Premessa
Il tema centrale di questa tesi di laurea specialistica è l’esperienza ge‐
nitoriale di chi ha un figlio con disabilità. Gli interrogativi centrali posti,
pertanto, sono i seguenti: cosa sperimentano i genitori di una persona
disabile? Quali sono i loro bisogni? E soprattutto, cosa li può portare a
rinascere? E come?
La scelta di tale argomento è dovuta, in primo luogo, alle esperienze
personali avute con bambini e ragazzi disabili che hanno influenzato la
mia scelta universitaria in vista di una professione da educatrice che mi
permetta di lavorare per e con loro. Il lavoro in questo campo, però, non
implica solo la relazione con la persona con disabilità. Richiede, infatti,
di entrare a contatto anche con la sua realtà familiare ed, in particolare,
con i suoi genitori. Questi ultimi rappresentano, effettivamente, le prime
risorse da attivare e coinvolgere in un intervento educativo rivolto al di‐
sabile. Solo grazie alla collaborazione con queste figure così significative,
infatti, diventa possibile migliorare la qualità della vita loro e dei figli.
Bisogna ammettere che tale coinvolgimento non è sempre semplice o
scontato, anzi, a volte risulta molto difficile. Tale difficoltà, però, non
deve rappresentare un motivo per relegare le figure genitoriali ad un
ruolo passivo o per etichettarle come necessariamente patologiche; ben‐
sì, dovrebbe spingere a cercare di comprendere più a fondo la realtà del
mondo genitoriale che fa esperienza della disabilità, per poterne stimo‐
lare la collaborazione anche lì dove sembra impossibile. A volte, infatti,
si tratta semplicemente di promuovere in questi genitori la consapevo‐
lezza delle forze che hanno a disposizione, quelle risorse tra cui la prima
è rappresentata sicuramente dal loro stesso figlio, che attraverso un per‐
corso lungo e non sempre semplice, devono imparare ad accettare. Solo
ad accettazione avvenuta, in effetti, sembra poter aver luogo quel pro‐
cesso educativo e pedagogico che non è unidirezionale e che porta ad
una duplice rinascita, quella dell’educando e quella dell’educato, in un
rapporto in cui, ad un certo punto, diventa difficile stabilire chi è l’uno e
chi è l’altro, se il vero educatore sia il genitore “normale” o il figlio disa‐
bile. E non sono pochi i genitori che non sono nati una volta sola, ma che
sono stati capaci di rinascere per una seconda volta. Sono genitori che,
anche se hanno attraversato dei momenti difficili, non hanno perso la
speranza; anche se hanno dovuto affrontare delle difficoltà, non si sono
arresi; ed anche se hanno incontrato la disabilità, non sono ricorsi alla
fuga o alla negazione dei deficit del figlio. Tutto ciò che hanno fatto è
XII Premessa
stato attivare le loro risorse accogliendo l’aiuto di chi è stato disposto a
sostenerli, aprirsi alla vita, ma soprattutto, accettare la disabilità del fi‐
glio per rinascere con lui e per lui.
Alla luce di tutto ciò, come poter cercare di rispondere alle questioni
poste se non attraverso un genitore, come Giuseppe Pontiggia, che ha
vissuto in prima persona questa rinascita e attraverso la letteratura psico‐
logica e pedagogica sul tema?
È per questo che nel corso dell’elaborato, si fa ampio riferimento al
romanzo Nati due volte, pur riconoscendo, però, che la ricostruzione
dell’esperienza genitoriale di questo scrittore (che può essere realizzata
attraverso quanto di autobiografico c’è nei suoi scritti e nelle interviste
rilasciate da lui stesso) è piuttosto limitata. La vera esperienza di Pontig‐
gia come padre di un figlio disabile, infatti, non può essere ricostruita da
nessun lettore attraverso nessuna analisi dei suoi scritti e delle sue inter‐
viste, in quanto è qualcosa di così personale e privato che nessuno, tran‐
ne lo stesso scrittore, può conoscere.
Ed è sempre per lo stesso motivo che si è cercato di dare parola anche
ai professionisti e alle loro ricerche in merito.
Genitori e figure professionali sembrano essere, infatti, le persone più
adatte per indagare, attraverso di loro, sul tema oggetto dell’elaborato.
A questo punto pare significativo evidenziare quattro elementi. In
primo luogo, la tematica della rinascita è piuttosto comune, ma in questo
scritto si fa riferimento ad una forma di rinascita particolare, perché è
quella che viene vissuta dai genitori che fanno esperienza della disabilità
dei loro figli attraverso un percorso segnato da difficoltà, dolore e soffe‐
renza. Altri due aspetti riguardano, invece, una questione lessicale: data
la stretta correlazione tra genitorialità e famiglia, nel corso dell’elaborato
si utilizzerà spesso quest’ultimo termine per far riferimento ai genitori;
in adeguamento alla Classificazione Internazionale del Funzionamento
della Disabilità e della Salute (ICF) dell’Organizzazione Mondiale della
Sanità, verranno ampiamente utilizzati nel testo le parole disabile e per‐
sona con disabilità, lasciando l’uso del termine handicap non come loro
sinonimo ma per indicare le conseguenze sociali e ambientali che hanno
per origine le menomazioni e la disabilità di un individuo; i termini han‐
dicap e quelli ad esso correlati (handicappato, portatore di handicap),
nonostante la loro riconosciuta connotazione negativa implicita, compa‐
riranno, invece, solo in alcune citazioni, per una questione di fedeltà ai
testi citati. Per ultimo si intende giustificare il riferimento nel corso
dell’elaborato ad articoli in lingua inglese data la difficoltà a trovare dei
testi analoghi in lingua italiana.
Premessa XIII
A questo punto si intende ringraziare le persone che, a vario titolo,
hanno fornito un contributo per la stesura della presente tesi, ed in par‐
ticolare: il Professor Nicola Siciliani de Cumis, il Professor Franco Luc‐
chese e la Professoressa Patrizia Sposetti per aver seguito lo svolgimento
del lavoro, certamente arricchito dai loro preziosi consigli e suggerimen‐
ti; i genitori che si sono messi a disposizione per rilasciare le interviste;
Francesca Greco e Antonio Selvaggi per il loro contributo e per le loro
indicazioni; Nicola Panocchia per la disponibilità e per aver fornito ma‐
teriale utile ed indispensabile per la trattazione dell’argomento; per ul‐
timi, ma non meno importanti, Sandro, tutti i familiari e gli amici che
hanno incoraggiato e sostenuto la realizzazione di questo elaborato.
Infine, sembra significativo chiarire che non è nei propositi di questo
lavoro fornire delle risposte esaurienti agli interrogativi qui proposti.
L’idea, nei suoi limiti, era ed è quella di poter indagare, senza particolari
pretese, su una tematica ritenuta di particolare importanza in questa so‐
cietà in cui i disabili e i loro genitori continuano a incontrare ancora o‐
stacoli e barriere, sia fisiche sia (e soprattutto) psicologiche, che impedi‐
scono la loro rinascita.
Introduzione
Il presente elaborato, nonostante i limiti che lo caratterizzano, è stato
realizzato con l’intenzione di indagare sul tema della disabilità, e più in
particolare sull’esperienza dei genitori con figli disabili e su ciò che con‐
duce loro verso una rinascita. Per affrontare tale tematica è sembrato im‐
portante far riferimento da un lato, ad uno scrittore italiano, Giuseppe
Pontiggia, che non solo ha vissuto in prima persona l’esperienza di ave‐
re e di crescere un figlio disabile ma ha avuto anche la forza di dedicare
un romanzo al tema della disabilità facendo riferimento, in qualche mo‐
do, alla sua esperienza autobiografica; dall’altro, alla letteratura psicolo‐
gica e pedagogica con i contributi degli esperti del settore.
È per questo che nella Parte prima dell’elaborato, grazie alla consulta‐
zione di libri e articoli giornalistici realizzati da persone che hanno cono‐
sciuto direttamente Pontiggia, si è cercato di ricostruire la sua biografia e
di descrivere la sua personalità. Tale operazione, compiuta nel primo
capitolo, è sembrata necessaria allo scopo di comprendere chi è stato
questo uomo, questo scrittore e, soprattutto, questo padre. Nel secondo
capitolo, invece, alla luce di quanto descritto nel primo, si è cercato di
evidenziare quanto di autobiografico Pontiggia inserisce nel suo roman‐
zo Nati due volte, e più in particolare, quanto di autobiografico inserisce
nella figura del padre protagonista del libro.
Nella Parte seconda è stato analizzato più da vicino il romanzo già
precedentemente citato, realizzando l’indice delle tematiche ricorrenti in
esso. Tale lavoro, seguito da un commento dei temi più strettamente
correlati con la genitorialità che fa esperienza della disabilità, è stato
svolto con l’intenzione di evidenziare gli elementi che nel corso del ro‐
manzo testimoniano l’avvenuta rinascita dei due personaggi: il padre e il
suo figlio disabile. Nel secondo capitolo, invece, ci si è soffermati ad ana‐
lizzare le tematiche presenti nel film di Gianni Amelio Le chiavi di casa.
Tale operazione è stata compiuta non solo perché questa opera cinema‐
tografica è ispirata al romanzo di Pontiggia, ma anche perché essa per‐
mette di riflettere sul percorso di rinascita che un padre può compiere
nel relazionarsi con il proprio figlio disabile, nonostante all’inizio possa
rifiutare totalmente qualsiasi contatto con lui. Successivamente, nel capi‐
tolo terzo, sono state messe a confronto le tematiche del libro con quelle
del film, non per limitarsi semplicemente a comprendere le analogie e le
differenze tra l’uno e l’altro, ma per poter avere un quadro più completo
della genitorialità e dell’esperienza che essa fa della disabilità.
XVI Introduzione
Nella Parte terza, poi, il focus dell’attenzione è stato concentrato sui
contributi della letteratura sul tema genitorialità e disabilità. Nel primo
capitolo, quindi, si è cercato di indagare su quanto scritto e affermato
dagli specialisti relativamente al percorso di genitori con figli disabili. Si
è partiti, così, dall’analisi delle loro reazioni e degli aspetti patologici,
per arrivare poi all’adattamento e all’esperienza della rinascita. Nel se‐
condo capitolo ci si è soffermati, invece, sui loro bisogni con l’intenzione
di individuare i fattori su cui si può agire per sostenerli e aiutarli in que‐
sto processo.
In seguito, nella Parte quarta, viene sottolineata l’importanza di un
approccio positivo che si è venuto via via affermando nel corso degli
anni. Nel primo capitolo, infatti, ci si è soffermati sulle risorse genitoriali
la cui attivazione risulta fondamentale per poter parlare poi della loro
resilienza (intesa come processo di riorganizzazione positiva della vita
nonostante le difficoltà) e della pedagogia dei genitori, ossia quella me‐
todologia diffusasi negli ultimi anni che conduce ad identificare i genito‐
ri come i primi esperti dei loro figli. Si sottolinea, così, la loro capacità,
una volta rinati, di favorire a loro volta il processo di rinascita del figlio
ma anche di altri genitori attraverso l’attività formativa e la narrazione
della propria esperienza. Nel capitolo secondo, ci si sofferma, poi,
sull’importanza del coinvolgimento dei genitori nell’intervento educati‐
vo sottolineando come una loro partecipazione attiva influisce positiva‐
mente e significativamente sull’efficacia del trattamento rivolto al loro
figlio, quel figlio che è in primo luogo, il promotore della rinascita dei
genitori.
Nelle Appendici, infine, si cerca di approfondire cosa significa essere
genitore di un ragazzo con disabilità. Così, dopo una breve ricostruzio‐
ne, seppur limitata, dell’esperienza genitoriale di Pontiggia, vengono
presentate delle interviste rilasciate da due padri che hanno un figlio di‐
sabile, ed un intervento sul tema genitori e disabilità di due tutor della
Facoltà di Psicologia I dell’Università La Sapienza di Roma. Vengono ri‐
portati poi, estratti del romanzo Nati due volte e foto del film Le chiavi di
casa insieme ad interviste rilasciate dallo scrittore e dal regista, in quanto
ritenute particolarmente significative per arricchire questa indagine sul‐
la rinascita.
Parte prima
Capitolo primo
Giuseppe Pontiggia
1.1. L’autore
Giuseppe Pontiggia: un uomo, uno scrittore, ma soprattutto un padre.
Così potrebbe essere presentato in modo estremamente sintetico colui
che è stato definito come «uno dei maggiori narratori italiani del secon‐
1
do Novecento». Infatti, nonostante il nome di questo «autore onnivoro e
2
sofisticato» possa essere affiancato da numerosi sostantivi ed aggettivi,
ognuno dei quali contribuirebbe a far comprendere qualche aspetto di
lui e della sua vita, i tre già utilizzati sembrano essere quelli più adatti
3
per far capire ciò che «Peppo» è stato nella sua esistenza e continua ad
essere nella memoria di chi l’ha conosciuto direttamente o attraverso le
sue opere. Nonostante ciò, però, le tre parole utilizzate per descriverlo
certamente non sono sufficienti per garantire una completa conoscenza
4
della vita e della personalità di questo «scrittore che visse due volte».
1.1.1. La vita
Per conoscere la vita di colui che è stato «uno dei protagonisti della
5
scena letteraria italiana» è importante sapere che è nato a Como il 25
settembre 1934, e dopo aver perso il padre all’età di soli nove anni, non
solo ha vissuto frequenti trasferimenti (a Santa Margherita Ligure, a Va‐
rese e a Milano dal 1948), ma ha anche dovuto assumersi ben presto re‐
sponsabilità familiari e lavorative. Dopo aver conseguito la maturità al
Liceo Classico, infatti, a soli diciassette anni ha iniziato a lavorare in
banca e contemporaneamente, a frequentare l’Università Cattolica di Mi‐
lano. Gli anni degli studi universitari, per quanto difficili, sono stati però
1
R. MINORE, Pontiggia, l’ironia e il dolore, «Il Messaggero», 28 giugno 2003.
2
R. COTRONEO, Equilibrista del romanzo, «L’Espresso», 21 settembre 2000.
3
Il soprannome di Pontiggia per gli amici milanesi.
4
G. RABONI, Pontiggia, lo scrittore che visse due volte, «Corriere della sera», 28 giu‐
gno 2003.
5
R. CHIABERGE, Nella scrittura la forza dell’impegno civile, «Il Sole‐24 Ore», 28 giu‐
gno 2003.
4 Capitolo primo
importanti per lui dal punto di vista culturale. È in essi, infatti, che viene
a contatto con i classici francesi (Flaubert e Maupassant), russi e ameri‐
cani (tra cui Hemingway) che incideranno sulla sua formazione lettera‐
ria. Ed è sempre in quegli anni che realizza la sua prima opera, La morte
in banca, che riscuote il giudizio positivo di Elio Vittorini, il quale «apre
6
la strada al progressivo ingresso di Pontiggia nel circuito letterario».
Nel 1956, infatti, colui che è stato definito «un intellettuale di specie ra‐
7
ra», viene chiamato da Luciano Anceschi come redattore della rivista «Il
Verri» e tre anni dopo consegue la laurea in Lettere Moderne. Nel 1961,
invece, inizia a dedicarsi all’insegnamento come professore di lettere ne‐
gli istituti tecnici. Così diventa più facile per lui dedicarsi alla scrittura e
8
a quell’«ossessione bibliofila» che lui stesso definisce come una malat‐
9
tia (basti pensare che la sua biblioteca conta quarantamila volumi!) e
che gli deriva da quella passione per i libri trasmessagli dal padre. Negli
anni Sessanta, inoltre, iniziano le collaborazioni editoriali, prima con la
casa editrice Adelphi (grazie a Luciano Foà) e poi, dal 1971,
all’«Almanacco dello Specchio» della Mondadori, con Marco Forti e su
invito di Vittorio Sereni. Pontiggia, acquisisce, così, sempre più successo
anche come saggista e critico letterario. Non si possono trascurare, però,
le notizie relative alla sua “vita privata”. Nel 1963, infatti, Giuseppe Pon‐
tiggia si sposa con Lucia Magnocavallo e solo quattro anni dopo si veri‐
fica l’evento che più di tutti influenza la sua (e la loro) esistenza: la nasci‐
ta del figlio Andrea. Andrea è affetto da tetraparesi spastica distonica,
ed è colui che, con il passare degli anni, provoca una seconda nascita, o
meglio, una rinascita in suo padre. Pontiggia poi, negli anni successivi,
seppur a distanza di molto tempo l’una dall’altra, pubblica una serie di
opere narrative: L’arte della fuga (1968), Il giocatore invisibile (1978), Il rag‐
gio d’ombra (1983), La grande sera (1989), Vite di uomini non illustri (1993).
Nel 1984 e nel 1991 pubblica, invece, rispettivamente, Il giardino delle E‐
speridi e Le sabbie immobili che, insieme a L’isola volante (1996) e a I con‐
temporanei del futuro (1998) si distinguono dalle opere precedenti in
quanto sono una raccolta di saggi. Del 2000, invece, è quello che è stato
6
G. MACCARI, Giuseppe Pontiggia, Fiesole (Firenze), Cadmo, 2003, p. 29.
7
G. RABONI in T. P., Un intellettuale di specie rara, mai partigiano, «Il Messaggero»,
28 giugno 2003.
8
G. MACCARI, op. cit., p. 29.
9
Cfr. D. RIGHETTI, Una fortezza costruita con quarantamila volumi, «Corriere della
Sera», 28 giugno 2003.
Giuseppe Pontiggia 5
definito come «il più fortunato e uno dei più belli fra i romanzi pater‐
10
ni»: Nati due volte. Esso ha un’importanza particolare per Pontiggia,
non solo perché gli permette di vincere il premio Campiello nel 2001, ma
anche e soprattutto perché è un romanzo la cui materia è la storia di un
padre e del suo figlio disabile narrata dal genitore in prima persona. E
Prima persona (2002) è anche il titolo di un opera di Pontiggia, l’ultima
pubblicata mentre lo scrittore ancora è in vita. Essa è composta da mate‐
riale proveniente dalla rubrica mensile che il saggista tiene sul «Il Sole‐
11
24 Ore». Lo «straordinario saggista» muore a Milano il 27 giugno del
2003 a causa di un collasso cardiocircolatorio. E solo nel 2004 vengono
pubblicati postumi Il residence delle ombre cinesi (un’altra raccolta di rac‐
12
conti, saggi e articoli pubblicati su giornali) e Opere. Come si può nota‐
re, la produzione letteraria di Giuseppe Pontiggia non è quantitativa‐
mente ricca, e la causa va in parte ricercata nella particolare personalità
del famoso autore.
1.1.2. La personalità
13
Per comprendere la «peculiare personalità dello scrittore» Giuseppe
Pontiggia, uno degli scritti più significativi a cui si può far riferimento è
rappresentato dalla lettera che Luciano Anceschi nel 1983 ha indirizzato
14
a Daniela Marcheschi, «fedele studiosa dell’autore». Nell’epistola, in‐
15
fatti, il «raffinato bibliofilo» viene descritto come un uomo «duro e te‐
nace con se stesso […] da un temperamento riflessivo, lontano da avven‐
16
ture, di tempra forte, e poco arrendevole a sollecitazioni». E si dice an‐
cora di lui: «È lombardo, e lo si vede in tutto quello che fa […] si è co‐
10
G. MACCARI, op. cit., p. 29.
11
L. MONDO, Pontiggia il detective dei sentimenti, «La Stampa», 28 giugno 2003.
12
Per la realizzazione di tale biografia le informazioni sono state tratte princi‐
palmente da: G. MACCARI, op. cit., pp. 27‐28‐29; AA.VV., Mi riguarda, Roma, edizioni
e/o, 1999, p. 87; http://www.giuseppepontiggia.net/pontiggia/biografia.html e
http://www.italialibri.net/autori/pontiggiag.html, (ultima consultazione: 4 settembre
2009).
13
G. MACCARI, op. cit., p. 10.
14
Ivi, p. 9.
15
D. RIGHETTI, op. cit.
16
D. MARCHESCHI, Destino e sorpresa. Per Giuseppe Pontiggia con i suoi primi scritti
sul “Verri”, Pistoia, CRT, 2000, pp. 21‐22.
6 Capitolo primo
17
struito giorno per giorno con una volontà caparbia […]». Secondo Gio‐
vanni Maccari gli aggettivi e le espressioni contenuti in tale lettera, non
solo convergono, ma sono anche «tutti riconducibili alla sfera della de‐
18
terminazione». Essi, inoltre, sembrano caratterizzare sia il Giuseppe
Pontiggia uomo, sia lo scrittore. Pare, infatti, che il piano psicologico e
quello della scrittura siano connessi, tanto che l’opera di Pontiggia as‐
sume le stesse caratteristiche del suo autore. Si può, quindi, concordare
con Maccari quando afferma:
L’opera di Pontiggia si distingue per la sua «durata», per la «forza», per il
fatto di essere costituita da una molteplicità di «strati» sovrapposti in virtù di
una lunga e strenua elaborazione, di una costruzione avvenuta giorno per gior‐
no, di nuovo grazie ad una «volontà caparbia» esercitata nell’osservazione delle
cose e nello studio […] della lingua, di ogni singola frase, secondo una logica di
19
artigianato alto che in ciascuna parola individua una scelta di responsabilità.
Queste parole, fanno quindi pensare ad un Pontiggia che è caratteriz‐
zato da una così profonda rigorosità tanto da prestare un’attenzione
20
quasi ossessiva al linguaggio inteso come «soggetto malato». E tale sua
“mania” (se così si può definire) sembra essere dettata da quell’«ansia di
21
mediazione comunicativa cui lo scrittore non sembra poter rinunciare».
22
Tale rigore, che è legato al suo «razionalismo lombardo», inoltre, fi‐
nisce per influenzare la sua produzione letteraria non solo dal punto di
vista qualitativo ma anche quantitativo. Pontiggia, effettivamente, in più
di cinquant’anni, oltre che di scritti vari, è stato autore solo di quattordi‐
ci libri, che sono sensibilmente pochi se si pensa a quanti ne hanno rea‐
lizzati, persino in un arco di tempo minore, molti altri suoi colleghi. Il
suo maniacale perfezionismo, infatti, lo spinge a svolgere una consueta
attività di rivisitazione e modificazione anche di testi già editi. È per
questo che appare significativo ciò che lo stesso Pontiggia scrive in Prima
persona parlando di sé: «e il bradipo che sull’erba avanza (si fa per dire)
23
verso di me potrebbe essere il mio autoritratto». Con queste parole
17
Ibidem.
18
G. MACCARI, op. cit., p. 11.
19
Ivi, pp. 11‐12.
20
Ivi, p. 22.
21
Ivi, p. 19.
22
Ivi, p. 20.
23
G. PONTIGGIA, Prima persona, Milano, Arnoldo Mondadori, 2002, p. 67.
Giuseppe Pontiggia 7
sembra autodescriversi come una persona cauta e prudente, quasi al li‐
mite dell’eccesso (se non addirittura oltre esso). L’aspetto maniacale di
Pontiggia, inoltre, sembra apparire anche nella sua singolare bibliofilia
che Giovanni Raboni commenta con le seguenti parole: «La tendenza a
vedere la realtà attraverso la biblioteca può essere anche un limite, non
c’è dubbio, ma per lui era una forza, uno degli aspetti fondamentali del‐
24
la sua personalità, anche con una parte di maniacalità…».
25
L’«appassionato bibliofilo», per altro, oltre che per il rigore, si di‐
stingue anche per il pragmatismo e per il suo legame con la tradizione,
cioè per quegli strumenti attraverso i quali tende a partecipare della re‐
altà per porsi come meta la ricerca della verità. Giuseppe Pontiggia, inol‐
26
tre, è caratterizzato non solo da un’indole «pratica e concreta», ma an‐
27
che da una «feconda testardaggine», da una tendenza alla semplicità e
alla chiarezza e da una certa riservatezza. Non può passare inosservato
poi il suo senso di responsabilità, né tantomeno il suo senso della misura
(«che i critici amici chiamano la sua classicità e quelli avversi il suo ec‐
28
cesso di moderazione») in cui si risolve la sua «mancanza di abbando‐
29
no e di impeto creativo». Giorgio Bertone lo definisce un moralista e
30
«un anatomista dell’uomo e del suo linguaggio» e Lorenzo Mondo lo
descrive come uno scrittore con un «temperamento di grande moralista,
31
insofferente di mode e luoghi comuni». Giuseppe Pontiggia, inoltre,
«sotto la crosta illuministica e positiva ha un’idea pessimistica dell’uomo
e della società, una visione desolata della debolezza delle motivazioni e
32
della casualità degli istinti». Nonostante tali tratti, che potrebbero sem‐
brare negativi, colui che è stato definito anche come un «saggista acutis‐
33
simo», nei molteplici articoli a lui dedicati dopo la sua morte, viene de‐
24
Dalla Conversazione su Pontiggia con Giovanni Raboni del 13 ottobre 2003, in G.
MACCARI, op. cit., p. 130.
25
R. CHIABERGE, op. cit.
26
G. MACCARI, op. cit., p. 24.
27
Ivi, p. 26.
28
Ivi, p. 30.
29
M. BARENGHI, Introduzione a G. PONTIGGIA, La morte in banca (III ed. riveduta e
ampliata), Milano, Oscar Mondadori, 1991, p. 14.
30
G. BERTONE, Il moralista torna a narrare dopo quasi vent’anni di silenzio, «Il Secolo
XIX», 7 settembre 2000.
31
L. MONDO, op. cit.
32
G. MACCARI, op. cit, p. 39.
33
F. LA PORTA, Il gioco della verità nella scrittura, «il manifesto», 28 giugno 2003.
8 Capitolo primo
scritto come un uomo caratterizzato da numerose qualità. Dacia Marai‐
ni, infatti, parla di lui come di «una persona squisita, di grande cultura,
34
di grande attenzione e apertura verso gli altri». Giulio Ferroni, inoltre,
il giorno successivo alla sua scomparsa così scrive di Pontiggia:
è la perdita di un’esperienza umana integrale, di una scrittura immersa nella
concretezza della vita quotidiana, di una generosità maturata nel dolore e nella
capacità di osservare e di vedere. Scrittore morale, scrittore dell’essenziale, una
delle ultime figure di umanista moderno, aperto al presente nella continuità di
una tradizione fatta di gentilezza, di dignità, di sete di conoscenza e di verità, di
35
ironia e di discrezione.
Riccardo Chiaberge, invece, in un suo articolo descrive Pontiggia come:
Un umanista colto ed elegante […] un interprete della milanesità più auten‐
tica, la Milano del Manzoni e dei Verri, intrisa di illuminismo e di cattolicesimo
liberale, con un culto radicato dei valori del lavoro, dell’onestà e della tradizio‐
ne […] scrittore civile nel senso pieno della parola, capace di sulfurei sarcasmi e
di compassate ironie, come pure di indignazione davanti ai soprusi e alle ingiu‐
stizie. Implacabile fustigatore della volgarità e del cattivo gusto, ma anche dello
36
snobismo degli intellettuali.
Per di più, Mario Baudino parla di lui come di un uomo schivo ma
37
anche come «una persona buona, leale e di poche, precise parole» e an‐
che Cristina Taglietti, oltre a sottolinearne la schiettezza e il rigore af‐
38
ferma che «era di poche parole e tanta sostanza». Da tale descrizione di
Giuseppe Pontiggia, ricostruita grazie agli scritti di chi lo ha conosciuto
direttamente, appare evidente la particolare personalità di questo «uo‐
39
mo di cultura»; una personalità così singolare da renderlo un modello
che non può essere dimenticato facilmente, anche perché a parlare anco‐
ra di Giuseppe Pontiggia uomo, scrittore e padre, ci sono anche le sue
opere nelle quali ha lasciato profonde tracce di sé.
34
D. MARAINI in T. P., op. cit.
35
G. FERRONI, Pontiggia un classico d’avanguardia, «l’Unità», 28 giugno 2003.
36
R. CHIABERGE, op. cit.
37
M. BAUDINO, Dalla banca allo Strega, «La Stampa», 28 giugno 2003.
38
C. TAGLIETTI, Mondadori: nel suo nome una biblioteca per tutti, «Corriere della Se‐
ra», 28 giugno 2003.
39
G. FERRONI, op. cit.
Capitolo secondo
Tra vita e romanzo
2.1. La trasposizione narrativa
Guardando la storia della letteratura italiana si può notare che sono
numerose e varie le opere di stampo autobiografico, cioè le opere che
vedono realizzata in esse quella che si definisce una trasposizione narra‐
tiva dalla vita al romanzo. In effetti sono davvero molti gli scrittori e le
40
scrittrici che hanno compiuto questa operazione, spesso mescolando
tra loro elementi diversi quali memoria ed invenzione, realtà e fantasia.
Tra la lunga lista di autori vi è anche Giuseppe Pontiggia, «che alla scrit‐
41
tura ha concesso tanta parte di sé e della sua vita». Lui, infatti, in
un’intervista ha dichiarato quanto segue:
Ho constatato che ogni romanzo corrisponde nel mio caso a esperienze mol‐
to significative, molto intense, molto forti anche se magari sotterranee […]. C’è
sempre una maturazione esistenziale, che poi ha il suo rispecchiamento nel ro‐
manzo. Io non la perseguo, non è che la voglia raccontare autobiograficamente
però la constato. C’è un momento in cui la materia della vita diventa materia
linguistica, materia del romanzo, e non è più biografia. A posteriori, leggendo,
capisco che ho raccontato in buona parte quello che mi ha emozionato e appas‐
sionato. Però lo scopro dopo, perché in realtà sono tutto concentrato sul tema in
senso narrativo e sulla struttura in senso formale, non su di me come attore del‐
42
la vicenda.
40
Tra le autrici si potrebbe ricordare, anche se solo con un cenno, Clara Sereni
con il suo libro Casalinghitudine, Torino, Einaudi, 2005. Anche lei, come Pontiggia,
vive nel ruolo di genitore l’esperienza della disabilità, ed ha condiviso, per altro,
con lo scrittore lombardo, seppur a distanza, non solo battaglie morali e sociali a fa‐
vore della disabilità, ma anche la realizzazione di opere letterarie in cui traspare la
sua esperienza con il figlio disabile. Tra i suoi scritti a riguardo si possono ricordare:
C. SERENI ( a cura di), Si può!, Roma, edizioni e/o, 1996; AA.VV., Mi riguarda, cit.
41
L. MONDO, op. cit.
42
Dall’intervista di Giancarlo Calciolari a Giuseppe Pontiggia (7 luglio 2001), in
http://www.transfinito.eu/spip.php?article331, (ultima consultazione: 4 settembre
2009).