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INTRODUZIONE
Per chi ama la qualità. Per chi cerca lo stile.
Per chi si vuole bene. Per chi la pausa se la prende.
Per chi vuole un piacere che duri oltre l’attimo.
Per te, e per me. Per i sensi, i suoni e i sapori.
Per chi ama il caffè.
(Lavazza)
Questo lavoro nasce dal mio amore per il caffè. In particolar modo, dalla mancanza,
del buon espresso italiano, avvertita durante una vacanza studio all’estero. Una
vacanza che mi ha permesso, non solo, di confermare la mia passione per il caffè,
ma, soprattutto, di comprendere come, questa bevanda, sia un vero segno culturale
e sociale.
Ci si accorge che ciò che diamo per scontato, può non esserlo per altri paesi e
culture. La piacevole abitudine di concedersi caffè a qualsiasi ora del giorno è
prettamente italiana. Allo stesso modo, si può notare che, oltre a non essere
un’abitudine, la sua mancanza non è un “problema” così rilevante, come si è, invece,
dimostrato essere, per me e per i ragazzi italiani con i quali ho condiviso
quest’esperienza. Scoprire che il caffè è tra i simboli identificativi dell’Italia, nonchØ,
una bevanda idealizzata dagli italiani al punto di non poterne fare a meno, mi ha
incuriosito e spinto ad approfondire l’argomento.
L’intero scopo della ricerca è stato quello di comprendere i vissuti e i percepiti,
nonchØ i rituali e le pratiche di consumo, che i giovani associano a questa bevanda,
per poterli, poi, analizzare, in riferimento ad una delle piø grandi aziende torrefattrici
italiane, la Luigi Lavazza s.p.a..
Come anticipato, il target scelto, come oggetto di studio, sono i giovani italiani di età
compresa tra i 20 e i 30 anni. La scelta della Luigi Lavazza s.p.a., invece, è dovuta
alla leadership, in termini di quote di vendita, raggiunta dalla società torinese. La
Lavazza, infatti, copre una quota di mercato, nel settore casa, pari al 50%, e si
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considera che una percentuale pari al 75% delle famiglie italiane, abbia scelto i suoi
prodotti.
Lavazza è, quindi, tra le società che operano in questo settore, quella che piø delle
altre, è presente nelle case della maggior parte degli italiani.
Il lavoro svolto è stato suddiviso in tre capitoli.
Il primo capitolo può essere a sua volta scomposto in due parti. Una prima parte che
tratta del cibo in generale e una seconda parte specifica sul caffè.
La ricerca sul cibo si propone di delineare uno scenario riassuntivo delle differenti
considerazioni del cibo come rappresentazione culturale e sociale, ed ugualmente,
come valenza simbolica, che permette di definire le molteplici personalità
dell’individuo moderno.
Il cibo è, quindi, presentato, come uno dei linguaggi che meglio permette di
comprendere una popolazione, una nazione o una realtà sociale.
Una breve divagazione ha permesso, inoltre, di approfondire la cultura del bere,
esaminando i diversi tipi di bevande, i rituali legati ad ognuna di esse, i modi e i
momenti di consumo, permettendo di introdurre la seconda parte del primo capitolo
che riguarda, nello specifico, il caffè.
Lo studio del caffè prende corpo dalla ricerca delle sue origini, sulla base delle
diverse versioni presenti, spesso contrastanti, e delle leggende che circondano la
sua storia e la sua diffusione nel mondo intero. Si delinea un’immagine del caffè
come bevanda dalla storia tormentata, sempre al centro di dibattiti che hanno
coinvolto le piø alte sfere sociali, dal clero alla monarchia. Un aspetto piø economico
è dedicato, invece, al mercato mondiale di caffè. Da questo punto di vista, i dati
riguardanti il caffè sono sorprendenti. Il caffè è la seconda voce piø importante del
commercio internazionale ed è una merce che coinvolge, o per produzione o per
consumo, tutti i paesi del mondo, nonchØ un numero elevatissimo di imprese e
soggetti economici, tra cui le principali borse valori del mondo.
Questa prima parte si conclude con un’interessante digressione sulle abitudini degli
italiani, che danno prova dei loro vizi e delle loro virtø, finanche, nel consumo di
caffè.
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Il secondo capitolo è dedicato al mercato italiano, per delineare lo scenario attuale, in
termini di imprese che vi operano, importazioni, esportazioni e valore della
produzione totale e, nello specifico, alla Luigi Lavazza s.p.a.; ripercorrendo la sua
storia, dalla fondazione, nel 1895, di una piccola drogheria torinese, all’odierna
multinazionale e, allo stesso modo, rivivendo la storia della sua comunicazione, dalle
indimenticabili pubblicità di Carosello, con protagonisti Caballero e Carmencita, fino
alle attuali pubblicità, che vedono in prima linea Bonolis e Laurentis, nonchØ la
comunicazione on-line, i manifesti, i calendari, il design, le iniziative sociali intraprese
e un accenno alla gamma di prodotti.
Il terzo capitolo è il cuore della ricerca. Per comprendere i rapporti e gli aspetti
cognitivi ed affettivi che legano il caffè ed i giovani italiani, si è organizzato un focus
group, che ha permesso di raccogliere numerosi ed interessanti dati, che sono stati
successivamente utilizzati, per impostare un’analisi, che permettesse di valutare
l’affinità della comunicazione Lavazza con i vissuti emersi. Si è cercato di capire se la
comunicazione della società sia idonea a raggiungere il target giovanile, e laddove si
sono riscontrate delle mancanze, si è cercato di ipotizzare possibili interventi che la
Lavazza potrebbe intraprendere, al fine di colmare queste lacune e coinvolgere
maggiormente il target in esame.
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1. IL CIBO E I VISSUTI DEL CAFF¨
Il piacere della tavola è di tutte le età, di tutte le condizioni
sociali, di tutti i paesi e di tutti i giorni; può associarsi a tutti
gli altri piaceri, e resta ultimo a consolarci della loro perdita.
(Anthelme Brillat-Savarin)
1.1 IL CIBO COME LINGUAGGIO
1.1.1 CIBO COME RAPPRESENTAZIONE CULTURALE: I MITI
Il cibo è prima di tutto un linguaggio. Cibo e linguaggio presentano piø affinità,
entrambi costituiscono un’insostituibile forma di comunicazione.
I cibi diventano dunque “comunicazione” ed “istituzione” poichØ coinvolgono
immagini, sogni, tabø, scelte e valori. Essi implicano per essere serviti e consumati
l’adozione, nella pratica quotidiana, di modalità sempre piø ritualizzate ( D. Tirelli,
2006). Il cibo è quindi un medium per la trasmissione di molti valori e rappresenta il
marcatore culturale piø immediato, ad intendere con questo che attraverso il cibo una
società comunica sØ stessa. Non vogliono forse gli italiani sfruttare il mito della
“cucina italiana” per comunicare al mondo di essere maestri del gusto e
dell’eleganza?
Studiare la cultura alimentare di una società ci permette anche di carpire numerosi
aspetti di quest’ultima, quali il grado di apertura o di chiusura al nuovo o il suo modo
di rapportarsi alla diversità, sia essa etnica, razziale o culturale, ma anche il grado di
difesa e trasmissione della tradizione culinaria-gastronomica.
La cultura alimentare permette agli individui di identificarsi nella propria società; è
difatti un fattore radicato all’interno di ogni membro della comunità, che si sente così
parte di un gruppo e si riconosce nella cultura condivisa all’interno di questo.
Si parlerà quindi di “rappresentazione culturale”, per intendere la sintesi delle
rappresentazioni, sensibilmente differenti, dei singoli individui che una volta resa
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pubblica viene incorporata nel patrimonio di conoscenze e saperi di un gruppo
sociale. Scrive Daniele Tirelli: “Si tratta di qualcosa così solido e resistente da potersi
trasformare con il tempo addirittura in un mito”.
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Il concetto di mito è caro anche a Claude LØvi-Strauss che sottolinea lo scarso
collegamento tra ciò che è divenuto mito e il senso della realtà.
Scrive al riguardo ( LØvi-Strauss, 2002): “Una volta stabilita una tradizione, è
difficilissimo ottenere una giustificazione morale o una spiegazione razionale”.
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Le
ragioni inconsce che spingono gli individui a praticare riti o usanze, ovvero
condividere una credenza sono ben lontane da quelle alle quali ricorrono per
giustificarla.
Per farsi un’idea dei numerosi miti diffusi in campo alimentare basterebbe pensare al
senso di disgusto che può suscitare per la maggioranza, se non addirittura la totalità
degli italiani, una cavalletta, finita accidentalmente, in un piatto di minestra, e
l’indifferenza, se non il piacere, che diversamente provocherebbe per un indigeno
australiano che la ritiene del tutto commestibile e parte della sua dieta quotidiana.
Un ruolo particolarmente importante per la diffusione di modelli alimentari e le
conseguenti credenze, desideri e paure, è svolto dal marketing, dai mass media e
dai così detti opinion-leaders.
Ogni credenza deve essere giudicata utile a qualcosa e deve essere sostenuta da
numerose buone ragioni per permettere che si realizzi il processo di “contagio delle
idee” (Dan Sperber, 1996).
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Consapevoli di ciò gli uomini di marketing studiano attentamente i miti e le credenze
del loro target, per poter offrire prodotti e diffondere idee circa le loro marche che
rispondano prontamente ai bisogni del pubblico.
Molto spesso le idee di marketing si associano con la potenzialità dei media e
diventano così forti da creare un fenomeno di massa. Ma affinchØ questo diventi un
mito radicato negli individui è necessario l’intervento di un’“autorità riconosciuta” che
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Daniele Tirelli (2006), Pensato&mangiato. Il cibo nel vissuto e nell’immaginario degli italiani del XXI secolo
– Agra s.r.l., Roma
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LØvi-Strauss Claude (2002), Mito e significato - Net
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Dan Sperber (1996), “La contagion des ideØs” – Odile Jacob - Paris
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lo giustifichi e lo legittimi, riconoscendone i valori e le proprietà. Nel termine “autorità
riconosciuta” si includono esperti di settore, giornalisti, ma anche semplicemente
personaggi dello star-system, le cui conclusioni non necessitano di dimostrazioni
scientifiche ma vengono giustificate dalla fiducia che il pubblico ripone in loro.
Se si considera un prodotto caro agli italiani come la “pasta” è facile notare
l’importanza delle azioni di marketing. Il lavoro di managers, creativi, sociologi,
ricercatori, etc., reso noto dai media ha permesso nel corso degli anni di creare quel
mito che ormai tutti conoscono: “Dove c’è Barilla c’è casa”.
Al di là dell’indubbia qualità della pasta Barilla, ben pochi italiani saprebbero
distinguerne le caratteristiche rispetto ad altre marche di altrettanta qualità, eppure
Barilla si vede riconosciuta una qualità superiore dalla maggioranza degli italiani.
Stimolare vissuti e valori cari al nostro popolo le ha permesso di entrare nelle nostre
case e di trasporre la qualità emozionale, effettivamente suscitata, alla qualità
nutritiva.
¨ interessante notare la validità del “principio del minimo sforzo”.
Scrive Tirelli (2006) : “ Le rappresentazioni piø facili da reperire prevalgono su quelle
piø complesse e quelle che sopravvivono mutano piano piano, sganciandosi dai
riscontri con la realtà che le ha generate. Questo continuo passaggio da una mente
all’altra le irrobustisce e le immunizza alla critica distruttrice della verifica
sperimentale, creando la fortuna di un prodotto o di una marca” .
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Nascono così, i così detti stereotipi, numerosissimi in campo alimentare, ai quali gli
individui ricorrono per semplificare il momento in cui si ritrovano ad effettuare scelte
di consumo. Nella società post-moderna, i consumatori sono, infatti, sottoposti a
numerosissimi stimoli e la loro capacità di scelta (ancor di piø se si volesse
considerare una scelta razionale) è messa a dura prova da questa abbondanza.
Ricorrere a stereotipi gli permette di semplificare questo processo.
Con la globalizzazione e la diffusione dei mass media, si creano stereotipi globali.
¨ così che un americano crederà di compiere una scelta migliore acquistando pasta
o vino italiani, e allo stesso modo un inglese si sentirà piø sicuro scegliendo uno
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Daniele Tirelli (2006), Pensato&Mangiato. Il cibo nel vissuto e nell’immaginario degli italiani del XXI secolo
– Agra s.r.l, Roma
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champagne francese. Lo stesso vale per i luoghi di consumo; sembrerà piø coerente
sorseggiare un caffè in una caffetteria italiana e bere una birra in un pub irlandese.
Utilizzando l’espressione “crederà di fare una scelta migliore” si sottolinea il fatto che
gli stereotipi, i miti maggiormente diffusi, non rappresentano la decisione realmente
migliore bensì quella che la maggior parte della comunità ha legittimato e
incorporato.
1.1.2 GLOBALIZZAZIONE DEI CONSUMI E CONTAGIO CULTURALE
Esistono oggi dei fenomeni che fanno riflettere su quanto argomentato nei paragrafi
precedenti. Si è definito il cibo come una rappresentazione culturale della società in
cui viviamo, sottolineando appunto le diversità alimentari che si riscontrano tra
differenti comunità i cui membri sviluppano gusti, esperienze e rituali alimentari
diversificati. Nonostante queste premesse cresce sempre piø il numero di “marche
globali” che sembrano infrangere le barriere culturali, etniche, religiose e sociali;
attraversando e in qualche modo unendo tutti gli universi sociali.
A partire dagli anni ’60 anche il modello italiano iniziò a risentire dell’ondata di novità
e modernizzazione proveniente dall’America, e nonostante piccole opposizioni vi fu
una generale adesione al nuovo, all’esotico.
¨ solo grazie a questa propensione al nuovo che marche come Coca-Cola ovvero
insegne come McDonald’s accomunano sotto i valori della novità, della
modernizzazione e della globalizzazione milioni di giovani che si definiscono cittadini
del mondo. Il riferimento ai giovani non è casuale, in quanto sono proprio loro a
rivelarsi i piø entusiasti e desiderosi di accogliere e sperimentare il nuovo e le
diversità che questo porta con se. Un’ulteriore categorizzazione per quanto riguarda
la propensione al cambiamento può essere fatta sul genere; sembra che le donne
siano piø propense degli uomini a sperimentare, mentre questi ultimi siano
maggiormente legati alla tradizione.
Ai nostri giorni, inoltre, oltre a questa forte “moda” americana che ha portato ad
omologare la prevalenza dei consumi delle società moderne e post-moderne,
assistiamo ad una nuova ondata di novità. Dove non è piø un gigante che assimila a
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sØ gli altri, ma sono tante piccole “realtà esotiche” che cercano di inserirsi nella
nostra quotidianità, senza, per ora, prevalere sulle nostre usanze ma affiancandole.
Un progressivo “meticciamento” della società. La diversità non è piø qualcosa da
combattere ma un aspetto da rivalutare e condividere.
La conoscenza dell’altro inizia quasi sempre dalla sperimentazione della sua “cucina”
e delle sue abitudini alimentari. Una riprova di questo è il crescente successo dei
sempre piø numerosi ristoranti indiani, turchi, giapponesi e così via, dove oltre ad
assaporare gusti sconosciuti si apprendono tecniche e rituali ben lontani dalle nostre
abitudini.
Il sushi o il sashimi non possono essere separati dalle bacchette o dal pranzare
seduti per terra. La cultura alimentare di una popolazione va ben oltre il semplice
cibo consumato. Ogni società ha incanalato riti, usanze, credenze, ovvero ha
arricchito di forti valenze determinati cibi e recriminato altri.
Basti pensare al rito del Tè per i popoli asiatici, che gli attribuiscono le proprietà
curative piø svariate preferendole di gran lunga al caffè, da noi invece considerato
bevanda irrinunciabile e sacralizzato dagli intellettuali europei del ‘700 in quanto
“bevanda della lucidità mentale” . Un ruolo di primo piano nella definizione dei gusti
alimentari è svolto dalle religioni; così come è impensabile mangiare carne di maiale
per un musulmano lo è altrettanto per un induista mangiare carne di mucca.
Tornando al discorso del “meticciamento”, non si può tralasciare di considerare che
accanto a coloro che ricercano vie di fuga dall’ordinario ed esotiche sensazioni
gustative, vi sono individui che soffrono della cosiddetta “neofobia”, cioè la paura per
il nuovo. Bisogna ammettere che l’apertura con il mondo esterno apporta non solo
stimoli ed esperienze interessanti ed extra-ordinarie, ma anche malattie, crimini ,
terrore. Tutto ciò contribuisce ad aumentare un senso di incertezza che si sta
diffondendo sempre piø rapidamente. Si assistette negli anni passati al dilagarsi di un
“panico di massa” in seguito alla trasmissione di notizie, tra l’altro non sempre
veritiere, riguardanti l’influenza aviaria vietnamita o la SARS cinese, con un
conseguente crollo di prenotazioni nei ristoranti, non solo cinesi ma piø in generale in
tutti i ristoranti etnici. A sottolineare come in momenti di paura ed incertezza si torni a