Introduzione
“Il lettore, lo spettatore, quando comprende cosa sta accadendo
diviene cittadino, ossia pretende di essere informato.”
(Roberto Saviano, 12.06.2010)
La complessità dei sistemi economici e delle realtà sociali ha portato a una trasformazione
della comunicazione tra l‟impresa e il suo pubblico di riferimento, rendendo la trasparenza
dell‟informazione un‟esigenza. Questa istanza si è manifestata innanzitutto nella richiesta di
un‟attendibile rendicontazione economico-finanziaria e patrimoniale, in parte soddisfatta
dall‟introduzione dell‟obbligo di redazione di un “corretto e veritiero” bilancio d‟esercizio e
dalla crescente enfasi sulla trasparenza da parte degli standard di best practice. L‟esigenza di
trasparenza è pertanto allargata a tutti gli ambiti della gestione aziendale, coinvolgendo
elementi quantitativi e qualitativi, non necessariamente di natura contabile.
Nel corso della tesi vedremo come, in virtù della crescente interdipendenza tra economia e
società, alle organizzazioni venga oggi chiesto di far fronte a un bisogno informativo relativo
a tutti gli aspetti della loro attività. L‟attenzione nei confronti delle problematiche socio
ambientali è uno di questi aspetti: la comunicazione socio-ambientale rappresenta uno
strumento di legittimazione in quanto “rivela” l‟intenzione e la volontà dell‟azienda di essere
trasparente e aperta nei confronti del contesto sociale in cui opera. Le più importanti
organizzazioni internazionali e i governi vedono la comunicazione socio ambientale come un
requisito importante per la collaborazione con le imprese nel perseguire obiettivi di sviluppo
sostenibile. I diversi gruppi di stakeholder e l'opinione pubblica ne hanno bisogno per valutare
le prestazioni dell'impresa in relazione agli specifici interessi di cui sono portatori.
Il presente elaborato affronta questo tema sia con una prospettiva teorica che tramite
un‟indagine empirica. In particolare, la tesi si concentrerà sulla relazione intercorrente tra il
sistema di governo adottato dall‟impresa, focalizzandosi sul ruolo del Consiglio di
Amministrazione, e la comunicazione di informazioni socio-ambientali da parte delle
imprese.
L‟indagine empirica, dopo una presentazione degli aspetti principali e gli strumenti della
comunicazione socio ambientale, si concentrerà sull‟analisi dei bilanci socio ambientali di 96
aziende europee, allo scopo di cogliere l‟esistenza di una relazione tra le caratteristiche del
Consiglio di amministrazione delle aziende quotate e il loro livello di social voluntary
disclosure. In particolare l‟analisi vuole verificare se le peculiarità dei consiglieri di
amministrazione, quali il numero di legami con altre organizzazioni o le loro relazioni,
influiscano sul livello di disclosure socio ambientale. La principale domanda di ricerca è
pertanto la seguente: in che modo il background culturale e le relazioni personali o
professionali del singolo influenzano e modificano il comportamento dell‟azienda?
Dalle analisi svolte risulta che il campione esaminato presenta specificità diverse rispetto a
quelli analizzati dai principali studi in materia di social voluntary disclosure, nello specifico
non vengono confermate le ipotesi relative all‟effetto dell‟indipendenza del Board sul livello
di disclosure. I risultati empirici evidenziano principalmente due cose: l‟effetto negativo dei
Busy Community Influential e l‟effetto positivo dei legami dei consiglieri, in particolare quelli
con le organizzazioni no profit, che possono essere interpretati come una misura della
“sensibilità” dei consiglieri a determinate problematiche ambientali e sociali e della
connessione del Consiglio di amministrazione con la società civile.
Capitolo 1 La responsabilità sociale d’impresa
“i principi di ordine etico sono accessibili alla ragione umana e, in quanto tali,
devono essere adottati come base per scelte concrete.”
Josep Ratzinger 30.04.2010
Introduzione
La nozione di Responsabilità Sociale d‟Impresa (RSI) o Corporate Social Responsability
(CSR) è complessa, perché strettamente legata alla concezione e al ruolo che diamo
dell‟economia, dell‟impresa e dell‟uomo (Pugliese, 2008). Se consideriamo l‟azienda un
attore sociale al centro di una serie di rapporti, e non una realtà isolata dal contesto in cui
opera, la società e gli attori sociali assumono un ruolo decisivo, e possiamo considerare
l‟impresa come un sottosistema sociale in cui s‟instaurano relazioni tra i soggetti che ne fanno
parte o che con essa si confrontano: impiegati, investitori, clienti, fornitori, la comunità, la
Pubblica Amministrazione.
Il Libro Verde della Commissione Europea (2001) definisce la responsabilità sociale come
l‟integrazione volontaria di aspetti sociali e ambientali nelle operazioni commerciali e nei
rapporti tra le aziende e le parti interessate e asserisce che: “essere socialmente responsabili
significa non solo soddisfare gli obblighi giuridici applicabili ma andare al di là, investendo
nel capitale umano, nell‟ambiente e nei rapporti con le parti interessate”. Per definire la
responsabilità sociale è quindi necessario fare riferimento al suo ambiente, ai soggetti con cui
interagisce e ai loro interessi.
Nel corso di questo primo capitolo vengono delineati i confini entro i quali si colloca il tema
della responsabilità sociale delle imprese, cercando di capire come le aspettative e le pressioni
esterne influiscono sull‟attività aziendale.
1.1. Etica ed economia: l’impresa come sistema aperto
“The broadest way of defining social responsibility is to say that the continued existence of
companies is based on an implied agreement between business and society and that the
essence of the contract between society and business is that companies shall not pursue their
immediate profit objectives at the expense of the longer-term interests of the community” (Sir
Adrian Cadbury, 2002). Sir Adrian Cadbury sottolinea come ogni impresa sia un organismo
complesso al cui interno operano numerose componenti che, lavorando in sinergia tra loro, le
consentono di raggiungere i suoi obiettivi. Allo stesso tempo essa è inserita in un sistema
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sociale più ampio, da cui è influenzata e sul quale esercita delle influenze. In altre parole le
sue azioni possono avere un effetto sulle altre componenti del sistema e, di conseguenza, sul
sistema stesso. Bertelè (2007) sottolinea il fatto che le attività di un‟organizzazione hanno un
impatto inside-out più o meno rilevante sul contesto esterno. E il contesto esterno, con le sue
disponibilità di risorse umane e naturali, le sue infrastrutture, i suoi vincoli e incentivi, ha a
sua volta un impatto outside- in più o meno rilevante sull‟organizzazione: condizionandone la
strategia di lungo termine. L‟idea alla base della responsabilità sociale d‟impresa è proprio
questa: società e aziende non sono entità distinte, ma interrelate. Pertanto la società si aspetta
comportamenti appropriati da parte delle aziende (Wood, 1991) che, essendo istituzioni
sociali finalità plurime, hanno il compito di creare oltre al valore economico, anche un valore
ambientale e sociale (Donaldson, 2003).
Sull‟argomento non c‟è sempre stato accordo: gli studiosi di economia e finanza sostenevano
che compito dell‟impresa è massimizzare il profitto. Sociologi, psicologi e comportamentisti,
più interessati alle relazioni sociali, le attribuivano un ruolo più complesso, inerente la
gestione e la massimizzazione delle relazioni interne ed esterne. Coase (1937) enfatizza la
funzione puramente economica dell‟azienda, seguendo l‟assunto dell‟economia neo classica:
“self-interest is the basis for individual and organizational motivation”, mentre altri ne
rivendicano le funzioni non economiche. Ad esempio Preston e Post (1975) pongono
l‟accento sull‟interdipendenza delle istituzioni sociali e supportano l‟idea che le aziende
dovrebbero essere socialmente responsabili perché esistono e operano all‟interno di un
ambiente condiviso da altre istituzioni. Anche secondo i sostenitori della Legitimisation
Theory un‟organizzazione che intenda esercitare la sua attività nel lungo periodo ha bisogno
che la sua comunità di riferimento la percepisca coerente con i suoi interessi e le sue
aspettative. Qualora ciò non accadesse, l‟impresa ne perderebbe la fiducia e l‟appoggio e
sarebbe quindi costretta a operare in un ambiente ostile (Roth, 1999). Al contrario, se
l‟impresa si dimostrerà capace di rispettare gli impegni assunti gli stakeholder la preferiranno
alle sue concorrenti, permettendole in questo modo di accumulare quella reputazione
indispensabile per la sua sopravvivenza e la sua continuità nel tempo (Suchman, 1995). Wood
(1991) identifica tre diversi livelli di aspettative della società nei confronti delle imprese:
1. istituzionale: aspettative legate al ruolo delle aziende in quanto istituzioni economiche,
2. organizzativo: aspettative nei confronti di determinate aziende, in quanto specifiche realtà,
3. individuale: aspettative nei confronti dei dirigenti in quanto attori morali all‟interno
dell‟azienda.
Da questi tre livelli di aspettative derivano altrettanti principi alla base della responsabilità
sociale:
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- la legittimazione, basata sull‟Iron Law of Responsibility di Davis (1973): la società
assicura legittimazione e potere alle aziende. Nel lungo termine quelle che useranno il
potere in modi ritenuti socialmente irresponsabili lo perderanno.
- La responsabilità pubblica: le aziende sono responsabili degli effetti legati al loro
coinvolgimento nella società. Wood deriva questo principio da Preston e Post (1975) e
sostiene che le aziende non sono responsabili della soluzione di tutti i problemi sociali, ma
di quelli che hanno causato. Allo stesso modo devono collaborare alla soluzione di
problematiche connesse alle loro attività a ai loro interessi, il che (a detta della stessa
autrice) lascia spazio alla discrezionalità dei dirigenti nel determinare quali questioni e
problemi sociali sono rilevanti e come dovrebbero essere affrontati.
- Managerial discretion. I dirigenti sono attori morali dotati di capacità di giudizio e in
quanto tali personalmente responsabili dell‟uso della stessa, non possono evitare questa
responsabilità facendo riferimento a regole politiche o a procedure aziendali.
1.1.1. La teoria degli stakeholder
Il concetto di stakeholder nasce nell‟ambito degli studi sulla strategia, la prima definizione
esplicita viene pubblicata in un memorandum dello Stanford Research Institute del 1963, in
cui il termine viene usato per indicare i gruppi di attori che forniscono supporto essenziale e
interagiscono con l‟impresa. Anche se altri studiosi di management (tra cui Ansoff, 1974, che
vi ha individuato un elemento centrale per l‟analisi delle strategie d‟impresa) si erano già
occupati di approfondire tale concetto, la definizione oggi più utilizzata è quella proposta da
Freeman (1984), che elaborò la prima teoria organica al riguardo. Secondo Freeman gli
stakeholder in senso stretto sono tutti gli individui e i gruppi da cui l'impresa dipende per la
sua sopravvivenza: azionisti, dipendenti, clienti, fornitori e agenzie governative. In senso più
ampio stakeholder è qualsiasi gruppo o individuo che può influenzare o essere influenzato
dagli obiettivi dell‟organizzazione. Freeman propone uno strumento teorico coerente con un
significativo cambiamento della gestione delle imprese: il fatto che i comportamenti legati a
una visione della responsabilità sociale d‟impresa si fossero trasformati da costo a strumento
competitivo (Phillips, Freeman, e Wicks, 2003). Gruppi e individui, dunque, non
rappresentano solamente dei vincoli all‟operare di impresa, ma partecipano al processo di
formazione degli obiettivi della stessa.
Sulla base della definizione di Freeman si possono individuare due differenti tipi di
stakeholder: stakeholder primari e secondari. Gli stakeholder primari sono quelli senza la cui
continua partecipazione l‟impresa non può sopravvivere come complesso funzionante, gli
stakeholder secondari comprendono invece coloro che non sono essenziali per la
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sopravvivenza di un‟azienda o che esercitano un‟influenza indiretta sull‟impresa stessa. Nella
seconda categoria sono compresi individui e gruppi che, pur non avendo rapporti diretti con
l‟organizzazione, sono comunque influenzati dalle sue attività. Loro caratteristica peculiare è
che essi possono non essere consapevoli del proprio ruolo.
In una formulazione più recente Clarkson (1995) estende il concetto di stakeholder anche ai
portatori di interessi potenziali come, ad esempio, le generazioni future: gli stakeholder sono
persone o gruppi che hanno pretese, titoli di proprietà, diritti, o interessi, relativi a un'impresa
e alle sue attività passate, presenti e future.
Post, Preston e Sachs (2002) definiscono gli stakeholder in base al contributo che essi
apportano alla creazione o meno di valore: “The stakeholders in a corporation are the
individuals and constituency that contribute, either voluntarily or involuntarily, to its wealth-
creating capacity and activities, and are therefore its potential beneficiaries and/or risk
bearers”. Da una visione degli stakeholder come soggetti passivi, che subiscono le
conseguenze dell‟attività aziendale, ci si è progressivamente avvicinati a una concezione degli
stessi come soggetti attivi, che si relazionano con l‟azienda e partecipano al processo di
creazione di valore.
Donaldson e Preston (1995) hanno classificato circa una dozzina di libri e 100 articoli dedicati
alla teoria degli stakeholder, e hanno introdotto una tassonomia che ne distingue tre tipi:
descrittiva, etica o normativa e strumentale. La teoria descrittiva si focalizza su se e quanto di
fatto i manager si occupino dei loro stakeholder, e agiscano nei loro interessi. La teoria
normativa analizza se i manager dovrebbero o meno occuparsi di stakeholder diversi dagli
azionisti e, eventualmente, a che livello i diversi gruppi hanno pretese giustificate nei
confronti dell‟azienda. Inoltre sostiene che le organizzazioni dovrebbero essere gestire
eticamente, in accordo con i bisogni degli stakeholder, ed enfatizza la responsabilità sociale
dell‟azienda e del suo management a operare in modo conforme a particolari aspettative
etiche. Il filone strumentale indaga le conseguenze (principalmente i benefici economici) che
giustificano le richieste degli stakeholder nei confronti dell‟azienda e si focalizza su come
vengono gestiti i rapporti con determinati gruppi di stakeholder, in particolare quelli che
controllano risorse necessarie per l‟organizzazione (in stretta connessione con la
legitimisation theory) per identificare le connessioni, o la mancanza di connessioni, tra la
gestione degli stakeholder e il raggiungimento dei tradizionali obiettivi dell‟organizzazione.
Anche secondo Margolis e Walsh (2003) è necessario considerare le conseguenze economiche
e finanziarie legate alle richieste dei portatori d‟interesse, in modo da convincere le aziende
che questi attori sono degni di attenzione.
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Philips, Freeman e Wicks (2003) nel loro “What stakeholer theory is not” sottolineano che la
teoria degli stakeholder si differenzia dalle altre teorie di strategic management perché
affronta esplicitamente i valori morali e li pone come elemento centrale della gestione delle
organizzazioni. Il fine dell‟attività cooperativa e i mezzi per raggiungere questo fine sono
esaminati criticamente nella stakeholder theory in un modo che non si trova nelle altre teorie:
“stakeholder theory is conceived in terms that are explicitly and unabashedly moral" (Jones e
Wicks 1999). Questo aspetto è più evidente nel filone normativo della stakeholder theory
(vedi tabella 1.1).
Tabella 1.1 Giustificazioni normative della Stakeholder Theory
Autore Normative Core
Argandona(1998) Common Good
Burton and Dunn (1996)
Feminist Ethics
Wicks, Gilbert, and Freeman (1994)
Clarkson (1994) Risk
Donaldson and Dunfee (1999) Integrative Social Contracts Theory
Donaldson and Preston (1995) Property Rights
Evan and Freeman (1993) Kantianism
Freeman (1994) Doctrine of Fair Contracts
Phillips (1997, 2003) Principle of Stakeholder Fairness
Fonte: Philips, Freeman e Wicks (2003)
1.1.2. La gestione per gli stakeholder.
“Stakeholder management is focused on those interests and actors who affect, or in turn are
affected by, the corporation.” (Freeman, 1984).
L‟idea a fondamento della stakeholder theory è che tutti i soggetti coinvolti investono, in
termini di risorse, competenze professionali, conoscenze e infrastrutture, nell'impresa,
analogamente a quanto fanno gli azionisti, e hanno pertanto il diritto di ottenere un'equa
remunerazione del loro investimento (Durden, 2008). Nei rapporti tra l‟impresa, i suoi
stakeholder e l‟ambiente che li circonda entrano quindi in gioco le aspettative e gli interessi
contrapposti di ciascun gruppo, che cerca di massimizzare la propria utilità nella relazione con
gli altri. Riconoscere la legittimità degli interessi dei diversi interlocutori comporta un
problema di bilanciamento delle loro richieste. Secondo Jensen (2001) questo approccio
multi-stakeholder al governo dell‟impresa lascia il management senza una “bottom line”
univoca alla luce della quale valutare il suo successo o insuccesso. Se i manager dovessero
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scegliere la linea di gestione che, tra le varie alternative, rende più elevati i profitti, sarebbe
facile scegliere in base allo shareholder value. Non lo è invece seguendo lo stakeholder value,
che contiene molteplici dimensioni da massimizzare contemporaneamente (gli interessi dei
vari stakeholder) e contiene un‟intrinseca contraddizione. Il dover perseguire allo stesso
tempo obbiettivi conflittuali o comunque divergenti lascerebbe alla mera discrezionalità del
manager la scelta della strategia da seguire (Jensen, 2001).
A complicare ulteriormente le cose il fatto che il funzionamento di un‟azienda dà
naturalmente origine a relazioni basate sulla cooperazione e sul conflitto (Mintzberg 1979), il
rapporto fra azienda e stakeholder non sfugge a questo principio e si caratterizza per la
compresenza di cooperazione e di conflitto: i soggetti che partecipano alla creazione di valore
hanno interessi in parte concordanti e in parte contrastanti: ciascuno si aspetta di poter
beneficiare del risultato dell‟attività cooperativa, ma sulla appropriazione di tale risultato
permane un conflitto distributivo (Sacconi, 2004).
Diverse sono state le risposte alla questione del conflitto distributivo tra stakeholder. Sacconi
(2004) fa riferimento al modello del contratto sociale dell‟impresa che lo risolve mediante
l‟identificazione di un equilibro di contrattazione che permette la mutua cooperazione tra i
soggetti coinvolti. Altri propongono, dal momento che esistono aspettative in parte
conflittuali, di definire dei criteri di bilanciamento fra le pretese degli attori coinvolti. Ad
esempio Mitchell, Agle e Wood (1997) hanno sviluppato una teoria di identificazione e
classificazione degli stakeholder basata su tre attributi della relazione:
- la legittimità delle richieste avanzate;
- il potere relativo, ovvero la capacità di influire sulle scelte dell‟impresa;
- l‟urgenza delle richieste avanzate.
Gli autori definiscono la legittimità come una percezione condivisa o l‟assunzione che le
azioni di un‟entità sono desiderabili, corrette o appropriate all‟interno di un sistema costituito
di norme, valori, credenze e definizioni. Il potere in una relazione si realizza quando una delle
parti ha, o può avere, accesso a mezzi coercitivi, strumentali o normativi, utili a imporre la
propria volontà all‟altra parte. La gravità riflette il grado in cui la richiesta di una parte
necessita di attenzione immediata. Il principio di “Who or What Really Counts" da loro
proposto si basa su tre assunti:
1. i dirigenti prestano attenzione a diversi gruppi di stakeholder;
2. la percezione dei dirigenti dell‟importanza degli stakeholder è rilevante;
3. i diversi gruppi di stakeholder possono essere identificati in base al possesso, o al
possesso percepito, di uno, due o tutti e tre gli attributi potere, legittimità e urgenza.
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Su queste basi propongono una classificazione delle classi di stakeholder, che risulta dalle
combinazioni dei tre attributi, come mostrato in figura 1.1.
Figura 1.1 Identificazione degli stakeholder rilevanti
Fonte Mitchell, Agle e Wood (1997)
Tale classificazione è sovrapponibile a quella proposta da Hinna (2002) che incrocia
l‟interesse di ciascun gruppo di stakeholder con l‟influenza che tale gruppo è in grado di
esercitare sull‟attività aziendale.
Figura 1.2 Identificazione degli stakeholder chiave secondo Hinna
InfluenzaInfluenzaInfluenza
---
+++
---
+++
Fonte: L.Hinna (2002)
Attraverso l‟identificazione degli stakeholder e dell‟insieme di reciproche relazioni,
responsabilità, e interazioni le aziende possono meglio affrontare l‟ambiente strategico nel
quale operano, e, di conseguenza, tenerne conto nella formulazione e implementazione della
strategia aziendale (Cummings e Doh, 2000).
1.2. La responsabilità sociale d’impresa
1.2.1. Sviluppo storico del concetto di responsabilità sociale
Storicamente il concetto di CSR ha avuto origine negli anni ‟20, quando si comincia a parlare
delle necessità, per i dirigenti delle aziende, di operare nell‟interesse non solo degli azionisti
9
InteresseInteresseInteresse
ma anche di nuovi interlocutori sociali. Le prime formulazioni teoriche risalgono agli anni „50
e in particolare al 1953, quando Bowen pubblica “Social responsibilities of the businessman”,
nel quale afferma che le imprese di maggiori dimensioni sono in grado di influenzare la vita
della società da diversi punti di vista e, di conseguenza, vengono riconosciuti a loro carico
degli obblighi sociali che trascendono le classiche funzioni economiche di produzione e
distribuzione di beni e servizi. Mallin (2007) rintraccia la concettualizzazione di CSR nel
lavoro di Carroll (1979) che la definisce come la responsabilità delle aziende di “encompass
the economic, legal, ethical and discretionary expectations that society has on organizations
at a given point in time.”
Sin dall‟inizio l‟idea di CSR ha dato adito a una controversia sulla legittimità della sua stessa
esistenza, controversia nata come confronto sull‟identificazione dell‟interesse sociale
1
dell‟impresa e che vede la contrapposizione tra prospettive basate sullo shareholder value e
lo stakeholder value (Chirieleison, 2002).
Tabella 1.2 Due diversi approcci alla CSR
Approccio alla CSR Interventi a sostegno della CSR
Modello basato sugli CSR come rispetto del diritto; Prevalentemente di carattere filantropico;
shareholder Impegno sociale non connesso a Governance d‟impresa.
missione di impresa.
Modello basato sulla CSR come integrazione necessaria al Promozione delle pari opportunità;
teoria degli risultato economico; Sviluppo comunità locali e attività sociali;
stakeholder Strumentalità della CSR al business e Coinvolgimento degli stakeholder di impresa
sua integrazione nelle strategie nella definizione delle strategie aziendali;
d‟impresa. Salute e sicurezza nel luogo di lavoro;
Politiche di formazione;
Cooperazione allo sviluppo.
Fonte: adattato da Nidasio C., WP Università Bocconi, 2003
A fronte di una posizione neo- classica che identifica la funzione sociale propria dell‟impresa
nel perseguimento del profitto: “business of business is business!” (Friedman 1970), si è
sviluppata una prospettiva che condivide le premesse descrittive della stakeholder theory, in
particolare l‟idea che l‟impresa abbia doveri nei confronti di una pluralità di soggetti o di
istanze sociali, non riassumibili nel perseguimento del risultato reddituale (Cochran,2007).
Nella letteratura è possibile individuare tre posizioni principali, che hanno caratterizzato la
discussione sulla responsabilità sociale:
- visione basata sugli azionisti,
- visione basata sul contratto sociale,
1
Con interesse sociale si intende l‟interesse che può essere considerato proprio della società e che funge da
parametro per il comportamento degli amministratori (tenuti ad operare le loro scelte in funzione del
perseguimento di tale interesse) e limita il potere di maggioranza, le cui decisioni devono essere assunte
nell‟interesse sociale. Definiziona tratta da Denozza, 2005.
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