Copertina e progetto grafico: Marta Scalabrini
Tributo alla vetrina dei negozi Louis Vuitton dell’estate 2010 (tav.15)
e al celebre baule, icona della maison.
Illustrazioni: bozzetti originali di Michele Messori
elaborazione grafica di Marta Scalabrini
Comunicazione olfattiva: le pagine di questo volume sono profumate con Christian Dior - Hypnotic Poison
Prefazione
Questa breve trattazione si propone di fornire un quadro generale completo, seppur sintetico, del
mondo della distribuzione al dettaglio con particolare riferimento al mercato dell’abbigliamento e
degli accessori.
Il testo è diviso in due parti: la prima parte, dal titolo L’evoluzione del ruolo dello spazio
commerciale, ha l’obiettivo di offrire una visione panoramica sui cambiamenti che hanno
interessato il mondo della distribuzione in esame e in particolare l’evoluzione epistemologica del
concetto di “consumo”.
Parallelamente si analizza la figura del grande protagonista di questa trattazione, il consumatore, e
di come questi sia andato via via assumendo sempre maggior importanza nella determinazione
delle scelte strategiche delle imprese.
Una volta fissati questi punti cardine si procede all’analisi dell’interazione fra impresa e
consumatore, della relazione di corteggiamento, seduzione e conquista frutto di una partecipazione
attiva da ambo le parti. Per continuare nella metafora, il consumatore non è più la ragazzina
inesperta e ingenua che cede alle scontate lusinghe di un astuto corteggiatore – l’impresa – che
nulla deve fare se non offrirle un fiore e dirle qualche parola gentile. Ora il gioco si fa più difficile.
Richiede impegno e costanza da parte delle imprese per accontentare quella ragazzina fattasi
ormai definitivamente donna matura, consapevole e determinata a vedere i propri desideri e le
proprie ambizioni soddisfatti in tutti gli ambiti della vita.
Questa evoluzione porta l’impresa a doversi concentrare su un diverso modo per comunicare col
“nuovo” consumatore, in grado di sorprenderlo e di assecondare i suoi desideri sfruttando codici
lingustici verbali ma soprattutto non verbali. Da qui la scelta di toccare in questa trattazione aspetti
di comunicazione visiva, tattile, olfattiva ed uditiva.
Segue a questa parte di inquadramento generale una seconda sezione che potremmo definire “più
tecnica” dal titolo La progettazione di uno store. Questa vuole essere una sorta di “esercizio
guidato” che mette in pratica e dà forma concreta alle fondamentali basi teoriche esaminate nella
prima parte. Per fare questo si ripercorrono le fasi della progettazione e realizzazione di uno store
di abbigliamento partendo dalla scelta della location fino a giungere al posizionamento della merce
all’interno dello store e nelle vetrine.
Come in ogni corteggiamento che si rispetti, la scelta del luogo e dell’atmosfera di ogni
appuntamento sono fondamentali e hanno il potere di decretare il proseguimento o la rottura della
relazione. Il punto vendita, protagonista di questo seconda sezione, viene quindi delineato non più
come mero luogo di approvvigionamento bensì come opportunità irrinunciabile che l’impresa ha
per intavolare una relazione solida e duratura con il cliente.
Marta Scalabrini
Parte Prima
L’evoluzione del ruolo dello spazio commerciale
1. Breve storia degli scenari di consumo:
dal consumo razionale al consumo relazionale
“Tutte le società hanno sempre sprecato, dilapidato, speso e consumato
al di là dello stretto necessario per la semplice ragione che è nel
consumo di un’eccedenza, di un surplus, che l’individuo, come la società,
si sente non semplicemente esistere ma anche vivere”.
Jean Baudrillard, La società consumistica (1976)
1.1 Cenni storici: modernità e post-modernità
Per la comprensione dell’importanza di un approccio nuovo e competente alla progettazione del
punto vendita, appare fondamentale svolgere una riflessione sui cambiamenti che sono intervenuti,
in questi ultimi anni, nel mondo della produzione e del commercio di beni e servizi, nel sistema
sociale e negli atteggiamenti di consumo. Seppure a grandi linee, pare interessante ripercorrere le
tappe principali di questa evoluzione, con particolare riferimento al nostro Paese, a partire da
quegli anni Cinquanta che hanno visto la nascita dei consumi di massa.
È negli anni del dopoguerra che l’Italia, desiderosa di benessere e sicurezza, assiste al fiorire Gli anni
Cinquanta e
dell’industria, alla crescita economica e ad una conseguente riorganizzazione sociale. Sono questi
i consumi di
massa
gli anni del mito del sogno americano e del primo Carosello che entra nelle case vendendo l’idea di
una vita al sapore di Coca-Cola e al profumo di bucato fatto con una lavatrice Candy.
In questo panorama di benessere senza precedenti dovuto ad un arricchimento generale (in
contrasto con la penuria di altre epoche) prende forma l’era della modernità alla quale è ben presto
assegnato l’appellativo di società dei consumi, a testimonianza dal continuo dilatarsi del mondo
della produzione di merci, al quale prontamente risponde una crescente domanda di beni – di
1
consumo, appunto – quali automobili, elettrodomestici, vestiti .
Il valore
Questo boom economico mette in discussione il binomio domanda-offerta della teoria economica
simbolico
dei beni
classica che voleva gli investimenti del consumatore finalizzati ai beni di prima necessità. La spinta
sottostante l’acquisto era stata, fino ad allora, quella del soddisfacimento di un bisogno ed era
2
quindi motivata dalle caratteristiche di utilità e funzionalità del bene . Ora, poco a poco, i beni si
1
Verrà coniato il termine “consumismo” per indicare quella “inquietante patologia delle società
contemporanee che vuole l’innalzamento del consumo a valore e il perseguimento maniacale degli obiettivi di
consumo con tutte le proprie forze”. (Fabris, G., Il nuovo consumatore: verso il postmoderno, Franco Angeli,
Milano 2003)
2
È un concetto fondamentale della teoria economica classica: si tratta, in generale, di un uomo le cui
principali caratteristiche sono la razionalità e l’interesse esclusivo per la cura dei suoi propri interessi
individuali. L’homo oeconomicus è visto come "razionale" nel senso che egli persegue come obiettivo la
massimizzazione del suo proprio benessere minimizzando i costi.
1
caricano di un altro valore diverso da quello d’uso, un valore simbolico. Le posizioni sociali
divengono valutabili concretamente in termini di oggetti detenuti e la qualità della vita stessa è
identificabile col possesso di beni. E se il consumo diviene vincolo di integrazione sociale, i luoghi
della vendita assumono un ruolo sempre più determinante come canale privilegiato di
comunicazione e socializzazione. Basti pensare che la Rinascente di Milano nel 1954 organizzava,
all’interno dello spazio di vendita, mostre, allestimenti culturali e premi come il Compasso d’Oro,
riconoscimento per quei prodotti che si erano distinti per particolari valori estetici e tecnici.
Passano gli anni e arriva il Sessantotto, simbolo del rovesciamento dell’ideologia di consumo come
veicolo di integrazione sociale, che apre le porte all’idea di flessibilità (in contrapposizione con la
razionalità del homo oeconomicus dell’economia classica) e di indipendenza.
La Si dà vita a prodotti dalle forme nuove e leggere che rappresentino meglio una popolazione
segmentazione
sempre più dinamica. Dal punto di vista sociale e dei consumi comincia ad emergere una forte
del mercato
diversificazione di stili di vita, ideologie e comportamenti: la società evolve mutando i propri valori,
sentimenti, linguaggi e abitudini ai quali dà pronta risposta la segmentazione del mercato.
Siamo ormai giunti agli anni Ottanta in cui si assiste all’attribuzione di un ulteriore e nuovo
significato al possesso. Possedere un bene non significa più (solo) mostrare il proprio potere
economico e quindi il proprio status sociale; possedere un prodotto significa rappresentare e
comunicare il proprio stile di vita.
“L’oggetto del consumo ha perso o diminuito la valenza di merce e di funzione di status symbol
che possedeva nella società industriale, per aprirsi a un’infinità di valenze simboliche. Il consumo è
diventato un modo di esprimere l’affetto, la nostalgia, la cultura, l’amore”. (Di Nallo, 1984)
Le merci devono quindi essere in grado di esprimere un senso sociale e culturale e diventare
Nuovi significati
del possesso e
polisemiche, dotate di un proprio significato al quale può aggiungersi qualunque altro significato il
delle merci
consumatore voglia attribuir loro. Ogni prodotto - un abito o un accessorio sono esempi
emblematici - deve essere in grado di concorrere alla produzione di una più ampia gamma di
significati che variano a seconda dei contesti sociali e delle differenti relazioni che gli individui
possono instaurare.
“Per il solo fatto che c’è società, ogni uso è convertito in segno di quest’uso [ma] una volta
costituito il segno, la società può benissimo ri-funzionalizzarlo, parlarne come oggetto d’uso”.
(Barthes, 2005)
Per questo non stupisce vedere indossare un prodotto di fascia alta insieme ad uno di fascia bassa,
un jeans di seconda mano sotto ad una giacca di Armani o un vestito di Zara con una borsetta di
Louis Vuitton. Sono questi comportamenti “complessi e turbolenti” a rappresentare la dimensione
di fondo della post-modernità e a rendere evidente l’inadeguatezza di modelli di consumo che non
2
tengono conto della trasversalità. Il consumatore come sinonimo di materialismo e razionalità i cui
comportamenti erano facilmente riconducibili a modelli su cui calibrare la progettazione e la
produzione tanto caro alla cultura della modernità cede il passo, nella post-modernità, al suo
opposto. La natura attuale dei comportamenti di consumo apparentemente contraddittori è
comprensibile se se ne inserisce l’analisi all’interno del percorso del singolo individuo, dei gruppi
socio-culturali a cui appartiene o aspira e dei segni che ritiene più indicati per comunicare tutto
questo: dall’abito che indossa, alla musica che ascolta, allo sport che pratica, al luogo in cui va in
vacanza.
“Si può parlare di cultura del consumo quando questo cessa di essere una semplice appropriazione
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di profitti e valori d’uso per divenire consumo di segni e immagini”. (Featherstone, 1994)
Possiamo concludere dicendo che il consumo post-moderno si muove tra due dimensioni non
separabili: una concreta e materiale e una simbolica dovuta al significato che il consumatore dà ai
beni. L’uso concreto di questi beni non è più riducibile alla loro funzione in quanto tale ma si carica
di senso, messaggi, emozioni e desideri che segnano la vita del consumatore il quale attribuisce
loro un valore che va oltre quello sintetizzato dal prezzo.
1.2 Il nuovo consumatore
Con gli anni Novanta il clima socio-culturale e le mutate condizioni economiche producono
un’importante svolta nell’analisi del consumo. Il consumatore, più autonomo e competente, non è
più considerato solo ricettore passivo ma coprotagonista di una sorta di “dialogo con le merci”,
cosciente dei propri bisogni, sempre più complessi, in cerca di prodotti di qualità tangibili ed
Autonomo
intangibili. Il nuovo consumatore è divenuto autonomo. Le sue scelte non sono più subordinate
alla produzione della quale il consumo moderno era una variabile dipendente a lla quale la
produzione attribuiva significati alla cui elaborazione l’utente finale non contribuiva affatto. Egli
rivendica la discrezionalità nelle sue scelte e pretende un dialogo con chi produce. Questo
Competente
consumatore è un interlocutore competente che ha acquisito informazioni, conoscenze e sensibilità
verso i molteplici aspetti del prodotto, dalla provenienza delle materie prime, alle performance, alla
qualità. Le implicazioni per il produttore non sono di poco conto. Il consumatore non è più esigente Esigente
in termini di quantità alla quale si può rispondere con la produzione di massa di beni da
consumare; è divenuto esigente in termini di qualità in ogni suo aspetto compreso quello della
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Selettivo e
qualità del servizio. Per potersi destreggiare tra l’iper-offerta di marche e prodotti ha dovuto
distaccato
imparare ad essere selettivo nella scelta e distaccato nelle valutazioni in base ad una
personalissima scala di giudizio che genera un ristretto ventaglio di marche fra cui optare. E a
3
Featherstone, M., Cultura del consumo e postmodernismo, Roma, Edizioni Seam, 1994
4
È qui necessario sottolineare che qualunque discorso sui consumi non può prescindere dall’osservazione dei
servizi che sono ormai pienamente inglobati nei beni e nell’uso che di questi viene fatto. A testimonianza di
ciò basti pensare alla quantità di risorse che in essi vengono investite.
3
farne le spese è ancora una volta il produttore che vede la fedeltà aprioristica alla marca messa in
discussione. In conclusione, riprendendo e riassumendo quanto affrontato nel corso del capitolo,
Orientato in possiamo definire il consumatore orientato in senso olistico. Nella presa di decisione considera
senso olistico
tutte le dimensioni coinvolte nella loro totalità. Ciò significa che alle dimensioni tangibili si
affiancano, assumendo sempre maggior peso, quella serie di aspetti intangibili, valori simbolici e
significati sociali che fanno del consumo un metalinguaggio per comunicare la nostra identità.
1.3 Dai bisogni ai desideri
Nello scenario di mercato fin qui descritto, caratterizzato da una iper-offerta e da livelli prossimi, se
non oltre la saturazione, appare evidente quanto sia miope considerare i bisogni come i soli driver
Materialità del del consumo. Un bisogno è qualcosa di impellente il cui soddisfacimento non è differibile nel
bisogno e
tempo, ma la sovra-risposta che il mercato oggi fornisce al consumatore fa sì che egli sposti la
immaterialità
del desiderio
propria attenzione su altri aspetti. I desideri, appunto. Questi ultimi sono immateriali e differibili e
soprattutto sono, a differenza dei bisogni, assecondabili in molti modi e tramite i beni e i servizi più
disparati. Quanto fin qui descritto ha una fondamentale implicazione: ogni bene è potenzialmente
intercambiabile con un altro nel soddisfacimento dei desideri. Se ad esempio il mio bisogno è
quello di nutrirmi, pur potendo scegliere tra una vastissima gamma di prodotti alimentari, non
posso di certo mangiare un abito. Se il mio desiderio è invece quello di concedermi un piccolo
premio, disancorato da un bisogno specifico, posso decidere di soddisfarlo tanto con una scatola di
cioccolatini quanto con un paio di scarpe all’ultima moda, un pomeriggio in una Spa o una cena al
La competizione ristorante. In quest’ottica, nei mercati della postmodernità la competizione fra le imprese si
fra imprese
sviluppa a 360 gradi e ciò è destinato a condizionare a fondo il mondo della produzione e della
nella
postmodernità
distribuzione, che deve imparare a rapportarsi all’area dei desideri e non più a quella dei bisogni
per dialogare col consumatore.
“Per il mercato quel che conta non è il “bisogno” obiettivo – che del resto nessuno è in grado di
precisare se non ai limiti minimi di sussistenza – quanto il “desiderio” così come viene espresso. Gli
economisti anglosassoni nell’analisi della domanda fanno sempre riferimento ai wants e non ai
5
needs”. (Cipolla, 1997)
1.4 Emozioni e sentimenti
Come già ampiamente illustrato, la questione delle scelte di consumo è stata per lungo tempo
approcciata dal punto di vista dell’economica classica secondo il paradigma utilitaristico basato
sulla valutazione razionale che ha dato corpo a tutta una serie di modelli prescrittivi della presa di
Il contributo
decisione. Recentemente, alla tradizione di studio economica è andata affiancandosi quella
della psicologia
5
Cipolla, C.M., Storia economica dell’italia pre-industriale, Bologna, Il Mulino 1997.
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6
psicologica , grazie alla quale si è poco a poco appurato il ruolo cruciale giocato dalle emozioni. Le emozioni
Quest’ultime rappresentano un’alterazione della nostra affettività e si presentano improvvisamente
come reazioni ad uno stimolo esterno. Sono tanto repentine quanto condizionanti e, attraverso uno
squilibro psichico, possono alterare i nostri comportamenti.
Accanto alle emozioni la psicologia individua i sentimenti che hanno, rispetto alle prime, carattere I sentimenti
più stabile e duraturo nel tempo. Il sentimento rappresenta la componente affettiva di un
atteggiamento e può essere instaurato in seguito ad un’emozione provocata ad esempio dalla vista
di qualcosa: una vetrina, una pubblicità, il packaging di un prodotto. È quando l’emozione
scompare che può sorgere il sentimento caratterizzato da coinvolgimento emotivo, e simpatia o
antipatia per la marca. Ecco perché nelle strategie di marca le emozioni stanno assumendo sempre La necessità
di esperienze
maggior rilievo. Per attirare e trattenere a sé il consumatore, la marca deve generare esperienze
emotive
altamente emotive con l’intento di provocare l’insorgenza di quei sentimenti che condizioneranno il
comportamento immediato – si pensi agli acquisti ad impulso – ma anche l’atteggiamento a lungo
termine nei confronti della marca stessa. In breve la marca deve concentrare i propri sforzi sullo
sviluppo di una serie di strumenti che le consentano di dialogare con l’emisfero emotivo del
consumatore. Per fare ciò deve mettere a punto un linguaggio – anche non verbale – che parli alla
globalità dei sensi e disegni un’identità esclusiva, fortemente caratterizzata e diversa da tutte le
altre in grado di provocare al consumatore vibrazioni e stati d’animo positivi. Nel capitolo
successivo vedremo nel dettaglio come lo spazio di vendita rappresenti lo strumento più potente
per generare questi effetti.
6
Si veda a questo proposito l’ampia letteratura riguardante le ricerche motivazionali e tutto il filone noto con il
nome di Behavioral Decision Theory. Tversky, Kahneman, Shafir et alii. Questi lavori hanno prodotto
interessanti strumenti che consentono di rilevare natura e intensità delle emozioni che si provano, ad
esempio, entrando in un punto vendita. Esempi ne sono la DES (Differential Emotion Scale) o il PAD (Pleasure
Arousal Dominance).
5
2. Lo spazio commerciale:
da luogo di approvvigionamento a piattaforma relazionale
“In sintesi si può affermare che il contatto tra marketing e multisensorialità si fa sempre più stretto,
fino a giungere ad una vera e propria compenetrazione nel punto vendita multisensoriale.
In questo luogo i sensi vengono stimolati secondo un orientamento che tende al human retailing interaction,
inteso come l’interazione fra la fisicità corporea del cliente e il punto vendita,
tra la multisensorialità e il design […]”.
Karin Zaghi (2008)
2.1 Il concetto di shopping esperienziale
e le leve della dimensione spaziale e della dimensione sociale
Quante volte vi è capitato, magari dopo una giornata di lavoro intenso, di concedervi una sosta in
quel piccolo caffè del centro che profuma di biscotti alla cannella? O di ritagliarvi un’ora in pausa
pranzo per fare un salto in quella libreria dove gli altoparlanti diffondono sempre brani di musica
classica? O ancora di decidere di concedervi un pomeriggio di shopping in via Montenapoleone a
Milano dove i commessi vi aprono le porte dei negozi e sono estremamente gentili anche se sanno
che non comprerete nulla? Ebbene, sono queste evidenze empiriche di come il punto vendita non
possa più essere considerato un semplice luogo di approvvigionamento, un contenitore di prodotti
progettato per massimizzare la produttività dello spazio e svolgere la sola funzione logistica di far
passare la merce dalla produzione al consumo. Ciò che cerca il consumatore è sempre più
un’esperienza che gli consenta di impiegare in modo piacevole e soddisfacente il proprio tempo
libero, di trovare novità ed evasione dal quotidiano ma anche di trovare conferme alla propria
identità, così come socializzazione e stimolazione mentale.
Ancora una volta è merito delle discipline psicologiche, in testa la psicologia ambientale, se si è
giunti a riconoscere la presenza di un legame significativo tra luogo dell’acquisto (organizzazione
degli spazi e opportunità di interazione fisica e psicologica che si possono sviluppare all’interno) e
comportamento del consumatore.
Nel tentativo di cogliere questi aspetti, la letteratura del marketing ha coniato termini come
Le leve
dell’experience
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shopping esperienziale o retailtainment , tutti a sottolineare la necessità di valorizzare a livello di
design:
dimensione
progettazione del punto vendita le caratteristiche e potenzialità di questa esperienza olistica. Per
spaziale e
dimensione
fare questo il design deve tramutarsi in experience design e giocare abilmente con l’azione
sociale
congiunta di due leve (Schmitt, 1999): la dimensione spaziale, costituita dagli aspetti ambientali
(materiali e non) del punto vendita, e la dimensione sociale, cioè quella fitta rete di relazioni,
7
Donovan e Rossiter, 1982; Babin et al., 1994, 1995; Castaldo e Botti, 1999; Arnold e Reynolds, 2003.
8
Napolitano e De Nisco, 2003.
6
dirette e indirette, che il soggetto instaura con il personale di vendita e con gli altri clienti del
negozio. Seguendo tale approccio non si può che giungere ad un radicale cambiamento nelle
logiche gestionali dei luoghi del consumo ed elevare una volta per tutte il punto vendita a canale
privilegiato di comunicazione e interazione.
2.2 Spazio sperimentato, spazio percepito, spazio immaginato
Dopo aver visto come è mutata la figura del consumatore e quali sono le sue nuove esigenze in
termini di desideri e di esperienze olistiche, è importante fare alcune precisazioni con l’obiettivo di
aiutare chi si accinge ad affrontare il non facile compito di progettare uno punto vendita.
Design come
La costruzione di uno spazio non è più da interpretarsi come semplice disegno e installazione di
costruzione di
significati
strutture per definire un layout, ma piuttosto come una costruzione di significati dello spazio fatta a
quattro mani attraverso il dialogo tra progettista e consumatore. Se è vero che il designer progetta
concretamente lo spazio, è altrettanto vero che è il cliente che lo interpreta e lo vive in maniera del
tutto personale e soggettiva. Per progettare un punto vendita è perciò fondamentale individuare
cosa influenzi il processo di attribuzione di significato che il cliente opera: il vissuto personale, il
livello culturale, lo stato d’animo contingente e, non ultime, le aspettative generate da una
sapiente comunicazione di marca.
Ora, il punto su cui vorremmo soffermarci è il seguente: non sempre l’idea di uno spazio che si
trova nella mente del designer coincide con la lettura che ne dà chi lo fruisce. L’analisi proposta
dalla psicologia ambientale distingue tra spazio sperimentato, percepito e immaginato.
Lo spazio
Lo spazio sperimentato coincide con l’uso effettivo di un dato luogo fisico, in termini di movimento,
sperimentato
azioni, comportamenti. Va dai percorsi di esposizione ai tempi di passaggio e sosta nelle varie aree,
dai tempi di attesa per la vendita assistita alle code alle casse, dalle cabine prova alle colonnine di
informazione interattive. In concreto, l’approccio esperienziale propone l’osservazione diretta come
strumento di verifica di coincidenza fra lo spazio pensato dal designer e lo spazio sperimentato dal
cliente. Per fare questo si può ricorrere alla visione di fotografie, riprese video o osservazione in
loco del comportamento che il consumatore tiene nell’interazione fisica con lo spazio.
Lo spazio
Lo spazio percepito riguarda la dimensione esperienziale e comprende tutte le percezioni delle
percepito
stimolazioni polisensoriali presenti nello spazio e le emozioni che ne derivano. Uno spazio può
essere percepito come freddo, caotico, buio, odoroso, o ancora silenzioso, caldo, accogliete e così
via. Questo può, ad esempio, invitare ad entrare o intimorire e costringere ad uscire. Può indurre
ad abbassare la voce (si pensi al silenzio a cui siamo indotti entrando in un museo o nella sala
d’attesa di un medico) o, ancora, trasmettere un’idea di freschezza e pulizia (si pensi alla
temperatura e alla luce “glaciale” di una pescheria o alle “fresche fragranze” di una profumeria).
Sul piano pratico, per la rilevazione della coincidenza fra le intenzioni del designer e lo spazio
percepito non è sufficiente l’osservazione diretta. Può risultare efficace ricorrere a strumenti quali
l’intervista o il questionario tenendo comunque presente che non è sempre facile per il cliente
esprimere le proprie impressioni, emozioni e sensazioni.
7
Infine lo spazio immaginato, che riguarda la dimensione che il cliente si figura con la mente per
Lo spazio
immaginato
confrontare esperienze pregresse o per trovare conferme, attraverso rappresentazioni mentali,
dell’immagine di una marca. Lo spazio immaginato è legato a tutta quella serie di aspettative e di
costruzioni mentali che il cliente ha di un “negozio ideale”, di quello che vorrebbe trovarvi, del
servizio che vorrebbe ricevere. Una ragazza appassionata di moda che si reca a Parigi per la prima
volta sarà sicuramente carica di aspettative e curiosità per la visita alla boutique Dior al 30 di
Avenue Montaigne e avrà già ben chiara in testa l’idea di quello che troverà, dalla soffice moquette
sul pavimento agli abiti ordinatamente appesi, fino alla cortesia del personale. Allo stesso modo, la
cliente abituale di Zara che si trova in vacanza e ha bisogno di un vestito per una serata tra amici
sa che le basterà recarsi nel punto vendita più vicino per trovare qualcosa che possa essere adatto
alla serata a un prezzo per lei ragionevole. E non solo. Sa anche che gli abiti da cocktail di Zara
Woman saranno al piano superiore e non certo accanto a quelli di Zara TRF. In ultimo, se su una
vetrina oscurata della nostra città troneggia la scritta “prossima apertura libreria con caffè”, nella
nostra mente rievocheremo con entusiasmo immagini viste in qualche film o durante un viaggio a
New York e andremo all’inaugurazione per vedere se quello potrà diventare il nostro “baretto
preferito”. Questi sono solo alcuni tra i molteplici esempi di aderenza al format che avremmo
L’aderenza al
format e il
potuto fare. L’analisi dello spazio immaginato dal cliente può avvenire ancora una volta tramite
“negozio ideale”
interviste e questionari che chiedono al consumatore di descrivere, con ricchezza di dettagli,
evocazioni del loro “negozio ideale”. L’analisi è molto efficace per valutare l’effettiva vicinanza del
format di punto vendita proposto rispetto alle caratteristiche del negozio preferito, ideale o di
riferimento.
In conclusione, una parte fondamentale del lavoro del progettista è l’analisi dello spazio nella sua
triplice valenza per poter, una volta deciso quali sono i comportamenti che vuole indurre nel
cliente, gestire le contingenze ambientali per ottenerli.
2.3 L’insufficienza dei codici linguistici espliciti e verbalizzati nel ruolo
comunicativo del punto vendita: l’esigenza della comunicazione
non verbale
Quanto fin qui esposto ha evidenziato che il punto vendita è una piattaforma relazionale, un vero e
proprio veicolo di comunicazione, in cui il cliente può (e vuole!) vivere esperienze multisensoriali ed
emotivamente coinvolgenti. All’interno del punto vendita i clienti interagiscono con l’ambiente –
spazio architettonico, personale di vendita e altri avventori presenti nel negozio – prima ancora che
col prodotto. Ogni elemento dello store design, direttamente o indirettamente , influenza le
percezioni e il comportamento del cliente in termini di acquisti effettuati, immagine di marca e
qualità percepita, tempo speso in negozio, e via dicendo.
Per affrontare l’argomento di questo paragrafo è necessario ancora una volta vedere, seppur per
brevi cenni, l’evoluzione del ruolo dei sensi e del loro coinvolgimento nell’atto di acquisto.
La
Contestualmente alla valorizzazione dei sentimenti e all’irrompere del ruolo delle emozioni nella
riabiloitazione
della fisicità cultura e nei mercati (vedi paragrafo 1.4), si assiste ad un processo di progressiva riabilitazione di
8