Capitolo 1
Lo Sviluppo Locale e la competitività dei territori: un inquadramento teorico
Il tentativo di ricostruire l’insieme dei riferimenti teorici su cui il paradigma dello Sviluppo Locale
si basa e prende forma, rappresenta una modalità di ricostruzione dei temi e delle problematiche che
tale paradigma si è di volta in volta trovato ad affrontare e a cui qualunque dibattito ad esso relativo
rimanda; tenteremo di mettere in luce, quindi, alcuni aspetti relativi alla genesi e allo sviluppo di un
apparato teorico e metodologico ormai divenuto il cuore di gran parte delle politiche territoriali che
mirano ad innescare una discontinuità positiva
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rispetto ad uno status quo particolarmente infelice.
La prospettiva che di seguito si intende privilegiare, considera le politiche di Sviluppo Locale quali
modalità per la valorizzazione e l’incremento di risorse già esistenti, in grado di segnare, al
contempo, una discontinuità rispetto ad una situazione di non piena ottimizzazione ed un continuum
rispetto al tessuto economico preesistente.
Ciò detto, ricorre doverosa un’ ulteriore premessa riguardante le teorie di riferimento su cui di fatto,
non vi è sempre una piena convergenza; considerando l’impossibilità di occuparcene nel corso di
questo lavoro (che di sicuro ha pretese più modeste), ci limiteremo ad un breve excursus teorico dei
temi e degli argomenti delle pagine seguenti.
In particolare ci soffermeremo sulla letteratura di riferimento e sui temi riguardanti lo Sviluppo
Locale dal punto di vista del Marketing Territoriale, nonché sull’attività di attrazione di
investimenti (e più in generale di risorse esterne) e su alcuni concetti chiave ad essi correlati.
1.1 Sviluppo Locale e marketing territoriale
1.1.1. La genesi delle politiche di Sviluppo Locale
Per Sviluppo economico locale così come riportato dal sito internet della Banca mondiale (Local
Economic Development, LED), si intende quello sviluppo che vede «la popolazione locale lavorare
insieme per conseguire una crescita economica sostenibile che porti benefici economici e un
innalzamento della qualità della vita di tutta la comunità, dove "comunità" sta per "una città, una
cittadina, un'area metropolitana o una regione subnazionale» in particolare, come la stessa Banca
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Joseph Schumpeter (1912) è stato il primo a distinguere tra crescita e sviluppo: la crescita è un fenomeno graduale,
fatto di continui aggiustamenti, lo sviluppo implica, invece, una discontinuità. Il motore dello sviluppo è, dunque,
l’innovazione, ovvero “la capacità di creare cose nuove”, come l’apertura di nuovi mercati, la riorganizzazione di
un’industria.
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Mondiale afferma: « The purpose of local economic development (LED) is to build up the
economic capacity of a local area to improve its economic future and the quality of life for all. It is
a process by which public, business and nongovernmental sector partners work collectively to
create better conditions for economic growth and employment generation ».
Nell’ottica di questo lavoro definiamo lo Sviluppo Locale come un insieme di pratiche e interventi,
volti ad innescare processi virtuosi
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di sviluppo ed a valorizzare le risorse interne ad un dato
contesto territoriale.
In Italia il tema della rilevanza della dimensione locale dello sviluppo economico, si è imposto già a
partire dagli anni '70 attraverso l’analisi delle realtà produttive del centro e del nord - est basate
sulla piccola e media impresa, da parte di Bagnasco (1977).
Si tratta di sistemi di imprese caratterizzati da una specializzazione tipica, spesso coincidente con
l’evoluzione della tradizione artigiana precedente o da più produzioni collegate tra loro, sviluppati
intorno ad un nucleo urbano di piccole o medie dimensioni (Prato, Reggio Emilia, Modena, solo per
citare qualche esempio) che proprio negli anni ’70 cominciarono a far registrare incrementi
significativi di produttività superiori anche alla produzione basata sui processi di concentrazione
industriale tipici del cosiddetto triangolo industriale, caratterizzato dalla produzione di massa e dalla
centralità della grande impresa (Bagnasco, 1990).
Lo Sviluppo Locale nasce come progetto interdisciplinare nel campo della ricerca economico –
sociale e proprio al suo essere trasversale deve la sua forza, può essere, cioè, definito in modo
eclettico rispetto all’ attuale divisione del sapere scientifico; tale trasversalità rappresenta, però,
anche un deficit o un punto di debolezza, in quanto la disciplina non possiede uno statuto teorico
condiviso e sotto questo profilo resta un concetto incompiuto. (Becattini e Sforzi, 1994)
L’ecletticità dei concetti che contribuiscono a delinearne gli aspetti essenziali rende l’insieme delle
linee guida e delle (buone) pratiche metodologiche che costituiscono l’ossatura della disciplina,
meritevoli di attenzione sotto diversi punti di vista: dal punto di vista politico rappresenta
l’elemento strutturante di interventi, riflessioni e fin anche correnti di pensiero e movimenti,
interessati alle buone pratiche tout – court, mentre dal punto di vista accademico la trasversalità
della disciplina (che chiama in causa aspetti di natura economica, sociologica, politologica,
architettonica ed ingegneristica) consente riflessioni elaborate, ma che proprio a causa dell’ampia
portata esplicativa perdono credibilità nei confronti del territorio, sia in termini di efficacia che di
efficienza; potremo quasi parlare a questo proposito, rispettivamente, di una versione forte ed una
debole dello Sviluppo Locale.
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Il termine virtuoso qualifica i processi di sviluppo in una doppia accezione e li connota come pratiche auto-
riproduttive, catalizzatrici di benefici e di principi quali la sostenibilità (degli interventi) e la Responsabilità Sociale
delle Imprese (RSI).
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Seguendo il percorso teorico delineato da Trigilia, ciò che contraddistingue le pratiche di Sviluppo
Locale è proprio il territorio ed il contesto sociale ed istituzionale che lo caratterizza.
«La novità è che rispetto al passato si affermano percorsi di sviluppo che sono meno il frutto di
scelte derivanti dal centro - da politiche nazionali dello Stato – o il mero portato di determinismi
geografici, come la dotazione di particolari risorse naturali e ambientali, o la vicinanza ai mercati
[…] la determinante cruciale appare ora il protagonismo dei soggetti istituzionali locali, che
sviluppano esperienze di cooperazione innovativa attraverso accordi più o meno formalizzati tra
loro» (Trigilia, 2005, pp.4,5). Costituisce, dunque, un errore associarlo a specifiche specializzazioni
produttive o particolari modelli istituzionali di regolazione dell’economia; esso riguarda sistemi
produttivi locali che possono assumere caratteri diversi. L’elemento distintivo è dato proprio dalla
capacità dei soggetti locali di cooperare per realizzare percorsi di sviluppo condivisi che mobilitino
risorse e competenze locali.
Come sottolinea lo stesso Trigilia, il protagonismo dei soggetti locali e la mobilitazione delle risorse
non implicano forme di “localismo autarchico”, volte a difendere il territorio dalle dinamiche della
globalizzazione e si discosta, altresì, dal mero dinamismo locale, il cui risultato più evidente è un
processo di crescita economica in termini di reddito ed occupazione. Lo Sviluppo Locale, di fatto, si
traduce in pratiche di valorizzazione delle risorse interne, di acquisizione di competenze e di
specializzazione locale, attraverso risorse esterne quali investimenti, imprese, risorse scientifiche e
culturali e si fonda sulla capacità di cooperazione e di strategia dei soggetti locali; per attrarre
risorse esterne un territorio può dotarsi di strutture di “marketing territoriale”, cioè agenzie
specializzate per contattare e attrarre investitori.
Le Policy così caratterizzate sono, quindi, ispirate a forme alternative di programmazione in cui
prevalgono relazioni orizzontali e cooperative tra attore politico e organizzazione privata e sono
proprie dell’idea di “governance”; tale logica si contrappone all’idea di “government”, secondo cui
le politiche territoriali sono programmate e dirette in forma gerarchica e dirigista. (Messina, 2002)
1.1.2. Il marketing territoriale
L’attività di attrazione di risorse esterne da parte dei singoli territori, si traduce nella creazione di
strutture di marketing territoriale che attraverso l’applicazione di principi classici delle strategie di
marketing aziendale, sappiano intraprendere un’insieme di attività per affrontare con efficacia la
sfida competitiva.
Ciò su cui si fondano le linee guida della disciplina è la possibilità di sviluppare la metafora del
territorio visto come impresa. Come l’impresa, il territorio è coinvolto in un processo di crescente
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competizione, che impone la costruzione, la difesa e l’accrescimento di vantaggi competitivi; il
marketing del territorio implica, dunque, la pianificazione e la realizzazione di programmi che
mirino a valorizzare la risorsa territorio. Include, pertanto, politiche di organizzazione intenzionale
dell’offerta, con l’obiettivo di attrarre investimenti e sostenere lo Sviluppo Locale.
Per attuare questi obiettivi, i decision maker devono identificare i fattori chiave dell’offerta (le
risorse e le capacità specifiche del territorio che costituiscono la base per la formulazione di una
visione strategica) e valorizzare il proprio territorio rispetto ai potenziali competitori, progettando di
conseguenza, la sequenza logica delle azioni di marketing.
Il successo di politiche perpetrate secondo questa logica, dipende dunque, dalle strategie messe in
atto, dall’analisi e dalla segmentazione dei mercati e da un posizionamento adatto a raggiungere gli
obiettivi prefissati.
In un’ottica strategica è quindi necessario mantenere il valore “naturale” rendendo la risorsa
territorio sempre più produttiva di valore, tentando al contempo di incrementarne il livello di
attrattività. L’incremento del livello di attrattività implica il tentativo di migliorare la qualità della
vita. Nuove imprese, nuovi investimenti e più visitatori e residenti, secondo la visione strategica
dello Sviluppo Locale, sono dunque indice della capacità del territorio di estendere il livello
complessivo di benessere e di soddisfazione della popolazione. (Caroli, 2006)
E’ opportuno, dunque, per la chiarezza del nostro percorso, focalizzare l’ attenzione sulla
distinzione di Trigilia (2005) tra le finalità del marketing territoriale e quelle dello Sviluppo Locale:
per il marketing territoriale l’attrazione di risorse esterne è spesso un fine a sé, nella logica dello
sviluppo locale diventa piuttosto una modalità per valorizzare quelle interne. Gli strumenti di
marketing non possono che essere quindi, un mezzo per raggiungere obiettivi che abbiano finalità di
più ampio respiro.
Se lo sviluppo industriale perseguiva l’accumulo privato di beni materiali, riducendo il territorio a
semplice supporto tecnico delle attività economiche, in un contesto post – industriale, lo scenario
risulta modificato e più complesso.
Tali strumenti accentuano l’ enfasi posta sulle nuove istanze che «includono la coltivazione di beni
immateriali e simbolici come strumenti per la ricostruzione identitaria dei luoghi […] a tal fine si
elaborano specifiche policy finalizzate a promuovere una sostenibilità a 360 gradi, come premessa
per un miglioramento della qualità della vita da un punto di vista non solo ambientale, ma
soprattutto socio – economico e culturale».(Battisti, 2006, p. 10)
Una siffatta visione evoca teorie suggestive che dal punto di vista etico e filosofico richiama
pensatori quali Rawls (1984) – che con la teoria della giustizia afferma il primato della concezione
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della giustizia come equità rispetto alla visione della giustizia propria delle dottrine utilitaristiche
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e Sen, secondo il quale «lo sviluppo può essere visto come un processo di espansione delle libertà
reali godute dagli esseri umani» (Sen, 2000, p. 9). Il pensiero di Sen in particolare sembra ben
coniugarsi con il principio di sostenibilità, insito nella visione dello sviluppo locale, in cui l’idea di
sviluppo non sottende soltanto una crescita quantitativa, ma un’idea di crescita del livello di
benessere (well – being) individuale e sociale, presente e futuro.
Sviluppo inteso, quindi, come modalità per il raggiungimento della piena valorizzazione e
promozione della persona umana nei suoi molteplici aspetti, una visione tipica, dunque, del
“Capability approach” (CA)
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, i cui esponenti sono proprio l’economista indiano premio Nobel e la
filosofa americana Martha Nussbaum.
Il riferimento a questo proposito è a ciò che Becattini (2009) chiama la “joie de vivre della
persona umana in carne ed ossa”, scopo unitario delle scienze sociali, contrapposta alla grigia
immagine dell’homo economicus della tradizione neoclassica e marxiana, riconducibile pure a
quella “piena fioritura della persona umana”, di cui parlava Aristotele per primo, immagine ripresa
proprio da Sen.
Un’ultima considerazione riguarda il marketing del territorio visto come un trait d’union tra lo
sviluppo esogeno ed endogeno del territorio. Nel primo caso, attraverso investimenti e trasferimenti
di varia natura, lo sviluppo è frutto di interventi esterni, mentre nel secondo caso lo sviluppo, a
differenza del primo, è “auto-riproduttivo”, cresce e progredisce su sé stesso, auto-incrementandosi;
tende ad avere basi più solide, perché fatto da persone che hanno radici in quel territorio e che da lì
muovono per guardare avanti, avendo in mente lo sviluppo dei propri figli e delle generazioni
future. Mentre lo sviluppo esogeno dipende da decisioni che vengono prese altrove, il propellente
dello sviluppo endogeno è costituito dal capitale umano e dal capitale sociale interni al territorio.
Il marketing territoriale, stimolando lo sviluppo esogeno può, dunque, contribuire a quello
endogeno, innescando processi virtuosi di sviluppo, contribuendo al contempo, ad un innalzamento
complessivo del livello di benessere.
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Rawls ritiene che una giustizia distributiva equa deve tener conto delle disuguaglianze immeritate e creare un sistema
dove i meno avvantaggiati possano ottenere il massimo possibile.
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La CA si configura come “teoria parziale della giustizia” fornendo « la base filosofica ad un esame dei principi
costituzionali fondamentali che dovrebbero essere rispettati e fatti rispettare dai governi di tutte le nazioni, come
minimo essenziale richiesto dal rispetto della dignità umana […] Nella valutazione della qualità della vita di persone
che vivono in parti diverse del mondo, non si può eludere l’alternativa tra l’adozione di un approccio relativista basato
sulla considerazione delle varie tradizioni locali o di un approccio orientato ad una più universale concezione di vita
buona. […] Tali questioni, che hanno una forte rilevanza dal punto di vista socio-economico e politico, dal punto di
vista teorico rimandano al rapporto tra universalismo e relativismo » (Giovanola, 2006, pp. 277,278)
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