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Introduzione
È l‟energia il motore dello sviluppo economico e strumento di diffusione
del benessere e miglioramento delle condizioni di vita delle popolazioni.
Oggi si parla di energia come un sistema complesso a carattere globale,
in cui i consumi di petrolio, carbone e gas naturale sono in costante
crescita ma per l‟aumento della domanda, in crescente scarsità. Se da un
lato, quindi, il mondo richiede di poter disporre volumi di energia
sempre maggiori, dall‟altro vi è l‟esigenza di individuare strumenti e
tecnologie capaci di saper razionalizzare i consumi e di ricercare fonti
alternative e durevoli. Si tratta di un argomento in continuo divenire, che
si inserisce in un contesto internazionale con l‟obiettivo di contrastare il
cambiamento climatico e ridurre le emissioni di gas a effetto serra. In
particolare l‟Unione Europea ha raccolto la sfida energia-ambiente
imponendo ai paesi membri notevoli sforzi per raggiungere entro il 2020
standard adeguati in termini di efficienza energetica, investimenti in
energie rinnovabili ed emissioni di gas. Questo è un problema che
coinvolge tutti: Stato, Istituzioni, partiti, movimenti, associazioni,
imprese e consumatori. Alle imprese, soprattutto, si chiede di affrontare,
insieme, una delle più importanti sfide: quella ambientale. Si richiedono
maggiore coerenza, nuovi sistemi e strumenti tra cui il green marketing,
evoluzione del marketing tradizionale che consente alle imprese di
modificare le proprie strategie di mercato in modo coerente alle proprie
finalità e nello stesso tempo in linea con la salvaguardia ambientale.
Alle Istituzioni si chiedono normative più chiare e linee guida da seguire
per richiamare e sensibilizzare le imprese e i consumatori al fine di
utilizzare sistemi che consentano di risparmiare energia, utilizzandola in
modo più razionale ed efficiente. È importante, quindi, creare sinergie a
5
livello governativo e territoriale che, favorendo rapporti di
collaborazione tra Istituzioni, territorio e imprese, rendono possibile
l‟implementazione di progetti validi per lo sviluppo del settore
energetico. Il ruolo delle risorse energetiche è determinante per lo
sviluppo di un sistema a livello nazionale, regionale e territoriale. La
disponibilità di energia e le condizioni di utilizzo influenzano in maniera
decisiva la competitività dei diversi sistemi produttivi e per questo
rappresentano elementi fondanti della dimensione economica e sociale
dello sviluppo sostenibile. Investire in energia, quindi, è un‟opportunità
di crescita economica, per l‟Italia e maggiormente per il Mezzogiorno
che presenta un vantaggio competitivo potenziale per le green Energy in
grado di generare un aumento dell‟attrattività del territorio e un
conseguente possibile sviluppo del tessuto economico e produttivo.
6
Capitolo 1
Scenario di una green revolution
1.1 Economia e ambiente: una contraddizione o
una nuova coscienza green?
Con il verificarsi di disastri ambientali di rilevanti dimensioni e con il
manifestarsi di fenomeni di intolleranza da parte degli ecosistemi come i
cambiamenti climatici, il buco dell‟ozono e lʼinquinamento atmosferico,
idrico e marino, si comincia a parlare nella metà degli anni „70 di
questione ambientale. Questi fenomeni, legati ai processi di sviluppo
economico, riguardano lʼintero globo e hanno posto forti sollecitazioni
alla teoria economica. Il dibattito si concentra su due temi: il primo
riguarda gli impatti delle attività antropiche sullʼambiente; il secondo
considera le valutazioni economiche di questi impatti1.
Nel momento in cui lʼambiente viene identificato come problema ma
allo stesso tempo come “diritto alla crescita anche economica e come
diritto da parte delle generazioni future di ereditare un ecosistema non
peggiore di quello attuale”2, si sviluppa una nuova cultura green in cui vi
è un più stretto rapporto tra economia e ambiente3. Fino a pochi anni fa
si pensava che ad una maggiore qualità ambientale seguisse una minore
crescita economica e viceversa ma è di recente che si comincia a parlare
dellʼambiente come vera opportunità economica. Aver riconosciuto la
variabile ambientale sia dal punto di vista economico sia da quello di
1
Sirianni C. A. (a cura), Gestire l’ambiente, Giuffrè Editore, Milano, 1999, pp. 3.
2
Postiglione A. (a cura), Economia e ambiente. Profili economici, giuridici e sociali dello sviluppo
sostenibile in Italia, FrancoAngeli, Milano, 2009, pp. 107.
3
È interessante notare che i termini “economia” ed “ecologia” hanno una radice etimologica comune:
Oikos che in greco significa “casa”. Economia significa insieme delle norme che regolano la vita
domestica; ecologia significa studio della casa dell‟uomo. G. Devoto, G. C. Oli, Vocabolario
illustrato della lingua italiana, 1976.
7
benessere sociale, ha contribuito al superamento dellʼidea comune che la
tutela ambientale sia soltanto un costo aggiuntivo per la collettività. Da
un lato se lʼambiente svolge una serie di funzioni economiche come la
fornitura di risorse per lo svolgimento di attività umane e produttive,
dallʼaltro mettere in atto comportamenti rispettosi per lʼambiente, oltre a
migliorare le condizioni di questʼultimo, può generare dei risparmi ed è
in grado di migliorare lʼimmagine pubblica delle imprese. Da queste
discussioni, negli anni, si è consolidata una nuova opinione pubblica nei
confronti dellʼambiente con una sensibilità diversa in base ai rispettivi
Paesi e ai cicli economici. Ciò ha generato a sua volta la nascita di
numerose associazioni ambientaliste e il cosiddetto «consumerismo
verde»4.
Entra in scena la green economy, diventata la parola dʼordine dei mercati
più dinamici. Una nuova economia capace di usare con efficienza
lʼenergia e le materie prime, di intervenire sugli ecosistemi senza
danneggiarli e di guardare ai rifiuti come una fase continua delle merci e
non come ad un elemento da espellere dal ciclo produttivo. Chi ha saputo
cogliere il messaggio della green economy è stato Barack Obama, il
nuovo Presidente degli Stati Uniti che ha fatto del green new deal un
elemento centrale della sua campagna elettorale. “I momenti di crisi sono
momenti di passaggio e possono rappresentare unʼoccasione per
accelerare i cambiamenti. (…) il green new deal serve a ridare slancio
allʼeconomia (…) perché fa intravedere ricadute positive su di essa e
sullʼoccupazione”5.
4
Masi D., Go Green, il Nuovo trend della comunicazione, Fausto Lupetti editore, Milano, 2010, pp.
33-38.
5
Cianciullo A., Silvestrini G., La corsa della green economy, Edizioni Ambiente, Milano, 2010,
pp. 9-10.
8
1.2 Le politiche ambientali a livello internazionale
La gestione ambientale si inserisce già dall‟inizio in un contesto molto
più ampio come quello nazionale e internazionale. Il legame tra il tema
ambientale e quello energetico ha portato ad una crescente attenzione
verso questi argomenti.
Le decisioni di politica di ogni Paese comportano inevitabilmente
importanti conseguenze ambientali e quest‟ultime non possono essere
risolte da un unico Paese ma occorre un azione congiunta a livello
internazionale con tutte le difficoltà che un accordo può comportare.
La prima importante conferenza che ha trattato temi riguardanti lo
sviluppo sostenibile è la Conferenza delle Nazioni Unite sull‟ambiente
umano svoltasi a Stoccolma nel 1972. Da questo primo dibattito è
scaturito un primo ragionamento diplomatico e politico globale sui temi
dello sviluppo umano ed è nata anche l‟Unep, United Nations
Enviromental Programme, il programma delle Nazioni Unite sui
problemi ambientali, nato con lo scopo di coordinare e promuovere le
iniziative Onu rispetto alla questione ambientale.
Nello stesso anno è stato pubblicato dal Club di Roma il rapporto The
limits to growth affermando che, se gli attuali tassi di crescita della
popolazione fossero rimasti invariati, i limiti alla crescita sul nostro
pianeta sarebbero stati raggiunti entro l‟arco di un secolo. Da ciò sarebbe
avvenuto un declino improvviso e inarrestabile della popolazione a causa
dell‟esaurimento delle risorse non rinnovabili.
Il rapporto anche se con toni catastrofici ha dato, sicuramente, una scossa
all‟opinione pubblica mettendo in primo piano il problema di legare lo
sviluppo economico alla disponibilità di risorse naturali6.
6
Citterio A., Migliavacca S., Pizzurno E., Impresa e ambiente: un’intesa sostenibile, Strategie,
strumenti ed esperienze, Libri Scheiwiller, Milano, 2009, pp. 20.
9
Sempre nel 1979 si è svolta la Conferenza di Ginevra in cui si è avvertita
una maggiore consapevolezza dei governi sui temi ambientali. Il World
Climate Programme (programma specifico sul clima per l‟approvazione
di un protocollo sull‟inquinamento atmosferico transnazionale) è il
principale risultato della conferenza.
Nel 1983 nasce la prima Commissione per lo sviluppo e l‟ambiente,
prima iniziativa rilevante espressa dall‟Assemblea generale delle Nazioni
Unite.
La Commissione viene ricordata per aver pubblicato, quattro anni dopo,
il rapporto Brundtland in cui viene definito il concetto di sviluppo
sostenibile: “soddisfare i bisogni della generazione presente senza
compromettere la possibilità di fare altrettanto per le generazioni future”.
La Conferenza di Toronto del 1988 è citata per l‟incisività delle
dichiarazioni finali e per gli impegni politici presi, come per esempio,
per i cambiamenti climatici: riduzione delle emissioni di anidride
carbonica in misura del 20% rispetto a quelle del 1988 e miglioramento
dell‟efficienza energetica nella misura del 10% entro il 2005.
La più conosciuta conferenza internazionale sui temi ambientali è quella
svoltasi a Rio de Janeiro nel giugno del 1992 col nome di Conferenza
delle Nazioni Unite sull‟ambiente e sullo sviluppo. É definita come il
punto di partenza per i principali programmi di azione a livello
internazionale, partendo dalla Convenzione sui Cambiamenti Climatici
per giungere all‟Agenda 21 (una pianificazione completa delle azioni da
intraprendere a livello mondiale, nazionale e locale in ogni area in cui la
presenza umana ha conseguenze sull'ambiente). La Conferenza si chiude
con la Dichiarazione di Rio in cui nel Principio 3 riafferma il concetto di
sviluppo sostenibile: “Il diritto allo sviluppo deve essere realizzato in
10
modo da soddisfare equamente le esigenze relative all‟ambiente e allo
sviluppo delle generazioni presenti e future”7.
1.3 Il Protocollo di Kyoto
Per giungere a veri e propri obblighi di riduzione delle emissioni è stato
redatto il Protocollo di Kyoto, un trattato internazionale siglato nel 1997
nell‟ambito di una Convenzione quadro delle Nazioni Unite del 1992.
Attraverso questo accordo i rappresentanti di 196 paesi dello UNFCCC
(United Nation Framework Convention on Climate Change), hanno
sottoscritto l‟impegno a ridurre, entro il periodo 2008-2012, le emissioni
di alcuni gas mediamente del 5%, ritenuti responsabili del riscaldamento
del pianeta rispetto ai livelli rilevati nel 1990. I gas in questione sono sei:
anidride carbonica (CO₂), metano (CH4), protossido di azoto (N2O),
idruoflorurocarburi (HFCs), perfluorocarburi (PFCs) ed esafluoruro di
zolfo (SF6). Questi gas hanno impatti sul clima in maniera differente tra
loro perciò è stata adottata un‟unità di misura convenzionale definita
CO₂ per esprimere le emissioni nel loro complesso8.
Tra i paesi firmatari l‟Unione Europea insieme, fino a quel tempo, ai
suoi quindici stati membri, è stata sin dall‟inizio la potenza industriale
più motivata ad attivare il Protocollo di Kyoto. Dopo aver ratificato
l‟accordo nel 2002, l‟Unione Europea ha già nel 2003 adottato uno
schema di scambio di quote di emissioni per semplificare l‟ attuazione
dei target previsti per i paesi europei. Diversamente gli Stati Uniti, con a
capo Bush, hanno preso nettamente le distanze dagli impegni di Kyoto in
quanto giudicati onerosi per l‟economia statunitense e in gran parte privi
di riscontri scientifici. Le motivazioni sono da ricercare nelle diverse
sensibilità delle differenti opinioni pubbliche nazionali rispetto alle
7
Lanza A., Lo sviluppo sostenibile, il Mulino, Bologna, 1997, pp. 70-72.
8
Macchiati A., Rossi G., La sfida dell’energia pulita, il Mulino, Bologna, 2010, pp. 63-68.
11
dichiarazioni della comunità scientifica e in particolare
dell‟Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), organismo di
riferimento a livello mondiale sulle problematiche relative a cause ed
effetti dei cambiamenti climatici.
Un paese firmatario, per rispettare il Protocollo, deve fare ricorso a
misure interne di riduzione delle emissioni come per esempio attraverso
l‟attuazione di politiche che favoriscano l‟incremento dell‟efficienza
energetica, l‟aumento della produzione nazionale di energia prodotta da
fonti rinnovabili, il contenimento di emissioni di metano generate dalle
discariche di rifiuti urbani e industriali e infine l‟incremento di bacini
forestali in grado di assorbire le emissioni climaterali, etc.
I paesi firmatari, inoltre, possono fare ricorso a misure esterne
utilizzando i meccanismi flessibili che si fondono sul principio secondo
cui, il beneficio ambientale globale della riduzione delle emissioni,
rimane tale a prescindere dall‟area geografica nella quale le emissioni
vengono ridotte. Il Protocollo prevede tre tipologie di meccanismi
flessibili: la Joint Implementation, il Clean development Mechanism e
l‟International Emission Trading. Attraverso questi sistemi le parti
coinvolte si scambiano le quote di emissione e possono abbattere le
emissioni dove costa meno, attraverso la generazione di crediti di
emissioni derivanti dall‟investimento in progetti di abbattimento dei gas
serra, rispettivamente in altri paesi facente parte del Protocollo o in paesi
in via di sviluppo senza vincoli di emissione. In particolare, il Clean
Development Mechanism permette alle imprese dei paesi industrializzati,
di realizzare progetti per ridurre le emissioni nei paesi in via di sviluppo
anche attraverso trasferimenti di tecnologie più pulite, promuovendo uno
sviluppo più sostenibile e riducendo le emissioni là dove è più
economicamente conveniente. La differenza tra la quantità di gas serra
emessa realmente e quella che sarebbe stata provocata in assenza del
12
progetto è considerata emissione evitata. Per le aziende presenta molti
vantaggi in quanto intervenire nei paesi in via di sviluppo significa
migliorare la redditività di un investimento; esplorare ed entrare nei
nuovi mercati dei paesi emergenti; migliorare l‟immagine aziendale
percepita dall‟opinione pubblica. Una critica mossa al Protocollo di
Kyoto è quella di non aver saputo porre dei target vincolanti per i paesi
emergenti e in via di sviluppo9.
Nel giugno del 2007 la Cina è diventata maggior produttore di CO₂
superando gli Stati Uniti e nell‟ultimo anno è arrivata a ricoprire la
posizione di maggior consumatore al mondo di energia elettrica.
1.3.1 L‟Italia e il dopo Kyoto
Con la firma del Protocollo di Kyoto, l‟Unione Europea, insieme ai suoi
Stati membri, dichiarano di adempiere agli obblighi previsti attraverso la
formalizzazione del Burden Sharing Agreement (BSA) in cui gli stessi
Stati si assumono collettivamente e individualmente l‟obbligo di adottare
misure per rispettare gli impegni presi. Rispetto all‟obiettivo di riduzione
assunto nel BSA, l‟Italia, quindi, deve ridurre i gas serra del 6,5%
rispetto al 1990 entro il 2012 disponendo di permessi di emissione che
non possono superare i 487,1 milioni di tonnellate di CO₂. Il rapporto
Ambiente Italia 2010 di Legambiente, analizzando lo stato di salute del
paese, ha focalizzato la sua attenzione soprattutto sulle sfide ambientali
dello stesso rispetto agli altri paesi europei. Dal Rapporto emerge che
l‟Italia, con 550 milioni di tonnellate di Co₂, è il terzo paese europeo per
emissioni (era quinto nel 1990 e quarto nel 2000). Rispetto al 1990 la
crescita delle emissioni lorde italiane è stata del 7,1% soprattutto a causa
dell‟aumento dei consumi per trasporti (+ 24%), della produzione di
9
Corazza C., EcoEuropa, Le nuove politiche per l’energia e il clima, Egea, Milano, 2009, pp. 61-72.