del concetto di
conoscenza, produce un punto d’inizio essenziale alla riflessione epistemologica.
23
Naturalmente la conoscenza sarà in accordo con l’approccio intuitivo nella situazione in cui la lotteria
sia composta da un numero di biglietti inferiore a 100. La validità riferita solo a certi casi particolari
non consente di ritenere questo livello di probabilità come quello corretto.
24
J. Peijnenburg - D. Atkinson, Probabilistic Justification and the Regress Problem , Studia Logica
(2008) 89 , p. 334.
17
Tuttavia esso è meno importante rispetto alla questione della giustificazione
epistemica e può rimanere indeterminato ai fini del presente studio. Mi pare che
la concezione forte di conoscenza vada senza dubbio esclusa, in quanto legata ad
una comprensione scorretta delle possibilità umane. Rimane da analizzare se la
concezione debole, costruibile in varie versioni, sia affrancabile dai problemi
evidenziati. Ritengo che una giustificazione epistemica di tipo condizionato
possa rinforzare l’accettazione di una simile concezione di conoscenza. La
concezione debole di verità, inclusa in una fondazione di tipo condizionato
permette a mio parere di assottigliare lo strumento della probabilità in modo che
risulti sempre più approssimato alla correttezza. L’ultima parte di questo studio è
dedicata ad un’analisi di questo genere di giustificazione, che è alternativa a
quella proposta da BonJour.
2. LA TEORIA CORRISPONDENTISTA DI VERITA’
Nel presente paragrafo analizzeremo le principali teorie metafisiche di
verità, seguendo BonJour nel paragonarle alla teoria corrispondentista. Opereremo
dunque un confronto tra: teoria realista corrispondentista, teoria del realismo
semantico, teoria idealista, teoria pragmatista, disappearance theory e
verificazionismo semantico. Lo scopo dell’impresa cognitiva è il raggiungimento
della verità. Ciò che ci rende esseri cognitivi è la nostra capacità di pensare e di
credere, ed il nostro obiettivo cognitivo distintivo è la verità: Truth is the
essential, defining goal of cognitive inquiry 25
. Risulta di importanza vitale, per una
teoria della giustificazione epistemica, rispondere positivamente a questo
requisito. Tale teoria deve essere in grado di condurre la verità, poichè any sort of
justification which is not in this way truth-conducive is simply irrelevant from the
25
L. BonJour, The Structure of Empirical Knowledge , p. 157.
18
standpoint of cognition 26
. Per essere vere, le credenze che possediamo devono
rispecchiare correttamente il mondo in tutte le sue dimensioni: we want our
beliefs to correctly and accurately depict the world 27
. Prima di procedere bisogna
fare una distinzione tra gli stati epistemici di fondazione e di giustificazione: la
fondazione ha ad oggetto una proposizione, che può essere vera o falsa. La
giustificazione, invece, ha come oggetto una credenza, che può essere corretta o
non corretta. La correttezza o scorrettezza dipendono dalla verità della
proposizione creduta in questo modo:
Proposizione Credenza che la proposizione sia
VERA
vera → CORRETTA
falsa → SCORRETTA
FALSA
vera → SCORRETTA
falsa → CORRETTA
La verità non sembra, quoad nos , di accesso immediato né totale. Se lo fosse, in
modo che chiunque potesse semplicemente scegliere di credere la verità, piuttosto
che il falso, il concetto di giustificazione perderebbe il proprio significato e non
avrebbe alcun ruolo cognitivo
28
. La teoria di cui abbiamo bisogno per fondare
l’impresa giustificativa è una teoria metafisica e non epistemologica, in quanto
concerne la natura stessa della verità e non ancora il nostro modo di recepirla
29
. La
teoria corrispondentista della verità è il primo presupposto che BonJour esplicita
26
Ibi .
27
Ibidem , p. 7.
28
Ritengo che non si possa in generale prendere in considerazione la scelta della menzogna piuttosto che
la verità, sebbene le scelte con cui l'uomo entra costantemente in contatto non escludono la preferenza
di essa in certe condizioni. In questo studio prendiamo in considerazione un uomo che è consapevole
degli obiettivi insiti nella propria struttura razionale.
19
nella sua analisi di giustificazione epistemica. Essa compare nelle opere maggiori
come negli articoli e resta di sfondo sia nei primi libri sia in quelli più maturi. Ci
limiteremo quindi ad analizzare le definizioni offerte dallo stesso BonJour, in
quanto rispecchiano in modo adeguato le formulazioni date da molti altri filosofi.
La teoria corrispondentista della verità sottesa da BonJour è la teoria del realismo
metafisico tipico della filosofia tradizionale. Essa è una teoria basata sui fatti e
viene approssimativamente descritta dal Nostro come relazione di corrispondenza
od accordo tra la credenza ed il mondo. In “The Dialectic of Foundationalism and
Coherentism” BonJour assume, fin dall’inizio del saggio, una concezione della
verità come correspondence or agreement with the appropriate region or chunk
of mind-indipendent reality 30
. Ciò significa che una certa proposizione è vera se il
contenuto di tale proposizione è in accordo con un aspetto particolare della realtà
indipendente
31
. Una proposizione è falsa quando non si ottiene la relazione tra i
due elementi. BonJour stesso riporta la definizione che Aristotele espone nella
“Metafisica” e che ha costituito la prima enunciazione esplicita del realismo
metafisico: falso è dire che l’essere non è o che il non-essere è; vero, invece, è
dire che l’essere è e che il non essere non è 32
. BonJour afferma la necessità di
sostenere questa concezione come l’unico mezzo per offrire una spiegazione
intellegibile di giustificazione epistemica. Vale la pena riportare quest’idea con le
sue stesse parole: I regard the realist conception of truth as indispensable to the
29
L. BonJour, Epistemology , p. 34. In effetti, ogni fatto, in generale, ha bisogno di una chiave di lettura
che sia fornita dalla teoria con cui lo si guarda. A sua volta, però, ogni teoria è costruita in un certo
modo in base alla sua metafisica di riferimento.
30
L. BonJour, The Dialectic of Foundationalism and Coherentism in P. Moser, Oxford Handbook of
Epistemology , p. 117; pressoché con le stesse parole anche in L. BonJour, Epistemic Justification , p. 5
ed in L. BonJour, Epistemology. Classical problems and Contemporary Responses , p. 34.
31
La realtà è detta indipendente in quanto è generata in modo esterno all’ambito cognitivo del soggetto.
32
L. BonJour, Epistemology , p. 36, nota 5: Aristotele, Metafisica , 1011 b26. Ritengo che lo schema
proposto sopra possa essere d'aiuto nel comprendere la definizione aristotelica.
20