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1) PARS DESTRUENS - Nascita e dissoluzione della metafisica nel pensiero occidentale: la riflessione
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ontologica e metafisica
Per quanto concerne il primo nucleo tematico (che potremmo indicare come riflessione epistemico-
ontologica), si può osservare come l'attenzione che Vattimo riserva alla filosofia tedesca di fine ‘800 si
connoti per l'orientamento epistemologico: l'elemento cruciale non è tuttavia il problema della fondazione (e
delle condizioni di possibilità) della conoscenza scientifica, che aveva appassionato i filosofi analitici di
sponda anglo-americana, di derivazione neopositivista e ispirazione wittgensteiniana, quanto piuttosto il
tema ontologico.
In debito nei confronti di Nietzsche e di Heidegger, a cui si avvicina con premurosa attenzione, Vattimo ne
allarga le conclusioni speculative da un ambito strettamente onto-teologico ad ogni sorta di sapere
assolutamente certo. Abbeveratosi alla scuola ermeneutica di Pareyson, Gadamer e altri, il filosofo torinese
ne esaspera e modifica gli assunti, fino a precludere alla conoscenza umana la possibilità di accedere a
qualsiasi Verità assoluta, formulando così la propria rinuncia alla prospettiva della Ragione illuministica in
parallelo alle posizioni, sul finire degli anni '60, dell'ermeneutica transalpina (Ricoeur, Derrida, Deleuze), da
cui assorbe la lezione del decostruzionismo. Il pensiero debole, la fortunata collatio del 1983 che dà il nome
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alla sua proposta filosofica, allinea la filosofia italiana alle ricerche ermeneutiche e post-moderne del
pensiero contemporaneo occidentale, fondate sul rifiuto di ogni forma di verità universale, oggettivabile,
scissa dal soggetto conoscente.
Il monito kantiano - l'inconoscibilità del noumeno - viene così esasperato nel senso della prospettiva
individuale di ogni conoscenza (la verità si dà nell’interpretazione), che esclude ogni forma di
universabilizzabilità. La soluzione idealista tedesca (ma anche la riproposizione idealista crociana del primo
'900), che nel tentativo di giungere all'universale riconduceva il tutto allo spirito, viene definitivamente
abbandonata, e il relativismo a cui approda l’Autore veleggia sospinto anche dalla nuova antropologia
culturale.
Il passaggio dal rifiuto di una metafisica onto-teologica al rifiuto di ogni possibilità di conoscenza ultima della
realtà - che si compie in Vattimo appunto nel segno di una negazione dell'intelligibilità della verità
sostanziale, a cui perviene ponendo un fortissimo accento sul processo di secolarizzazione che permette
all’uomo occidentale il distacco da Dio e l’accoglimento del nihilismo - si traduce necessariamente
nell’accettazione della molteplicità delle interpretazioni della realtà («la verità si dà solo nelle
interpretazioni») che riattualizza le sentenze del relativismo classico greco attraverso la mediazione della
ermeneutica ottocentesca, ma che a ben vedere può venire rintracciata, sebbene flebile, in più momenti
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della storia del pensiero occidentale.
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La pluriennale (ed ormai esorbitante) produzione teoretica di Vattimo può essere ripercorsa sia attraverso la lettura diretta dei suoi
scritti, sia scandagliando i molteplici commenti consegnati all’attenzione degli studiosi, frutto d’opera di accademici impegnati nell’agone
filosofico ma anche di commentatori, studenti, giornalisti, esegeti che da prospettive diverse si confrontano con un pensiero divenuto a
la page. Tra i vari commentatori citiamo: G. Giorgio, Il pensiero di Gianni Vattimo, op. cit.; C. Dotolo, La teologia fondamentale davanti
alle sfide del ‘pensiero debole’ di G. Vattimo, Libreria Ateneo Salesiano, Roma 1999; W. Sützl, Emancipación o violencia. Pacifismo
estético en Gianni Vattimo, tesi, Università Jaume I de Castellón, 2001; M. Piazza, Il pensiero di Vattimo, tesi, Università degli Studi di
Milano 2006 reperibile sul sito Tesionline alla pagina www.tesionline.it/consult/pdfpublicview.asp?url=../__PDF/17868/17868p.pdf; D.
Monaco, Gianni Vattimo. Ontologia ermeneutica, cristianesimo e postmodernità, Edizioni ETS, Pisa 2006.
13
G. Vattimo, P.A. Rovatti (a cura di), Il pensiero debole, Feltrinelli, Milano 1983.
14
Ovviamente il tema della conoscenza della realtà/verità si riallaccia al problema della corrispondenza tra essere e linguaggio,
delineatosi in età contemporanea nella forma di filosofia del linguaggio, ma già presente in epoche filosofiche diverse: valgano come
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Se vogliamo dipanare più a fondo lo snodo cruciale tra il rifiuto della conoscenza dell'Essere/Dio (crisi della
metafisica) e l'inattingibilità delle verità ultime della realtà a prescindere dalle «catene» dell'interpretazione,
così come formulato nella prospettiva del pensiero debole, dobbiamo allora soffermarci più a lungo proprio
su questo aspetto, centrale nel pensiero di Vattimo, ovvero sul processo di secolarizzazione che ha
caratterizzato storicamente lo sviluppo della civiltà moderna occidentale.
Si tratta in sostanza di esaminare in che modo Vattimo si accosta al tema della secolarizzazione, un tema,
come noto, già attentamente indagato da Max Weber: proprio il sociologo tedesco infatti, avvertendo lo
scarto esistente tra lo sforzo religioso di dare un senso etico al mondo e alla vita umana e la ricerca di una
conoscenza fondata sulla spiegazione razionale, per primo aveva sostenuto che il conoscere empirico,
riducendosi a conoscenza del meccanismo causale (la scienza non riconosce alcun senso nel mondo e nei
suoi avvenimenti, proponendosi soltanto di spiegarli, ossia di determinare relazioni causali), realizza un
«disincantamento» (Entzauberung) del mondo; ma nel fare ciò la scienza, dando corso ad una rottura tra
magia primitiva e religione, ha spinto progressivamente quest’ultima fuori dall'ambito razionale. Lo sviluppo
della conoscenza intellettuale preclude in altre parole la possibilità di una «interpretazione razionale del
senso del mondo», possibilità che costituiva originariamente la stessa ragion d'essere della religione come
15
strumento di redenzione.
Addirittura il moderno consumismo - difficilmente compatibile con l’austera visione weberiana del capitalismo
come effetto dell’etica calvinista - potrebbe rappresentare, dice Vattimo allargando una riflessione di Colin
16
Campbell sul romanticismo, l’esito di una secolarizzazione dell’originale nocciolo del messaggio cristiano,
giacché potrebbe esprimere la curiosità verso mondi alternativi e l’intensa voglia di nuovo determinata dalla
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scossa riformatrice sul pensiero cristiano che apre l’età moderna.
a) la metafisica come rassicurazione
L’esplorazione vattimiana della secolarizzazione in termini di categoria centrale del pensiero filosofico e
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metafisico moderno non può prescindere dalla lunga frequentazione delle opere di Nietzsche. In
esempi insoliti il richiamo alla Teologia Platonica di Proclo, secondo cui la dialettica (la filosofia prima o scienza della realtà delle idee)
altro non è che una tecnica di recitazione circolare dei Nomi, che coincidono con le Idee (coincidenza di essere e linguaggio); le
corrispondenze tra la meditazione ebraica sulla Torah (la scienza dei Nomi divini) quale tessuto di Nomi - la cui recitazione alla stregua
di una partitura musicale (un «inno») è Dio stesso nel suo manifestarsi - e l’analisi filologica condotta da Burckardt sulla lingua araba,
che avrebbe un carattere arcaico, quasi primordiale (in virtù della sua natura di sistema di radici tri-littere - ciascuna delle quali vene ad
essere una sorta di ideogramma sonoro - nominare una cosa significa identificarsi con l’atto o con il suono che la produce); le articolate
riflessioni di Walter Benjamin (ne Il compito del traduttore, 1921, ora ritradotto: Benjamin W., Il compito del traduttore, aut aut, 334,
2007, p. 7-20) che, ponendo due forme di convergenza tra le lingue, a valle nel concetto (linguisticamente neutro) e a monte in una
lingua originaria archetipica (di cui le varie lingue sono una sorta di dialetto) vede nella traduzione delle opere testuali una sorta di
ritorno/risalita alla lingua originaria, tanto da considerare l’insieme delle traduzioni un potenziamento dell’opera originaria (a cui si
avvicinano per lampi intuitivi) anticipando la Wirkungsgeschichte (la «storia della fortuna») di Gadamer.
15
Weber individua nel trapasso dall’etica protestante allo spirito capitalistico il crinale storico di questa svolta: la premessa del processo
di razionalizzazione risiede nell’ascesi intra-mondana (lo sforzo consapevole di trasformare il mondo adeguandolo ai precetti divini), a
cui subentra lo smarrimento dell’originario senso religioso di «sevizio al volere di Dio» e di «prova dello stato di grazia» smarrimento
che da luogo al «disincanto». In sostanza alla ricerca originaria del profitto come conferma della salvezza nell’aldilà si sostituisce la
ricerca del profitto come scopo in sé, fornito di valore autonomo, e all’impiego della violenza come mezzo per piegare la vita politica alla
volontà divina si sostituisce la pura e semplice ragion di Stato, refrattaria a qualsiasi principio morale (M. Weber, Protestantesimo e
Spirito del capitalismo, Gruppo Editoriale L’Espresso, Roma 2006).
16
C. Campbell, L’etica romantica e lo spirito del consumismo moderno, tr. It. Edizioni del Lavoro, Roma 1992.
17
G. Vattimo, L’Occidente o la cristianità, in: G. Vattimo, Dopo la cristianità, cit., p. 81-82 (in precedenza già pubblicato in: A. Giordano,
F. Tomatis, Cristianesimo ed Europa, Città Nuova, Roma 1993).
18
L’ininterrotto dialogo di Vattimo con Nietzsche trova le formulazioni più significative soprattutto nelle seguenti opere: G. Vattimo,
Ipotesi su Nietzsche, Giappichelli, Torino 1967, poi riedito come G. Vattimo, Dialogo con Nietzsche. Saggi 1961-2000, Garzanti, Milano
2000; G. Vattimo, Il soggetto e la maschera. Nietzsche ed il problema della liberazione, Bompiani, Milano 1974; G. Vattimo,
Introduzione a Nietzsche, Laterza, Roma-Bari 1985. A grandi linee l’approccio vattimiano identifica, secondo uno schema costante, il
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particolare Vattimo dedica grande attenzione alla riflessione nietzscheana sull’origine e sulle caratteristiche
19
della cultura occidentale. Dal filosofo di Roecken riprende l’idea secondo cui l’origine di quest’ultima va
messa in stretta relazione con il bisogno di sicurezza che caratterizza l'esistenza umana: l'uomo infatti,
sospinto dall’istinto di conservazione e dalla ricerca del piacere, cerca di individuare alcune «forme di
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rassicurazione del pensiero», in grado di sorreggerlo nell’affrontare le incertezze dell’esistenza. Il filosofo
torinese definisce specificamente «maschera» e «travestimento» questi espedienti, che consentono
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all'individuo di nascondere il dolore che caratterizza l'esistenza.
A questo riguardo, la «cultura apollinea» dell’antica Grecia per prima avrebbe predisposto una maschera nei
confronti della sofferenza umana istituendo un pantheon di divinità; in seguito invece il pensiero greco (e poi
occidentale) avrebbe trovato una forma di rassicurazione nelle categorie elaborate dalla filosofia tradizionale
(tra cui le idee di sostanza e di libertà e il principio di causalità), vale a dire nelle nozioni più elementari
utilizzate dagli umani per organizzare il mondo in modo razionalmente ordinato e comprensibile.
Come facilmente intuibile, la ricerca di un significato (che racchiude il bisogno di sicurezza) per le vicende
del mondo, e quindi anche per la sofferenza umana, riesce tanto più efficace quanto più le categorie
elaborate dal pensiero astratto si mostrano forti, resistenti al dubbio. Proprio per questo la filosofia avrebbe
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privilegiato le «categorie unificanti, sovrane, generalizzanti» presentandosi così nella forma di una
metafisica.
D’altro canto anche il sorgere della religione e dell’arte, in tempi che precedono la formulazione delle
costruzioni filosofiche sistematiche, risponde alla necessità di individuare forme di rassicurazione. Da un
lato, per quanto concerne l’arte, il dolore e le difficoltà legate all’esistenza vengono momentaneamente
messe da parte, attraverso un meccanismo consolatorio (seppure effimero) che mette a disposizione «un
mondo diverso da quello dell’insicurezza quotidiana, non teorizzandolo né promettendolo semplicemente,
23
come fanno metafisica e religione». Dall’altro, nella religione, propria di una mentalità primitiva, tutto ciò
che accade viene interpretato come manifestazione di una volontà divina: essa è quindi garanzia della
razionalità del tutto, suprema anche se non pienamente intelligibile, di per sé in grado di confortare
l’individuo di fronte alle difficoltà quotidiane della vita terrena offrendogli la prospettiva della salvezza
24
eterna.
pensiero del filosofo tedesco in 3 periodi: il primo comprende La nascita della tragedia e le Considerazioni inattuali; il secondo va da
Umano troppo umano alla Gaia scienza; il terzo è quello di Zarathustra e delle opere successive (G. Giorgio, Il pensiero di Gianni
Vattimo, cit., p. 125). Va qui sottolineato come la lettura vattimiana abbia costituito sin dall’inizio una novità di rilievo nell’esegesi
contemporanea del filosofo dello Zarathustra (valgano ad esempio le parole di Penzo: «Il contributo di Vattimo si inserisce in un posto di
primo piano nella letteratura italiana sul pensiero di Nietzsche», in G. Penzo, StPa 16, 1969, p. 335-340), un’esegesi che ha trovato
molteplici voci nella cultura filosofica italiana della seconda metà del XX secolo (per un’esplorazione della stessa si veda ad esempio
E.C. Corriero, Nietzsche oltre l’abisso. Declinazioni italiane della ‘morte di Dio’, Marco Valerio Editore, Torino 2007, con prefazione dello
stesso Vattimo). Si deve qui precisare che la cura di Vattimo per il pensiero del Nietzsche non è solo ripercorrimento filologico o analisi
storica contestualizzata, sempre benefica ma archeologica, bensì approfondimento critico fertile e apertura di nuovi orizzonti filosofici, e
come tale nient’affatto intimidita da possibili obiezioni polemiche sulla sua aderenza e/o devianza dal pensiero originario dell’autore
tedesco (tra queste obiezioni si collocano ad esempio quelle avanzate da Domenico Losurdo, nel corposo Nietzsche, il ribelle
aristocratico. Biografia intellettuale e bilancio critico, Bollati Boringhieri, Torino 2002, riprese anche da Antimo Negri in una recensione a
Losurdo, Nietzsche sottratto agli ‘ermeneuti dell’innocenza’). Per altri commenti si veda infine C. Dotolo. La teologia fondamentale, cit.,
p. 343-344, nota 1).
19
Per una sintesi dettagliata dell’esegesi vattimiana del pensiero di Nietzsche si veda M. Piazza, Il pensiero di Vattimo, op. cit. (di cui si
segue qui la traccia).
20
G. Vattimo, P.A. Rovatti (a cura di), Il pensiero debole, cit., p. 18.
21
G. Vattimo, Il soggetto e la maschera, cit., p. 17-18. Vattimo stesso osserva peraltro come il concetto di maschera che sorregge la
sua ipotesi interpretativa, non appartenga in senso proprio al linguaggio nietzscheano, essendo stato messo in gioco da una riflessione
di Bertram (ivi, p. 9).
22
G. Vattimo, Le avventure della differenza. Che cosa significa pensare dopo Nietzsche ed Heidegger, Garzanti, Milano 1980, p. 10.
23
G. Vattimo, Il soggetto e la maschera, cit., p. 135.
24
G. Vattimo, Introduzione a Nietzsche, cit., p. 42 e 57.
9
Analoghe considerazioni - osserva Vattimo - valgono per la morale: l’individuo non solo non coglie la
causalità relativa agli eventi esterni, ma nemmeno quella inerente ai propri stati interni ed ai propri atti. Se i
primi vengono spiegati dalla volontà divina, i secondi vengono infatti ricondotti ad una «libera (cioè
25
miracolosa e inspiegata) decisione della volontà», che dà luogo alla nozione di responsabilità, ovverosia
una modalità capace di rassicurare tramite l’attribuzione con certezza di una determinata azione a qualcuno.
In definitiva, la rassicurazione raggiunta per le vie differenti dell’arte, della religione e della morale ricolloca
l’individuo nel mondo «all’interno di un quadro che (…) tende a considerare come fisso: la sostanza è il
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quadro, il mondo-ambiente; la libertà è la mobilità dell’organismo»: per questo Vattimo, come Nietzsche, fa
derivare i principi ultimi del pensiero occidentale - le idee di sostanza e di libertà - dall’esigenza di sicurezza
che caratterizza l'esistenza umana.
b) lo smascheramento
Vattimo puntualizza come l’azione di smascheramento operata da Nietzsche nei confronti delle verità
costruite dal pensiero occidentale si concentri soprattutto sui concetti elaborati dalla morale, pur senza
dimenticare che etica, metafisica e religione risultano non solo accomunate dal medesimo bisogno di
rassicurazione, ma mostrano tra loro influenze reciproche.
Gli antichi ritenevano la conoscenza del bene e della virtù sufficiente a guidare correttamente i
comportamenti umani. Ma il filosofo torinese (come Nietzsche) è convinto che la conoscenza del dovere
27
non determini mai di per sé l’azione morale, in quanto i comportamenti posti in atto non dipendono dalla
libera scelta del soggetto agente, ma costituiscono l’esito di un conflitto interiore nel quale la decisione
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spetta al motivo più potente.
In questo modo, seguendo Nietzsche, Vattimo non si limita a eccepire che le azioni ritenute morali siano tali,
ma mette in discussione la conoscibilità della ragione di tali azioni e dei meccanismi psicologici che inducono
il soggetto a compierle: in altre parole, contesta la possibilità di accertare l’esito del conflitto interiore che
produce la deliberazione all’azione (e di conseguenza tutti i concetti tradizionali elaborati in ambito morale).
La coscienza (anche definibile come lo «spirito») decade allora da «suprema istanza egemonica della
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personalità» preposta a mettere ordine tra gli impulsi: i principi vanno intesi come espressione di una
gerarchia che precede la coscienza, non più pienamente consapevole né padrona degli istinti, e la coscienza
medesima va intesa come la risultante di una interpretazione degli stimoli esterni sotto guida degli istinti. Gli
stimoli esterni, mai immediati, sarebbero quindi il frutto di una selezione operata sulla scorta di «abitudini
30
percettive» difficili da precisare, piuttosto che di una natura accessibile alla conoscenza.
31
Ne deriva che il pensiero non è affatto nelle condizioni di poter arrivare ad un «referente ultimo», sia esso
la coscienza oppure gli stimoli, neppure a proposito del principio di piacere e dell’istinto di conservazione. La
coscienza viene così privata del proprio ruolo fondativo e il soggetto che ha elaborato su di essa l’idea di una
sostanziale unità dell’io si rivela «un gioco superficiale di prospettive, un’apparenza ermeneutica, dunque
25
G. Vattimo, Il soggetto e la maschera, cit., p. 120.
26
ibidem.
27
ivi, p. 122.
28
G. Vattimo, Introduzione, in: F. Nietzsche, Aurora. Pensieri sui pregiudizi morali, Newton Compton, Roma 1990, p. 58.
29
G. Vattimo, Il soggetto e la maschera, cit., p. 52.
30
ivi, p. 226.
31
ivi, p. 310.
10
nulla di ciò che la tradizione metafisica ha creduto che fosse, meno che mai il centro di una consapevolezza
32
e di una iniziativa originale».
Per questo si possono proporre solo interpretazioni («non ci sono fatti, solo interpretazioni; e anche questo,
33
certo, è un'interpretazione»). I concetti elaborati dal pensiero occidentale in ambito morale (e la stessa idea
di azione morale) vanno allora considerati come costruzioni volte a consentire l’esercizio del dominio di
alcuni su parte della società piuttosto che errori di interpretazione della natura umana. In altre parole
secondo Nietzsche, riflette Vattimo, la morale è un sistema di concetti inventato dai deboli per «esigere dai
34
forti che non esercitino la loro forza».
L’analisi sociale della morale (che affianca l’analisi della morale individuale) rintraccia in sostanza l’origine
dell'etica in ragioni pratiche, di utilità; ma venendo queste ultime dimenticate nel tempo, siamo indotti a
ritenere i comportamenti morali dettati da altri motivi, quali l’abitudine o la paura. A ciò si deve il sorgere della
coscienza, che non rappresenta affatto la voce di Dio o della ragione quanto piuttosto «la presenza in noi
3536
dell’autorità della comunità in cui viviamo». Il «desiderio di essere accettati dal gruppo sociale», una delle
modalità in cui si esprime il bisogno di rassicurazione, si traduce in obbedienza - la virtù più esercitata - che,
a sua volta, favorisce l’interiorizzazione delle norme sociali. La coscienza viene quindi irrimediabilmente
compromessa con le strutture del dominio, ed il nesso tra morale e società è tale per cui «non c’è ‘impulso’
che appartenga al singolo come tale, che non sia la presenza in lui del passato e delle esigenze presenti del
37
gruppo in cui è nato».
D’altronde il nesso tra morale e società (e strutture di dominio) coinvolge anche metafisica e religione (la
ricerca del responsabile in ambito etico-sociale corrisponde, nella riflessione filosofica, alla ricerca del
fondamento). Le strutture di potere impongono, tramite il linguaggio, una verità che è una «visione
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egemonica del mondo» (la propria). La parola, che non dispone affatto di un legame necessario e garantito
39
con l'essere delle cose, è «solo una metafora», un’associazione libera e soggettiva tra un’immagine
mentale ed un suono: con l’istituirsi della società l’affermazione di un sistema di comunicazione condiviso fa
in altre parole spazio ad una verità (e una menzogna) socialmente riconosciuta e definita nelle regole del
linguaggio, che a loro volta condizionano l’evoluzione della filosofia e delle stesse strutture sociali. La verità,
tutt’altro che oggettiva (dal momento che la parola non ha un legame necessario con la cosa), coincide in
40
sostanza con il «mentire seguendo le regole del linguaggio predominante». Ne deriva che la verità
medesima, pur spacciandosi per trascendente, non è più assoluta ed eterna, disinteressata ed obiettiva, ma,
41
decadendo a «fatto sociale», rimane una costruzione elaborata dall’uomo (seppure in modo del tutto
42
inconsapevole), atta a tutelare gli interessi del gruppo di appartenenza.
Nella sua evoluzione la cultura occidentale ha quindi reagito all’originario bisogno di sicurezza dell’esistenza
con una sorta di eccesso di difesa, trasformando il tentativo di governare e sottomettere la natura in dominio
32
G. Vattimo, Introduzione, in: F. Nietzsche, Aurora, cit., p. 11.
33
G. Vattimo, Oltre l'interpretazione. Il significato dell’ermeneutica per la filosofia, Laterza, Roma-Bari 1994, p. 10.
34
G. Vattimo, Il soggetto e la maschera, cit., p. 236.
35
ivi, p. 103.
36
ivi, p. 112.
37
ivi, p. 103-104.
38
G. Vattimo, Introduzione, in: F. Nietzsche, Aurora, cit., p. 14.
39
G. Vattimo, Tecnica ed esistenza. Una mappa filosofica del Novecento, Bruno Mondadori, Milano 2002, p. 35.
40
ibidem.
41
ibidem.
42
E’ questo ad esempio il senso della ricerca di Michel Foucault Vattimo (in primis, M. Foucault, Le parole e le cose, Rizzoli, Milano
1967), sempre ben presente a Vattimo.
11
sugli altri. Proprio per questo il pensiero tradizionale - sostiene Vattimo - è un pensiero forte, «violento»,
finalizzato al conseguimento e all'esercizio del potere.
c) la morte di Dio
Lo smascheramento nietzscheano dell’origine pratico-utilitaristica della morale e del nesso tra etica e
43
metafisica, violenza e società, è l’esito paradossale della «logica interna del discorso morale-metafisico», e
diventa nella lettura di Vattimo il primo passo di un’ermeneutica della liberazione, in grado di svelare appunto
che l’impulso morale non è l’interiorizzazione di giudizi sociali, ma l’esplicitazione di imperativi fondati sul
44
piacere e sull’utile interiorizzati.
Il rispetto verso il «dovere di verità sempre predicato dalla morale metafisica e poi cristiana» che ha condotto
a questo smascheramento, ha infatti reso impossibile credere in quelle realtà (Dio, virtù, verità, giustizia,
amore del prossimo), che si pensava fondassero la morale stessa, finalmente riconosciute come errori non
45
più sostenibili o, più semplicemente, come concetti non più necessari.
Ma la dissoluzione dei principi della metafisica è anche frutto del progresso scientifico, che si appoggia su
nozioni forti (la scienza - alla pari della metafisica - interpreta la realtà in termini di strutture stabili, e vuole
individuare principi primi uniformi e generalizzanti, organizzare razionalmente le conoscenze, accrescere il
sapere, per intervenire sulla realtà esterna e modificarla tramite la tecnica). Il progresso legato alla
cognizione scientifica della realtà permette infatti di assegnare oggi alla scienza ed alla tecnica quella
funzione di rassicurazione dell’esistenza prima riservata alle verità metafisiche, che diventano pertanto non
più necessarie. E’ proprio grazie a questo trasferimento che vengono superati i limiti della metafisica e della
religione, le quali, pur illudendoci di cogliere le nozioni ultime, in realtà «non solo non eliminano l’insicurezza,
46
ma anzi la perpetuano».
47
E però, all’uomo folle, il disfacimento dell’idea stessa di Dio si presenta in tutta la sua devastante portata, il
distacco cordonale dal protettivo grembo materno ed un lutto insopportabile che lascia una traccia profonda:
l’enormità delle sue parole («abbiamo ucciso Dio») implica la perdita epistemologica di tutto ciò su cui
fondava il mondo e la necessità razionale di trovare un nuovo fondamento. L’eclissi del sacro, una volta
cancellato lo scritto, lascia una pagina vuota che esige di essere riempita: ma come?
Si aggiunga che, posti di fronte alla «morte di Dio», ovvero - accogliendo l’interpretazione heideggerana di
Niezsche - alla caduta della pretesa di entificare l’Essere, non possiamo trascurare quella che Michel
Foucault chiama, mettendo in risalto il venir meno della doppia polarità nella relazione uomo/Dio, la «morte
dell’uomo». Alla morte di Dio necessariamente segue la morte dell’uomo, di quel determinato uomo che
corrisponde al tradizionale concetto di soggetto antropocentrico. Anche qui si tratta di un eterno finire, un
eterno precipitare che - specularmente all’essere che si offre di continuo negandosi come fondamento -
43
G. Vattimo, Introduzione a Nietzsche, cit., p. 60.
44
C. Dotolo, La teologia fondamentale, cit., p. 347.
45
G. Vattimo, Introduzione a Nietzsche, cit., p. 59. «Dio è morto (…) perché i suoi fedeli lo hanno ucciso - cioè hanno imparato a non
mentire perché lui glielo comandava, e alla fina hanno scoperto che Dio stesso è una bugia superflua» (G. Vattimo, Dopo la cristianità,
cit., p. 7). Tutto ciò, ad essere rigorosi, non vale solo per la teologia, ma anche per gran parte delle scienze, o almeno quelle che,
recependo le tesi di Thomas Kuhn (T. Kuhn, La struttura delle rivoluzioni scientifiche, Einaudi, Torino 1964), hanno preso coscienza
della storicità dei loro paradigmi.
46
G. Vattimo, Il soggetto e la maschera, cit., p. 157.
47
F. Nietzsche, La Gaia Scienza, in: Opere, Vol V, tomo II, Adelphi, Milano, aforisma 125.
12
mette drammaticamente alla sbarra l’uomo come ente, facendone, per usare le parole di Nietzsche, una
48
«corda tesa» in perenne attesa dell’avvento/evento del superuomo.
Per questa ragione - anticipando la filosofia post-moderna e ponendosi come preludio coevo del pensiero debole - Foucault attacca (con la stessa
veemenza con cui Nietzsche si scagliava contro il cristianesimo) le scienze umane, accusandole di essere al servizio di una società punitiva, di voler
sottomettere la Differenza all’Identità, di volere in definitiva sostituirsi al cristianesimo raccontando la favola rassicurante di un'organizzazione
sociale omogenea (che invece è al contrario totalitaria e ideologicamente euro-centrica). Ai suoi occhi, nella società odierna, le scienze umane fanno
le veci del cristianesimo: lo psicanalista, il sociologo, l'antropologo spodestano e suppliscono al ruolo del prete nel controllo del corpo e della
sessualità.
La riflessione di Vattimo si muove per sentieri vicini a quelli di Foucault e la sua dissoluzione della nozione
49
filosofica di soggetto, affrontata nei testi più maturi, dissolve l’ultima certezza della modernità, quella della
50
coscienza. La crisi della soggettività radicalizzata dallo smascheramento del soggetto è dunque il sigillo di
51
una impossibilità a restaurare l’io. Con il venir meno della pretesa egemonica della coscienza si assiste ad
una liberazione (l’oltreuomo o Űbermensch) che riapre la questione della ricomposizione tra esistenza e
significato. In questo passaggio, che capovolge il desiderio di immortalità come «proseguimento indefinito
52
dell’esistenza individuale», l’oltreuomo (in un primo tempo frainteso da Vattimo come soggetto
dialetticamente conciliato), non può più essere pensato come soggetto: congedandosi dal «mondo vero»
(quello fisico, che ha sostituito l’ultramondo platonico-cristiano) non potrà far altro che vivere normalmente la
sua condizione di scissione, senza essere più travagliato dalla separazione tra essenza ed esistenza, evento
e significato, finalmente capace di apprezzare la molteplicità delle apparenze come tale e di trascendere gli
53
interessi che lo muovono nella lotta per la vita.
d) la nascita del superuomo e la dottrina dell’eterno ritorno
Dopo la stesura dello Zarathustra Nietzsche aveva spostato la sua preoccupazione sulla mancanza di senso
in cui precipita un mondo senza Dio: la volontà di potenza da lui prospettata si configura proprio come il
tentativo di una nuova interpretazione del mondo, alla luce dell’eterno ritorno, pur rispettando il carattere di
48
Nell’ultimo passaggio della sua opera più complessa e famosa, Le parole e le cose, Foucault dice che presto l'uomo scomparirà come
un volto fatto di sola sabbia: il pensatore francese annuncia così la morte dell’uomo come Nietzsche, un secolo prima, aveva
proclamato la morte di Dio (M. Foucault, Le parole e le cose, cit., p. 415).
49
Quando parla di soggetto, sottolinea bene Giorgio (G. Giorgio, Il pensiero di Gianni Vattimo, cit., p. 203), Vattimo allude al «soggetto
borghese-cristiano» (G. Vattimo, Le avventure della differenza, cit., p. 49) ed alla sua peculiare propensione a pensarsi come
autocoscienza: «il soggetto pensato umanisticamente come autocoscienza è semplicemente il correlato dell’essere metafisico
caratterizzato in termini di oggettività, cioè come evidenza, stabilità, certezza inconcussa» (Vattimo G., La fine della modernità,
Garzanti, Milano 1985, p. 50). Marx vedeva nella coscienza del singolo il riflesso della coscienza di classe, mentre Nietzsche,
ritrovandovi annidata la riduzione della verità a morale, ne fa l’inconsapevole ricettacolo dell’intero a cui appartiene (forma di vita,
epoca, classe sociale, gruppo ecc.). Heidegger invece «preconizza l’oltrepassamento della soggettività come carattere costitutivo
dell’uomo» (G. Vattimo, Le avventure della differenza, cit., p. 106). Per un’introduzione alle diverse posizioni della filosofia politica
contemporanea sulla questione della crisi post-moderna della soggettività si veda anche C. Hoevel, Crisis del sujeto y filosofía, política
contemporánea, Colección, 17, 2006, p. 165-180, reperibile sul sito http://dialnet.unirioja.es alla pagina www.uca.edu.ar/esp/sec-
fpoliticas/esp/docs-publicaciones/coleccion/n17/hoevel.pdf.
50
La destituzione del soggetto come categoria metafisica operata da Vattimo è talmente forte da fargli dire che il significato del termine
Űbermensch - di cui si dirà nel paragrafo seguente - va ricercata nel prefisso Űber più che nel sostantivo mensch (G. Vattimo, Al di là
del soggetto. Nietzsche, Heidegger e l’ermeneutica, Feltrinelli, Milano 1981, p. 38): il termine, in sostanza, non traduce affatto la parola
soggetto, ma è un tradimento che va visto come una «concezione sperimentale» (ivi, p. 43). «Il nuovo soggetto vive infatti l’esercizio
interpretativo come esperimento in sé, come autotrascendimento dell’interprete, in quel ’continuare a sognare sapendo di sognare’ in
cui la fabulizzazione del mondo bandisce ogni ipotetico ristabilimento dello stato naturale delle cose» (C. Dotolo, La teologia
fondamentale, cit., p. 352, nota 37).
51
«Un io, però che non si renda conto di essere effetto di superficie, e che faccia risiedere la propria salute proprio in questa
consapevolezza, non potrà certo essere un io intensificato e potenziato, come spesso è stato pensato l’oltreuomo; anzi è problematico
se possa ancora dirsi, in qualche senso, un soggetto» (G. Vattimo, Introduzione a Nietzsche, cit., p. 104).
52
G. Vattimo, Il soggetto e la maschera, cit., p. 243.
53
G. Giorgio, Il pensiero di Gianni Vattimo, cit., p. 202-208.
13
una «prospettiva probabile». Scrive Mazzino Montanari: «Per accettare l’immanenza totale, il mondo dopo la
54
morte di Dio, l’uomo deve elevarsi al di sopra di se stesso, deve tramontare affinché nasca il superuomo».
55
La necessità del superuomo, a sua volta, si intreccia strettamente all’ipotesi dell’eterno ritorno.
Vattimo riserva una particolare attenzione al tema dell’eterno ritorno, attribuendo a Nietzsche la convinzione
secondo cui la visione lineare del tempo avrebbe generato nell’uomo una sorta di «malattia storica» che ne
impedisce l’azione libera. Per Nietzsche l’uomo (occidentale), sempre perfettamente collocato nel proprio
momento storico, accoglie la visione provvidenzialistica cristiana di un tempo lineare in cui tutto è degno di
perire. Il passato, presentandosi come un paradiso perduto, sfugge alla sua decisione e gli si para davanti
irraggiungibile. Nel tentativo di redimersi da questa condizione l’uomo cerca inutilmente di trasformare il
«così fu» in «così volli che fosse», senza peraltro riuscirci. Lo scacco, l’impossibilità di un volere a ritroso
(nel senso di dominare la causa, possedere il fondamento), determina in lui uno «spirito di vendetta», che si
manifesta nel cristianesimo, nella metafisica, nella morale: non osando assumere su di sé la responsabilità
della propria condizione, la riversa su una volontà a lui estranea. Tutto ciò prepara l’avvento del nihilismo,
che nasce in definitiva dal venir meno della visione provvidenziale della storia, dal crollo dei valori che
riposano su questo falso ordine provvidenziale.
La dottrina dell’eterno ritorno tenta di ribaltare questa sconfitta respingendo la concezione lineare del tempo,
56
quasi a permettere un volere a ritroso: nell’ipotesi dell’eterno ritorno il tempo diviene circolare, l’attimo della
decisione viene riabilitato come il punto in cui passato e futuro si saldano e si influenzano reciprocamente,
facendo cadere il «così fu». L’attimo (Augenblick) in cui passato e futuro convergono coincide allora con
l’attimo della decisione, dell’interpretazione, giacché interpretare è allo stesso tempo ritornare sul passato e
57
progettare il futuro.
L’uomo nuovo a cui guarda Nietzsche si deve fare carico delle proprie responsabilità riconoscendo che «non
58
esiste il mondo, ma esistono dei mondi come posizioni sempre in movimento». La conoscenza del fatto
storico diventa, secondo questa prospettiva, un atto di vita, capace di afferrare l’attimo nel momento in cui si
compie, ovvero quella particolare struttura della conoscenza che Nietzsche definisce interpretazione.
Vattimo, esasperando le tesi di Nietzsche, giunge in definitiva a dire che con la «demitizzazione» della
morale e della metafisica l’uomo sembra non avere più punti stabili su cui appoggiarsi: per questo deve fare
affidamento su valori diversi, non più basati sull’evidenza soggettiva - ancora chiusa nella trappola della
54
M. Montanari, Che cosa ha detto Nietzsche, Adelphi, Milano 1999, p. 125.
55
«L’eterno ritorno non è una specie di salto mortale nell’irrazionale alla ricerca di ‘un mondo dietro il mondo, o peggio ancora di un
surrogato di religione; il superuomo, proprio per il suo nesso con l’eterno ritorno, non è un atleta estetizzante traboccante di salute o,
peggio che mai, il prototipo di una razza di padroni. Ambedue sono invece concetti-limite all’orizzonte di una visione antimetafisica e
antipessimistica del mondo, dopo la morte di Dio» (ivi, p. 126).
56
Come osserva anche Monaco, l’eterno ritorno è in realtà uno dei temi più enigmatici di Nietzsche: se per Lőwith il tentativo del filosofo
tedesco di riproporre la concezione circolare del tempo dell’antico mondo greco, non sarebbe riuscito perché lo stesso Nietzsche
avrebbe rivelato la propria natura cristiana manifestando un’insopprimibile volontà di futuro, per Vattimo (che si confronta con questa
contraddizione leggendo Nietzsche attraverso l’interpretazione di Heidegger) si tratterebbe di trasformare il modo di vivere il tempo,
instaurando un diverso rapporto con la temporalità. Ovvero, bisogna oltrepassare la temporalità metafisica, dei moderni, che ha un
carattere lineare ed edipico (in quanto quello che segue cancella quello che precede, allo stesso modo di Edipo, che uccide il padre),
ossia funzionale, in quanto ogni attimo non esiste mai di per sé ma in funzione di altro (D. Monaco, Gianni Vattimo, cit., p. 142-143).
L’eterno ritorno - si arguisce leggendo Nietzsche con gli occhi di Vattimo - ha (o mira ad avere) un carattere profetico, sperimentale,
eventuale, ponendosi come possibilità di trasformare l’uomo nel momento in cui lo chiama a decidersi: ovvero, chiama l’uomo ad una
decisione, prospettandone una metamorfosi (ivi, p. 145-146).
57
«L’attimo della decisione - ha detto Vincenzo Vitiello con toni molto vicini a quelli di Vattimo - che buca il tempo e spezza il movimento
necessario del circolo, è il presente dell’interpretazione. L’interpretazione infatti ritorna al passato, lo rivisita, lo spiega, lo illumina, lo
riscatta, lo redime - e così è già futuro, è già progetto, traccia e programma di ciò che verrà, già anticipa l’avvenire, lo rende presente»
(V. Vitiello, Utopia del nichilismo, Guida, Napoli 1983, p. 67).
58
G. Vattimo, Ipotesi su Nietzsche, cit., p. 88.
14
59
metafisica -, ma piuttosto fondati su una sorta di «libertà del volere» affine a quella degli artisti (una libertà
garantita dal carattere sovrastorico del filosofare).
L’uomo che prende atto della morte di Dio (l’Űbermensch o «oltreuomo», nella traduzione proposta da
Vattimo) è l’uomo dell’oltre, che si lascia alle spalle le fasi della dialettica hegeliana: l’oltre è il disincanto
60
prodotto dalla separazione tra essere e apparire.
E così cade qui, secondo Vattimo, l’illusione di una conciliazione dialettica, per lasciare soltanto la mera
apparenza, ciò che si dà in prospettiva: si dilata in questo modo l’affermazione di Nietzsche secondo cui la
61
volontà di potenza è attribuire i caratteri dell’essere al divenire, produzione di interpretazioni di un mondo
divenuto senza senso. Per questo il filosofo torinese crede di ritrovare nei frammenti preparatori de La
volontà di potenza l’abbozzo di un’ontologia ermeneutica, cioè un sapere che partendo dallo
smascheramento dei valori si orienta verso una teoria che, a sua volta, guarda all’essere come condizione di
possibilità, risultato sempre contingente, provvisorio, di atti interpretativi plurimi.
L’avvento di una nuova età nel segno della volontà di potenza, che segna il crepuscolo della metafisica, non
può in sostanza configurarsi solo come il rovesciamento delle epoche passate, da cui si differenzia solo per
la svalutazione dei valori supremi e l’accrescimento dell’Űbermensch oltre i propri limiti (una «volontà che
6263
vuole se stessa»), ma deve disporsi a vigilare e attendere il «Ge-sicht dell’essere».
Proprio per questo si deve specificare che l’appropriazione reciproca dell’essere e dell’uomo nuovo
nietzscheano che si compie nella relazione d’ascolto non va intesa come una proprietà dell’ente, ma
appartiene all’evento dell’essere (Ereignis), sicché la reciproca appartenenza uomo-essere fa dell’uomo il
64
messaggero dell’essere, l’interprete necessario all’essere per darsi come tale.
e) nichilismo, ermeneutica, ontologia del declino
E’ bene sottolineare come Vattimo non soltanto recepisca la lettura heideggeriana dell’opera di Nietzsche,
ma mostri come il Nietzsche di Heidegger sia illuminante per la comprensione del pensiero del filosofo di
59
Come potrebbe invece lasciar credere una lettura vitalistica e titanica del pensiero di Nietzsche. L’interesse politico, imprescindibile
nell’interpretazione nietzscheana di Lukacs, porta il superuomo nell’ambito dei «miti letterari», lasciando da parte il suo effettivo
messaggio «oltrepassante»: secondo Vattimo invece il superuomo non è il frutto di una reazione della coscienza piccolo-borghese ma
piuttosto un progetto umano alternativo. Creando sensi, ordinando il mondo secondo la sua volontà e immagine l’uomo si impadronisce
delle cose, e per questo tale attività è volontà di potenza come arte. Come libero creatore di simboli, come identificazione di essere e
senso, ha i caratteri dello spirito assoluto hegeliano, ma si realizza nel singolo: non è più semplice vittima di una storia che lo travolge,
bensì creatore della sua storia. Non lo si può intendere quindi come soggetto «conciliato» proprio perché non può essere inteso come
soggetto (assolutizzato) (E.C. Corriero, Nietzsche oltre l’abisso, cit., p. 132-134). Con la morte di Dio non si giunge alla conciliazione
dialettica ed alla vera struttura dell’essere, ma invece si registra un intensificarsi della produzione metaforica, della liberazione di forze
che viene letta da Vattimo come un momento tipicamente ermeneutico (ivi, p. 132-135).
60
In un primo tempo, ne Il soggetto e la maschera, Vattimo aveva pensato l’Űbermensch come colui che realizza l’identità di evento e
senso, esistenza e significato, ovvero il soggetto riconciliato del pensiero dialettico, l’attuazione dello spirito assoluto hegeliano, perfetta
coincidenza di essenza ed esistenza. La lunga e profonda riflessione sul pensiero di Nietzsche lo porta però poi ad un cambiamento di
prospettiva (a cui dà ampio risalto il saggio di Giorgio, Il pensiero di Gianni Vattimo, già citato). In effetti - chiosa Monaco - come si può
conciliare la visione iniziale, ancora influenzata dal pensiero dialettico, di un «oltreuomo» che si è liberato per aprirsi alla molteplicità
con il modello del soggetto che ritorna presso di sé, sia pure seguendo gli erramenti del procedimento dialettico, fino a realizzare l’unità
di evento e senso? (D. Monaco, Gianni Vattimo, cit., p. 136). Non si può trattare semplicemente di un ritorno all’homo faber
rinascimentale, e neppure della proposizione di un modello di razza superiore (la «bestia bionda» dell’immaginario nazista), ma si deve
piuttosto andare alla ricerca di un simbolo capace di corrispondere al mutamento epocale indotto dalla «morte di Dio» perchè «ciò che
Nietzsche chiama nichilismo (…) è solo il mondo della Babele multiculturale nel quale di fatto viviamo» (G. Vattimo, Dialogo con
Nietzsche, cit., p. 187).
61
L’accento posto sull’essere e la sua relazione col divenire è, come noto, un tema ampiamente presente e centrale nell’articolata
riflessione di Emanuele Severino (in particolare: E. Severino, Ritornare a Parmenide, Rivista di filosofia neoscolastica, LVI, 1964, 2, p.
137-175; poi in E. Severino, Essenza del nichilismo, Paideia, Brescia 1972).
62
G. Vattimo, Essere, storia e linguaggio in Martin Heidegger, Marietti, Genova 1989, p. 29.
63
ivi, p. 44.
64
C. Dotolo, La teologia fondamentale, cit., p. 315.
15
65
Essere e tempo, avvicinando in modo nuovo i due pensatori tedeschi. Accostandosi a Nietzsche a partire
dalla prospettiva heideggeriana, propone un’ontologia ermeneutica che prosegue il lavoro di Heidegger,
portandolo ad ulteriori esiti.
Secondo Vattimo, in Heidegger come in Nietzsche, il pensiero è An-denken, recupero dell’essere non tanto
come un qualcosa con cui confrontarci faccia a faccia, quanto piuttosto come ciò che si può solo ricordare
ma mai rappresentare.
Il pensiero post-metafisico, che il filosofo di Messkirch vede come rammemoramento e risalita a ritroso della
metafisica (An-denken), pensa l’essere come evento (quasi) allo stesso modo di Nietzsche, che parla nella
66
Gaia Scienza di «feste della memoria» nel senso di ripercorrimento della storia degli errori metafisici.
Ma l’oltrepassamento della metafisica teorizzato da Heidegger non è solo un semplice rovesciamento
dell’oblio dell’essere, bensì questo stesso oblio portato alle estreme conseguenze nihilistiche: «Nietzsche dà
senso ad Heidegger chiarendo che il destino dell’essere (se deve essere pensato fuori della metafisica) è il
67
nihilismo».
Rifacendosi a Essere e Tempo, Vattimo afferma che l’essere, non più pensabile come fondamento, viene
colto nel suo accadere: si tratta quindi di un essere depotenziato, incapace appunto a sua volta di dare
fondamento. Ne deriva che il Dasein, l’esserci, derubato di un riferimento esterno e di un centro stabile che
conferisce saldezza alla soggettività, si trova in situazione tale per cui «l’uomo rotola via dal centro verso la
68
X».
La storia dell’essere viene in questo modo a proporsi come un lungo addio e l’oltrepassamento della
metafisica come un interminabile e nello stesso tempo imperituro ricordarsi dell’oblio, che a sua volta veicola
la concezione del nihilismo come interpretazione (e non come bisogno metafisico di un essere che non c’è
più): per entrambi gli autori tedeschi - sembra dirci Vattimo - non può mai esserci un congedo definitivo,
69
giacché si rimane sempre legati al ricordo dell’oblio dell’essere come presenza.
Allineando le prospettive dei due pensatori tedeschi Vattimo rintraccia così un movimento comune che
conduce al «nihilista compiuto», colui che ha capito che il nichilismo è la sua (unica) chance. Prendendo atto
del destino dell’essere, privato del suo fondamento, pericolosamente sospeso sull’abisso, ne coglie
l‘inevitabile «indebolimento»: un indebolimento che il filosofo torinese articolerà nella forma di una «ontologia
del declino», dando ulteriore profondità alla meditazione antimetafisica dei due autori.
Sotto questa luce la morte di Dio non implica (soltanto) il rovesciamento di una gerarchia di matrice platonica
diretta a conciliare esistenza e significato, secondo lo schema dialettico, in una sintesi nuova; si tratta al
contrario di liberare l’oltreuomo, per aprirlo alle differenze e le molteplicità dell’esperienza, senza farlo
ritornare a sé (al modello che era prima), ad una stabilità che non è più.
70
Un saggio di Ashley Woodward ci aiuta a puntualizzare meglio la torsione impressa dalla speculazione di
Vattimo al pensiero nihilista di Nietzsche. L’interpretazione tradizionale, modernista, del nihilismo, ne fa
risalire le radici al passato e ne proietta l’ombra sul futuro: si è già detto che Nietzsche riconduce la sua
65
«Quando per esempio Heidegger parla della necessità di ‘lasciar perdere l’Essere come Fondamento’, egli chiaramente rasenta i
confini dl nichilismo […] l’Essere deve essere pensato solo in termini di rammemorazione: l’Essere è qualcosa che è (già) sempre
passato, e perciò, di fatto, non è (più con noi). Questo non è forse nichilismo?» (G. Vattimo, Dialogo con Nietzsche, cit., p. 114).
66
E.C. Corriero, Nietzsche oltre l’abisso, cit., p. 226.
67
G. Vattimo, Dialogo con Nietzsche, cit., p. 272.
68
G. Vattimo, Al di là del soggetto, cit., p. 56.
69
E.C. Corriero. Nietzsche oltre l’abisso, cit., p. 240.
70
A. Woodward, Nihilism and the postmodern in Vattimo’s Nietzsche, Minerva - An Internet Journal of Philosophy, 6, 2002, p. 51–67,
reperibile alla pagina www.ul.ie/~philos/vol6/nihilism.html.
16
origine alla morale cristiana, che, contrapponendo ad un «mondo vero» trascendente il mondo fisico, getta il
discredito su quest’ultimo (nihilismo religioso). In questa idea si annidano i germi della distruzione, perché
induce a credere che ogni conoscenza umana, ogni verità non sia altro che un mito.
Tutto ciò porta al secondo stadio del nihilismo: con il venir meno dei valori trascendenti, viene meno la
possibilità di giudicare il mondo sulla base di valori a lui propri (nihilismo radicale). Si offrono qui due possibili
alternative: o assumere un atteggiamento passivo (nihilismo passivo) e guardare con disperazione ad un
mondo che ha perso il suo significato; oppure assumere un atteggiamento attivo (nihilismo attivo o, anche,
nihilismo reattivo) e tentare di distruggere tutti i valori residui, ancora legati al «mondo vero» trascendente.
Solo quest’ultimo atteggiamento secondo Nietzsche/Vattimo può condurre al nihilismo completo o compiuto,
(ovvero alla completa scomparsa di tutti i valori).
Ma nella prospettiva moderna il nihilismo compiuto è sempre legato all’idea di un suo superamento
(Überwindung), ed alla speranza di creare «attivamente» una nuova categoria di valori: cioè a dire, alla
illusione di entrare in una nuova era caratterizzata da valori nuovi, posti e applicati all’interno di questo
mondo, dunque immanenti.
Il pensiero post-moderno, anch’esso ispirato da Nietzsche, si propone invece di abbandonare la
71
periodizzazione e l’idea di un progresso unilineare della storia, verso fasi più illuminate: con la caduta delle
meta-narrazioni di cui parla Lyotard, è caduta ogni illusione, ideologica ed eurocentrica, di una storia
unilineare (la cosiddetta ‘fine della storia).
Ne La fine della modernità, Vattimo chiarisce la connessione tra nihilismo e post-modernità: lo stesso
72
Nietzsche, in Umano, troppo umano, aveva problematizzato e contestato la nozione di superamento,
legata alla giustificazione e all’idea di un fondamento ultimo, integralmente compromessa dalla volontà di
dominio sugli altri. Superare la modernità non può allora essere la soluzione, né tantomeno può esserlo il
superamento del nihilismo. Occorre in altre parole dissolvere ogni fondamento, decostruire la modernità,
radicalizzare il nihilismo. Ma questo è possibile solo riconoscendo che la/e verità (i dati sensibili, le immagini
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mentali, le parole, il linguaggio) non corrisponde alla cosa-in sé, non è/sono altro che metafora/e, e come
tale può/possono dare origine ad (ed essere il risultato di) un tessuto di errori. Bisogna allora guardare al
nihilismo con occhi diversi: ovvero, il superamento del nihilismo è co-estensivo al nihilismo completo
(compiuto), e non rappresenta più uno stadio successivo, più autentico.
Ma per fare ciò bisogna ammettere che, con il venir meno della possibilità di raggiungere le verità ultime,
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possiamo muoverci in un mondo di errori, o meglio di interpretazioni. Certo in questo modo ci si espone
all’obiezione di non disporre di alcun criterio per determinare conoscenze, valori e comportamenti. Ma
Vattimo respinge la critica: oltrepassare il nihilismo implica in sostanza di assumere un atteggiamento
diverso nei confronti della stessa interpretazione nihilista del mondo: bisogna abbandonare l’impressione di
un nihilismo abbruttito dalla disperazione e dalla negazione della vita, e sostituirla con una affermazione
71
Si rimanda al capitolo successivo per una analisi più approfondita della questione della post-modernità come fine della storia, qui solo
accennata.
72
Nietzsche F., Umano, troppo umano, in: Opere, Vol IV, tomo II, Adelphi, Milano.
73
Nietzsche F., Su verità e menzogna in senso extramorale, in: Opere, Vol III, tomo II, Adelphi, Milano.
74
Le parole dell’Autore illuminano il duplice senso del nihilismo post-moderno: «Il fatto che la caratterizzazione del nichilismo attivo
debba, in ultima analisi, riferirsi alla capacità di trascendere l’interesse per l’autoconservazione, indica che in fondo il nichilismo attivo è,
sempre, anche passivo e reattivo; nel senso almeno che esso non può fare a meno di ciò, che, in un altro contesto, chiamerei ‘ontologia
debole’» (G. Vattimo, I due sensi del nichilismo di Nietzsche, in: AAVV, Filosofia, religione, nichilismo. Studi in onore di Alberto
Caracciolo, a cura di G. Moretto e D. Venturelli, Morano, Napoli 1988, p. 481-489). La natura ermeneutica e la infinità interpretativa, che
si afferma con la liberazione dal simbolico nel metodo genealogico - il pensiero alternativo alla metafisica, tendente alla fondazione -
derivano da una «confluenza delle due istanze del nichilismo attivo: quella dell’eterno ritorno e quella della volontà di potenza come
arte» (C. Dotolo, La teologia fondamentale, cit., p. 350 e 362).