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Introduzione
Il presente lavoro ha tratto la sua origine dalla volontà di
studiare la realtà delle Marche: una regione spesso sottovalutata.
Si è cercato di analizzare, specialmente, l‟economia e la
società di questa regione: il modo in cui queste sono interagite tra
loro e come hanno influenzato i cambiamenti che si sono succeduti
nel corso del tempo.
Questa tesi è stata suddivisa in due parti, le quali, a loro volta,
hanno due capitoli ciascuna.
La prima parte si è concentrata sulla fase iniziale dello
sviluppo, durante la quale ha avuto luogo il primo cambiamento
avvenuto nella regione: il distacco dall‟ormai arcaico sistema
mezzadrile, tipico delle Marche, per la creazione di un solido
sistema industriale.
La particolarità sta nel fatto che non ci si aspettava nulla di
tutto ciò, basti pensare che parte della regione era stata inserita nel
piano di risanamento nazionale del Sud, destinandole i fondi della
Cassa per il Mezzogiorno: una dimostrazione di come l‟Italia
credeva che le Marche andassero sostenute dall‟alto nel loro
sviluppo.
Nel primo capitolo si è cercato di capire dove la regione
marchigiana abbia tratto la forza necessaria per emergere come una
delle più industrializzate aree della penisola, tenendo conto del fatto
che il suo sistema era ancorato al sistema mezzadrile.
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Proprio in tale contesto sono emerse le basi del futuro
modello marchigiano: quel sistema agricolo, che frenava
l‟economia della regione, era, allo stesso tempo, la culla delle
capacità imprenditoriali, che avrebbero poi dato lo slancio alle
Marche.
Nel secondo capitolo invece, si è allargato il punto di vista
dell‟analisi per capire in quale ambito era inserita la regione
marchigiana, passando così in rassegna le diverse letture socio-
economiche che venivano fatte sull‟Italia.
Si è constatato come la classificazione in “Tre Italie”, fatta da
Bagnasco nel 1977, ha prevalso sulla vecchia dicotomia Nord-Sud
e, quindi, come le Marche siano state di diritto inserite nell‟area
periferica (definita, dall‟economista Giorgio Fuà nel 1983, con il
termine NEC, appunto Nord-Est Centro), grazie al loro vasto e
diffuso panorama industriale di cui potevano vantarsi negli anni
Settanta del „900.
La seconda parte di questo lavoro tratta il periodo che va
dagli anni Ottanta del „900, fino ai giorni nostri.
In quest‟arco temporale le Marche sono entrate nella seconda
fase del “modello adriatico” (Cfr. Ascoli, 1983), migliorando il
proprio livello di benessere economico e rafforzando ulteriormente
la loro posizione rispetto alle altre regioni d‟Italia.
Inoltre, si può dire che in questo periodo sono avvenute le
prime reali trasformazioni a livello socio-culturale: la famiglia ha
un numero medio di componenti minore rispetto al passato, la
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questione femminile, il livello medio di istruzione e
l‟immigrazione.
Nell‟ultimo capitolo, ho cercato di concentrare lo sguardo
sulle attuali condizioni della regione marchigiana, constatando
come il legame tra famiglia mezzadrile e sviluppo economico si sia
scisso e, nonostante ciò, non c‟è stata un‟involuzione del sistema,
tutt‟altro.
Oltre a ciò, ho potuto rilevare che la società ha subìto molti
cambiamenti nel corso degli anni e, benché il progresso dal punto di
vista economico sia ad un buon livello, non si sono verificati i
problemi tipici di uno sviluppo urbanistico e industriale intenso.
È alla luce di tutto questo che il processo evolutivo delle
Marche risulta sorprendente: bisogna tenere in considerazione che
questa regione, per molti decenni prima della seconda guerra
mondiale, non aveva dato il benché minimo cenno del potenziale di
sviluppo di cui era in possesso.
Successivamente, in meno di 40 anni, ha raggiunto un livello
di crescita economica e di benessere quasi pari al resto d‟Italia, un
progresso che altre regioni hanno sviluppato molto più lentamente o
ancora devono sviluppare.
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PARTE PRIMA
LE MARCHE MODERNE
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CAPITOLO PRIMO
LE MARCHE DEL SECONDO DOPOGUERRA
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1.1 La situazione post-bellica
A partire dall‟Unità d‟Italia, le Marche sono state oggetto di
numerose indagini, sia da parte delle istituzioni nazionali che di enti
privati con l‟intento di comprendere le dinamiche che governavano
tale regione, in modo da giungere a individuare una via di sviluppo
adatta alle sue caratteristiche. Durante il ventennio fascista, le
Marche sono state viste come un modello, cristallizzandone i
caratteri peculiari – come la mezzadria e la divisione tra l‟ambiente
rurale e cittadino.
Con la seconda guerra mondiale, il sistema marchigiano
subisce una forte scossa: i bombardamenti sulle città portano la
popolazione urbana a riversarsi nelle campagne, miscelandola per la
prima volta con quella agricola, rimasta fino a quel momento
distaccata.
Da questi momenti iniziano i primi timidi cambiamenti che
costituiranno le basi future di quello che verrà definito il “miracolo
marchigiano”, sia a livello politico, ma soprattutto socio-
economico.
Innanzitutto bisogna chiedersi, perché “Marche” e se è lecito
definirle come una singola regione. Alla domanda si può rispondere
solamente guardando alla sua storia e ci si potrà immediatamente
rendere conto di come questa sia un‟area geografica divisa in più
zone, dalle quali le diverse signorie puntarono alla conquista
dell‟intera regione, e il termine “marca” è stato usato per definirla
come un confine con il meridione.
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Il simbolo della frammentazione di questa regione è il suo
dialetto, che non è presente in un'unica forma, ma è frazionato
principalmente in tre zone: la parte meridionale, l‟area centrale e
quella settentrionale. La prima corrisponde alla provincia di Ascoli,
nella quale i dialetti sono affini a quelli teramani e abruzzesi; la
seconda zona include la provincia di Ancona e Macerata, con una
somiglianza alla parlata umbro-aquilana-romanesca; infine,
nell‟area settentrionale, cioè la provincia di Pesaro, si trovano gli
idiomi gallo-piceni, analoghi ai dialetti romagnoli e generalmente
padani.
Questa divisione rimane comunque molto approssimativa, a
causa dei confini mai troppo marcati, considerando che ad una più
attenta analisi, si potrebbe rilevare come i caratteri di un gergo si
diffondano fluidamente nella zona limitrofa creando anche aree
miste, che risentono dell‟influenza della cadenza confinante – si ha
così il gruppo maceratese influenzato da quello ascolano e
viceversa, e il gruppo pesarese con quello anconetano (Cfr. De
Mauro, 1969).
Un carattere che invece accomuna quasi totalmente questa
regione è il forte legame con le sue tradizioni, dove negli anni
cinquanta del „900 prevale nettamente ancora un sistema agricolo,
fondato sulla mezzadria, la quale sembrerebbe bloccare ogni
processo di rinnovamento, occupando il 60% degli attivi (vedi Tab.
n. 1), contro una media nazionale del 40%. La famiglia contadina,
salvo rare eccezioni, è la più numerosa, con un media di 4,5
componenti negli anni ‟50, ed è prevalente la “famiglia complessa”,
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nella quale convivono più nuclei familiari di fratelli sotto lo stesso
tetto.
L‟agricoltura, in questo contesto, è additata come la causa
principale dell‟arretratezza economica della regione, ma le ricerche
sono basate solo su indici di sviluppo generali, guardano più al
reddito pro capite regionale – che in questo periodo è notevolmente
inferiore alla media nazionale e che solo dagli anni ‟70 recupererà
quasi totalmente il gap accumulato. Se si pone invece l‟attenzione
alla storia marchigiana si può notare immediatamente il suo
processo lento ma continuo di crescita: dalla fine dell‟800 sono stati
introdotti nuovi macchinari, ad esempio l‟aratro in ferro, le
trebbiatrici a vapore, i fertilizzanti chimici e dal secondo
dopoguerra anche i trattori con la ruota in ferro. Inoltre, dopo la
seconda guerra mondiale, tutto il settore primario nazionale
attraversa un periodo molto difficile, affrontato invece senza troppi
impedimenti dall‟agricoltura mezzadrile marchigiana, che continua
ad aumentare la produzione e gli ettari di superficie coltivata.
Sono questi i caratteri di una regione che arranca e rimane
indietro rispetto al sistema nazionale? L‟economia marchigiana è
effettivamente statica e arretrata?
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1.2 Gli interpreti dello sviluppo
Per prima cosa, bisogna definire che cosa si intende con il
termine sviluppo: non si parla solo dell‟aumento e della
diminuzione di dimensioni meramente economiche – come il
reddito pro capite – bensì bisogna valutare tali variazioni,
contestualizzandole in un certo periodo di tempo. Per Arnaldo
Bagnasco lo sviluppo “è cambiamento sociale, trasformazione nel
tempo e nello spazio di un certa formazione sociale; è
modificazione della struttura di classe, del quadro istituzionale, dei
modelli politici e culturali, vista in relazione al processo di
accumulazione.” (Bagnasco, 1977, p. 21).
Ora cercheremo di focalizzare l‟attenzione sugli attori che nel
corso del tempo hanno contribuito alla realizzazione del “miracolo
marchigiano”.
1.2.1 La famiglia mezzadrile
Analizzando i dati, emerge come la gran parte della
popolazione sia impegnata nell‟attività agricola – come sopra citato
– e questo non è altro che un residuato storico dell‟antico assetto
della regione, la quale ha trovato nella mezzadria il giusto
compromesso tra lavoro e conservazione della produttività dei
territori (Cfr. Anselmi, 1987).
Detto ciò, ci chiediamo: cos‟è la mezzadria?
“Il patto di mezzadria [...] è un contratto agrario per il quale
un proprietario terriero (concedente) e un coltivatore [...]
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(mezzadro), si associano per la coltivazione di un podere al fine di
dividerne a metà prodotti, utili e spese di servizio. Il mezzadro,
assieme alla sua famiglia, ha l‟obbligo di risiedere stabilmente
nella casa costruita sul fondo, di custodire e conservare i beni
affidategli dal concedente, di prestare nel podere la sua opera di
colono con la direzione del proprietario e, quasi sempre, con la
mediazione del fattore, che è uomo di fiducia della proprietà.”
(Anselmi, 1987, p. 246). Questa è la corretta definizione di un patto
mezzadrile, che non è altro che la realizzazione del principio della
metà, che sta alla base del rapporto padrone-contadino.
Il colono e la sua famiglia costituiscono la forza-lavoro del
podere ed hanno un‟organizzazione estremamente gerarchica: prima
di tutto c‟è il reggitore, o capoccia, e al suo fianco c‟è la capoccia,
la quale non è necessariamente la moglie, anche se è la regola.
Inoltre, nel caso di famiglia complessa, quindi avente più rami,
talvolta il capoccia risulta essere il nonno e non il padre – come nel
caso di un singolo ramo. Queste due figure hanno l‟autorità su tutti
“in una diarchia che pone il primo in posizione egemone per
l‟intero andamento della gestione «azienda-famiglia», la seconda
per il ménage della casa” (Anselmi, 1987, p. 269). In questo
contesto è possibile trovare una terza autorità, che si occupa della
stalla nei casi in cui il capoccia non può occuparsene direttamente:
il bovaro o tabacco.
Per il resto, si può affermare che tutti gli altri membri siano
quasi alla pari ed ogni unità che consuma, corrisponde un‟unità che
lavora. Ciò sta a significare che anziani e bambini non sono esenti
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dall‟attività del podere, perché vigono essenzialmente tre regole: in
primo luogo chi mangia, deve guadagnare qualcosa; in secondo
luogo il contadino mezzadro lavora sempre; infine, i vecchi devono
insegnare il mestiere e i fanciulli devono apprendere presto e bene
(Cfr. Anselmi, 1987). Fino alla seconda guerra mondiale
l‟impostazione di base rimane la stessa: i contadini rimangono nel
podere, poiché vedono rinnovare annualmente il patto mezzadrile e
la prospettiva dello studio per i più giovani si limita all‟istruzione
elementare. Sotto questo punto di vista le cose miglioreranno
intorno agli anni ‟60, quando si inizierà a parlare di scuola media.
Dagli anni ‟50-‟60, invece, la situazione cambia: i contadini
iniziano a lasciare i poderi, trasferendosi nei centri urbani per
svolgere attività che presuppongano un investimento di denaro
liquido – molto probabilmente accumulato nel periodo postunitario.
Ciò comporta la liberazione di terreni appetibili, in particolar modo
quelli limitrofi alla costa, che vengono occupati dai coloni delle
seconde e terze fasce collinari, nelle quali ci saranno a loro volta
altri fondi resi liberi, che vedranno l‟arrivo della popolazione
subappenninica, lasciando quest‟ultima area quasi svuotata.
Perché si può affermare, quindi, che l‟agricoltura
marchigiana è l‟àncora dello sviluppo di questa regione?
Prima di tutto perché le rese sono buone e crescenti, inoltre le
produzioni vengono orientate sempre in misura maggiore verso il
mercato, infine, il patrimonio zootecnico è in espansione, il che fa
aumentare la disponibilità di letame per concimare, aumentandone
le rese e dando una maggiore possibilità di ruotare liberamente le
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colture. In molte analisi questo aspetto è sottovalutato, perché per
molti mezzadri il risparmio e gli investimenti non consistono in
operazioni di denaro liquido, depositi bancari e postali, ma in
capitale bovino e “alla caduta della mezzadria questo capitale si
libera e si rende disponibile per altri impieghi” (Sori, 1999, p. 31).
Tutto ciò però, considerato il ruolo del settore primario e il
suo peso in termini di popolazione attiva sul totale, con
un‟organizzazione del lavoro e dell‟impresa fondata sulla
mezzadria ha avuto un ruolo contraddittorio. Nel breve periodo
risulta essere il freno sul sistema economico regionale: i bassi livelli
di produttività, fanno tendere al ribasso anche il reddito medio pro-
capite. In aggiunta, ci sono da considerare alcuni circoli viziosi,
descritti anche dagli economisti.
Quali sono infatti le conseguenze principali di un basso
reddito?
In primo luogo esso porta ad una domanda povera e stagnante
– in particolare per prodotti non agricoli – la quale conduce ad un
mercato interno più ristretto, che toglie stimoli
all‟industrializzazione. In secondo luogo si risparmia meno e quindi
si riduce prima la disponibilità finanziaria delle famiglie e poi anche
quella degli intermediari finanziari. Tutto ciò impedisce la
formazione di capitale, che a sua volta ostacola il fluire degli stessi
nei fondi destinati all‟industrializzazione.
Nel lungo periodo invece, il quadro che si prospetta cambia:
un simile sistema agrario è una fonte, una risorsa per lo sviluppo
economico moderno per quanto riguarda il fattore