1
INTRODUZIONE
I NTRODUZIONE
Qualità, sicurezza e tradizione: tre parole chiave nell’attuale scenario
competitivo del settore agroalimentare. Infatti, i consumatori rivolgono
sempre di più le loro attenzioni verso prodotti con caratteristiche di qualità,
di sicurezza e di quel giusto collegamento con la tradizione alimentare del
territorio che garantisce esperienza nella produzione di un alimento. Le
imprese si stanno gradualmente adattando a questo nuovo scenario, anche
perché, l’unico modo per poter competere a livello globale è attuando una
politica imprenditoriale basata, non più sulla produttività degli stabilimenti e
degli impianti, ma veicolando quella maggiore qualità e di conseguenza
salubrità dei prodotti alimentari italiani.
In questo scenario, sono di fondamentale importanza i distretti
agroalimentari, i quali sono lo scrigno delle migliori produzioni
agroalimentari italiane, possedendo nella loro organizzazione tutto quel
know-how, quella esperienza, quella maestria di produrre in questo caso
alimenti caratterizzati da alta qualità e da tradizionalità. Negli ultimi anni
però i distretti agroalimentari hanno subito molto la concorrenza
proveniente dai paesi in via di sviluppo, i quali però, basando la propria
strategia su produzioni a basso costo, vengono meno nel carattere della
qualità offrendo di contro prodotti a prezzi molto più bassi. Prezzi
insostenibili da parte delle imprese italiane, le quali non possono contare su
2
INTRODUZIONE
una manodopera a basso costo come le imprese cinesi e non possono
nemmeno puntare su una produzione intensiva, dal punto di vista agricolo,
che il territorio italiano non permette. Quindi, l’unica strada per l’economia
agroalimentare italiana e per i distretti agroalimentari, è quella di puntare
sulla qualità dei propri prodotti, valorizzandoli e veicolando quel ventaglio di
peculiarità, come la tradizione e il collegamento con il territorio e con
l’esperienza produttiva radicata nella zona, inimitabili da parte dei
competitor. E’ su questa linea che si muove una norma del 2001 che
prevede l’istituzione dei distretti agroalimentari di qualità: il giusto connubio
tra prodotti e territorio, qualità e tradizione, gusto e turismo, che può
garantire la sopravvivenza e l’evoluzione delle organizzazioni distrettuali
agroalimentari italiane, tentando di spostare l’attenzione dalle pratiche
prettamente correlate all’aspetto della produzione, ad un approccio
maggiormente rivolto a veicolare le peculiarità e le caratteristiche di qualità
del prodotto e del territorio da cui proviene quella determinata produzione.
Ed è proprio questo l’obiettivo che si propone questo lavoro:
procedendo nel primo capitolo ad un discorso generale sugli aspetti teorici
delle organizzazioni distrettuali, seguito, nel secondo capitolo, da una analisi
statistica del sistema agroalimentare e delle nuove tendenze di consumo, si
arriva ad analizzare nel terzo capitolo le organizzazioni distrettuali
agroalimentari, valutando le possibilità provenienti dalla nuova normativa in
materia di distretti agroalimentari di qualità. In seguito a questa prima
discussione teorico-statistica, si procederà invece nel quarto ed ultimo
3
INTRODUZIONE
capitolo, all’analisi concreta di un distretto agroalimentare come quello di
Nocera-Gragnano, per il quale, dopo una breve analisi statistica e una
esposizione delle precedenti attività distrettuali, si proporranno alcune
ipotesi di sviluppo, prevedendo in primo luogo la trasformazione del
distretto, in maniera sostanziale e non solo in maniera formale, da distretto
industriale a distretto agroalimentare di qualità, verificandone i presupposti
legislativi e proponendo così un nuovo modo di veicolare l’immagine del
distretto, ponendo maggiormente il focus sulla valorizzazione dei prodotti e
del territorio. Inoltre si proporranno ulteriori due ipotesi quali, lo sviluppo di
una Responsabilità Sociale di Distretto e la creazione di un Parco
Agroalimentare, entrambe sempre collegate a quella maggiore focalizzazione
dell’attenzione sugli aspetti della valorizzazione dei prodotti e del territorio,
in maniera tale da creare quella sinergia tra distretto, prodotti e territorio,
inimitabile da parte dei competitor stranieri e garanzia di un’enorme
vantaggio competitivo per le imprese distrettuali. Si propone quindi una
nuova immagine di distretto, il quale deve passare dall’essere semplicemente
un ente economico-produttivo, ad un ente economico-sociale, sempre più
coinvolto nella valorizzazione della propria terra e dei frutti che da essa
provengono, proponendo una visione dell’organizzazione distrettuale, più
attenta alla propria sostenibilità sociale ed ambientale, unico modo per
proporre prodotti di qualità in un territorio di qualità.
1- A SPETTI GENERALI DELLE
ORGANIZZAZIONI DISTRETTUALI
Nel corso degli anni, nella letteratura economica internazionale, il concetto di
“distretto industriale” è stato sempre al centro di un lungo dibattito, il quale ha
portato ad un numero elevato di contributi che hanno tentato di dare una
spiegazione a questo paradigma organizzativo industriale.
In questo primo capitolo si discuterà in linea generale, degli aspetti teorici
fondamentali riguardanti questa tipologia di organizzazione. Infatti, partendo da
una analisi della letteratura in materia di distrettuale, si procederà ad una
definizione degli stessi, effettuando un breve excursus delle differenti teorie e
dei differenti approcci che si sono avvicendati e che hanno contribuito ad
alimentare il dibattito sulle organizzazioni distrettuali.
Successivamente si porrà in atto un’analisi delle diverse tipologie di imprese
distrettuali, per poi analizzare il contesto normativo italiano in materia di
distretti e procedere, attraverso i dati ISTAT e dell’IPI – Istituto per la promozione
industriale, all’individuazione dei distretti industriali al fine di creare una
geografia delle organizzazioni distrettuali italiane e analizzarne la composizione.
5
1- ASPETTI GENERALI DELLE ORGANIZZAZIONI DISTRETTUALI
1.1 – I L CONCETTO DI DISTRETTO INDUSTRIALE
Gli studiosi, nel corso degli anni, hanno tentato in primo luogo di dare una
definizione appropriata di distretto, cercando di cogliere le caratteristiche
distintive e gli aspetti fondamentali di questo paradigma organizzativo. In
secondo luogo, hanno successivamente analizzato quelle che sono le
problematiche e le difficoltà che coinvolgono i distretti, ponendo il focus dei loro
studi in particolare sulla capacità degli stessi di superare le sfide imposte dalla
globalizzazione nell’ ”Era della Conoscenza”.
- L A TEORIA MARSHALLIANA E LE “ ECONOMIE ESTERNE”
Precursore nell’individuazione, analisi e studio del concetto di distretto
industriale è Alfred Marshall, il quale ha svolto un ruolo fondamentale nella
definizione e sviluppo delle differenti teorie sui distretti. Già negli anni ’20,
osservando i casi di aggregazione territoriale di piccole e medie imprese nell’area
tessile di Lancashire e nell’area metallurgica di Sheffield, Marshall introduce il
concetto di distretto industriale. Egli dedica un intero capitolo della sua opera,
“Principles of Economics” alla concentrazione di industrie specializzate in località
particolari, definendo per la prima volta queste località con il termine di
“distretto industriale”, il quale viene assunto come ”[…] una concentrazione
territoriale di numerose (piccole) imprese caratterizzate da una spinta
1.1.1
6
1- ASPETTI GENERALI DELLE ORGANIZZAZIONI DISTRETTUALI
specializzazione produttiva, unitamente ad una fitta rete di relazioni sociali ed
economico-produttive, di competizione e di cooperazione, ed alla facilità e
frequenza nei rapporti che consentono la rapida diffusione delle informazioni e
1
dei fenomeni innovativi […]”. Nel pensiero marshalliano, le due nozioni di
impresa e industria sono inseparabili poiché l’impresa non è mai considerata in
isolamento dalle relazioni socio-economiche né del settore, né del luogo al quale
appartiene.
Si sottolinea, dunque, l’aspetto socio-economico territoriale degli
agglomerati industriali, i quali non sono più definiti nella semplice compresenza
di industrie in un determinato territorio, ma vengono definiti attraverso una
analisi più ampia che concerne anche gli aspetti relazionali, sociali e di
collegamento con il territorio che non erano stati precedentemente presi in
considerazione e che invece risultano essere fondamentali per lo sviluppo delle
c.d. “economie esterne”, pilastri della teoria marshalliana sui distretti e
fondamenta della competitività di questi sistemi produttivi locali.
Le economie esterne consistono essenzialmente nel fatto che, la pluralità
degli attori presenti nel distretto, operando in un contesto concorrenziale
mitigato dalla presenza di una subcultura condivisa e radicata, conseguono a
livello sistemico, peculiari vantaggi competitivi che altrimenti, singolarmente non
2
sarebbero in grado di ottenere. I vantaggi economici da esse derivanti
1
Marshall A. (1920), “ Principles of Economics”, Macmillan, Basingstoke.
2
Ferrucci L. (1999), “Distretti industriali e economie esterne marshalliane: dall’approccio
strutturalista ad una visione evoluzionistica”, in Atti del Convegno “Il futuro dei distretti”,
Università di Padova, Dipartimento di Tecnica e Gestione dei Sistemi Industriali.
7
1- ASPETTI GENERALI DELLE ORGANIZZAZIONI DISTRETTUALI
concernono la riduzione dei costi di produzione, la riduzione dei costi di
transazione e attivazione di dinamiche innovative di tipo incrementale.
Specificamente le “economie esterne”, definite in questo modo poiché
esterne all’impresa ma interne al sistema distretto, si concretizzano in:
- Un mercato del lavoro altamente specializzato;
- Continui spillovers tecnologici e di conoscenza;
- Sussistenza di attività produttive e commerciali supplementari e
3
specializzate ;
Tali economie consentono di trarre vantaggi economici rilevanti provenienti dalla
concentrazione territoriale (locale) e della specializzazione (settoriale) che
promuovono la riproduzione delle competenze, la diffusione della conoscenza, lo
sviluppo di attività sussidiarie, l’impiego di macchinari specializzati, la formazione
4
di un mercato del lavoro specializzato e lo sviluppo di industrie complementari.
5
Quindi, come osserva Iannuzzi: “[…] gran parte dei benefici derivano, oltre che
dalla interazione tra aspetti economici, produttivi e socio-culturali e dalla
contiguità territoriale fra le imprese che ne facilita le attività relazionali e gli
scambi, anche dalla spinta divisione del lavoro in condizioni di sviluppo della
domanda e dalle conseguenti economie di specializzazione, unitamente ad un
tessuto specificamente locale di fattori di tipo storico-culturale, di un know-how e
3
Iannuzzi E., (2007), “Il sistema distrettuale tra declino ed evoluzione. Il caso Mezzogiorno: i
distretti di Nocera e Solofra”, CEDAM, Padova.
4
Lorenzini F. Sforzi F. (2002), “I distretti industriali” , in “L'esperienza italiana dei distretti
industriali”, ricerca promossa dal Ministero delle Attività Produttive e dall'IPI.
5
Iannuzzi E. (2007), op. cit., CEDAM, Padova, pag. 91.
8
1- ASPETTI GENERALI DELLE ORGANIZZAZIONI DISTRETTUALI
di competenze sedimentate che determinano ed alimentano negli operatori del
distretto, un comune senso di appartenenza al sistema territoriale[…]”.
Le economie esterne, dunque, svolgono un ruolo fondamentale nel
rafforzamento e costituzione del paradigma distrettuale, ponendosi alla base
dello stesso e consentendo il suo sviluppo. Nella loro forma canonica, le
economie esterne hanno le caratteristiche di essere:
- Esterne, alle aziende ma interne alla comunità locale;
- Diffuse, poiché non possono essere fatte proprie da alcun attore
individualmente
- Localizzate, poiché appartengono ad imprese ivi radicate
- Di carattere meramente manifatturiero, in quanto espressione di
relazioni di scambio tra imprese di tale natura;
- Condizionate fortemente da determinanti tecnologiche, di mercato e
socio-istituzionali solo in parte endogene al sistema distrettuale;
- Generate inconsapevolmente tramite l’operare dei diversi attori
6
produttivi locali;
Chiave di volta nella comprensione delle origini della nozione di economie
esterne nel pensiero marshalliano è data dall’inserimento dell’organizzazione tra
i fattori della produzione e dal riconoscimento della conoscenza come elemento
costitutivo. L’organizzazione sociale, e in particolare quella industriale, alla quale
Marshall rivolge la propria attenzione, è sottoposta a processi tali per cui “[…] lo
6
Ferrucci L. (1999), op. cit. , Università di Padova, Dipartimento di Tecnica e Gestione dei
Sistemi Industriali, Vicenza.
9
1- ASPETTI GENERALI DELLE ORGANIZZAZIONI DISTRETTUALI
sviluppo dell’organismo, sia sociale che fisico, comporta, da un lato, una
crescente suddivisione delle funzioni tra le sue diverse parti, e dall’altro una più
intima connessione tra di esse. Ciascuna parte diviene sempre meno auto-
sufficiente e dipende sempre più dalle altre per il proprio benessere; cosi che ogni
disordine che avvenga in una parte qualsiasi di un organismo altamente
sviluppato si ripercuoterà anche sulle altre parti. Questa accresciuta suddivisione,
o come si dice, “differenziazione” delle funzioni si manifesta, per quanto concerne
l’industria, nella forma della divisione del lavoro e dello sviluppo di capacità,
cognizioni e macchine specializzate; mentre, l’ “integrazione”, cioè la crescente
intimità e compattezza delle connessioni fra le singole parti dell’organismo
industriale si presenta sotto la forma dell’aumento del credito commerciale, e dei
mezzi e degli usi di comunicazione per mare e per strada, per ferrovia e per
7
telegrafo, mediante la posta e mediante la stampa[…]” . Quello che descrive lo
studioso è un doppio processo di progressiva differenziazione/integrazione che
coinvolge sia le relazioni verticali che le relazioni orizzontali dell’organismo
industriale, influenzandone insieme la sfera locale, che fa riferimento al
radicamento nel proprio territorio, e la sfera globale ovvero la visione
complessiva dello spazio competitivo. Viene così a configurarsi un organismo
dove il conseguimento delle economie nella produzione dipende meno dalla
dimensione della singola impresa che dal modo in cui la produzione è organizzata
localmente e interagisce con l’ambiente sociale e produttivo dove essa si svolge.
7
Marshall A. (1920),op. cit. , Macmillan, Basingstoke.