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Introduzione
La lente attraverso la quale si è soliti leggere la storia dell’arte contemporanea
(perlomeno quella che va dagli anni Ottanta a oggi), sembra ogni volta acquisire
una forma differente: di quella stessa storia, non si è in grado perciò, di avere sem-
pre una sola ed unica interpretazione. “Non avendo a disposizione il filtro del tem-
po, è una storia che a seconda di chi la racconta ha versioni diverse o diverse ver-
sioni”
1
e per questo, al suo interno, non è possibile trovare molti punti di riferimen-
to. Tra quei pochi che possiamo riuscire ad individuare, uno dei piø importanti è
sicuramente Matthew Barney (San Francisco, 1967), visionario artista statunitense
che riesce a fondere insieme le piø stimolanti forme espressive dell’arte del XX se-
colo, mescolando video e body-art, cinema e musica pop, scultura e performance.
Potrebbe quindi essere costruttivo e affascinante, affrontare una riflessione che
cerchi di focalizzarsi su uno degli aspetti piø interessanti della sua opera, e cioè
sull’insistenza con la quale i corpi (soprattutto umani, ma non solo) costituiscono
sempre il fulcro della rappresentazione all’interno delle sue operazioni artistiche.
L’apice creativo di questa “filosofia dei corpi” si trova nel suo lavoro piø im-
portante: il Cremaster Cycle. Il percorso che permette il consolidarsi di tale manie-
ra di mettere in scena la corporalità, parte però da molto piø lontano, attraversando
alcuni dei suoi lavori precedenti.
Il primo tentativo con il quale Barney cerca di entrare nel mondo dell’arte è già
in questo senso incredibilmente prorompente: Drawing Restraint 1
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, datato 1987,
viene da lui realizzato a soli vent’anni, mentre sta frequentando la Yale University.
La performance vede il Nostro intento a realizzare un disegno su un foglio appeso
nella parte piø alta del muro di una stanza, cercando di arrampicarsi sullo stesso
grazie all’aiuto di vari attrezzi installati (quali corde o maniglie), con la difficoltà
aggiuntiva di essere legato al pavimento da una fascia elastica. Il disegno deve ap-
punto essere creato nel momento di massima tensione della fascia e quindi durante
1
Francesco Bonami, Arte Contemporanea - Duemila, Mondadori Electa, Milano 2008, p. 7.
2
Del ciclo Drawing Restraint sono stati realizzati in tutto, fino ad oggi, sedici capitoli (cfr.
http://www.drawingrestraint.net).
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l’istante nel quale lo sforzo fisico è maggiore. Il corpo dunque è fin da subito al
centro delle riflessioni artistiche di Barney, esso è il mezzo attraverso il quale scol-
pire lo spazio circostante: il disegno a cui è data maggiore rilevanza non è tanto
quello che viene realizzato sul foglio, bensì quello immaginario che il corpo com-
pie per mezzo dei suoi movimenti durante l’atto creativo.
Un altro passo decisivo per l’evoluzione stilistica dell’arte di Barney si ha con
Blind Perineum: realizzato nel 1991 alla Barbara Gladstone Gallery di New York,
vede l’artista durante un’azione di arrampicamento negli spazi della stessa galleria.
L’evento viene tutto quanto filmato ed è importante per il passaggio che avviene,
all’interno della sua opera, dalla performance alla videoarte.
L’azione è lentissima: il video dura piø di 80 minuti, durante i quali assistiamo alle faticose pe-
regrinazioni di Barney. Nudo e armato di chiodi da ghiacciaio e altri strumenti da scalata, Barney
esplora ogni angolo della galleria fino a scomparire in una cella frigorifera. L’opera suggerisce una
misteriosa sovrapposizione tra architettura e corpo
3
.
Ed è proprio attraverso questa sovrapposizione che si attua una volontà di pla-
smare lo spazio e di fare del corpo (in questo caso specifico, quello dello stesso
Barney) un elemento architettonico aggiuntivo.
Il linguaggio espressamente scultoreo fin qui utilizzato tende però a far pesare
l’assenza di una certa introspezione fisiologica, di un qualcosa che renda partecipe
dell’azione non solo l’involucro ma anche il contenuto: le azioni che il corpo di
Barney compie, appaiono infatti essere limitate dalla ripetitività delle stesse, per
cui, modificarne le sue posture attraverso il dinamismo dei movimenti, non sembra
sufficiente a mutare quella staticità morfologica che pare imprigionarlo. Oltre che
un movimento esterno, se ne rende necessario a questo punto anche uno interno.
Ecco quindi che, per abbattere questo apparente blocco, si giunge alla realizza-
zione di un’altra opera essenziale in quel tragitto che condurrà al Cremaster Cycle.
OTTOshaft (1992), presentato in occasione di Documenta IX, viene ambienta-
to tra gli ascensori ed il garage del Fridericianum Museum di Kassel, ed ha come
personaggio principale Jim Otto
4
un atleta dalle ginocchia artificiali. L’importanza
di questo lavoro risiede soprattutto nel fatto che Barney inizi a porre le fondamenta
per la creazione di un personalissimo mondo fantastico, abitato da personaggi par-
3
Massimiliano Gioni, Matthew Barney, Mondadori Electa, Milano 2008, p. 24.
4
Barney dedica a questo personaggio una vera e propria serie di opere, dove oltre a OTTOshaft ne sono comprese
altre due: Jim Otto Suite (1991) e Radial Drill (1991). Jim Otto appare anche in Blind Perineum, come colui dal
quale The Character of Positive Restraint (e cioè il personaggio principale impersonato da Barney) deve sfuggire.
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toriti dal suo subconscio e regolato da una forma di racconto assai piø sviluppata.
Infatti,
oltre alla maggior complessità della ‘trama’, in OTTOshaft viene sperimentata una narrazione
in piø location, la cui unità semantica è garantita da una forma che congiunge e chiude questi siti in
un’immagine generalizzante. Durante questa esperienza, Barney comincia a pensare ad un’opera su
scala planetaria, divisa in cinque location, ognuna come sistema chiuso, disposte lungo una linea che
va da Ovest ad Est. ¨ questa l’idea da cui nascerà il Cremaster Cycle
5
.
Ed è appunto proprio dopo le prove di OTTOshaft che la macchina narrativa si
mette definitivamente in funzione: composto da cinque lungometraggi cinemato-
grafici (accompagnati ciascuno da una serie di sculture, disegni e fotografie) e rea-
lizzato in un periodo di tempo che va dal 1994 al 2002, il Cremaster Cycle è
un’immensa opera dedicata al cremastere, il muscolo che solleva e abbassa lo scro-
to “influendo sulla regolazione della temperatura dei testicoli in favore della sper-
matogenesi”
6
. Attraverso i cinque episodi si narra, per vie metaforiche, il passaggio
che si ha nel feto dall’indeterminazione (femminile) alla determinazione (maschile)
sessuale, e cioè, in particolare, la descrizione di quel movimento che le gonadi
compiono per realizzare tale determinazione
7
. Questo processo avviene progressi-
vamente dal Cremaster 1 al Cremaster 5, ma nonostante ciò Barney preferisce far
uscire i diversi capitoli con un ordine totalmente differente: per primo Cremaster 4
(1994), poi Cremaster 1 (1995) e successivamente Cremaster 5 (1997), Cremaster
2 (1999) e Cremaster 3 (2002).
Dietro a tutto questo sembra però esserci una precisa motivazione, infatti
la sequenza numerica 4-1-5-2-3 contiene un'evidente simmetria costruita attorno al numero
cinque in posizione centrale, che risulta anche dalla somma delle coppie numeriche alla sua destra e
sinistra. Ma il gioco delle combinazioni può ancora continuare e costruire piramidi o serie di coppie
oppositive sempre sulla base del numero cinque, che oltretutto corrisponde alla classica pentaparti-
zione in atti delle antiche tragedie greche
8
.
Una simmetria che possiamo ritrovare anche all’interno di ognuno dei singoli
episodi, dove alcuni dualismi facenti parte del mondo reale, quali organi-
co/inorganico, maschile/femminile, meccanico/biologico, umano/inumano, vengo-
5
Antonio Fasolo, Matthew Barney, CREMASTER CYCLE, Bulzoni Editore, Roma 2009, p. 38.
6
http://it.wikipedia.org/wiki/Muscolo_cremastere.
7
“Le gonadi femminili si dicono ovaie e producono gli ovociti. Quelle maschili sono dette testicoli e producono gli
spermatozoi. Le prime sono situate nell'addome e i secondi sono posti nello scroto”.
http://it.wikipedia.org/wiki/Gonadi.
8
Ada VeniØ, The Cremaster Cycle. La cosmogonia genitale di Matthew Barney,
http://architettura.supereva.com/artland/20030203/index.htm.
8
no messi in rapporto simbiotico e resi congruenti l’uno con l’altro. Si va in pratica
incontro ad un’estetica della metamorfosi, ad un “terremoto dell’identità e della
mutazione fisica dell’individuo”
9
, di cui, tutto sommato, le contrapposizioni dei
termini umano/postumano
10
(dove il secondo, piø che opporsi al primo, tende ad
esserne la sua forma evoluta) e reale/chimerico, basterebbero a sintetizzarne perfet-
tamente l’idea stante alla base.
Una realtà parallela, dunque, è quella nella quale veniamo catapultati durante
la fruizione dei lungometraggi del Cremaster Cycle, dove il tempo sembra conge-
larsi e lo spazio sembra estendersi all’infinito, e dove sono i corpi a scolpire le
immagini, oggetto della nostra visione. Queste stesse immagini ci appaiono, tutto a
un tratto, come creature viventi che solo noi possiamo mantenere in vita, non stac-
cando loro mai gli occhi di dosso.
Obbiettivo di questa tesi sarà pertanto quello di concentrare la propria atten-
zione sui vari personaggi protagonisti del Cremaster Cycle, cercando di definirne i
ruoli e provando a comprenderne, dove possibile, le stravaganti logiche di compor-
tamento.
9
Francesco Bonami, op. cit., p. 108.
10
“Il termine postumano descrive una condizione o una prospettiva che pongono radicalmente in discussione il con-
cetto di umano e che si collocano nel futuro (come condizioni ipoteticamente realizzabili) o anche nel presente (co-
me stato della soggettività attuale). Il concetto di postumano implica dunque una ridefinizione del concetto di umano
che coinvolge diverse discipline e orientamenti teorici e ha implicazioni nella sfera sociale, culturale, politica, eco-
nomica e materiale. Sebbene il concetto di postumano presenti molte diverse articolazioni, tema comune è l’assenza
di demarcazioni nette e di differenze essenziali tra umani e macchine, e in generale tra meccanismo cibernetico e
organismo biologico”. Federica Frabetti, Postumano,
http://www.culturalstudies.it/dizionario/lemmi/postumano_b.html.
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1. Cremaster 1
Anno di produzione: 1995.
Scritto e diretto da Matthew Barney.
Prodotto da Barbara Gladstone e Matthew Barney, USA.
Con Gemma Bourdon Smith, Kathleen Crepeau, Marti Domination, Nina Kotov,
Jessica Sherwood.
Durata: 40 min.
Il primo episodio, che viene messo in scena come una specie di musical, si
svolge sul campo del Bronco Stadium di Boise, sul quale un corpo di ballo realizza
varie coreografie: al centro del campo è rappresentato il field emblem, simbolo che
percorre e allo stesso tempo è logo di tutta l’opera di Barney.
Lo stadio è sorvolato da due dirigibili, all’interno dei quali si trovano delle ho-
stess e Goodyear che, da sotto un tavolo, raccoglie degli acini d’uva da grappoli
posti sopra di esso e li utilizza per formare differenti diagrammi.
Questo episodio rappresenta la fase di massima indifferenziazione sessuale:
non è un caso quindi che i personaggi presenti siano tutti femminili.
1.1 Per metà musa e per metà diva: Goodyear.
Goodyear (interpretata dalla sensuale Marti Domination) è la vera e propria
protagonista del Cremaster 1. All’interno degli abitacoli dei due dirigibili, sotto i
tavoli che sostengono le sculture delle ovaie circondate da una miriade di acini
d’uva, la sua figura si sdoppia ed agisce al di sotto di entrambi. Polinnia, la musa
dell’orchestica, sembra essere la fonte primaria d’ispirazione per questo personag-
gio. Nell’Antica Grecia, l’orchestica era “l’arte di organizzare ed eseguire una a-
zione scenica complessa, risultante dall’unione di musica, poesia e danza”
1
; al
1
Voce “Orchestica” ne La Piccola Treccani.