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INTRODUZIONE
Il mio lavoro di tesi, che ha per titolo “Il mondo animale nella cultura
occidentale: dalla mitologia greco-latina all‟utopia animalistica”, prosegue
e sviluppa il tema affrontato nella tesi di Laurea triennale, che aveva
come titolo: “Un nuovo problema etico: il rispetto per gli animali”
Qui mi propongo di analizzare il rapporto uomo-animali nella cultura
occidentale, concentrandomi, in particolare, sul ruolo simbolico svolto
dagli animali nella mitologia e nella favolistica greco-romana, con qualche
riferimento anche alla letteratura moderna e contemporanea (La
Fontaine e Buzzati). Ciò al fine di comprendere le ragioni che hanno
indotto le società economicamente sviluppate del nostro tempo a
rapportarsi con gli animali in modo così incivile ed anche “barbaro” con
gli animali; esseri, questi ultimi, che Péguy, nella sua Città armoniosa
considerava i nostri “fratelli adolescenti”, ossia coloro che hanno aperto
e preparato la via alla nascita e allo sviluppo dell‟umanità
1
.
Si é cercato, quindi, non solo di capire perché oggi l‟umanità non ha
alcun rispetto per gli animali, ma anche le ragioni profonde di quella che
possiamo chiamare “utopia animalistica”, che si spinge fino ad invocare il
riconoscimento dei “diritti degli animali”.
Questo percorso mi ha consentito di approfondire le differenze e le
analogie tra l‟uomo e gli animali. In realtà, com‟é noto, da sempre gli
uomini e gli animali sono stati, da un lato, così vicini - nelle espressioni di
emozioni, ma ancora prima nella ricerca comune di cibo per la
sopravvivenza – ma, dall‟altro, anche così lontani, dato lo sviluppo della
razionalità umana, avutasi con la comparsa ed evoluzione dell‟homo
sapiens. Lo sviluppo della facoltà di ragione ha cominciato a determinare,
1
C. PEGUY, La città armoniosa, tr. it., Lecce 1984, p. 48.
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fin dai primordi della specie umana, diversi problemi, come ad esempio
lo sfruttamento degli animali nell‟allevamento, nel vestiario, nel
trasporto, nelle battaglie, nello sport e nei giochi.
Nei vari passaggi epocali, il rapporto tra uomo e animali non é
sostanzialmente cambiato; nel senso che, fatta eccezione fatta eccezione
per alcuni periodi e civiltà, in cui alcuni animali venivano considerati
addirittura esseri divini, essi sono stati quasi sempre considerati come
mera “proprietà dell‟uomo”.
Nella Preistoria, gli animali, prima temuti, vennero poi usati e trattati in
vario modo: si pensi alla caccia, alla pesca, all‟allevamento, ecc. In tempi
recenti, soprattutto nelle società economicamente sviluppate, l‟uomo ha
assunto nei confronti degli animali un atteggiamento ambiguo, poiché si
passa da uno sfruttamento indiscriminato (caccia e pesca di frodo,
allevamenti e sperimentazione senza scrupoli) alla rivendicazione dei
“diritti” degli animali.
Tuttavia, paradossalmente, é proprio in questo periodo che si ri-trova,
accanto ad un atteggiamento negativo, anche posizioni di segno
contrario, ossia un più profondo affetto per loro, forse anche a causa
dell‟azione distruttiva, di sterminio e di rimozione degli animali dal loro
habitat. Molto di noi sentono già un legame profondo che si fonda,
forse, sulla comune precarietà e dell‟esistenza e del comune “destino” cui
stanno andando incontro, uomini ed animali, soprattutto a causa
dell‟azione devastatrice, compiuta in questi ultimi tempi da un‟umanità
che pure vive in un contesto dominato dalla scienza-tecnologia, che
purtroppo invece di presentarsi come “ragione” totalmente dispiegata, di
cui parlava Vico, si sta rivelando una ragione distruttrice dell‟uomo, degli
animali e dell‟intero pianeta.
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Sono questi problemi che mi hanno spinta ad affrontare questo lavoro,
che si é rivelato particolarmente impegnativo, sia per le problematiche
affrontate, sia per la vastità e a complessità dei materiali bibliografici, cui
ho fatto ricorso, ricercando testi anche durante il periodo di stage che ho
effettuato presso la Freie Universität di Berlino (DE); lo studio di questi
mi hanno consentito di comprendere meglio il rapporto uomo-animali,
risalendo ai primordi dell‟umanità. É questo, infatti, l‟argomento trattato
nel primo capitolo, in cui si é visto come l‟uomo, guidato dall‟istinto di
sopravvivenza, abbia cominciato a sfruttare la propria capacità creativa,
ossia la propria razionalità, per l‟addomesticamento, il trasporto, le
battaglie, lo sport e il divertimento.
Nel secondo capitolo si evidenzia come, da un primo “approccio”
negativo, si passa ad un‟era in cui l‟uomo, pur continuando a
strumentalizzare gli animali, li eleva allo status di simbolo: ciò si manifesta
chiaramente nella cultura greco-latina, in cui comincia ad affacciarsi una
letteratura capace di trattare questi animali quasi alla stregua di divinità.
Ciò si evince soprattutto analizzando i testi della mitologia, in cui l‟animale
risulta essere il simbolo positivo delle virtù.
Uno dei libri da me analizzati é quello ovidiano, Metamorfosi, in cui
proprio gli animali sono oggetto di metamorfosi e il loro mutamento
indica, secondo l‟autore, una sorta di punizione, inflitta dal temibile Zeus,
di solito a causa di azioni “viziose” compiute dagli umani, come ad
esempio atti seduttivi o comunque trasgressioni sessuali. Non solo si fa
riferimento al testo ovidiano, ma anche ad altre opere classiche, come Il
Fisiologo - libro pseudo-scientifico, scritto probabilmente nel II secolo –
l‟Illiade e l‟Odissea, il De natura animalium di Eliano, ecc. Si evince, in tali
libri, come l‟accezione di “specchio oscuro” attribuito agli animali sia
dovuto alla loro natura “misteriosa” e come essi vengano spesso
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antropomorfizzati e presentati dai vari autori con caratteristiche
tradizionali spesso lontane dalla realtà.
Nel terzo capitolo si passa ad esaminare il rapporto tra uomo e animale
all‟interno del Cristianesimo. Com‟é noto, alcuni autori ritengono che il
rapporto uomo/animali sarebbe degenerato in una relazione di dominio
dell‟uno sull‟altro, proprio a causa della tradizione ebraico-cristiana,
poiché sarebbe stato Dio stesso, nella Genesi, a sanzionare non solo la
superiorità, ma anche il dominio dell‟uomo sugli animali e su tutto il
creato. Ma questa tesi si rivela del tutto infondata, perché i suoi
sostenitori hanno frainteso non solo quei passi della Genesi chiamati in
causa, ma anche l‟intero annuncio evangelico che s‟impernia sul mistero
dell‟Incarnazione del Verbo divino. Come poteva un Dio Creatore che si
fa creatura, ordinare all‟uomo, per salvarlo ossia alla sua creatura più
insigne di maltrattare il resto del creato?
Dopo aver preso in considerazione il rapporto uomo-animali nei miti e
nel Cristianesimo, il discorso prosegue analizzando tale rapporto
all‟interno di quello straordinario genere letterario costituito dalle favole,
in cui, com‟é noto, gli animali svolgono un ruolo simbolico di guide, e
finire con Esopo, Fedro, La Fontaine, ecc., per capire soprattutto i
risvolti etici che tali racconti implicano. Con questo genere, gli autori
tendevano ad attribuire qualità del tutto umane al mondo animale, in
quanto esso presentava molte somiglianze nelle fattezze, nonché
nell‟esprimere le proprie emozioni. Con la favola, gli autori si
proponevano di presentare una verità o una morale, mediante metafore
che avevano come protagonisti gli animali, ma che, in realtà, parlavano
dell‟uomo.
Nel quinto capitolo, quindi, si passa ad analizzare il rapporto uomo-
animali nella modernità, in cui avviene un mutamento radicale, poiché gli
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animali, da semplici exempla da seguire, da simboli di vizi e virtù,
divengono oggetto della nostra razionalità calcolante, che aumenta
enormemente il potere umano sul resto della natura. Non si tratta più
solo di teorie, aneddoti che vedono al centro gli animali, ma si comincia a
conoscerli scientificamente, attraverso gli studi di anatomia comparata,
ecc. Sulla natura e ruolo degli animali nel cosmo, intervengono autori
come Cartesio, il quale riduce gli organismi viventi e, in particolare, gli
animali a mere “macchine”. della Mirandola, e e molti altri ancora a dire
la loro opinione, da un punto di vista prettamente filosofico-scientifico
(in questo caso, si può citare anche René Descartes).
Occorre osservare, però, che non tutta la modernità ha trasformato gli
animali a mero oggetto di sfruttamento. Ci sono stati lungo i secoli
dell‟evo moderno diversi autori, tra cui Pico, Erasmo da Rotterdam,
Thomas More, Voltaire, Michelet, fino a Péguy e altri, che hanno
considerato gli animali come creature degne di rispetto da parte degli
uomini.
La condizione degli animali si é fatta sempre più grave e precaria nel
mondo contemporaneo, in cui, proprio a causa del tumultoso progresso
scientifico ed economico, gli animali, come si diceva, sono stati fatti
oggetto non solo di sfruttamento indiscriminato da parte soprattutto
dell‟industria dell‟allevamento, ma sono stati costretti a subire inaudite
crudeltà all‟interno della sperimentazione scientifica.
Nel sesto ed ultimo capitolo di questo lavoro, affronto le diverse
problematiche concernenti lo stato attuale della crisi ambientale, che
implica, tra l‟altro, l‟estinzione di molteplici specie di animali. Inoltre, si
mette in evidenza il danno provocato sia dall‟uso massiccio e scriteriato
degli animali negli esperimenti, sia per il consumo abnorme di carni, per
l‟aumento di bisogni secondari, soprattutto la richiesta di pellicce, la
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ricerca di divertimento nei circhi e negli zoo, ecc… in molti Paesi
economicamente sviluppati.
Di fronte a tali comportamenti, come osserva Sergio Moscovici nel
testo La Società contro natura, c‟é chi si é chiesto se non sia il caso, anche
per raggiungere la comprensione di noi stessi, di rientrare pacificamente
all‟interno della natura di cui siamo parte integrante, anziché vivere
dissennatamente all‟interno di una natura artificiale che noi stessi
abbiamo creato
2
. Ma, per fare questo, é necessario ed urgente che si
diffonda a livello planetario la formazione di una coscienza ecologica, che ci
permetta di considerare il nostro pianeta Terra non più, come ha
sottolineato Quarta, come una mera “riserva di risorse”, ma come lo
spazio d‟esistenza non solo per l‟uomo, ma per l‟intera biosfera
3
. Si tratta,
in altri termini, di ritrovare quell‟amicizia fraterna di cui parlava tanto
Gandhi
4
.
E questo implica l‟abbandono di tutto ciò che é violenza e lo sviluppo di
quel senso di responsabilità che consiste nella valutazione attenta dei
differenti obblighi, tra i quali occorre necessariamente stabilire una
gerarchia.
Un tempo combattevamo per togliere spazio agli animali, adesso
dobbiamo impegnarci a lasciare loro lo spazio vivibile che consenta loro
non solo di sopravvivere, ma di vivere bene. Un tempo cercavamo di
sviluppare negli animali la velocità, la forza, la docilità, ossia forzavamo la
loro natura in ordine non tanto ai bisogni, quanto ai capricci umani;
adesso, invece, cerchiamo di conservare quelle caratteristiche tipiche che
rendono un animale un essere così unico che nessuna creazione
tecnologica riesce a sostituire.
2
P. DIOLÉ, Gli animali malati d‟uomo, tr. it., Milano 1975, p. 11.
3
C. QUARTA, La formazione della coscienza ecologica in C. QUARTA, Una nuova etica per l‟ambiente, Bari 2006,
p. 134.
4
M. K. GANDHI, Teoria e pratica della non violenza, tr. it., Torino 1984, p. 12.
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Ma se l‟uomo crede di poter sfuggire alle sue ansie utilizzando gli
animali come surrogato degli affetti umani, ma poi li rinchiude nei
giardini zoologici e nelle riserve o continua imperterrito a distruggere
specie attraverso non solo la caccia e la pesca di frodo, ma anche
attraverso l‟inquinamento dell‟aria, dell‟acqua e del suolo, allora il suo
presunto affetto per gli animali si rivela un vero e proprio inganno non
solo verso gli animali, ma anche verso se stesso.
Occorre, quindi, riscoprirsi “debitori”, nel senso morale del termine,
nei confronti del mondo animale: l‟uomo, per salvare se stesso e la
comunità vivente, ha il dovere di rispettare la natura in cui vive, non
perché gli animali siano “creditori” di diritti, bensì per il richiamo all‟idea
di “cura”, quale concetto guida valido per una giusta reimpostazione del
rapporto uomo/animali, fondato più su di un legame di interdipendenza,
anziché - come invece é stato proposto da molti animalisti – su di un
rapporto tra eguali
5
.
L‟obiettivo di questo lavoro, in una situazione critica come quella
odierna, é quello di risvegliare l‟animo umano, che tutto preso dalla
bramosia di ricchezze e di potere, é diventato insensibile alla sofferenza
che ha inflitto e che continua ad infliggere non solo agli animali, ma
anche a tutta la natura. Un comportamento, questo, talmente vizioso e
scriteriato che, se non cesserà al più presto, porterà alla distruzione non
solo dell‟umanità, ma dell‟intera biosfera.
5
L. BATTAGLIA, Alle origini dell‟etica ambientale, Bari 2002, pp. 200-204.
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CAPITOLO I
GLI ANIMALI NELL’ANTICHITA’
1. L’utilizzo degli animali nella caccia
1.1. Evoluzione umana e condizioni ambientali nella
Preistoria
Il rapporto fra gli uomini e gli animali é un rapporto primordiale,
che ha condizionato e caratterizzato tutta la storia dell‟umanità, ma
che nel corso dei secoli e dei millenni si é anche profondamente
modificato. Inizialmente confusi tra tutti gli altri esseri viventi, gli
uomini si sono poi distinti dal resto delle specie animali poiché capaci
di usare le mani e quella straordinaria facoltà che é il raziocinio, che
ha permesso loro non solo di trasformare rami, pietre, ecc. in
strumenti utili per le esigenze della vita quotidiana, ma anche di
rappresentare, attraverso disegni e colori, immagini di animali sulle
pareti della caverne. Dalla sua comparsa sulla Terra, quindi, l'uomo é
sempre vissuto a stretto contatto con gli altri animali.
L'uomo primitivo era essenzialmente un cacciatore che dipendeva
dalle altre forme di vita animale per procurarsi cibo e vestiti. La vita
degli animali non rappresentava, tuttavia, soltanto un mezzo di
sostentamento: in essi gli uomini primitivi trovavano, infatti, anche
una forma di piacere estetico e di forza spirituale, di cui sono prova i
notevoli dipinti delle popolazioni del Paleolitico, rinvenuti, ad
esempio, nella grotta di Lascaux nella Francia meridionale. Gli animali
non venivano considerati pari a loro per nascita, ma nemmeno erano
esseri del tutto estranei; vi era una evidente corrispondenza in tutte le
- 9 -
azioni determinate dal desiderio di vita, nella ricerca del cibo,
nell‟assalto
6
.
Nonostante questo stretto rapporto, l‟uomo ha da sempre
assoggettato il regno animale, anche con gli stessi sistemi che usa con
i suoi simili: lo sterminio e l‟addomesticamento, ossia la caccia e la
pesca e il tenere prigionieri gli animali che in qualche modo gli siano
utili o gli procurino divertimento.
Ma certamente la caccia é la più antica occupazione umana
7
. La
natura e gli scopi di tale attività, sia per la cattura, sia per l‟uccisione
degli animali selvaggi, subirono nel corso del tempo molteplici
modificazioni in rapporto alle mutate condizioni sociali e politiche
8
.
A partire dalla rozza tecnologia olduvaiana di Homo Habilis
9
, le
prime popolazioni di protoerectus riuscirono ad ottenere una possibilità
di controllo sull‟ambiente che li circondava. Utilizzando il
comportamento gregario tipico delle società dei primati, le bande di
erectus erano in grado di accumulare scorte di cibo recuperate
velocemente attraverso l‟utilizzo degli strumenti in pietra. Secondo il
modello dei babbuini (primati opportunistici di savana pure essi), gli
ominidi avrebbero potuto abbandonare progressivamente gli alberi
per andare a vivere tra le rocce e dentro le caverne. L‟industria litica
6
R. L. MORUS, Gli animali nella storia della civiltà, tr. it., Torino, 1956, p. 110.
7
Ivi, p. 95.
8
H. KREMER, L‟uomo e gli animali, vol. I, Milano 1980, p. 319.
9
Per spiegare le origini dell‟uomo, occorre partire dai primi fossili ritrovati, appartenenti agli antenati
dell'uomo, e ripartiti fra i generi Australopithecus e Homo: essi risalgono al massimo a circa 5 milioni di
anni fa. Tra 7 e 20 milioni di anni fa, invece, animali primitivi simili alle scimmie antropomorfe erano
ampiamente distribuiti sul continente africano (più tardi anche in Eurasia). Fossili appartenenti al
genere Australopithecus, risalenti anche a 4,5 milioni di anni fa, sono stati rinvenuti in numerosi siti
dell'Africa orientale e meridionale (o australe, da cui il nome). Il genere Australopithecus sembra essersi
estinto circa un milione di anni fa. A questo punto sembra essersi verificato un bivio evolutivo nella
linea degli ominidi: un segmento cominciò a evolvere verso il genere Homo; l'altro condusse a specie
di australopitechi destinate in seguito a estinguersi. Tra 1,5 e 2 milioni di anni fa è comparso, poi,
l‟Homo Habilis. I reperti fossili di un esemplare di primate dotato di grande cervello e piccola dentatura,
portati alla luce per la prima volta nel Kenya settentrionale e risalenti a 1,5-1,6 milioni di anni fa, sono
stati attribuiti, invece, alla specie Homo erectus, da cui, poi, tra 200.000 e 300.000 anni fa, si originò
l'Homo sapiens e, infine, all‟Homo Sapiens Sapiens.
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forniva a Erectus la possibilità di accedere a sempre maggiori
quantitativi di carne strappata ai predatori.
Con l‟aumento della gestione della carne morta e le pressioni della
socialità (portare il cibo a “casa”) si deve essere evoluta la capacità di
trasportare il cibo in quantità superiori a quello che sta in una mano
10
.
Successivamente, con la comparsa e lo sviluppo dell‟uomo di
Neanderthal, la nostra specie si fa sempre più capace di allestire
capanne e focolari molto sofisticati, con combinazione di ossa, pelli e
materiale vegetale. Rispetto ad erectus, le popolazioni di Homo
neanderthalensis sembrano far dipendere la loro vita sempre più dalla
caccia. L‟ambiente glaciale o quello di foresta temperata
dell‟interglaciale, infatti, mal si prestano a un‟economia basata
principalmente sulla raccolta di vegetali (molto meno abbondanti che
non in Africa e Asia). Date le differenti condizioni ambientali e la
riduzione delle grandi faune, gli uomini di Neanderthal cacciavano
una più vasta gamma di selvaggina rispetto ai loro predecessori,
collocandosi più in qualità di predatori opportunisti che come
cacciatori di grandi animali. A Gibilterra mangiavano molluschi,
mentre in Ucraina dovevano attaccare le renne
11
.
L‟homo sapiens, alle origini, aveva una posizione del tutto
“materialistica”. Egli si burlava volentieri dei suoi compagni di specie,
mentre in generale prendeva sul serio gli animali. Soltanto i giganti
goffi e dal lungo pelo, il mammut e il rinoceronte, hanno una nota
caricaturale nei disegni delle caverne. Gli animali agili, flessuosi, come
il cavallo, la renna, il cervo, il camoscio, il bufalo, sono evidentemente
quelli che egli ama, anche se dà loro la caccia. Nutre il desiderio di
possedere questi animali con il gioco e la sete di dominio (due
10
AA.VV., La storia. Dalla preistoria all‟Antico Egitto, vol. I, Novara 2007, p. 61.
11
Ivi, p. 73.
- 11 -
principali tendenze), per avere bestiame di riserva per i giorni e le
settimane in cui manchi il bottino di caccia. Uccidere doveva essere
certamente più facile che addomesticare
12
.
Nel passaggio dal Paleolitico al Neolitico
13
, l‟uomo occupava
nicchie ecologiche diverse, a seconda delle regioni e dei climi e, nei
limiti offertigli dall‟ambiente, l‟uomo viveva essenzialmente di caccia e
di pesca, ma quasi certamente doveva integrare la sua alimentazione
con i prodotti della raccolta.
Per quanto riguarda l‟organizzazione sociale, poiché la caccia ai grandi
animali, che l‟uomo praticava di preferenza, richiedeva la
collaborazione di un numero di cacciatori di gran lunga superiore al
ristretto nucleo familiare, é probabile che l‟unità sociale di base fosse
composta da più famiglie.
L‟era delle glaciazioni, quindi, modificarono la vita dell‟uomo in
base alle condizioni climatiche: la maggiore piovosità avevano
favorito l‟estendersi della foresta a scapito della savana. Anche la
fauna aveva subìto cambiamenti; alcune specie che nel corso delle
epoche precedenti avevano avuto un ruolo preponderante nella
sussistenza dell‟uomo, come il mammut, il rinoceronte lanoso, l‟orso
delle caverne, scomparvero del tutto, altre migrarono
14
. Colpite da
questi profondi cambiamenti verificatisi nel loro ambiente, la maggior
parte delle comunità umane si trovarono a dover affrontare una
situazione critica, specialmente nelle fonti di sussistenza; la caccia
svolgeva ancora un ruolo importante per l‟approvvigionamento, ma
non ne costituisce più la parte essenziale. A causa delle grandi
12
MORUS, Op. cit., p. 96.
13
Avvenuto in epoche diverse a seconda delle zone (in Asia occidentale all‟incirca 12000 anni prima
dell‟epoca attuale, mentre in Europa occorsero altri 3000 anni prima di assistere all‟insediamento delle
prime comunità agricole).
14
AA.VV., La storia ecc., Op. cit., pp. 99-101.
- 12 -
migrazioni di animali, perciò, gli uomini dovettero cacciare animali
che vivevano in gruppi meno numerosi, o addirittura esemplari isolati
(come cervi, caprioli, cinghiali). La caccia nelle foreste era senz‟altro
più difficile e meno fruttuosa rispetto a quella data alle renne durante
l‟epoca precedente, perciò l‟uomo divenne sempre più dedito alla
caccia della piccola selvaggina, come gli uccelli acquatici. La minore
resa di questa attività ebbe conseguenze anche sul piano sociale; le
comunità furono composte sempre più da un numero minore di
famiglie rispetto al passato, poiché la caccia nelle foreste richiedeva la
partecipazione di un numero più limitato di cacciatori e le prede
uccise non erano sufficienti ad assicurare la sussistenza di un gruppo
numeroso
15
.
Gli scavi riguardanti tale periodo hanno inoltre rilevato un dato
molto importante: alcuni gruppi praticavano un tipo di caccia non
soltanto specializzata nell‟inseguimento di una o due specie, ma anche
selettiva; i cacciatori uccidevano di preferenza animali in età avanzata
e giovani maschi, risparmiando le femmine per non compromettere la
riproduzione delle specie
16
.
Con il passaggio dal “protoneolitico” al Neolitico, si é assistito ad
una vera e propria “rivoluzione”: dall‟economia di caccia e raccolta si
é arrivati alla produzione del cibo
17
(tramite l‟agricoltura e
l‟allevamento
18
). Le cause di tale cambiamento sono da ritrovare in
diversi fattori concomitanti e collegati. La pressione demografica non
costituisce di per sé una spiegazione sufficiente, perché a quell‟epoca
la popolazione era ancora molto rada rispetto alle risorse disponibili.
15
Ivi, pp. 102-103.
16
Ivi, p. 105.
17
Ciò è accaduto nel Neolitico e nel Tardo Neolitico, epoca in cui anche la caccia perde la sua
importanza come fonte primaria di cibo.
18
Ivi, p. 107.
- 13 -
Anche le modificazioni climatiche, pur avendo sicuramente favorito
le trasformazioni produttive, non possono esserne ritenute causa
esclusiva. Queste realtà divennero determinanti forse solo nel
momento in cui si affermò il desiderio delle prime comunità
neolitiche di affrancarsi dalla totale dipendenza dai cicli naturali per
procurarsi il cibo.
Nell‟epoca greco-romana, la caccia assunse per gli Elleni un ideale
umano da seguire, denominato kaloskagathòs (perfetto, letteralmente
bello e virtuoso), importante per la paideia (educazione) del cittadino;
ma anche per i Romani assunse un significato fondamentale, quale
esercizio utile al corpo e allo spirito
19
. Tra i Greci, Platone affermava
che, a causa del tipo di società in cui egli viveva, che definiva “città
gonfia e malata” - che si è formata necessariamente col progredire del
benessere e del lusso -, si è originata la guerra, come conseguenza
inevitabile, una realtà di fatto. Egli affermava, quindi, la necessità di
una classe di soldati professionali, denominati “custodi”, proprio a
causa di tale condizione sociale. Il metodo educativo, quindi,
utilizzato da Platone, si fondava su esigenze di uno stato a regime
totalitario, in cui, appunto, uno degli elementi essenziali era il duro
esercizio fisico, al fine di conseguire la cosiddetta virtù
20
.
1.2 Evoluzione di metodi e tecniche nella caccia
Intorno ai metodi di caccia dei tempi preistorici possiamo fare
congetture che si basano in parte su scoperte di resti di armi e di ossa,
in parte sulle condizioni di vita degli attuali popoli selvaggi. Per la
mancanza di armi atte ad affrontare una lotta con gli animali dei
19
F. MASPERO, Bestiario antico: gli animali-simbolo e il loro significato nell‟immaginario dei popoli antichi, Casale
Monferrato (AL) 1997, p. 17.
20
AA.VV., L‟universale. La grande enciclopedia tematica. Filosofia, vol. I, Milano 2003, p. 298.
- 14 -
tempi primitivi, l‟uomo dovette sopperire in qualche modo alla sua
inferiorità di fronte all‟avversario, ossia con l‟astuzia.
Comunque, la quantità e il numero degli animali costituenti oggetto di
caccia sono mutati considerevolmente nel corso del tempo, come
pure gli strumenti ed i metodi venatori
21
.
Nell‟antichità, la caccia alla belva sarebbe inconcepibile senza una
truppa ben equipaggiata non solo di armi offensive, ma anche di
corazze e scudi, senza contare le torce e i tamburi per spaventare la
preda e le reti per immobilizzarla. Prima di arrivare a un assalto
sempre temibile, ci si sforza di tenere l‟animale ad una certa distanza e
di ferirlo da lontano con giavellotti o frecce che i cavalieri lanciano
passando al gran galoppo
22
. I persiani, nella caccia alle belve,
rinchiudevano gli animali, catturati con trappole, in parchi
appositamente attrezzati. Le belve che venivano liberate, portavano
spesso ferite conseguenti al morso delle trappole o a colpi ricevuti
durante la loro cattura. Private della libertà, troppo nutrite e forse
drogate, perdevano gran parte della loro aggressività
23
.
Inoltre trabocchetti, fossati ed altre simili trappole venivano a
togliere agli animali il valore della loro forza o agilità. In parecchi casi,
il cacciatore si slanciava sulla preda quando essa veniva a bere e la
feriva mortalmente da dietro; spesso vari uomini si univano per
abbattere con forze riunite gli animali più potenti
24
. Le buche, le
forme più semplici di trappole, furono usate sin dai tempi preistorici:
si scava una fossa con la dovuta ampiezza e profondità in luogo
adatto, ricoprendola poi con rami e fogliame, onde l‟animale
passandovi sopra, per la rottura del coperchio, precipita nel fondo e
21
H. KREMER, Op. cit., p. 319.
22
P. VIGNERON, Il cavallo nell‟antichità, tr. it, Milano 1987, p. 273.
23
Ivi, p. 276.
24
H. KREMER, Op. cit., p. 373.
- 15 -
viene così facilmente ucciso. Talvolta si piantava nel fondo un palo
appuntato, sul quale la vittima, cadendo, rimaneva infilzata. Gli
scrittori greco-romani (come Senofonte, Oppiano, ecc.) ricordano
svariate tipologie di reti (fisse, a caduta, ecc…) e lacci (in particolare
due forme: per il collo e per la zampa)
25
.
Più tardi, invece, nacque la caccia-inseguimento, forse ai confini del
mondo greco-romano, nei paesi stepposi dell‟Africa e del Medio
Oriente. In ogni caso, fu in questi vasti spazi disabitati, e quindi
propizi alle cavalcate sfrenate, che essa meglio si sviluppò. Il
cacciatore, perciò, si lanciava sulle tracce della selvaggina.
Inseguimento pericoloso, perché i cavalli (animali utilizzati più spesso
per tale tipologia di caccia), eccitati dalla corsa, s‟imbizzarrivano
facilmente.
Di tutti gli inseguimenti a cavallo, il più movimentato era quello
all‟asino selvaggio. Sotto l‟Impero Romano, i branchi d‟asini selvatici
del Nordafrica venivano ugualmente inseguiti per macellarli, essendo
la carne del giovane onagro, il lasilio, apprezzatissima. La caccia
all‟onagro era resa pericolosa dalle pietre che questa vigorosa
selvaggina proietta colpendo il suolo nella sua corsa sfrenata (da qui il
nome di una macchina da guerra romana, chiamata appunto
onagro)
26
. Inseguire la selvaggina su tutti i terreni e tentare di
ucciderla a colpi di frecce o di giavellotto costituiva già una bella
impresa per antichi cavalieri privi di staffe. Tuttavia sono riusciti a
fare di meglio: la caccia col lazo fu la forma più sportiva
dell‟inseguimento a cavallo. Era la sola tecnica grazie alla quale si
potevano catturare vivi animali il cui fiuto e la cui forza impedivano
di venire spinti verso le reti, come lo struzzo. Il lazo (laccio) é stato
25
Ivi, pp. 343-344.
26
P. VIGNERON, Op. cit., pp. 264-265.