INTRODUZIONE
I metodi chimico-fisici sono diventati sempre più importanti nello studio
dei sistemi biologici negli ultimi decenni, da quando la tecnologia ha reso
possibile misure su sistemi complessi limitando al minimo le alterazioni
delle condizioni naturali e rendendo quindi significativi i risultati ottenuti.
Storicamente il primo grande successo della chimica fisica nello studio
delle macromolecole biologiche fu la determinazione della struttura del B-
DNA mediante raggi x [1], coadiuvata dalla sintesi di DNA sintetico con
un metodo analogo alla sintesi di Merrifield[2] . Fu la prova sperimentale
che il modello proposto nel 1953 da Watson e Crick [3]era valido.
L’analisi chimico-fisica delle molecole biologiche è di fondamentale
importanza nello studio dei processi biochimici, in quanto consente di
comprendere a livello microscopico, almeno in teoria, i meccanismi
intrinseci che governano il comportamento delle molecole chiave della
vita. Tuttavia risulta spesso difficile, a causa della complessità di questi
sistemi e del fatto che ogni metodologia di studio deve tenere conto delle
condizioni fisiologiche del particolare sistema. Per ovviare al problema
della complessità, la ricerca chimico-fisica molto spesso prende in
considerazione i precursori delle macromolecole, sia perché la loro analisi
risulta piu’ semplice sotto diversi aspetti, ma anche perché la
comprensione dei meccanismi intrinseci non può prescindere dallo studio
delle piu’ intime componenti del sistema. Altre volte si lavora
confrontando i risultati ottenuti su molecole simili, ma non identiche.
Questo nel tentativo di spiegare il ruolo che le singole substrutture
rivestono nell’attività dell’intera molecola.
In questo lavoro ci siamo occupati di due aspetti fondamentali in questo
tipo di sistemi: il riconoscimento chirale e le forze di interazione non
covalente. E’ noto come moltissimi processi biologici siano caratterizzati
da un alto grado di selettività chirale e che l’esistenza stessa delle
1
macromolecole biologiche, nella loro forma nativa (cioè attiva) sia dovuta
ad un delicato equilibrio di interazioni deboli, il cui cambiamento porta
molto spesso alla denaturazione (cioè all’inattivazione) delle molecole
stesse. La valutazione di tali interazioni, molto spesso legate a processi di
riconoscimento chirale, e la comprensione del loro legame con l’attività
biologica del sistema piu’ complesso è uno degli obbiettivi della moderna
ricerca chimico-fisica. Tutte le principali reazioni che governano i
processi biochimici avvengono in soluzione, ma in assenza degli effetti
causati dalla presenza del solvente è possibile indagare i fattori intrinseci
che governano le interazioni inter e intramolecolare. Il sistema che meglio
si presta ad analisi di questo tipo è il cluster molecolare, che per le sue
caratteristiche chimiche può essere considerato uno stadio intermedio tra la
fase isolata e quella condensata.
Questa tesi si articola nel seguente modo:
• Nel primo capitolo sono descritti i sistemi che abbiamo studiato e la
loro importanza biologica
• Nel secondo capitolo sono analizzate le metodologie sperimentali
utilizzate per studiare tali sistemi
• Nel terzo capitolo sono riportati i risultati sperimentali
• Alla fine sono tratte le conclusioni
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CAPITOLO 1
L’IMPORTANZA BIOLOGICA DEI COMPLESSI DEI
METALLI CON MOLECOLE DI INTERESSE
BIOLOGICO
1.1. Introduzione
Quando si parla di macromolecole biologiche ci si riferisce essenzialmente
agli acidi nucleici (DNA, RNA) e alle proteine. Queste molecole sono
essenziali per la vita di tutti gli esseri viventi. E’ noto che l’unità strutturale
degli acidi nucleici è il nucleotide (fig. 1.1), mentre quella delle proteine è
l’amminoacido (fig. 1.2). Conoscere le loro proprietà chimico-fisiche e la
loro attività significa conoscere i principi primi della vita. Molto spesso la
ricerca chimico-fisica tenta di raggiungere questo scopo prendendo in
considerazione i precursori delle macromolecole, sia perché la loro analisi
risulta piu’ semplice sotto diversi aspetti, ma anche perché la comprensione
dei meccanismi intrinseci non può prescindere dallo studio delle piu’
intime componenti del sistema. Altre volte la ricerca, non solo in questo
campo, lavora confrontando i risultati ottenuti su molecole simili, ma non
identiche. Questo nel tentativo di spiegare il ruolo che le singole
substrutture rivestono nell’attività dell’intera molecola.
In questo lavoro abbiamo preso in considerazione due classi di molecole :
gli acidi α-amminofosfonici e amminoacidi fosforilati, analoghi degli
amminoacidi, e le basi azotate, componenti essenziali dei nucleotidi.
3
O
O
Base
Base
PO
P
O
O
-
--
O
OO
-
H
OH
OHOH
OH
DEOSSIRIBONUCLEOTIDI
RIBONUCLEOTIDI
Fig. 1.1 : Struttura dei nucleotidi
R
O
HN
2
OH
H
Fig. 1.2 : Struttura degli amminoacidi
1.2. Gli acidi α-amminofosfonici e gli amminoacidi fosforilati
1.2.1. Introduzione
Il ruolo chiave esercitato dagli amminoacidi nella chimica della vita e come
unità strutturali dei peptidi e delle proteine ha condotto a un crescente
interesse per la chimica e per la biologia di sostanze che mimano il loro
comportamento. Un’interessante classe di tali sostanze mimetiche sono gli
acidi amminoalchilfosfonici (1), definiti come analoghi degli amminoacidi
(2), in cui il gruppo carbossilico è sostituito da un gruppo fosfonico o da
una funzione relativa. Questi acidi sono stati quasi del tutto sconosciuti fino
al 1959, ma oggi sono l’oggetto di oltre 6000 lavori.
4
O
O
NH
PNH2
2
HO
HO
HO
R
R
1 2
L’innegabile tossicità nei mammiferi e il fatto che essi mimano molto
efficacemente gli amminoacidi, li rende degli antimetaboliti estremamente
importanti, andando a competere con la controparte carbossilica per i siti
attivi degli enzimi e di altri recettori cellulari. La sostituzione del gruppo
carbossilico con quello fosfonico comporta una serie di conseguenze
derivanti dalla loro differenza nella geometria (tetraedrica nel gruppo
fosfonico invece di trigonale planare in quello carbossilico), nell’acidità
(essendo gli acidi fosfonici significativamente più acidi) e nell’ingombro
sterico (l’atomo di fosforo ha un raggio significativamente più grande di
quello dell’atomo di carbonio). Perciò, questi analoghi sfidano il concetto
intuitivo di analogia strutturale[4].
Un’ altra classe di derivati degli amminoacidi è rappresentata dagli
amminoacidi fosforilati. In alcuni amminoacidi (v. fig. 1.3) il gruppo R
presenta una funzione idrossilica. Gli amminoacidi fosforilati (v. fig. 1.4)
sono definiti come gli analoghi degli amminoacidi in cui tale funzione è
fosforilata. Come vedremo con piu’ dettaglio piu’ avanti, lo studio di
queste molecole è di grande interesse per l’importanza che la fosforilazione
proteica riveste in biochimica.
5
CH
3
O
OOHOOH
NH
2
NHNHOH
2
2
TIROSINA
SERINATREONINA
Fig. 1.3 : Struttura degli amminoacidi con un gruppo idrossile in catena laterale
CH
3
O
O
-
O
-
OOPO
OOPO
O
-
NH
2
-
-
NHO
2
NHO
OPO
2
-
O
O-FOSFOSERINAO-FOSFOTREONINA
O-FOSFOTIROSINA
Fig. 1.4 : Struttura degli amminoacidi fosforilati
1.2.2. Gli acidi amminoalchilfosfonici come inibitori enzimatici
L’inibizione dell’attività enzimatica da parte di piccole molecole
rappresenta il principale meccanismo di controllo nei sistemi biologici. Il
target di un farmaco può essere un enzima coinvolto in un disordine
patologico o un enzima di un invasore (patogeno). La conoscenza della
struttura del substrato e della chimica della reazione catalizzata da un
enzima target sono essenziali per progettare con successo un farmaco. Gli
inibitori enzimatici, inoltre, hanno trovato applicazione anche per lo studio
dei meccanismi d’azione dell’enzima.
La storia degli acidi amminofosfonici come inibitori enzimatici inizia nel
1959 con il rapporto sull’inibizione della glutammina sintetasi aviaria da
6
parte di analoghi fosfonici e fosfinici dell’acido glutammico (vedi
composto 3 come esempio rappresentativo).
H
HOPCOOHHOPNCOOH
2323
NH
2
3 4
Questo lavoro non venne notato per lungo tempo e l’esplorazione
dell’inibizione enzimatica da parte degli amminofosfonati fu ripresa solo
agli inizi degli anni ’70 quando fu riportata l’attività erbicida dell’N-
fosfonometilglicina (composto 4). Questa rivelazione, che pose una pietra
miliare nella biochimica degli acidi amminofosfonici, stimolò un’intensa
ricerca sulla progettazione, sulla sintesi e sulla valutazione delle proprietà
biologiche di nuovi amminofosfonati. L’inibizione enzimatica di queste
molecole può funzionare con diversi meccanismi:
1. Inibizione per analogia allo stato di transizione → Un enzima può
legare lo stato di transizione della reazione che catalizza con un’affinità
maggiore rispetto a quella dei suoi substrati o dei suoi prodotti. Il concetto
originale del legame allo stato di transizione ipotizzava che gli enzimi
forzassero i loro substrati verso la geometria dello stato di transizione
mediante siti di legame dentro ai quali i substrati non distorti non erano in
grado di inserirsi perfettamente. E’ per questo motivo che, se un enzima
catalizza di preferenza il suo stato di transizione, è probabile che gli
analoghi dello stato di transizione, molecole stabili che ad esso
assomigliano elettronicamente e geometricamente, siano suoi potenti
inibitori. Alcuni acidi amminofosfonici funzionano proprio con questo
meccanismo. E’ noto ad esempio che molte proteasi sono coinvolte in
diverse malattie umane e questi enzimi sono i targets per lo sviluppo di
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inibitori progettati come potenziali nuovi agenti terapeutici. Alcuni peptidi,
in cui il gruppo fosfinato o fosfonato mima lo stato di transizione
tetraedrico della reazione di rottura del legame peptidico, sono tra i migliori
inibitori di questi enzimi[5,6,7,8]. Tra questi gli inibitori di zinco
amminopeptidasi come la leucina amminopeptidasi[9,10,11], la
amminopeptidasi A[12,13], e la metionina amminopeptidasi[14] sono i più
promettenti.
2. Inibizione per mimesi degli amminoacidi → Le differenze
strutturali tra il gruppo carbossilico e quello fosfonico non impediscono a
questo di funzionare da substrato di alcuni enzimi che utilizzano
normalmente gli amminoacidi. Ciò non è particolarmente sorprendente se
si considera il fatto che la maggior parte di questi enzimi catalizza delle
reazioni senza il diretto coinvolgimento della funzione carbossilica. Un
buon esempio è rappresentato dall’interazione dell’acido fosfonico analogo
della tirosina con la tirosinasi. La semplice sostituzione del gruppo
carbossilico con il gruppo fosfonico portò al composto in fig. 1.5, che fu
usato come un buon substrato sintetico per la tirosinasi[15]. Questo fu
indicativo del fatto che la tirosinasi non discriminava tra le funzioni
carbossilica e fosfonica.
O
HOHOO
P
OHHO
HNOH
HN
2
2
TIROSINA
ACIDO AMMINOTIROSINFOSFONICO
Fig. 1.5 : Struttura della tirosina e del suo analogo fosfonico
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Per citare ora alcuni esempi di tale attività inibitoria ci riferiamo ancora alla
leucina amminopeptidasi. L’attività alterata di questo enzima è stata
associata con diversi disordini patologici tra cui il cancro[16] e la cataratta
del cristallino[17], e potrebbe giocare un ruolo importante negli stadi
precoci dell’infezione da HIV[18]. Basandosi sulla struttura cristallina del
suo complesso con l’acido amminofosfonico analogo della leucina [19]
(composto 5), uno dei più potenti inibitori dell’enzima, sono state
sintetizzate nuove molecole efficaci (composti 6 e 7 come esempi
rappresentativi) con attività inibitoria maggiore di quella del composto di
partenza 5[20].
NH
2
NH
NH
22
POH
32
POH
POH
3232
HO
5 6 7
Discorso analogo si può fare per l’amminopeptidasi A. Questo enzima è
una proteasi omodimerica di membrana zinco-dipendente, che rompe
specificatamente i residui di acido glutammico e aspartico N-terminali dei
substrati peptidici. E’ stato recentemente dimostrato che l’amminopeptidasi
A è coinvolta nel metabolismo dell’angiotensina II (sostanza proteica
circolante in grado di aumentare piu’ di qualunque altra sostanza la
pressione nell’organismo) e della colecistochinina (ormone polipeptidico
prodotto dal duodeno e dal digiuno in risposta a stimoli come i pasti grassi
e proteici) nel cervello. L’identificazione del suo ruolo fisiologico e la
comprensione del suo meccanismo d’azione sono stati possibili grazie alla
disponibilità di specifici inibitori dell’enzima, tra cui alcuni acidi fosfonici
analoghi dell’acido glutammico (8), che sembrava essere uno dei più
potenti inibitori dell’enzima. L’integrazione di questa molecola con un
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