4
nonché sono illustrati i processi di reazione dei consumatori a tali
forme di comunicazione.
Infine, il quarto capitolo riporta i risultati della ricerca empirica
realizzata per comprendere le modalità di comunicazione ingannevole
del prezzo usate dalle imprese. Dopo un'accurata selezione di tutte le
decisioni dell' A.G.C.M. relative a questo argomento nel periodo 1992
- 2000 si è proceduto alla loro analisi e alla successiva individuazione
di quattro diverse categorie di uso ingannevole del prezzo nella
comunicazione.
Riteniamo che il presente lavoro possa presentare implicazioni
significative sia per le imprese, per indirizzare la loro attività di
comunicazione del prezzo, sia per le associazioni dirette alla tutela dei
consumatori in quanto possono ottenere alcune indicazioni precise
circa la portata del fenomeno e quindi individuare elementi nei
confronti dei quali richiedere interventi di tutela.
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CAPITOLO 1.
LA PUBBLICITA' INGANNEVOLE:
UN'ANALISI DELLA DISCIPLINA
VIGENTE NEL NOSTRO PAESE
1 Premessa
La pubblicità rappresenta un efficace ed insostituibile mezzo di
diffusione dei prodotti nell'uso quotidiano degli individui, e può
essere vista come uno dei fattori determinanti per la vita delle imprese
e per la consapevolezza del consumatore. Con lo sviluppo della
tecnologia risulta essere sempre più facile comunicare con le persone,
tuttavia tale progresso, se da una parte ha portato alla crescita della
comunicazione di massa e dei mezzi per attuarla, dall'altra ha portato
alla moltiplicazione dell'uso illecito e dannoso della pubblicità,
influenzata a sua volta dalla fantasia dei pubblicitari e degli uomini di
marketing. Si è assistito alla diffusione di un genere di pubblicità che
non dice il vero, che ha il solo scopo di far vendere, ingannando però
il consumatore. Si cerca cioè di circondare il prodotto o il servizio
reclamizzato da una falsa realtà, capace di influenzare le scelte
dell'acquirente ma non suscettibile di verifica se non con l'acquisto del
prodotto reclamizzato.
Per cercare di evitare che questo genere di pubblicità, cioè la
pubblicità ingannevole, possa svilupparsi più del dovuto, e per
cercare di avere una forma pubblicitaria corretta, conforme al suo
scopo che in fondo è quello di informare, promuovere, convincere, in
modo corretto e veritiero, si è sentita l'esigenza, prima a livello
Comunitario, con la Direttiva CEE del 10 Settembre 1984, n. 84/450,
poi a livello nazionale con il Decreto Legislativo del 25 Gennaio
6
1992, n. 74
1
, di avere una legislazione sulla pubblicità ingannevole.
Tale legislazione mira a reprimere tale genere di propaganda, e a
tutelare l'interesse dei consumatori lesi.
Nel presente capitolo sarà analizzata l'evoluzione che ha portato dalla
Direttiva CEE del 10 settembre 1984 n.450 al Decreto legislativo
italiano del 25 gennaio 1992 n.74, per poi approfondire il testo del
Decreto in questione.
2 Situazione nazionale prima della Direttiva
CEE 10 settembre 1984, n.84/450.
In Italia le prime normative riguardanti la pubblicità risalgono agli
anni Venti, e prevedevano il ricorso alla censura preventiva dei
messaggi, con limitazione tuttavia ad alcuni settori merceologici.
Anche nel Secondo dopo guerra gli interventi e le novità di natura
legislativa su tale materia furono assai scarsi. Molte controversie a
quel tempo venivano risolte con leggi di natura civile che ancor oggi
vengono attuate; gli unici soggetti tutelati erano gli imprenditori che
chiedevano l'intervento del giudice contro messaggi che ritenevano
sleali e non era prevista nessun tipo di tutela per i consumatori lesi
che erano in buona fede.
In totale , o quasi, assenza di un ordinamento giuridico sulla materia
della pubblicità, gli operatori pubblicitari hanno sentito l'esigenza di
darsi comunque delle regole di comportamento, facendo nascere così
l'Istituto dell'Autodisciplina Pubblicitaria. Si tratta di un ente che ha
creato nel 1966 un codice che è per l'appunto il Codice di
Autodisciplina Pubblicitaria, il quale ha per oggetto la repressione di
ogni tipo di pubblicità che leda gli interessi dei soggetti interessati, e
tra queste anche la pubblicità ingannevole.
1
Per l'elaborazione del presente capitolo abbiamo fatto riferimento al testo "La
repressione della pubblicità ingannevole (Commento al d.lg. 25 gennaio 1992 n.
74)" a cura di Vincenzo Meli, 1994, G.Giappichelli Editore - Torino.
7
E' solo quindi a partire dalla seconda metà degli anni '60 che l'Italia ha
creato una regolamentazione, anche se di natura privata, avente come
obiettivo la repressione della pubblicità ingannevole, tuttavia le norme
contenute in tale codice non sono mai state sufficienti a tutelare il
consumatore a ricevere una informazione veritiera ,corretta e
affidabile.
L'impulso alla creazione di una legge nazionale che regolamentasse la
pubblicità ingannevole, è avvenuto con la Direttiva Comunitaria del
10 settembre 1984, n.84/450, la quale nasce grazie alla Carta Europea
di protezione dei consumatori (ris 543/73 ) che si focalizza appunto
su questi ultimi e riconosce loro quattro diritti fondamentali:
1. diritto alla protezione e all'assistenza dei consumatori che si deve
manifestare in un agevole accesso alla giustizia ed in una
razionale amministrazione di essa. I consumatori devono essere
protetti da ogni danno economico o materiale loro provocato da
beni di consumo;
2. diritto al risarcimento del danno sopportato per la circolazione di
prodotti difettosi o per la diffusione di messaggi menzogneri,
erronei, decettivi;
3. diritto all'informazione e all'educazione sulla qualità dei prodotti,
l'accertamento della identità dei fornitori;
4. diritto all'assicurazione della rappresentanza dei consumatori in
numerosi organismi e la possibilità di esprimere direttive a livello
di scelte politiche ed economiche inerenti la disciplina dei
consumi.
La Direttiva inoltre si pone come obiettivo quello di creare una
disposizione legislativa comune a tutti gli Stati membri della CEE,
dato che esistono differenze tra i vari paesi su come disciplinare tale
tipo di pubblicità, e quindi ha il principale obiettivo, oltre che nella
tutela dell'interesse economico, morale del consumatore, anche nel
raggiungimento di un'uniformità nella regolamentazione sulla
8
pubblicità ingannevole, indipendentemente da quando venga poi
attuata nel paese membro.
In Italia tale Direttiva è stata attuata solo nel 1992 con il Decreto
Legislativo del 25 gennaio n.74, il quale ha portato anche nel nostro
paese una normativa regolare per reprimere la pubblicità ingannevole.
3 Il Decreto Legislativo del 25 Gennaio
1992, n.74 sulla repressione della
pubblicità ingannevole.
Lo Stato italiano per molto tempo ha mantenuto un atteggiamento di
totale disinteresse verso il fenomeno pubblicitario, lasciando il campo
ad un sistema di autotutela , rimasta comunque da sola per decenni a
tutelare gli interessi dei consumatori, delle imprese e dei cittadini.
Negli anni più recenti le spinte consumeristiche e le Direttive
Comunitarie hanno portato all'emanazione di una serie di norme sulla
tutela della pubblicità tra cui il Decreto legislativo 25 Gennaio 1992,
n.74 sulla pubblicità ingannevole. Questa è la prima legge in Italia
che tende a tutelare gli interessi dei consumatori e delle imprese dalle
scorrettezze dei contenuti e delle modalità diffusive della pubblicità.
Lo scopo principe di tale Decreto è quello di tutelare a pari titolo i
consumatori, coloro che esercitano una attività commerciale,
industriale, artigianale o professionale, nonché gli interessi del
pubblico nella fruizione di messaggi pubblicitari, affermando che la
pubblicità deve essere palese, corretta e veritiera, trasparente. La
verità e correttezza della pubblicità sono deducibili dalla definizione
del loro contrario, cioè quando la pubblicità viene considerata
ingannevole, ed è tale ogni pubblicità che per promuovere la vendita
di un prodotto o di un servizio può indurre in errore i destinatari del
messaggio, può pregiudicare il loro comportamento economico, o
può ledere un concorrente, facendo leva su uno dei seguenti fattori,
come il prezzo ( che sarà oggetto di studio nella presente tesi ), le
caratteristiche di fabbricazione, la disponibilità di beni da parte
9
dell'operatore commerciale, l'origine geografica e la destinazione dei
beni, i risultati dei test fatti sugli stessi, i diritti di proprietà
intellettuale, l'identità e consistenza patrimoniale dell'operatore
commerciale. Importante è anche l'attribuzione di pubblicità
ingannevole a quella che tralascia di informare i consumatori sulla
pericolosità derivante alla loro salute e sicurezza dall'uso di certi
prodotti pericolosi, come è anch'essa importante per la protezione
degli individui che, a causa della loro posizione oggettivamente
debole, o per la loro inesperienza, o vulnerabilità possono essere più
soggetti agli effetti di una pubblicità ingannevole.
Nel Decreto vengono infine individuati i mezzi adeguati per tutelare il
consumatore e forniti gli strumenti giudiziari per reprimere una
pubblicità che abbia leso dei diritti con l'organo del "Autorità Garante
della Concorrenza e del Mercato", che può intervenire di propria
iniziativa, o sulla base di segnalazioni ricevute.
3.1 Articolo 1: finalità del Decreto Legislativo
n.74/92
" 1. Il presente decreto ha lo scopo di tutelare dalla pubblicità
ingannevole e dalle sue conseguenze sleali i soggetti che esercitano
un'attività commerciale, industriale, artigianale o professionale, i
consumatori e, in genere, gli interessi del pubblico nella fruizione di
messaggi pubblicitari.
2. La pubblicità deve essere palese, veritiera e corretta."
Questo primo art. riproduce fedelmente il primo della Direttiva
Comunitaria dove si vuole tutelare "il consumatore e le persone che
esercitano un'attività commerciale, industriale, artigianale o
professionale, nonché gli interessi del pubblico in generale dalla
pubblicità ingannevole e dalle sue conseguenze sleali". Per prima cosa
viene delineato un profilo di tutela per i destinatari della
comunicazione pubblicitaria contro le scelte che possono recare un
danno economico ,indotte da una falsa realtà. Contemporaneamente si
10
cerca nel primo articolo di tutelare la relazione tra chi diffonde la
pubblicità, l'imprenditore, ed i suoi concorrenti per il pregiudizio che
la pubblicità ingannevole può recare sotto il punto di vista
patrimoniale. Il ricorso alla pubblicità ingannevole rappresenta infatti
una classica violazione delle regole del gioco in un mercato leale, in
quanto con l'inganno verso i consumatori si vuole cercare di prevalere
sugli altri imprenditori concorrenti e quindi mettere in pericolo la loro
sopravvivenza e quella dell'intero sistema concorrenziale all'interno
del mercato.
Siamo arrivati a vedere come la pubblicità e il mercato siano
strettamente legati, infatti la comunicazione è il modo usato dagli
imprenditori per stimolare ed orientare la domanda dei loro beni, e
quindi il mezzo più idoneo ad influenzare le condizioni generali del
mercato. Basti pensare come una spesa fatta in pubblicità da parte di
un imprenditore può creare delle barriere all'entrata in un settore,
oppure può essere usata per rafforzare una posizione dominante o
sfruttare il proprio potere di mercato. Essa può portare al benessere dei
consumatori se fatta regolarmente e correttamente, infatti è capace di
fornire informazioni sui prodotti, mentre diviene più difficoltosa
quando tende solo a persuadere gli acquirenti; nel primo caso viene
fatta con la sola finalità di informazione, nel secondo si tende ad
attuare il così detto consumer welfare o benessere del consumatore,
che è legato a dei comportamenti che mirano a colpire solo il gusto dei
consumatori. Quindi vediamo come il d.lg.n.74/92 pone l'esigenza di
tutelare i precisi interessi dei soggetti coinvolti, primo tra tutti quello
dei consumatori.
La pubblicità non assolve solo una funzione di promozione delle
vendite, ma nei mercati moderni dove c'è un enorme distanza tra
produttore e consumatore finale, tale mezzo ha il fondamentale
compito di fornire informazioni sull'esistenza, la natura e l'utilità dei
prodotti idonei a soddisfare determinati bisogni, e quindi l'inganno
pubblicitario può arrivare a sporcare il flusso delle informazioni che la
11
pubblicità intende trasmettere al pubblico, rendendo quest'ultimo
diffidente e scettico.
Quindi vediamo come al fine di reprimere tale tipo di pubblicità
vengono presi in considerazione gli interessi dei consumatori, dei
concorrenti e del pubblico in generale. Ed ora è necessario definire se
tali interessi si trovano a giacere su uno stesso gradino di una scala
rappresentante la loro tutela oppure se esistono delle differenze. Se
viene guardata la situazione così come enunciata nell'art.1 del d.lg.
sembra trasparire un equiparazione di detti interessi, però la direttiva
accolta sembra aver assunto come obiettivo primario quello della
tutela del consumatore piuttosto che del concorrente. Ciò emerge non
tanto dal fatto che nella parte introduttiva della legge si parla solo
degli effetti che la pubblicità ingannevole può portare al consumatore,
ma anche per come la lesione dei suddetti interessi e gli effetti della
comunicazione pubblicitaria su di esso risultano avere una particolare
considerazione. Infatti nell'Art.2, che esamineremo di seguito, quando
viene enunciata la definizione di pubblicità ingannevole vengono presi
come riferimento per tale valutazione i destinatari del messaggio
pubblicitario e vengono considerati gli effetti pregiudizievoli che
potrà avere su di loro.
L'articolo che stiamo commentando deve essere letto con la seguente
chiave e cioè che i consumatori devono essere protetti contro la
pubblicità ingannevole, e i concorrenti contro le conseguenze sleali di
tale inganno. L'art.2, che vedremo meglio nel dettaglio, nel definire
tale genere di comunicazione si esprime infatti in termini di avvenuta
o potenziale lesione del concorrente, e la tutela riconosciuta dal
decreto sembra individuare come lesione del concorrente uno
sviamento della clientela.
Il secondo comma dell'art. che stiamo esaminando contiene
l'affermazione principe, e cioè che la pubblicità dovrebbe essere
palese, veritiera e corretta. Per quanto riguarda la natura palese della
pubblicità si può rinviare al commento dell'art.4 che approfondisce
12
questo argomento. Più che altro il presente articolo è interessante per
il concetto di verità dei contenuti del messaggio. Esso può
comprendere forme di falsificazione della realtà, anche se non è detto
che ogni affermazione non vera possa essere considerata ingannevole,
secondo la definizione dell'art.2. La norma ha voluto richiamare
l'attenzione sull'esigenza che la comunicazione pubblicitaria deve
essere sincera, non rinunciando alle tecniche di persuasione, col loro
corredo di informazioni paradossali, metaforiche, e a volte false. Più
problematica è l'individuazione del principio di correttezza, che non
trova in tutto il decreto una propria collocazione e spiegazione, cosa
che invece viene evidenziata nella Legge Spagnola di attuazione della
Direttiva CEE. Secondo quest'ultima è scorretta quella "pubblicità
contraria ai principi costituzionali di protezione della dignità umana",
facendovi rientrare la "pubblicità che induce a discriminazioni, che
pone l'individuo in posizione di sottomissione, passività, inferiorità o
di semplice oggetto erotico o, comunque, degradi la condizione
umana". Nel nostro ordinamento sembra che il requisito della
correttezza non abbia niente a che fare con l'ingannevolezza del
messaggio pubblicitario e il principio serve solo a definire i termini di
tutela, quindi diciamo che prepara alla previsione di una
legittimazione ad agire dei portatori d'interessi, come meglio si vedrà
nell'analisi dell'art.7.
13
3.2 Articolo 2: definizioni
"1. Ai fini del presente decreto si intende:
a) per pubblicità, qualsiasi forma di messaggio che sia diffuso, in
qualsiasi modo, nell'esercizio di un'attività commerciale,
industriale, artigianale o professionale allo scopo di promuovere
la vendita di beni mobili o immobili, la costituzione di opere o di
servizi;
b) per pubblicità ingannevole, qualsiasi pubblicità che in qualunque
modo, compresa la sua presentazione, induca in errore o possa
indurre in errore le persone fisiche o giuridiche alle quali è
rivolta o che essa raggiunge e che, a causa del suo carattere
ingannevole, possa pregiudicare il loro comportamento
economico ovvero che, per questo motivo, leda o possa ledere un
concorrente;
c) per operatore pubblicitario, il committente del messaggio
pubblicitario ed il suo autore, nonché, nel caso in cui non
consenta all'identificazione di costoro, il proprietario del mezzo
con cui il messaggio pubblicitario è diffuso."
La nozione di pubblicità proposta dal decreto riproduce quella della
direttiva, ed è la prima fornita dalla legislazione italiana, che è tra le
poche che a livello europeo hanno tale definizione.
La nozione di pubblicità data dall'art.2 fa riferimento ad una
comunicazione che può andare ad incidere sulla facoltà di scelta
dell'acquirente, "finalizzata a stimolare la domanda di beni o servizi",
rappresentata da messaggi promozionali, autoprodotti o commissionati
da imprese che esercitano attività commerciale o industriale, e che
viene diffusa al pubblico con mezzi tradizionali, come le affissioni,
stampa, radio, tv e presso i vari punti vendita.
Punto focale della nostra analisi è tuttavia il punto b) dell'art.2 il quale
definisce il concetto di pubblicità ingannevole. Affinché la pubblicità
sia tale è necessario:
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- che possa indurre o abbia indotto in errore i suoi destinatari, o i
soggetti che raggiunge;
- che la potenziale conseguenza dell'errore sia un pregiudizio
economico del consumatore.
- che sia idonea a ledere volutamente un concorrente.
Il consumatore svolge un ruolo centrale nello studio della repressione
della pubblicità ingannevole, e rientra anche nella lesione degli
interessi del concorrente e questo si ha quando si siano verificati i
primi due punti.
Con l'art.2 il legislatore ha voluto imporre una regola agli operatori
commerciali, per i quali è vietato incorrere a menzogna, falsificazioni
di vario tipo, esagerazioni, ambiguità all'interno della pubblicità
perché ciò può portare al manifestarsi di un danno contro i soggetti
interessati; devono anzi impegnarsi affinché la comunicazione sia
chiara ai destinatari, il che certamente non significa rinunciare
all'effetto di persuasione che caratterizza la pubblicità, ma solo evitare
che un interesse venga leso. La norma si esprime quindi in termini di
possibilità di generare un inganno e gli elementi sui quali si punta per
ingannare sono le caratteristiche dei messaggi e l'ingenuità o la non
conoscenza dei destinatari, i quali vengono visti come gli elementi
estremi per il giudizio di ingannevolezza.
Per arrivare a tale giudizio bisogna scomporre il momento
pubblicitario in più fasi, partendo dalla valutazione di tutti quegli
elementi che si ritengono influenti, e cioè:
1) la fonte;
2) il contenuto del messaggio;
3) il canale o mezzo di trasmissione;
4) i destinatari o audience;
5) l'effetto persuasorio.
Procediamo ora all'analisi punto per punto dei vari elementi sopra
indicati che costituiscono tutti insieme elementi che possono
influenzare l'ingannevolezza di una pubblicità.
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Al primo punto troviamo la fonte da cui nasce la comunicazione
pubblicitaria, ed il fatto che questa provenga da fonti autorevoli,
stimate, esperte può portare ad una migliore accettazione del
messaggio, e ciò vale sia per i soggetti che vengono usati, cioè i
testimonials, sia per l'impresa identificata nel messaggio, e quindi
profili d'ingannevolezza potrebbero originarsi nel suddetto elemento.
Per esempio il fatto che venga usato un esperto che attribuisce valore
ad un prodotto che non ha tali caratteristiche.
Al secondo punto abbiamo il contenuto del messaggio, del quale
vanno valutati non solo gli elementi letterali e verbali, ma anche le
immagini e i suoni. E' nella prima fase in cui viene dato un significato
al testo da parte di destinatari che si può creare un giudizio di
ingannevolezza; questo avviene, in teoria, quando l'inquirente accerti
l'esistenza di una affermazione mendace, o la mancanza
dell'informazione o di una avvertenza essenziale per la valutazione del
prodotto. Nella maggior parte dei casi la valutazione del contenuto del
messaggio non può essere effettuata se non con un accertamento della
realtà riferita al prodotto a cui si riferisce il messaggio, e
l'ingannevolezza o meno del messaggio non potrà che verificarsi
mediante l'accertamento della corrispondenza di tali affermazioni alla
realtà. Tutto ciò comporta il ricorso ad analisi ed indagini di natura
merceologica, fisica o chimica, o al fatto di fornire l'onere della prova
da parte dell'operatore commerciale. Comunque la maggior parte delle
volte l'ingannevolezza deriva da ambiguità di espressione, mezze
verità, false affermazioni o omissione di informazioni, le quali non
sono facili da accertare.
Il terzo elemento caratterizzante la valutazione della pubblicità è il
mezzo, e ciò la alla modalità tramite cui viene diffuso il messaggio. Il
mezzo però non costituisce base per impostare l'ingannevolezza e il
suo ruolo all'interno della valutazione di ingannevolezza è quello di
individuare l'audience, cioè i destinatari principali del messaggio.
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Il quarto elemento è l'audience, che rappresenta la parte più delicata da
analizzare nell'indagine sull'idoneità ad ingannare. Il Decreto oggetto
di analisi ha individuato l'audience nelle "persone fisiche o giuridiche
alle quali è rivolta o che esse raggiunge", e con questa espressione il
legislatore sembra aver voluto tutelare non solo il target della
pubblicità, ma anche i soggetti più generici che possono ricevere la
comunicazione; questo porta per l'appunto ad individuare una tutela
verso quei soggetti che vengono influenzati dal messaggio, e che
possono compiere azione che recherebbero loro un pregiudizio
economico. Il riferimento ai destinatari del messaggio fa applicare il
Decreto tutelando l'interesse di quei soggetti a cui si indirizza la
pubblicità anche se non sono soliti usare quel dato prodotto, infatti
molte volte ha come fine anche quello di attirare verso i consumi
tipologie di soggetti nuovi rispetto agli acquirenti tradizionali. Quindi
vediamo come, prima di analizzare gli effetti di una pubblicità
ingannevole, il fatto di individuare i soggetti su cui misurare
l'ingannevolezza dipende dall'analisi dei beni oggetto del messaggio.
Possiamo suddividere i prodotti tra experience goods e search goods, e
la considerazione della categoria di beni pubblicizzati va ad influire
sull'attenzione posta all'acquisto del bene e sulle indagini pre-acquisto
fatte dal consumatore e ciò contribuisce a determinare il tipo di
pubblicità che li andrà a colpire. La categoria più a rischio di inganno
è logicamente la prima, cioè, verso i beni non ad alto prezzo, perché
vengono scelti senza troppi ragionamenti a differenza degli acquisti
dei secondi, i quali sono beni più sofisticati, più costosi e sui quali si
ha un altro atteggiamento all'acquisto. Quindi vediamo come la
definizione di una serie di categorie di beni da pubblicizzare possa
determinare una serie di target di riferimento destinatari della
pubblicità, i quali però non sempre coincidono con il consumatore
finale del bene.
Il quinto elemento da considerare è l'effetto persuasorio della
pubblicità, il quale è il risultato della sommatoria di tutti i parametri
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analizzati sino ad ora. Come abbiamo visto fin ora l'obbiettivo
principe del Decreto 74/92 è quello della tutela degli interessi dei
consumatori, e questa arriva a prevalere sulla libertà d'iniziativa
economica delle imprese, però non deve annullarla, ed infatti più
intensa diviene la tutela e più ristretta risulta poi essere tale libertà,
sino ad arrivare in certi ordinamenti alla rinuncia di tale libertà, pur di
vedere tutelati gli interessi dei soggetti coinvolti. La tutela in tutti i
casi di protezione della persona viene organizzata in categorie e non
su base individuale, perché così facendo la tutela pubblicitaria si
indirizza in base al bene reclamizzato ad un modello predefinito di
consumatore.
Il punto c) dell'art.2 fornisce infine la definizione di operatore
pubblicitario, e questa è presente nel nostro Decreto e non nella
Direttiva CEE., e vengono individuate due figure, la prima è il
committente del messaggio pubblicitario ed il suo autore e la seconda
è il proprietario del mezzo. Nella prima vi rientrano l'impresa
produttrice e distributrice del bene o servizio, e nella norma il
committente è il soggetto nel cui interesse è stipulato il contratto, e
risulta il motore dal quale parte la catena pubblicitaria, ma è anche
quello che può fermarla. Il coinvolgimento dell'autore del messaggio
pubblicitario con l'ingannevolezza di questo è sempre stato debole e a
maggior ragione oggi con l'introduzione del Decreto che vede come
l'unico responsabile il committente, indirizzando a quest'ultimo
l'azione inibitoria. La seconda figura, e cioè del proprietario del mezzo
con il quale è stata diffusa la pubblicità, viene chiamato in causa solo
quando non si riesce ad individuare il committente del messaggio,
altrimenti risulta un soggetto neutro come l'autore.