INTRODUZIONE
Lo scopo del presente lavoro è quello di analizzare a
trecentosessanta gradi tutti gli aspetti relativi al trattamento
contabile del marchio, un’ attività intangibile d’azienda che senza
dubbio riveste un ruolo centrale nella moderna economia. Tutto
ciò verrà sviluppato anche nella prospettiva strategica delle
imprese, ovvero con riferimenti concreti ai comportamenti da
queste attuati in tema di contabilizzazione del marchio.
Si procederà tenendo conto della normativa che regola la materia,
la quale è stata recentemente oggetto di significativi mutamenti
dovuti al processo armonizzazione in atto a livello comunitario e
internazionale, un processo culminato con l’adozione in un gran
numero di Paesi, e non solamente quelli dell’area UE, di principi
contabili uniformi.
All’esito di un’approfondita analisi, ci si accorgerà che l’avvento dei
nuovi standards, pur innovando in varie direzioni rispetto al
passato, ha lasciato sostanzialmente irrisolte alcune questioni
spinose, in special modo quelle riguardanti l’iscrizione in bilancio
dei marchi generati internamente o acquisiti a titolo gratuito.
Unitamente a questo si vedrà, anche grazie all’esposizione di
metodi di brand valuation molto evoluti, che lo stesso valore di
rilevazione del marchio in bilancio, corrispondente in virtù delle
prassi contabili vigenti al costo storico, risulta spesso, con il
passare del tempo e con l’affermazione del segno presso il
pubblico, di gran lunga inferiore, soprattutto per le imprese di
maggiori dimensioni, al suo reale valore economico.
Lo scenario emergente sarà quindi quello di una normativa che
necessita di essere affinata, soprattutto allo scopo di rendere
l’informativa contabile più veritiera e corretta per quanto riguarda
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la situazione patrimoniale dell’impresa e le sue prospettive di
crescita.
In conclusione, la discussione verrà corroborata dalla trattazione
di un caso concreto, quello di “A.S.Roma S.p.A.”, che si inserisce
alla perfezione nelle tematiche affrontate e che perciò sarà
esaminato dettagliatamente. Si noterà come una serie di
contingenze, relative al settore calcistico, abbiano reso necessaria
l’attuazione di una particolare operazione societaria che ha
coinvolto il ramo commerciale dell’azienda, ivi compreso il
marchio, portando con sé interessanti implicazioni a livello
contabile. Grazie a tale operazione, infatti, “A.S.Roma S.p.A.” è
riuscita a superare i limiti imposti dalla normativa e, in sostanza, a
far comparire in bilancio il valore del proprio marchio generato
internamente.
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1. IL MARCHIO D’IMPRESA
1.1. Nozione
Il marchio è il segno distintivo dei prodotti o dei servizi
dell’impresa. Insieme alla ditta e all’insegna, esso assolve la
funzione di individuare e distinguere l’impresa sul mercato,
favorendo la formazione ed il mantenimento della clientela. Il
pubblico è infatti messo nelle condizioni riconoscere i
prodotti/servizi dei vari operatori economici e di operare delle
scelte consapevoli. Accanto a questa funzione primaria,
soprattutto nel caso del marchio, l’evoluzione della struttura del
mercato e delle strategie aziendali ha favorito la comparsa di
nuove peculiarità connesse ai vari segni, che oggi non sono più
solo gli elementi che permettono la distinzione tra le offerte
concorrenti, ma svolgono anche un importante ruolo di
comunicazione, informazione, garanzia della qualità e persino di
veicolo di ragguardevoli investimenti pubblicitari.
Da qui l’esigenza di una disciplina giuridica efficace, vista la
molteplicità degli interessi coinvolti, che comprendono anche
quello generale dei consumatori e che perciò finiscono talvolta col
configgere, e vista la tendenza di tali interessi ad intensificarsi e
ad allargarsi rapidamente.
1.2. Il quadro normativo
Il marchio d’impresa è disciplinato sia dall’ordinamento nazionale
che da quello comunitario ed internazionale.
Il marchio nazionale è regolato dagli artt. 2569-2574 cod.civ. e dal
codice della proprietà industriale (d.lgs. 10-2-2005).
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Il marchio comunitario, il quale consente di ottenere un segno che
produce gli stessi effetti in tutta l’Unione Europea, è stato istituito
con il regolamento Ce n.40/94 del 20-12-1993.
La disciplina internazionale è infine dovuta a due Convenzioni
(Convenzione d’Unione di Parigi del 1983 e Accordo di Madrid del
1991), che consentono di semplificare le procedure per accedere
alla tutela del marchio nei singoli Stati aderenti secondo le
rispettive discipline nazionali.
E’ tuttavia possibile desumere alcuni principi comuni alle varie
normative, le quali sotto molti aspetti tendono sempre più alla
convergenza grazie allo sforzo di armonizzazione messo in atto
dagli organismi comunitari e internazionali.
Tali principi possono così essere fissati:
a) l’imprenditore gode di ampia libertà nella formazione del
proprio marchio. E’ tenuto però a rispettare determinati
requisiti, volti ad evitare inganno e confusione sul mercato,
a pena di nullità del marchio stesso;
b) l’imprenditore ha diritto all’uso esclusivo del proprio
marchio. La tutela di tale diritto si fonda sull’istituto della
registrazione del marchio, che può essere effettuata a livello
nazionale, comunitario ed internazionale con modalità
diverse in ciascun caso;
c) l’imprenditore può liberamente trasferire ad altri il proprio
marchio, con alcune limitazioni che si vedranno in seguito.
1.2.1. Requisiti di validità
Il marchio deve rispondere a determinati requisiti di validità:
liceità, verità, originalità e novità.
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Dunque, il marchio non deve in primo luogo contenere segni
contrari alla legge, all’ordine pubblico o al buon costume. Il
principio della verità vieta poi di inserire segni idonei ad
ingannare il pubblico, in particolare sulla provenienza
geografica, sulla natura o sulla qualità dei prodotti o servizi. Il
marchio deve essere inoltre originale, ovvero composto in modo
da consentire l’individuazione dei prodotti contrassegnati fra
tutti i prodotti dello stesso genere immessi sul mercato. Non
possono perciò essere utilizzate, in quanto prive di capacità
distintiva, le denominazioni generiche, come ad esempio la
parola “scarpe” o la figura di una scarpa per un marchio di
calzature. Ultimo requisito di validità è la novità, un ulteriore
aspetto della capacità distintiva, complementare ma distinto
rispetto all’originalità. Esso è caratterizzato dal fatto che il
marchio deve presentarsi percettivamente avulso da marchi
altrui già esistenti utilizzati per prodotti identici o affini, vale a
dire destinati alla stessa clientela. Tuttavia, la rigorosa
applicazione di tale regola può dar luogo a conseguenze
particolarmente gravi (per il titolare del marchio e per il
pubblico) quando si tratti di marchi celebri, che godono cioè di
riconosciuta fama in tutto il territorio dello Stato (ad esempio,
Ferrari, Coca-Cola, Marlboro ecc.). In questi casi, per espressa
previsione normativa introdotta con la riforma del 1992, si è
voluto garantire una più ampia tutela dei titolari di marchi
celebri, estendendo per questi ultimi il requisito della novità
anche ai prodotti e servizi non affini, appartenenti quindi a
settori completamente diversi (ad esempio, è non nuovo il
marchio delle auto Ferrari utilizzato da un produttore di
orologi).
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Il difetto dei requisiti fin qui esposti comporta la nullità del
marchio, che può riguardare anche solo parte dei prodotti o
servizi dell’impresa.
1.2.2. Registrazione del marchio e cause di decadenza
Il titolare di un marchio, rispondente ai requisiti di validità
indicati nel paragrafo precedente, ha diritto all’uso esclusivo
dello stesso. Il contenuto del diritto e la relativa tutela sono
però sensibilmente diversi a seconda che il marchio sia stato o
meno registrato.
Nel nostro Paese la registrazione, che estende gli effetti del
diritto a tutto il territorio nazionale, viene eseguita tramite
l’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi, istituito presso il Ministero
dello Sviluppo Economico. La registrazione nazionale è poi
presupposto per poter estendere la tutela in ambito
internazionale, attraverso la successiva registrazione presso
l’Organizzazione Mondiale per la Proprietà Industriale (OMPI) di
Ginevra. Per il marchio comunitario la registrazione,
indipendente da quella nazionale, ha luogo invece presso
l’Ufficio per l’Armonizzazione nel Mercato Interno (UAMI) di
Alicante (Spagna).
Il diritto all’esclusiva è comunque più forte nel caso dei marchi
celebri, la cui tutela è stata, come detto, svincolata dal criterio
dell’affinità merceologica.
La tutela nazionale dura dieci anni ma è rinnovabile per un
numero illimitato di volte, sempre con efficacia decennale,
assicurando perciò una copertura pressoché perpetua, salvo che
non sia successivamente dichiarata la nullità del marchio
oppure non sopravvenga una delle seguenti cause di decadenza
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dalla titolarità del diritto medesimo (oltre che, ovviamente, in
seguito ad esplicita rinuncia da parte del titolare):
a) Decadenza per non uso per un periodo di tempo continuato
non inferiore a cinque anni.
b) Decadenza per sopravvenuta volgarizzazione, nel caso in cui
il marchio sia divenuto, con il passare del tempo, una
denominazione generica del prodotto o del servizio cui
afferisce, in ogni caso perdendo la sua originaria capacità
distintiva (è noto l’esempio dei marchi “Biro” o
“Cellophane”).
c) Decadenza per sopravvenuta decettività, nel caso in cui il
marchio sia divenuto idoneo ad indurre in inganno il
pubblico, perdendo in tal modo il requisito della verità.
d) Decadenza per sopravvenuta illiceità, nel caso,
evidentemente, di perdita del requisito della liceità.
Il marchio registrato è tutelato civilmente e penalmente. In
particolare, il titolare il cui diritto di esclusiva sia stato leso da
un concorrente, può promuovere contro questi l’azione di
contraffazione, volta ad ottenere l’inibitoria alla continuazione
degli atti lesivi del proprio diritto e la rimozione degli effetti
degli stessi, attraverso la distruzione delle cose materiali
(etichette, cartelloni pubblicitari ecc.) per mezzo delle quali è
stato attuato il comportamento illecito. Resta ferma la
possibilità di agire per il risarcimento dei danni se sussiste dolo
o colpa del contraffattore.
Per chi invece ha fatto uso di un marchio senza registrarlo la
tutela è limitata alla facoltà di continuare a usarne, nonostante
la registrazione da altri ottenuta, nei limiti territoriali e settoriali
in cui anteriormente se ne è avvalso.
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1.2.3. Trasferimento del marchio
In passato, veniva sancita la radicale inammissibilità dell’ipotesi
di trasferimento del marchio, sia a titolo di proprietà (cessione)
che a titolo di mero godimento (licenza), a soggetti estranei
all’organismo economico che lo aveva validamente registrato,
nel caso in cui tali operazioni non avessero anche comportato il
contestuale trasferimento dell’azienda, o del ramo d’azienda, al
quale il segno distintivo originariamente afferiva (in questo il
marchio era uniformato al trattamento previsto per gli altri
segni distintivi, ossia ditta e insegna): la perentorietà di tale
orientamento doveva ricercarsi nell’intendimento del legislatore
di tutelare il buon affidamento dei potenziali consumatori, i
quali ultimi, venendosi in caso di trasferimento a spezzare il
legame esistente tra marchio e fonte produttiva, avrebbero
potuto essere tratti in inganno circa l’effettiva origine dei beni
acquisiti.
Con la riforma del 1992 ha avuto luogo una consistente virata
verso la liberalizzazione del regime di circolazione, grazie
all’abolizione del precedente collegamento fra trasferimento
dell’azienda (o di un ramo della stessa) e trasferimento del
marchio.
Una svolta attuata uniformandosi ad analoghe disposizioni
vigenti nei principali Paesi industrializzati e allo stesso
orientamento giurisprudenziale sviluppatosi nel corso degli
anni, che invero aveva già cancellato nella pratica il divieto di
libera trasferibilità ponendo “…l’onere di provare il difetto della
contemporanea cessione dell’azienda…a carico di chi lo alleghi
come causa di nullità del trasferimento di un marchio” (Cass.-
sent. n.6259 del 20-11-1982).
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