6
INTRODUZIONE
L‟obiettivo di tale lavoro di tesi è stato quello di dimostrare come un
apprendimento di tipo esperienziale possa rivelarsi particolarmente efficace
nell‟ambito della formazione aziendale, in particolar modo per quanto riguarda
l‟acquisizione e lo sviluppo di quelle “competenze trasversali” definite
dall‟ISFOL come un “vasto insieme di abilità della persona, non connesse ad una
specifica attività o posizione lavorativa, relative ai processi di pensiero e
cognizione, alle modalità di comportamento nei contesti sociali e di lavoro, alle
sue modalità e capacità di riflettere e di usare strategie di apprendimento e di auto-
correzione della condotta”
1
.
Le competenze trasversali comprendono l‟abilità di diagnosi, di relazione, di
comunicazione, di problem solving, di decisione; in generale includono tutte
quelle caratteristiche personali dell‟individuo che entrano in gioco quando egli si
attiva di fronte alle richieste dell‟ambiente organizzativo e che, insieme alle
conoscenze tecnico-professionali, sono ormai ritenute essenziali per il
raggiungimento di una prestazione lavorativa efficace.
Ma tali capacità, a differenza di quelle tecnico-specialistiche che possono essere
acquisite dall' “esterno” attraverso tradizionali percorsi formativi scolastici o
aziendali, si configurano come una caratteristica “intrinseca” dell‟individuo, come
parte integrante e durevole della sua personalità. Per sviluppare queste soft skills,
in particolar modo quelle di tipo comportamentale e relazionale, è necessario fare
riferimento ad una nuova tipologia di formazione, un nuovo approccio didattico
che proponga ai discenti delle esperienze significative che vadano ad incidere
attivamente sulla loro sfera emotiva, sul loro profilo caratteriale.
Tra le varie metodologie formative che concepiscono l‟esperienza pratica del
discente come principale fattore di apprendimento, si è scelto di analizzare, in tale
sede, il metodo dell‟ “outdoor training”, un metodo recentemente approdato nel
1
Di Francesco G. (a cura di), ISFOL – “Competenze trasversali e comportamento organizzativo”, in
“Kanbrain. Competenze trasversali, competenze per il futuro”, Guerini Studio, Milano, 2003,
(p.58).
7
mercato della formazione aziendale e, in misura sempre maggiore, adottato dalle
imprese, pubbliche e private, per sviluppare ed implementare nelle risorse umane
alcune competenze trasversali molto importanti per il successo aziendale, come:
la capacità di comunicare, il problem solving, la disposizione verso il team work,
la fiducia, il risk taking.
L'outdoor training inoltre, rispetto ad altri metodi formativi esperienziali, presenta
forti elementi di innovazione: esso rivoluziona non solo l‟ “approccio
all‟apprendimento”, basato su attività fisiche ed esercitazioni di gruppo
emotivamente impattanti, ma anche i “luoghi dell‟apprendimento”. Caratteristica
principale della metodologia, come suggerisce il termine che la designa
(“outdoor”), è la sua pratica in ambienti “open-air”, il più delle volte a contatto
con la natura. Si tratta in ogni caso di contesti insoliti, completamente distaccati
dai consueti punti di riferimento dei discenti, che non offrono loro alcuna
connessione diretta con le attività che normalmente svolgono e che quindi,
proprio per questo motivo, richiedono il massimo coinvolgimento fisico e mentale
del soggetto.
Il lavoro di seguito presentato è stato suddiviso in due parti.
La prima parte si articola in due capitoli e presenta l‟impostazione teorica alla
base della ricerca svolta.
Nel primo capitolo si mettono in luce quelle che sono le caratteristiche principali
dell‟outdoor training e le fondamenta pratiche e teoriche all‟origine del metodo: il
contributo di John Dewey e le sue teorie per un nuovo modello di apprendimento
esperienziale, l‟ “Outward Bound Programme” di Kurt Hahn, la metodologia del
“T-Group” di Kurt Lewin, il metodo dell‟ “Action Learning” di Reginald Revans.
Si fornisce, inoltre, una breve descrizione delle varie fasi in cui tipicamente si
struttura un corso outdoor e alcuni esempi di attività comunemente proposte dalle
società formative.
Il capitolo si chiude con il “ modello di apprendimento sociale” teorizzato da
David Kolb, un modello che illustra il processo ciclico grazie a cui
l‟apprendimento si concretizza, ossia il passaggio dall‟esperienza vissuta
partecipando agli esercizi pratici proposti nell‟ambito del corso ad una effettiva
8
acquisizione di competenze e comportamenti vantaggiosi per la vita professionale
dell‟individuo.
Il secondo capitolo ruota attorno al tema della formazione aziendale e delle
competenze trasversali.
Negli ultimi anni si sta diffondendo con sempre maggior impulso il principio dell‟
“apprendimento continuo”, della “formazione permanente” (lifelong learning),
che oltrepassa il sistema scolastico ed universitario e confluisce nella vita
lavorativa dell‟individuo.
I contesti dell‟apprendere e del lavorare non possono più restare separati. I tempi e
i luoghi del lavoro devono lasciar spazio all‟acquisizione di quelle conoscenze e
capacità necessarie per mantenere aggiornate le risorse umane e contribuire così
in modo attivo alla competitività della propria organizzazione.
E‟ in questo clima di rinnovato interesse verso la formazione aziendale che si
inserisce il discorso sulle competenze di cui si è precedentemente discusso, le
competenze trasversali, rese note nel 1973 da David McClelland attraverso la
pubblicazione dell‟articolo “Testing for Competence rather than Intelligence”
2
.
Fu lo studioso che, attraverso una lunga serie di indagini empiriche, giunse a
dimostrare come una prestazione eccellente sul luogo di lavoro potesse essere
ricondotta non solo alle conoscenze tecnico-professionali e specialistiche, o al
quoziente intellettivo del dipendente, ma anche e soprattutto ad una serie di soft-
skills come la personalità, la motivazione, l‟immagine e la concezione che
l‟individuo ha di sé, ovvero i tratti intrinseci e durevoli del soggetto.
Il capitolo si chiude con le teorie di Daniel Goleman sulla cosiddetta “intelligenza
emotiva”, da lui definita come “la capacità di riconoscere le proprie sensazioni e
quelle altrui, per motivare se stessi e per gestire bene le emozioni proprie e quelle
che si sviluppano nelle relazioni con gli altri”
3
.
L‟intelligenza emotiva si manifesta attraverso “competenze di tipo personale”,
come la consapevolezza di sé, la padronanza di sé e la motivazione, e
“competenze di tipo sociale”, come l‟empatia e altre abilità sociali tra cui la
comunicazione, la leadership, la gestione dei conflitti, la collaborazione e la
2
McClelland D.,”Testare la competenza invece dell’intelligenza”, FORMEZ, Roma, 2007.
3
Goleman D., “Intelligenza emotiva”, Rizzoli, Milano, 1996.
9
capacità di lavorare in team. Dunque una serie di skills, analoghe alle competenze
trasversali individuate da McClelland, di importanza cruciale soprattutto per quei
manager di alto livello che devono necessariamente possedere doti di leadership,
per guidare e gestire i working team, e doti empatiche, per influenzare
positivamente gli individui e supportarli verso il raggiungimento degli obiettivi
aziendali.
La seconda parte della tesi presenta un insieme di testimonianze raccolte
attraverso l‟intervista di alcuni osservatori privilegiati.
Il terzo capitolo ha come oggetto l‟analisi di un‟intervista qualitativa (semi-
strutturata) realizzata ad una esperta nel campo della selezione e della formazione
di risorse umane.
L'obiettivo è stato quello di cogliere il personale punto di vista e le opinioni di una
formatrice italiana attiva nel campo della formazione esperienziale (sia indoor che
outdoor), per capire più da vicino come è possibile applicare nuovi programmi di
addestramento delle risorse umane e qual è l'attuale posizione del metodo outdoor
all'interno del mercato italiano della formazione aziendale.
Oltre a domande di carattere generale, l'intervista si è focalizzata su alcune
peculiarità dei programmi formativi organizzati dalla testimone. In particolare, si
è fatto riferimento ad una concreta esperienza di outdoor training: il “Polistudio
Rugby Day”, una giornata di formazione che sfrutta le valenze educative del
rugby, organizzata dalla formatrice intervistata per i dipendenti di Polistudio, una
società di Rovigo.
Il quarto ed ultimo capitolo è destinato ad approfondire il “caso Polistudio”.
Attraverso l'intervista all‟HR Manager della società si individuano quelle che sono
state le motivazioni alla base della scelta formativa realizzata, gli obiettivi che con
essa si intendevano raggiungere e i risultati effettivamente conseguiti.
Il capitolo si chiude con l‟analisi dei risultati dei questionari di valutazione
dell‟intervento formativo distribuiti, a fine corso, dalla coordinatrice del
“Polistudio Rugby Day”. L‟intento è stato quello di cogliere le considerazioni e le
opinioni dei discenti, per comprendere attraverso le loro parole l‟effettivo
gradimento e l‟efficacia dell‟esperienza outdoor vissuta.
10
PRIMA PARTE
11
CAPITOLO 1
OUTDOOR TRAINING: UN NUOVO METODO DIDATTICO PER LA
FORMAZIONE AZIENDALE
1.1 INTRODUZIONE
“Ogni forma di istruzione autentica passa attraverso l’esperienza”
J. Dewey
Sempre più spesso, negli ultimi anni, sentiamo parlare di “apprendimento
esperienziale”, di nuovi metodi formativi che impostano la loro ragion d‟essere
sull‟esperienza anziché sulla teoria. Dei metodi definiti da molti come
“innovativi”, ma che poi veramente innovativi non sono, se pensiamo che
l‟apprendimento fondato sull‟esperienza pratica è proprio quello messo in atto nei
primi anni di vita dai bambini quando esplorano, servendosi di tutti e cinque i
sensi umani, la realtà circostante.
Ma prima di approfondire tale argomento sarebbe opportuno soffermarsi sulla
complessa questione dell‟apprendimento e dell'apprendere in generale.
Come poter dare una definizione esaustiva ad un termine cosi‟ vasto e multiforme
come quello dell‟ “apprendimento”? Vi sono una quantità indefinita di testi e
teorie a proposito, spesso in contraddizione tra di loro per giunta.
La difficoltà di fornire una definizione sufficientemente ampia da abbracciare i
molteplici significati della parola viene cosi‟ sintetizzata da Smith: “ E‟ stata
12
avanzata la tesi che il termine „apprendimento‟ resiste a una precisa definizione
perché è usato in molteplici accezioni. Si utilizza questo termine per riferirsi (1)
all‟acquisizione e la padronanza di ciò che è già conosciuto di un argomento, (2)
all‟allargamento e alla chiarificazione del significato della propria esperienza,
(3) ad un processo organizzato e intenzionale di verifica di idee che riguardano
determinati problemi. In altri termini, è utilizzato per descrivere un prodotto, un
processo o una funzione”
4
.
Consultando il dizionario pedagogico di Bertolini troviamo che “per
apprendimento (e per apprendere) si intende quel processo psichico che consente
al soggetto di acquisire in forma durevole, ma non a seguito di fattori innati o di
processi di maturazione di ordine chiaramente biologico, semplici abitudini o
conoscenze e competenze anche molto complesse. Tale processo implica una serie
di operazioni in cui intervengono molte facoltà umane quali la percezione,
l‟immaginazione, l‟attenzione, l‟associazione, la memoria ecc. E‟ legittimo
affermare che l‟apprendimento può realizzarsi o per condizionamento, o per
imitazione, o per intuizione o ancora per mezzo del cosiddetto problem solving o
dell‟ attività”
5
.
L‟apprendimento, dunque, si configura come un processo alquanto complesso
che non può essere ricondotto esclusivamente all‟apprendimento di tipo “lineare”
sostenuto nell‟ambito del paradigma comportamentista. Tale modello, difatti,
concepisce l‟apprendimento come un semplice processo di trasferimento di saperi
e conoscenze da un soggetto (docente) ad un altro (discente)
6
.
Al passaggio a teorie e forme di apprendimento più complesse e mature hanno
variamente contribuito diverse scuole di pensiero, come il Cognitivismo, il
Costruttivismo, le Teorie Relazionali e Sociali, e autori come John Dewey,
Reginald Revans, Malcolm S. Knowles, Kurt Lewin, David Kolb e tanti altri, che
4
Smith R.M., “Learning how to learn: applied theory for adults”, Follet, Chicago, 1982, p.34.
5
Bertolini P., “ Dizionario di pedagogia e scienze dell’educazione”, Zanichelli, Bologna, 1996.
6
Gli psicologi chiamano questo modo di apprendere “simbolico-ricostruttivo”, proprio per
sottolinearne il meccanismo fondamentale: decodificare simboli e ricostruire nella mente ciò a
cui essi si riferiscono. All’interno di tale processo non c’è nessun contatto diretto con gli oggetti,
ma tutto avviene nella mente di chi apprende. Ad esso si oppone un altro modo di apprendere, di
tipo “percettivo-motorio”, che non avviene né attraverso l’interpretazione di testi, né attraverso
la ricostruzione mentale, ma mediante “la percezione e l’azione motoria sulla realtà”. (Antinucci
F., 2001)
13
insieme hanno contribuito a legittimare teorie e pratiche formative innovative.
Uno dei più importanti principi metodologici alla base di queste nuove teorie
pedagogiche è la concezione dell'esperienza pratica del discente come
“fondamento” e allo stesso tempo “stimolo” per il processo di apprendimento
7
:
“l'approccio dell' AE (Apprendimento Esperienziale
8
) non si limita a sostenere la
rilevanza formativa dell'esperienza, ma propone una concezione
dell'apprendimento fondata essenzialmente su di essa. Se non ogni esperienza
genera apprendimenti, d'altro canto è riscontrabile come ogni apprendimento
costituisca, di fatto, un'esperienza. In pratica, si sostiene che l'apprendimento è
(non solamente che “può essere”) sostanzialmente esperienziale”
9
.
Come sostiene anche Donata Fabbri: “l'esperienza non è affatto staccata
dall'apprendere, cioè, per meglio dire, l'apprendere non è affatto, come spesso si
vuol far credere, una attività puramente razionale, teorica, astratta.
Apprendimento è infatti, nella sua definizione più semplice e più ampia, il
processo psichico attraverso il quale l'esperienza modifica il comportamento.
Senza esperienza non può esistere apprendimento, o forse può esistere solo un
tipo di apprendimento semplice, basato sul condizionamento e sulla meccanicità,
come l'imparare a memoria, imprimendo nella nostra mente per forza qualcosa
che resterà per un certo lasso di tempo ... ma che non corrisponderà ad un
apprendimento complesso o cognitivo”
10
.
In ambito aziendale, la consapevolezza della crescente complessità dei temi della
leadership, del cambiamento, dell'innovazione, ha spinto le organizzazioni ad
ampliare la gamma delle metodologie di apprendimento utilizzate nei programmi
7
Boud D., Cohen R., Walker D., “Using experience for learning”, SRHE & Open University Pressed,
Buckingham UK and Bristol, PA, USA, 2000.
8
Apprendimento Esperienziale (Experential Learning): è una proposta culturale e metodologica di
formazione che si fonda sul riconoscimento e la validazione dell'esperienza come cardine e
criterio ordinatore delle modalità di insegnamento e di apprendimento. Secondo l'AE,
l'esperienza è canale privilegiato di apprendimento, richiede però di essere trattata attraverso
dispositivi specifici; si tratta di una strategia di apprendimento non formale e informale, che può
utilmente integrare percorsi formali di istruzione. Possono essere riconosciute esperienze
compiute autonomamente dagli/lle allievi/e, come possono essere proposte intenzionalmente
dai formatori specifiche situazioni esperienziali. (Reggio, 2009)
9
Reggio P., “Apprendimento esperienziale: fondamenti e didattiche”, Università Cattolica del
Sacro Cuore, Milano, 2009, p.43.
10
Fabbri D., “L'esperienza dell'apprendere” in Di Nubila R., “La formazione oltre l'aula: lo stage”,
Cedam, Padova, 1999, p. 54.
14
di formazione. Stiamo assistendo negli ultimi anni ad uno sviluppo di nuovi
metodi didattici che recuperano gli aspetti di concretezza propri dell‟esperienza
diretta, in coerenza con gli stili di apprendimento più orientati alla
sperimentazione e alla pratica operativa propri in generale degli adulti. Tra i vari,
quelli maggiormente diffusi ed utilizzati sono
11
:
Il “Role Playing”: nel Role Playing i partecipanti devono assumere ruoli
specifici e rappresentare episodi significativi. I discenti vengono posti di
fronte a problemi che devono essere risolti “recitando” le possibili soluzioni
nel modo in cui secondo loro si comporterebbero le persone che rivestono,
nella realtà, i ruoli da essi interpretati.
Il Role Playing, dunque, drammatizza la situazione che viene discussa ed aiuta
l‟addestrando a prendere consapevolezza delle posizioni e dei sentimenti degli
altri. Nell‟addestramento dei dirigenti viene utilizzato soprattutto per
sviluppare capacità psicologiche di soluzione dei problemi interpersonali, per
mutare atteggiamenti verso terzi e per sviluppare l‟abilità di tenere corrette
relazioni umane.
La “Simulazione”: la simulazione è un metodo che in passato ha avuto vasto
impiego nell‟addestramento ad abilità tecniche e motorie. Per anni le forze
armate e le linee aree civili hanno fatto uso di apparecchiature-modello per
creare condizioni di volo simulato e addestrare piloti e tecnici. Anche gli
astronauti si avvalgono di questo metodo, simulando a terra le condizioni del
volo nello spazio.
I successi ottenuti dalla simulazione, in questi ed altri campi, hanno indotto
un numero crescente di imprese ad adottare questa tecnica per l‟addestramento
del personale, in particolare per quanto riguarda lo sviluppo e
l‟implementazione di skills e competenze nell‟area del “comportamento
organizzativo”.
11
Per maggiori approfondimenti consultare:
- Bass B.M., Vaughan J.A., “La formazione del personale nelle aziende”, Franco Angeli, Milano,
1992.
- Auteri Enrico, “Management delle risorse umane”, Guerini Studio, Milano, 1999.
15
All‟interno delle aziende vengono utilizzate, principalmente, due diverse
tipologie di simulazione: l‟ “In Basket Simulation” e il “Business Game”.
La prima variante, l‟ “In Basket”, è la forma meno complessa di simulazione
e prevede come attrezzatura di supporto solamente carta e matita. Solitamente
si fornisce all‟addestrando del materiale informativo relativo ad una azienda e
gli si presentano una serie di problemi organizzativi che egli dovrà risolvere.
Il secondo metodo, il “Business Game”, è la forma più nota e più recente in
cui si è evoluta la simulazione. I games possono essere relativamente semplici
e durare uno o due giorni, ma anche estremamente complessi.
La maggior parte dei business games simula un intero contesto industriale
costituito da svariate imprese operanti in un mercato comune. La
rappresentazione del game si suddivide in varie fasi operative, durante le quali
i partecipanti devono prendere un gran numero di decisioni riguardanti i
diversi settori del business aziendale: finanza, marketing, produzione, ricerca e
sviluppo. Alla fine di ogni sessione vengono comunicate le scelte effettuate da
ciascun partecipante, in modo che possano essere utilizzate nelle successive
fasi di decision making.
Il maggior vantaggio presentato dal business game è dato dal suo aspetto
“dinamico”. Da un punto di vista prettamente formativo esso consente di
sviluppare e potenziare nei discenti le competenze relative al processo di
“decision making” e di “problem solving”. Gli addestrandi hanno infatti la
possibilità di sperimentare gli effetti di un gran numero di decisioni, di
risolvere problemi concreti ma in un ambiente simulato, dove non sussiste il
rischio di ricevere severe sanzioni anche in caso di decisioni inopportune e
inadeguate.
Il “Team Training” (addestramento di gruppo): il team training è una tecnica
formativa che si serve di tradizionali supporti all‟insegnamento (lezioni,
video, ecc.), ma prevede sempre il ricorso a una qualche forma di
simulazione o esperienza pratica e pone l‟accento sull‟interazione tra i
membri del gruppo, sulle attrezzature e sulle procedure di lavoro. Uno dei
suoi obiettivi principali è quello di sensibilizzare gli individui relativamente