5
Questa norma merita particolare attenzione, in quanto su-
scettibile di sollevare alcune fra le più ardue questioni di interpreta-
zione e di applicazione del Trattato, specialmente in una delle aree
oggi più sensibili agli effetti del diritto comunitario nell’ambito
degli ordinamenti degli Stati membri ed in particolare
dell’ordinamento italiano: quella delle privatizzazioni
4
.
Innanzitutto, l’art. 295 – inteso nel suo significato letterale –
è ben lungi dal pretendere di voler costituire, all’atto dell’entrata in
vigore del Trattato, una garanzia nei confronti dei diritti di proprie-
tà
5
esistenti in ciascuno degli Stati aderenti e, tanto meno, dal ga-
rantire la configurazione che tali diritti vi assumono
6
. La norma
pone, piuttosto, una riserva a favore di ciascuno degli Stati membri,
circa la loro piena libertà di disporre mutamenti all’ordine delle ap-
partenenze e delle proprietà, escludendo in principio che il perse-
guimento degli obiettivi comunitari possa condizionare gli eventua-
diritto dell’Unione Europea, 1996, p. 719, per il quale: “sulla base di questa norma [art. 222] si
è pervenuti all’affermazione quasi ovvia che l’intervento pubblico nell’economia non è come tale preclu-
so, ma solo in quanto e nella misura in cui si esaurisca, o determini, una violazione delle norme del
Trattato”; L. MARINI, Privatizzazione e liberalizzazione delle condizioni concorrenziali nella Co-
munità Europea, in Riv. Dir. Comm. Inter., 1999, p. 167, per il quale: “nella Comunità euro-
pea, ciascuno Stato può dunque partecipare, e di fatto partecipa concretamente, allo svolgimento delle
attività produttive”.
4
Si veda S. M. CARBONE, Brevi note in tema di privatizzazioni e diritto comunitario, in Riv.
Comm. Inter., 1999, p. 231, passim.
5
Cfr. G. MOTZO, Art. 222, in Commentario CEE, Giuffrè, Milano, 1965, p. 1618, per il
quale sarebbe più corretto parlare di “ordinamento delle proprietà”.
6
Si veda in senso conforme G. MOTZO, op. cit., p. 1619; T. BALLARINO, Lineamenti di
diritto comunitario e dell’Unione europea, Cedam, Padova,1997; in senso contrario G.G.
STENDARDI, Il regime di proprietà nei paesi membri della Comunità europea, Il diritto degli
scambi internazionali, 1963, per il quale la norma costituirebbe una clausola di stan-
dstill, intesa a preservare il regime di proprietà esistente al momento dell’entrata in vi-
gore del Trattato; questa tesi è, però, contraddetta oltre che dalla dottrina supra riporta-
ta, anche dall’atteggiamento della Comunità che non ha mai interferito nelle naziona-
lizzazioni, come quelle francesi del 1982 (vedi infra).
6
li mutamenti che intervengano nei regimi interni della proprietà
successivamente all’adesione
7
.
La facile constatazione della sinteticità della norma in
questione suggerirebbe di leggervi un tributo ai timori, espressi
soprattutto negli ambiti nazionali, delle difficoltà che formulazioni
più dettagliate avrebbero certamente generato in sede di negoziato.
La funzione esclusivamente compromissoria delle dichiara-
zioni contenute nell’art. 295 CE va ridimensionata, tuttavia, alla lu-
ce della filosofia ideologica, politica e giuridica che è alla base del
Trattato
8
.
Un ruolo primario nell’identificare ed interpretare tali valori,
e successivamente nell’elaborarli concettualmente, è stato svolto
dalla corrente di pensiero liberale di scuola tedesca, poi ridefinita
“Scuola di Friburgo”, o dei neo-liberali tedeschi, che vide al centro
della propria elaborazione il concetto di Sozialen Marktwirtshft (eco-
nomia sociale di mercato)
9
.
Ad essa si deve, infatti, una notevole influenza nel creare la
piattaforma ideologica comunitaria, grazie all’importante posizione
assunta dalla Germania Federale nella formazione, nel 1957, della
CEE.
È particolarmente il ruolo attribuito da tale dottrina allo Sta-
to, inteso quale garante istituzionale dei meccanismi di mercato, ad
7
Si veda in senso conforme L. MARINI, op. cit., p. 171, per il quale: “l’art. 222
rappresenta una vera e propria riserva, in base alla quale gli Stati dispongono del regime della
proprietà senza che l’ordinamento comunitario possa condizionarne gli eventuali mutamenti”.
8
Così, G. AMORELLI, Le privatizzazioni nella prospettiva del Trattato istitutivo della Comunità
Europea,Cedam, Padova, 1992, passim.
9
Per approfondimenti in proposito, si veda NAUMANN, Theorie und Praxis des
Neoliberalismus. Das Marchen von der Freien oder Sozialen Marktwirtschft, Berlino, 1961;
TURLEY, Neoliberale Monopoltheorie und «Antimonopolismus», Berlino, 1961.
7
aver svolto un ruolo originale in tal senso. L’idea di uno Stato forte
ma neutrale
10
è alla base delle regole più indicative sotto il profilo
della qualificazione comunitaria dell’impresa e delle attività im-
prenditoriali: quelle relative alla concorrenza
11
.
I risultati della ricerca diacronica così delineata, da cui emer-
ge che il Trattato elegge l’economia di mercato a modello struttura-
le, conforme ai principi di effettività e di tutela istituzionale, sono
del tutto coerenti con la premessa iniziale dell’estraneità dell’art.
295 CE ad una qualsivoglia aprioristica presa di posizione in termi-
ni di favore per la libertà d’iniziativa economica dei privati
12
.
La norma, infatti, nonostante il riferimento al mero regime
della proprietà, prende in considerazione il regime di tutti i diritti di
natura patrimoniale e presuppone, soprattutto, la constatazione
della stretta interdipendenza tra l’ordinamento giuridico delle attivi-
10
Si veda, sul puno, G. AMORELLI, op. cit., per il quale vanno precisati i caratteri di tale
neutralità: essa non è la neutralità del liberismo dell’economia neoclassica, basato
sull’assunto che la libera concorrenza avrebbe automaticamente comportato il
raggiungimento di determinate finalità, conseguentemente escludendo un ruolo
positivo per la struttura istituzionale; è, invece, una neutralità che impone una pubblica
amministrazione dell’economia, necessaria proprio ai fini del raggiungimento di quelle
finalità in cui trova la sua giustificazione il modello di una economia di mercato. Su
questa distinzione, si veda, inoltre, T. ASCARELLI, Teoria della concorrenza e dei beni
immateriali, Milano, 1956, p. 13.
11
In generale sull’utilità e la rilevanza del modello di riferimento dato dalla teoria
dell’economia sociale di mercato per una valutazione delle ragioni di opportunità
economica della privatizzazione, si veda, tra gli altri, F. SCHIVARDI, Privatizzazione,
regolamentazione e politiche di tutela della concorrenza, in Regole del mercato, difesa della
concorrenza e razionalità delle politiche industriali nel quadro internazionale, Università Bocconi,
Milano, 1994; in senso difforme, A. PERA, Privatizzazioni e assetti di mercato: economia o
ideologia?, ISAE, Roma, 1999, per il quale esiste una rilevanza della forma proprietaria
dell’impresa ai fini della concorrenza, in particolare a p. 13, rileva: “[...] quali principali
determinanti dell’assetto di mercato i comportamenti delle imprese, su cui hanno un’influenza
fondamentale l’assetto proprietario e il conseguente sistema degli incentivi, e non fattori strutturali”.
8
tà economiche e dell’iniziativa economica, sia pubblica sia privata,
ed il regime delle proprietà
13
.
Si può, pertanto, sin d’ora sgomberare il campo da possibili
equivoci circa natura e finalità della normativa alla stregua della
quale si intende valutare il fenomeno delle privatizzazioni e, a tal
fine, affermare che l’art. 295 copra con la sua riserva della legge
nazionale non solo il regime giuridico della proprietà, ma, in modo
particolare, l’assetto economico interno ed il regime dell’iniziativa
economica pubblica e privata
14
.
Queste ultime, più precisamente, sono prese in considera-
zione dal disegno strutturale in questione, anche nelle reciproche
interrelazioni, non come oggetti di autonoma tutela, quanto, piut-
tosto, in vista delle specifiche funzionalità loro proprie, in relazione
agli obiettivi codificati nel Trattato.
12
Si veda, sul punto, P. DIBOUT, op. cit., per il quale: “la règle exprimée à l’article 222 ne
permet pas de penser que la propriété privée est, dans le droit communautaire, plus netterment sauve-
gardée ou, au contraire, conçue d’une manière restrictive”.
13
Si veda, in senso conforme, G. AMORELLI, op. cit., p. 12, per il quale: “il regime delle
attività economiche denota una notevole interdipendenza rispetto a quello della proprietà,
presentandosi quest’ultima, per ciascuna categoria di beni e di imprese, non solo come statuto delle
appartenenze ma altresì come programma delle possibili destinazioni d’uso nonché degli scopi e dei
modi di esercizio”. Sul principio di interdipendenza in relazione all’art. 295 cfr. anche G.
MINERVINI, Art. 83, Commentario CECA, diretto da R. QUADRI, R. MONACO, A.
TRABUCCHI, Giuffrè, Milano, p. 1199; A. DERINGER, Les incidences des règles de
concurrence et de l’art. 222 sur les possibilités de nouvelles nationalisations, in AA. VV.,
L’entreprise publique et la cuncurrence, Semaine de Bruges, De Tempel, Bruges, 1968,
p.388; implicitamente A. C. PAGE, The New Directive on Transparency of Financial Relations
between Member States and Public Undertakings, in European Law Review, 1980, p.499; M. T.
CIRENEI, Le imprese pubbliche, Giuffrè, Milano, 1981, p. 282.
14
Si veda, in senso conforme, G. MOTZO, op. cit., passim; P. DIBOUT, op. cit., per il
quale in generale: “l’article 222 présente ainsi une importance particulière à l’égard de l’économie
publique”.
9
«Il regime di proprietà cui sono soggetti i beni e le imprese
[...] non è indifferente rispetto alla loro utilizzazione»
15
; sicché, il
principio espresso nell’art. 295 CE, detto di “neutralità” o di “indif-
ferenza”, va precisato, dunque, alla luce degli ulteriori sviluppi in-
terpretativi, ormai consolidati.
L’attuazione di tale principio ha, innanzi tutto, evidenziato
come esso sia tutt’altro che assoluto
16
. Qualsiasi interpretazione gli
si voglia attribuire, infatti, si deve in ogni modo considerare inde-
rogabile la prevalenza dei principi fondamentali del Trattato. In
particolare, rilevano al riguardo il diritto di stabilimento, la libertà
di movimento dei capitali, la non discriminazione tra cittadini degli
15
Così, G. AMORELLI, op. cit., p. 13; si veda, in senso conforme, G. MOTZO, op. cit., p.
1620, per il quale va sottoposta a critica la conclusione, dedotta da un atteggiamento
volutamente agnostico in merito all’applicazione delle disposizioni comunitarie, che
prescinda dal distinguere a seconda che i destinatari siano entità o imprese in mano
pubblica o privata, dell’equipollenza delle due situazioni ai fini del Trattato. Nella
stessa tesi che l’autore intende confutare, infatti, è implicito l’assunto che a nulla
varrebbe il riconoscimento della proprietà pubblica, quindi della sua specificità, se essa
non potesse spendersi in termini di deroga alla disciplina comune delle attività; si veda,
inoltre, implicitamente, P. DIBOUT, op. cit., p. 1391, per il quale: “la reconnaissance d’un
droit de propriété n’implique pas, en effet, que tout usage de ce droit doive etre accepte”. In senso
difforme G. G. STENDARDI, op.cit.; G. NICOLAYSEN, Les secteur public dans le cadre d’un
plan national, in AA. VV., op. cit., p. 328; G. DE VERGOTTINI, limiti tra settore
imprenditoriale pubblico e privato e trattati europei, in Riv. Trim. dir. Proc. Civ., 1967, p. 555,
sostenitori di un’idea (cfr. nota 6) che, di fronte alle continue riaffermazioni in tema
compiute dagli organi comunitari ed anzitutto dalla Corte di Giustizia, segna ormai il
passo.
16
Si veda, in senso conforme, W. DEVROE, Privatizations and community law: neutrality
versus policy, in Common Market Law Review, 1997, p. 267, per il quale: “[…] this principle is
far from absolute”; cfr., inoltre, A. VERHOEVEN, Privatisation and EC Law: is the European
Commission «neutral» with respect to public versus private ownership of companies?, in International
and Comparative Law Quarterly, 1996, p. 861, per la quale: “Dispite Article 222’s apparent
semplicity, […]its application is not evident, for the very reason that the concept of ownership is not
unequivocal”. In senso difforme, si veda P. DIBOUT, op. cit., per il quale: “A la différence
d’autres articles, où ce sont «les dispositions du présent traité» qui sont visées […]le sujet de la phrase
est ici «le présent Traité» ce qui, compte tenu également de la spécifité de l’expression «ne préjuge en
rien», marque le caractère total et absolut de la limite imposée au pouvoir communautaire pour la
dètermination du régime de la propriété”.
10
Stati membri, ma soprattutto le regole della concorrenza
17
, tra cui
hanno assunto una posizione prevalente gli artt. 87 e 88 CE (ex
artt. 92 e 93), recanti disposizioni riguardo il divieto di aiuti di Stato
(si veda infra capitolo II). L’osservanza di tali norme costituisce il
complemento indispensabile al patto fondamentale di neutralità,
sancito dall’art. 295 CE
18
.
Un’ulteriore fessura nell’impermeabilità della riserva ricono-
sciuta da tale articolo, nell’ambito degli Stati membri, alle varie leggi
nazionali si apre nel 1966, con il caso Grundig/Consten
19
.
La Corte di Giustizia CE, in quell’occasione, operò, infatti, la di-
stinzione, successivamente divenuta di fondamentale importanza
nel sistema comunitario del diritto di proprietà industriale, tra
l’esistenza del diritto – tutelata, appunto, dal diritto interno e pro-
tetta dall’art. 295 CE – ed il suo esercizio, soggetto, invece, alle di-
17
Si veda, in senso conforme, fra gli altri, G. AMORELLI, op. cit., p.13, per il quale:
“[…] il Trattato nel rimettere agli Stati nazionali il potere di determinare il regime interno della
proprietà non ha davvero costituito a favore di essi la facoltà di apportare deroghe alle norme in esso
contenute (alcune delle quali, come quelle degli artt. 7, 37, 52, 58, 90 CEE sarebbero inspiegabili se
si ritenesse il contrario)”. Sul punto si veda anche A. FRIGNANI, M. WAELBROECK,
Disciplina della concorrenza nella CEE, Napoli, 1983, p. 121; inoltre, M. T. CIRENEI, Le
società di diritto speciale tra diritto comunitario della concorrenza: società a partecipazione pubblica,
privatizzazionni e poteri speciali, in Riv. dir. Comm. Inter., 1996, p.775, per la quale le norme
a tutela della libera concorrenza conservano, sia pure con valore strumentale, carattere
prioritario nella gerarchia dei valori comunitari.
18
Così, C.D. EHLERMANN, Imprese pubbliche e controllo degli aiuti di Stato, cit., p. 417.
19
Corte di Giustizia CE, casi 56/64 e 58/64, Grundig/Consten, 1966. In breve, la
società tedesca Grundig autorizza i propri distributori esclusivi nei vari stati a registrare
in ognuno di essi, tranne che in Germania, il marchio Gint (Grundig International); in
questo modo, essa può citare in giudizio per violazione di marchio, ai sensi della
normativa francese, l’importatore Unef, che nel frattempo ha cominciato ad acquistare
prodotti Grundig in Germania – dove costano meno, dato che i dazi non sono stati
ancora aboliti al tempo – ed a rivenderli in Francia a prezzi più bassi. Secondo
l’Avvocato generale della Corte di Giustizia, il comportamento di Grundig costituisce
un uso abusivo della normativa sui marchi, dal momento che il marchio Grundig indica
con chiarezza l’origine dei prodotti, e quindi l’impresa responsabile delle loro qualità.
11
sposizioni del Trattato relative alla concorrenza ed alla libertà di
circolazione delle merci.
Da ciò si evince che “la violazione del Trattato insita nel
contenuto della proprietà, dovendo necessariamente avere attinen-
za col suo svolgimento, va pertanto considerata comportamento e
solo come tale repressa”
20
. È evidente l’originalità della costruzione
comunitaria.
La neutralità del diritto comunitario per il regime interno
della proprietà si presenta, dunque, come mera presunzione di inin-
fluenza delle nozioni giuridiche interne di proprietà pubblica e pri-
vata, nel presupposto che gli aspetti contrari allo spirito ed alla let-
tera del Trattato insiti in tali definizioni, non valutabili a priori,
vanno commisurati caso per caso alle norme che sanciscono attivi-
tà e comportamenti, almeno potenziali.
Dal principio di neutralità, fin qui proposto, può essere,
quindi, estrapolata la sua rilevanza come principio di indifferenza
funzionale.
Gli Stati, in definitiva, possono organizzare in maniera
prettamente discrezionale – o meglio, osservando le disposizioni
delle rispettive costituzioni economiche – i diritti inerenti alla
proprietà imprenditoriale, purché non violino le norme che
disegnano il modello «strutturale» di mercato, sotteso al
raggiungimento degli obiettivi primari del Trattato
21
.
20
Così G. AMORELLI, op. cit., p. 13.
21
Si vedano artt. 3 e 4 Trattato CE, in cui tali obiettivi sono codificati.
12
In tutti i Paesi dell’Unione, in varia misura, a seconda dei
tempi e delle circostanze, si è registrata l’assunzione da parte dello
Stato di attività imprenditoriali, al fine di far fronte a servizi di
pubblica utilità, salvare posti di lavoro in periodi di crisi economica,
effettuare investimenti che i meccanismi di mercato non sono in
grado di realizzare, rilanciare aree regionali deboli o sostenere set-
tori economici in forte difficoltà
22
. A tal proposito, si propone un
secondo principio, rispetto al primo di neutralità: quello della parità
tra imprese pubbliche e private
23
, affermato, nei suoi termini gene-
rali, nelle disposizioni dell’art. 86 (ex art. 90), par. 1, del Trattato
24
.
22
Sull’influenza del settore pubblico sull’economia dei Paesi comunitari, si vedano A.
ABATE, Droit communautaire, privatisations, déréglementations, in Revue du marché unique
européen, n.3, 1994, p. 11; M. CAMMELLI, Le imprese pubbliche in Europa, caratteri e problemi,
in Riv. Ital. Dir. Pubbl. Comunitario, 1993, p. 1161; E. MOAVERO MILANESI,
Partecipazione dello Stato nelle imprese pubbliche e disciplina comunitaria degli aiuti di Stato, in
Rivista di Diritto Europeo, n.3, 1990, p.515, il quale, in particolare, svolge una puntuale
esemplificazione, in una prospettiva storica, delle ragioni che si ricollegano alla scelta
di ricorrere ad aziende pubbliche.
23
Si veda P. FATTORI, Aiuti di stato: processi di privatizzazione e tutela della concorrenza, in
Rivista di diritto europeo, 1995, p. 87, per il quale: “come i due principi in parola si coordino è
vicenda ormai nota. Il primo, quello di neutralità, inquadra la materia in termini, per così dire,
quantitativi: nulla vieta, in altre parole, ad uno Stato membro di decidere autonomamente in quale
misura essere presente nella propria economia; il secondo disciplina invece tale presenza, ed impedisce
che alle imprese in mano pubblica venga ingiustificatamente riservato un trattamento preferenziale
rispetto a quelle private”; inoltre, in proposito, si vedano C. D. EHLERMANN, op. cit.,
p.416; G. TESAURO, op. cit., p. 720; M. ORLANDI, Gli aiuti di stato nel diritto comunitario,
Edizioni Scientifiche Italiane, 1995, p. 398; A. PAPPALARDO, Commento all’art. 90, in
Commentario CEE, Giuffrè, Milano, 1965, p. 678; P. DIBOUT, op. cit., p. 1390. Cfr. ,
pure, Decisione della Commissione CE, 21 dicembre 1993, n. 94/118/CE, relativa
all’aiuto che l’Irlanda intende conferire al gruppo Aer Lingus, un’impresa operante
principalmente nel settore dei trasporti aerei, in GUCE n. L54, del 25/2/94, p. 30.
24
L’art. 86, par. 1, del Trattato CE dispone che: “Gli Stati membri non emanano, né man-
tengono, nei confronti delle imprese pubbliche e delle imprese cui riconoscono diritti speciali o esclusivi,
alcuna misura contraria alle norme del presente Trattato, specialmente a quelle contemplate dagli arti-
coli 12 e da 80 a 89 inclusi”. Come rilevato da A. PAPPALARDO, op. cit., p. 686, la nozione
di «misura» va intesa in senso ampio, in modo tale da risultare “comprensiva di ogni mani-
festazione di volontà dello Stato diretta alle imprese”. Cfr., inoltre, in proposito, le conclusioni
dell’Avvocato generale L. VAN GERVEN relative alla sentenza 12 febbraio 1992, Paesi
Bassi e Koninklijke PTT Nederland NV e PTT Post BV c. Commissione, cause riunite C-
48/90 e 66/90, in cui la Corte di Giustizia CE ha riconosciuto che il diritto comunita-
rio e in particolare le norme del Trattato relative alla concorrenza si applicano al setto-
13
Le regole di concorrenza vanno applicate, in base a tale
principio, in uguale maniera tanto alle imprese private quanto alle
imprese pubbliche
25
, salvo le limitate eccezioni
26
, previste per quel-
le incaricate della gestione di servizi di interesse economico genera-
le o aventi carattere di monopolio fiscale. Come precisato dalla
Commissione CE: “la libertà incontestabile di uno Stato membro
di scegliere il regime di proprietà che più gli si addice, lascia immu-
tata la sua responsabilità di fare in modo che, tanto la gestione del
settore pubblico quanto il comportamento sul mercato delle impre-
se pubbliche, siano conformi alle regole del Trattato”
27
.
Il ruolo dello “Stato imprenditore”, d’altronde, non è rico-
nosciuto dalla sola normativa primaria della Comunità; è avallato,
altresì, dalla Commissione. Questa ha esplicitamente riconosciuto,
infatti, che “le imprese pubbliche possono costituire, su scala na-
zionale, uno strumento particolarmente valido per la realizzazione
di obiettivi di politica economica e sociale”
28
.
re postale, confermando il potere della Commissione di escludere la compatibilità col
Trattato della normativa nazionale, in virtù del combinato disposto degli artt. 81 e 86
del medesimo.
25
Sul punto, si veda in particolare SIR LEON BRITTAN, European competition policy.
Keeping the payng-field level, Brasey’s, London, 1992, p. 80, per il quale: “no company, just as
no individual, is above the law. Article 90 recognises this, stating clearly that all publicy-owned
companies, whether or not they are granted monopoly rights, are subject to the rules on competition”.
26
Sul punto, si veda G. AMORELLI, op. cit., p. 268, il quale rileva una distinzione di
principio tra la tutela delle libertà economiche fondamentali e la libertà di concorrenza
per cui solamente le prime sono assolute. Per l’autore: “la tutela delle libertà economiche
fondamentali è assoluta. Essa non consente alcuna deroga se non per motivi attinenti allo svolgimento
di funzioni autoritative, rigidamente codificate, connesse ma estranee di per sé all’attività economica.
La tutela del principio di concorrenza, pur essendo pervadente non gode invece dello stesso grado di
assolutezza. L’art. 90, per. 2, consente, difatti, che le imprese esercenti servizi di interesse economico
generale possano sottrarvisi”.
27
Così, Commissione CE, Ottava relazione sulla politica di concorrenza, Lussemburgo,
1973, p. 192, punto 254.
28
Così, Commissione CE, Sesta relazione sulla politica di concorrenza, Lussemburgo, 1977,
p. 158, punto 276. Nello stesso senso si è espressa la Commissione nella Direttiva n.
14
Dal momento in cui si riconosce, dunque, che nell’insieme
gli assetti imprenditoriali dei Paesi membri dell’Unione europea
riflettono quello che, in genere, si suole chiamare un sistema ad
economia mista, bisogna interrogarsi sulle peculiarità dell’impresa
pubblica e sulle sue ragioni di esistenza (si veda infra).
Prima di ciò, v’è da aggiungere, peraltro, che la realizzazione
del mercato interno e dell’Unione europea ha assecondato
l’esigenza di ridurre l’importanza strategica del settore pubblico
29
,
così che l’impresa pubblica cesserebbe di essere uno strumento in-
dispensabile per assicurare una presenza nazionale in settori strate-
gici e per apprestare capitali per iniziative giudicate necessarie e per
le quali il sistema si fosse rilevato non in grado di raccogliere mezzi
sufficienti
30
.
Se da un lato, infatti, la neutralità del Trattato rispetto al re-
gime di proprietà delle imprese, come fin qui rilevata, ovvero, fino
a quando l’iniziativa economica pubblica si assoggetti al diritto co-
mune della concorrenza e non si ponga in contrasto con regole e
80/723/CEE, del 25 giugno 1980, relativa alla trasparenza delle relazioni finanziarie
fra gli stati membri e le loro imprese pubbliche, in GUCE n. L195 del 29/7/80, p. 35,
in cui ha riconosciuto, primo considerando, “l’importante ruolo che le imprese pubbliche as-
solvono nell’economia nazionale di ciascuno Stato membro”.
29
Esigenza, in generale, confermata dalle considerazioni svolte, su un piano
prettamente economico, da A. PERA, op. cit., p. 8, per il quale, senza ricorrere ad
opzioni di tipo ideologico, un assetto prevalentemente pubblico delle imprese può
essere incompatibile con un’effettiva concorrenzialità dei mercati; assetti regolamentari
efficienti possono essere più facilmente attuabili se l’impresa è stata privatizzata.
30
Così, G. GUARINO, L’atto Unico e il processo di integrazione europea, in Impresa pubblica e
impresa privata verso l’Europa del 1992, p. 151, Atti del Convegno organizzato dalla
Fondazione Giacomo Matteotti, Napoli, 19 maggio 1989, passim. Cfr., in proposito, F.
REVIGLIO, L’impresa pubblica, in Impresa pubblica e impresa privata verso l’Europa del 1992,
Atti del convegno organizzato dalla fondazione Giacomo Matteotti, Napoli, 19
maggio 1989, p. 29, per il quale: “[…] mi pare che si possa affermare che l’instaurarsi del
mercato interno europeo non muti le condizioni di fondo che giustificano, anzi che richiedono,
l’intervento delle imprese pubbliche in una economia di mercato”.
15
principi del diritto comunitario
31
, si traduce nella libertà degli Stati
di decidere sull’esistenza, l’estensione, le caratteristiche del settore
pubblico; d’altro lato, la partecipazione dello Stato ad un’attività
economica implica rischi rilevanti, intrinseci alla sostanza stessa
dell’impresa pubblica, di violazione di quelle stesse regole e di que-
gli stessi principi.
31
Si veda, sul punto, Commissione CE, Sesta relazione sulla politica di concorrenza, cit., p.
158, punto 276: “la libera circolazione delle merci e dei servizi e l’unità del mercato comune non
potrebbero essere garantite se il comportamento di alcune categorie di imprese sfuggisse all’applicazione
delle disposizioni del Trattato”.