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1. RIASSUNTO
Nel lavoro che segue si espone uno studio condotto su due popolamenti forestali di neo-
formazione nell’alto Pordenonese, in Comune di Frisanco. Le cenosi esaminate sono
riconducibili alla tipologia forestale dell’acero-frassineto tipico. Si sono individuate due aree
di saggio nelle quali sono stati condotti i rilievi dendrometrici fondamentali e le analisi di
qualità dei fusti in piedi con il metodo proposto da Del Favero (1996).
Obiettivi:
- individuare quale sia stata la dinamica evolutivo-successionale che ha
dominato nella zona di studio;
- effettuare l’analisi di qualità dei fusti in piedi al fine di verificare la possibilità
di produrre legname da opera con buone caratteristiche morfologiche e
tecnologiche;
- fornire degli indirizzi gestionali di massima mediando fra prodotti e
produttività potenziali dei popolamenti ed applicabilità pratica dei modelli
proposti.
Dall’elaborazione dei dati è emerso che le dinamiche successionali sono molto simili ad
altre già studiate e proposte da vari Autori. Esse hanno visto l’invasione dei prati da parte di
specie pioniere ed eliofile che, oggi, stanno velocemente cedendo il posto ad altre più
mesofile e definitive come l’acero di monte (Acer pseudoplatanus L.) e il frassino maggiore
(Fraxinus excelsior L.). L’analisi di qualità indica, per le aree indagate, dei livelli di pregio
non indifferenti. Tuttavia una più realistica analisi delle possibilità produttive rende
improbabile una futura conduzione secondo i modelli della selvicoltura d’albero francesi,
belgi e italiani. I maggiori problemi consistono nella frammentarietà dei fondi privati, la bassa
convenienza economica e la mancanza di una politica forestale pubblica volta a favorire
questo comparto.
La presenza in grande massa di queste neo-formazioni pone necessariamente il tecnico
forestale e l’amministratore pubblico di fronte al problema della loro gestione, che deve
avvenire entro tempi brevi se si vuole mantenere viva la presenza dell’uomo nelle montagne.
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2. INTRODUZIONE
La conclusione del secondo conflitto mondiale portò, in modo più o meno omogeneo su
tutto il territorio nazionale, ad un progressivo abbandono delle attività agricole e zootecniche
estensive non più in grado di assicurare sufficienti entrate economiche alle famiglie.
Parallelamente si assistette all’abbandono dei centri più isolati e marginali, specialmente
quelli montani, e all’esodo delle popolazioni verso i più fiorenti e industrializzati paesi di
pianura.
A partire dagli anni Cinquanta, inoltre,si verificò in moltissime aree alpine e prealpine un
preoccupante calo demografico, sia a causa della riduzione del tasso di natalità sia a causa del
trasferimento delle genti verso aree più ricche. Contemporaneamente vi fu un progressivo
invecchiamento della popolazione residua, e un calo della mortalità (segno questo che la fase
di spopolamento aveva portato al quasi completo abbandono di alcuni paesi).
Molti studi, tra cui quelli riportati nella Carta della Montagna della Regione Autonoma
Friuli-Venezia Giulia (1976) e di Salbitano (1987), individuano alcune ragioni di carattere
sociale ed economico come le principali cause del repentino abbandono. La marginalità di
alcuni territori, infatti, ne rendeva impossibile la meccanizzazione al contrario molto
sviluppata in pianura, e la bassa produttività di queste aree, oltre a non consentire margini di
guadagno adeguati, non riusciva a reggere il confronto con i prodotti presenti sul mercato. La
proprietà privata, inoltre, risultava fortemente frammentata per la mancanza di norme che ne
tutelassero l’integrità (si veda la legge trentina del “Maso chiuso”), mentre alla pubblica
molto spesso toccò la sorte della privatizzazione (Salbitano, 1987). Per questi stessi motivi in
queste regioni non si è mai assistito ad un massiccio investimento di capitali come invece
avvenne in pianura. A questo si aggiunse infine la mancanza di una politica agro-forestale che
in quegli anni fosse in grado di trattenere le popolazioni nelle proprie zone di origine.
Tutti questi motivi hanno portato ad un inisorabile spopolamento della montagna alpina, i
cui abitanti hanno preferito emigrare in cerca di fortuna piuttosto che continuare a condurre
una vita di precarietà e stenti. Si possono però individuare tre tipi di emigrazione. Il primo di
tipo stagionale e regionale: donne, ma sopratutti uomini, durante la brutta stagione si
trasferivano nei centri di pianura più ricchi per prestare la loro manodopera temporanea e
ritornare poi ai luoghi di origine in estate per assolvere ai lavori agricoli e zootecnici. Il
secondo è di tipo internazionale ed europeo. Questo riguardava maggiormente la popolazione
maschile che si allontanava per qualche anno da casa verso altri Paesi per lavorare come
cavatori, manovali o operai. Mete preferenziali erano Francia, Belgio, Germania, Olanda,
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Svizzera, Romania e Gran Bretagna. Infine il terzo riguardava coloro che si avventuravano in
viaggi oltreoceano alla volta, dapprima del Sud, e successivamente del Nord America (Micelli
in Cantarutti, 1995).
Non diverso da quello appena descritto fu lo scenario che si visse nell’ultimo
cinquantennio nella Val Colvera, dove la relativa vicinanza alla cittadina di Maniago, la
povertà di terreni agricoli fertili e il colpo inferto dal terremoto del 1976 indussero ad un più
massiccio esodo verso altri orizzonti.
I dati in nostro possesso sono pochi e molto frammentari, ma confermano le
argomentazioni proposte. Nella già citata opera di Cantarutti (1995), infatti, si trovano
interessanti riferimenti a censimenti ed anagrafi del passato. Pur con qualche dubbio riguardo
la precisione dei dati raccolti si segnala che la popolazione residente verso il declinare del
XVIII secolo era di circa 3500 anime. Questi dati, integrati con quelli disponibili nelle
anagrafi comunali e provinciali, hanno prodotto la tabella che segue.
1871 1901 1911 1921 1980 2007
Frisanco 1072 889
Poffabro 1679 1141
Casasola 427 400
3178 2469 2623 2430 722 696
Tab 2.1: Popolazione residente nel comune di Frisanco
Il fenomeno dell’abbandono delle attività agricole influì in modo decisivo sulla fisionomia
del paesaggio e della vegetazione, specialmente nella fascia montana, laddove più forte era
stata l’influenza antropica. La mancanza di un continuo intervento dell’uomo volto a
contenere la forza espansiva del bosco, permise l’instaurarsi di una successione
ricolonizzativa del bosco su aree un tempo sistemate, coltivate, sfalciate o pascolate.
Il caso in esame, tuttavia, sembra avere una particolarità: nel comune di Frisanco, tra la
fine degli anni Cinquanta e l’inizio degli anni Sessanta, fu costruita una stalla sociale (tuttora
presente, ma con diversa destinazione zootecnica) che raggruppò tutti, o quasi, i capi bovini
da latte presenti sul territorio comunale. Fu questa la probabile principale causa
dell’abbandono degli ultimi appezzamenti sfalciati nella Val Colvera, dal momento che la
concentrazione degli animali in un unico allevamento rendeva conveniente importare i foraggi
dalla pianura a prezzi e con fatiche notevolmente inferiori rispetto a quelli prodotti nella
vallata e lungo le pendici dei suoi monti (Bernardon, in verbis).
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La zona oggetto d’esame, per la sua collocazione geografica e le sue caratteristiche
ecologiche e climatiche, è stata fortemente invasa da formazioni a prevalenza di specie
mesofile, come il frassino maggiore e l’acero di monte. La loro evoluzione nei decenni,
pressochè indisturbata, pone ora i ricercatori davanti allo spinoso problema gestionale di
queste formazioni, un tempo molto meno diffuse e per lo più governate a ceduo.
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3. IL FRASSINO MAGGIORE
3.1. INQUADRAMENTO SISTEMATICO
Il genere Fraxinus L., appartenente alla famiglia Oleaceae comprende una sessantina di
specie, distribuite nelle zone temperate dell’emisfero boreale, per lo più diffuse nel continente
americano e con poche specie in quello europeo. I frassini sono raggruppati in due sezioni
(Bernetti, 1995):
- sez. Ornus (Neck) DC.: la gemma apicale è di colore grigiastro, la fioritura avviene
alla fine della distensione del rametto dell’anno e dopo l’emissione delle foglie. I fiori
diclamidati sono provvisti di corolla. Appartiene a questa sezione l’orniello (Fraxinus
ornus L.);
- sez. Fraxinaster DC.: la gemma apicale è di colore nero, la fioritura avviene prima
della fogliazione e della completa distensione del rametto. I fiori sono sprovvisti di
corolla. Appartengono a questa sezione il frassino maggiore (Fraxinus excelsior L.) e
l’ossifillo (Fraxinus angustifolia Vahl.), entrambi sprovvisti anche del calice.
3.2. DISTRIBUZIONE
Il frassino è una specie tipica di ambienti freschi, ricchi in acqua, con clima oceanico o
suboceanico.
L’areale di distribuzione vede il suo limite occidentale nelle coste atlantiche. Verso nord
esso arriva alle isole britanniche fino alla Scozia, alla Danimarca e alle regioni meridionali di
Svezia e Norvegia. A nord-est occupa il sud della Finlandia, le Repubbliche Baltiche, la
Polonia e si addentra in Russia fino alla barriera degli Urali, e più a est fino al Caucaso
(Bernetti, 1995; Gellini e Grossoni, 1997). A sud invece arriva al terzo superiore della
Penisola Iberica, all’Appennino settentrionale e alla Grecia. In queste zone è sostituito, e
spesso confuso, col più termofilo frassino ossifillo.
In Italia è molto presente sulle Alpi e Prealpi dove si colloca nella fascia collinare e
montana della regione esalpica e mesalpica. La minor diffusione nella regione endalpica e a
quote più elevate è dovuta, piuttosto che alla rigidità delle temperature invernali, alle gelate
tardive particolarmente temute dal frassino (Del Favero, 2004; Lupieri, 2004). Per questo
motivo si trova dalla sottozona fredda del Castanetum, a quella calda del Picetum (Bernetti,
1995). Nella Pianura Padana è potenzialmente molto diffuso assieme a farnia (Quercus robur
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L.), olmo (Ulmus campestris L.), carpino bianco (Carpinus betulus L.) e ontano nero (Alnus
glutinosa Vill.). Verso sud, addentrandosi nell’Appennino, si lascia sostituire dall’ossifillo.
3.3. MORFOLOGIA
Il frassino maggiore, che d’ora in poi sarà chiamato semplicemente frassino, è una specie
a portamento arboreo che raggiunge anche dimensioni ragguardevoli arrivando ai 40 m di
altezza (Pignatti, 1982) e al metro di diametro. La sua veloce crescita giovanile in altezza (che
dà ragione del nome assegnato a questa specie, excelsior infatti significa più alto) è massima
fino alla fase di perticaia, ma continua fino anche ai 60-80 anni (Gravano, 2003) ed è la
principale strategia adottata dalla specie per superare la concorrenza per la luce imposta dalle
altre piante vicine, come ad esempio il faggio (Bernetti, 1995). Considerata specie longeva,
può vivere fino a 150-200 anni.
La chioma è poco ramosa e leggera, ovale-allungata, negli individui giovani o cresciuti in
bosco (Magini, 1956), molto più densa e ramosa in individui maturi.
Il fusto è diritto, cilindrico, libero da rami anche per 20 m se cresciuto in popolamenti fitti
(che però spesso presentano elevatissimi rapporti di snellezza), ramoso fin dalla base in
individui isolati. Non è rara la presenza di biforcazioni dovute alla perdita della gemma
apicale per motivi di tipo climatico o traumatico. Nelle fasi giovanili il ritidoma è liscio,
verde-olivastro con lenticelle nere. In seguito, verso i 30-40 anni si screpola, diventa rugoso e
irregolare con fessure longitudinali (Pignatti, 1982).
Le gemme e i rametti dell’anno si sviluppano seguendo la fillotassi opposta e decussata.
La crescita è predeterminata, con un solo flusso e la ramificazione è tipicamente
monopodiale. Le gemme, sia quelle globose laterali che quelle piramidali apicali, sono
nerastre, vellutate con poche perule che lasciano, dopo la caduta, evidenti cicatrici.
Le foglie sono decidue, opposte, composte, imparipennate. Le foglioline variano da 7 a
15 con lunghezze variabili intorno ai 7 cm e larghezze di 4 cm. Tutte sessili o subsessili,
tranne quella apicale che risulta distintamente picciolettata, ovali-ellittiche, acuminate
all’apice, con bordi dentati, verdi scure e glabre superiormente, distintamente più pallide nella
pagina inferiore dove solo la nervatura principale è pubescente.
I fiori sono riuniti in infiorescenze a pannocchia dense. La loro comparsa precede
l’emissione delle foglie e avviene tra marzo ed aprile. I singoli fiori sono privi di perianzio e
posseggono stami molto brevi con grosse antere dai toni rossastri (Gellini e Grossoni, 1997).
Possono essere ermafroditi o unisessuali e si presentano variamente combinati anche