Capitolo 1
LA FAMIGLIA CHE CAMBIA
1.1 Dati ISTAT: separazioni e divorzi nell’anno 2006
I seguenti dati di fonte ISTAT (6 agosto 2008) relativi all’anno 2006, elaborati in
collaborazione con il Ministero della Giustizia, descrivono l’evoluzione temporale dei due
fenomeni: divorzio e separazione coniugale, alla luce delle disposizioni normative inerenti
l’affidamento dei figli, che hanno subito sostanziali modifiche nel 2006, conseguentemente
all’entrata in vigore della legge n. 54/2006.
Nel 2006 le separazioni sono state 80.407 e i divorzi 49.534.
Rispetto al 1996 le separazioni hanno avuto un incremento del 39,7% e i divorzi del 51,4%.
Nel 2006 si sono conclusi in modo consensuale 68.820 procedimenti di separazione (pari
all’85,6% del totale delle separazioni) e 39.012 di divorzio (78,8%).
I figli coinvolti nella crisi coniugale dei propri genitori sono stati 98.098 nelle separazioni e
46.586 nei divorzi. Il numero di figli minori implicati nei casi di conflitto coniugale nel 2006 è
stato 63.256 nelle separazioni e 23.940 nei divorzi.
Relativamente al regime di affidamento dei figli minorenni, la legge n. 54 dell’8 febbraio 2006
ha introdotto nel nostro Paese l’istituto dell’affidamento condiviso. Nel quadro della nuova
normativa nei procedimenti di separazione e di divorzio l’affidamento dei figli ad entrambi i
genitori diviene la regola mentre l’affidamento esclusivo ad un genitore costituisce l’eccezione
a cui ricorrere (con provvedimento motivato) soltanto ove la condivisione della potestà
genitoriale sia ritenuta pregiudizievole per l’interesse del minore.
Nel 2006 si evidenzia la progressiva entrata a regime della nuova normativa, con un costante
incremento del ricorso all’affidamento condiviso che passa, rispettivamente, dal 20,2%
registrato nel primo trimestre al 54,4% nel 4° trimestre nei procedimenti di separazione e dal
15,2% al 40% in quelli di divorzio. I primi dati provvisori relativi all’anno 2007 confermano
questo andamento in quanto la quota di figli minori in affidamento condiviso si attesta al 71,5%
nelle separazioni e al 51% nei divorzi. Per quanto riguarda la custodia esclusiva, cioè affidata
ad un solo coniuge, solo nel 2,4% dei casi i figli sono stati affidato al padre a seguito di
separazione e nel 4,2% dei casi nei procedimenti di divorzio.
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Nei procedimenti di separazione e di divorzio conclusi con il rito consensuale il ricorso
all’affidamento condiviso risulta, comprensibilmente, piø frequente, in quanto disposto per il
42,2% dei minori. La percentuale scende al 18,9% nelle procedure giudiziali.
Rispetto all’anno precedente, nel 2006 la quota di coniugi che si sono separati senza l’aiuto di
un avvocato diminuisce, passando dal 17,8% del 2005 al 14,2% del 2006. Questa flessione va
interpretata alla luce dell’adeguamento dei tribunali alle modifiche normative introdotte dalla
legge n. 80 del 2006, che ha disposto l’obbligo dell’assistenza di un difensore anche per le
procedure consensuali.
Relativamente alle modalità di visita da parte dei genitori con cui i figli non convivono, la
periodicità delle visite dipende dalle modalità di definizione della causa. Gli intervalli piø brevi,
da due volte a settimana fino a tutti i giorni, sono disposti piø frequentemente nelle separazioni
consensuali (complessivamente nel 74,4% delle cause) rispetto a quelle giudiziali (57,7%).
Nel 2006 la casa dove la famiglia viveva prima del provvedimento del giudice è stata assegnata
alla moglie nel 58% delle separazioni (66,3% se l’affidamento è condiviso), al marito nel
21,1% e a nessuno dei due circa nel 19%, in quanto entrambi i coniugi sono andati a vivere
altrove, ossia in abitazioni autonome e distinte.
Relativamente ai provvedimenti economici per i figli, nella quasi totalità delle separazioni e dei
divorzi con figli minori è il padre l’unico soggetto erogatore (94,5%) dell’assegno per il loro
mantenimento.
Un aspetto che accomuna le diverse realtà europee nella famiglia riguarda le caratteristiche dei
nuclei monogenitoriali derivanti dalla separazione (Scabini Cigoli 2000, p. 200). Si tratta in
genere di famiglie di piccole dimensioni, a guida materna, dato che il collocamento presso il
padre, quasi inesistente per bambini da zero a quattro anni, cresce solo leggermente con
l’aumentare dell’età del bambino.
E’ necessario rilevare una atipicità dell’Italia e di alcuni paesi dell’Europa meridionale per
quanto riguarda l’evoluzione della famiglia dopo la separazione. Qui i nuclei monogenitoriali
separati rappresentano una condizione familiare stabile, piuttosto che una fase di passaggio da
un matrimonio all’altro. Essi non sfociano cioè col tempo in seconde nozze.
Se questa tendenza a non fare piø famiglia dopo una esperienza andata male fa sì che questa
forma familiare non si trasformi nel reticolo, a volte assai complicato, della step-families, essa
non è tuttavia esente da difficoltà. Se nelle step-families il problema sembra essere infatti quello
della sovrapposizione di piø figure paterne, nei nuclei monogenitoriali il pericolo è quello
opposto dell’assenza o della latitanza della figura paterna. In entrambi i casi rileviamo uno
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sbilanciamento relazionale nei confronti dell’asse materno, perchØ è la madre l’elemento stabile
e costante sia della famiglia ricostituita che della famiglia monogenitoriale.
1.2. Famiglie, legami e sviluppo del sØ
All’interno del tessuto sociale in cui è immersa e di cui è entità di base, la famiglia non si
evolve linearmente, ma si allarga e si restringe, perde alcune funzioni e ne acquista altre a
seconda della situazione socioculturale in cui è immersa. Essa è un sistema antropologico e
psicosociale vivo, che interagisce attivamente con il contesto culturale, storico e geografico,
influenzandolo e restandone influenzata a sua volta. (Scabini, Cigoli, 2000, p. 5)
Dalla famiglia patriarcale e allargata dei villaggi, la società industriale ha determinato
l’instaurarsi di un processo di nuclearizzazione della famiglia, giunto all’apice nella società
postindustriale, con la diffusione del welfare-state e del facile accesso alla società dei servizi e
dei consumi. Con la crisi dell’welfare e dello stato di tipo centralistico, le relazioni primarie
rappresentano oggi un capitale sociale imprescindibile, in quanto matrice di ogni altra
relazione. (Scabini Cigoli 2000, p. 3 e ss.). Emerge così una nuova dialettica tra stato-pubblico
e individui-privati: da un lato la famiglia si privatizza, con la tendenza a considerare le relazioni
interne come emanazione del proprio self; dall’altro la famiglia e i suoi derivati sociali
diventano soggetto di interessi collettivi e oggetto di crescenti preoccupazioni pubbliche. La
società spinge la famiglia a individualizzare l’individuo, a liberarsi di certi vincoli normativi
per dare maggiore spazio ai sentimenti ed alle pulsioni, ma pretende di intervenire nei suoi
aspetti sociali, controllandone gli effetti disgregativi (Donati, 1998, p. 30). E’ vero che la
regolazione pubblica della famiglia avviene all’insegna di una maggiore tutela dei diritti
individuali (delle donne, dei bambini, degli anziani), ma ciò avviene per compensare i crescenti
isolamento e anomia delle relazioni, a cui è venuta a mancare, con il processo di
nuclearizzazione e l’allargarsi della rete sociale, l’originaria funzione normativa: anche la
relazione coniugale è oggi vissuta nei suoi aspetti affettivi e di intimità, piuttosto che nei suoi
”
aspetti normativi di “patto sociale (Scabini Cigoli 2000, p. 39).
Eppure, anche in tale contesto così profondamente modificato e apparentemente privo di
normatività, tanto per l’individuo quanto per la società, la famiglia è e resta un legame
simbolico che va oltre la mera natura biologica e instaura l’ordine significativo del mondo in
cui gli individui – non senza difficoltà, distorsioni e fallimenti - trovano la loro identità e la loro
posizione, nello spazio e nel tempo sociale, con particolare riferimento al gender e all’età
(generazioni). In quanto tale, la famiglia è un fenomeno che coinvolge e implica, almeno
potenzialmente, tutte le dimensioni di vita: da quelle biologiche, a quelle psicologiche, sociali,
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culturali, economiche, legali, politiche, religiose. Essa è quel nesso che, primo e basilare per
tutti, sia nel bene sia nel male, sia come affermazione sia come mancanza, fa dell’individuo una
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persona umana, cioè un essere-in-relazione (Donati, 1998, p. 101). Nelle relazioni familiari le
persone mettono in gioco tutta la loro persona e non solo il ruolo che ricoprono. Così essere
genitori non coincide con l’esercizio del ruolo genitoriale, anche se lo include. Eppure il “fatto
generativo”, l’essere genitore, è il fulcro della relazione con i figli: il generare è un evento non
solo biologico ma anche simbolico e culturale, teso non solo alla continuazione della specie ma
soprattutto alla continuazione della storia familiare e sociale. La generatività è quindi il core
della famiglia: essa lega indissolubilmente insieme i due generi che non potranno piø uscire
dalla relazione parentale (non si può diventare ex genitori o ex nonni).
Nelle società contemporanee, diventare genitori rappresenta probabilmente il fondamentale e
ormai quasi unico e indiscusso rito di passaggio all’età adulta. Tuttavia diventare genitori non
coincide con il momento della nascita del figlio, ma con il traguardo di un percorso che può
anche fallire (Scabini, Cigoli, 2000, p. 21). Riprendendo Erikson, possiamo dire che l’obiettivo
centrale di questa transizione consiste nella sviluppo da parte della coppia della capacità di
prendersi cura in modo responsabile di ciò che è stato generato (Erikson, 1982): perchØ il figlio
si iscrive in una storia generazionale come frutto della relazione di coppia, eppure trascende
l’una e l’altra. In termini psichici, ciò corrisponde al riconoscimento di uno spazio di pensiero e
di azione suo proprio, in cui il figlio è “altro da sØ”. (Scabini Cigoli, 2000, p. 112 e ss.).
Il patto genitoriale, che lega i genitori al figlio e i genitori tra loro, dovrebbe saper garantire al
figlio, a seconda delle fasi evolutive, la compresenza di due aspetti fondamentali per lo
sviluppo del sØ: quelli protettivi di empatia, tipici del codice materno e quelli emancipativi e
normativi di ordine e giustizia, tipici del codice paterno. L’accentuazione di uno solo di essi
impoverisce la dimensione simbolica della relazione familiare e favorisce l’instaurarsi di
relazioni distorte che rendono difficile e confuso nei figli lo sviluppo della identità di genere.
A questo itinerario se ne affianca un altro, connesso agli aspetti piø narcisistici dell’atto
generativo. E’ innegabile che il figlio sia vissuto come una prova della forza generativa della
coppia, “proprietà” della coppia e segno della sua creatività. Il fatto che il bambino sia così
dipendente dai suoi genitori favorisce il consolidarsi di un legame fusionale nel quale i confini
tra genitori e figlio sono quanto mai permeabili e indistinti. Come ben ha colto Winnicott
(1965) è dentro lo “sguardo che ammira e contempla ciò che è stato creato” che si costituisce la
soggettività.
In questo percorso evolutivo di genitori e figli, la dinamica fondamentale della relazione
generanti-generati ruota attorno ai poli dell’onnipotenza e dell’impotenza: l’onnipotenza vissuta
dai genitori dà loro il sentimento dei creatori che modellano, plasmano e portano a compimento
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l’opera perfetta. L’onnipotenza vissuta dal bambino gli permette di sentire che dà vita a chi lo
circonda, su cui ha ascendente e rilievo. L’impotenza attribuita al bambino da parte dei genitori
permette loro di coglierne il bisogno e la dipendenza, sollecitandone la cura. In quanto invece
attribuita dal figlio al genitore, gli permette di cogliere che anche loro hanno dubbi e limiti
(Cigoli, 1997). Unita al sentimento di onnipotenza generativa, la diminuzione delle nascite e il
suo carattere di avvenimento scelto porta con sØ una sorta di “concentrato emozionale” nella
relazione tra genitori e figli che ha modificato anche le attese da parte della coppia rispetto al
ruolo genitoriale e le stesse funzioni nell’accudimento della prole generata. (Scabini, Cigoli,
2000, p. 111 e ss.). Tra questi cambiamenti si ascrive la previa assunzione di impegno anche da
parte dei padri nell’intero processo procreativo, per quanto nella realtà quotidiana la categoria
dei padri non sia affatto omogenea in questo nuovo impegno. Sono infatti riscontrabili livelli
diversi di coinvolgimento paterno nella cura del figlio, che possono variare in maniera molto
significativa, sia in funzione di fattori interni alla storia della coppia coniugale, sia in presenza
di specifiche condizioni socio-strutturali. Comunque sia, è ormai innegabile che nel processo di
cambiamento della famiglia, valori un tempo appartenenti ad un solo genere vengono estesi
anche all’altro, all’interno di un equilibrio il cui baricentro viene spostato da ogni coppia in
base alla propria storia culturale ed ai modelli ricevuti. (Donati, 1998, p. 283). E’ in tale
processo di cambiamento che va registrata anche la richiesta di un ruolo piø significativo del
padre nel caso di affidamento dei figli a seguito di separazione o divorzio. Si tratta di richieste
che, in passato inesistenti, sono oggi fonte di una nuova, fortissima conflittualità in sede
giudiziaria, con padri che rivendicano il diritto all’esercizio della piø piena paternità in un
contesto culturale ancora proiettato, nonostante le recenti, formali modifiche normative, verso
l’affidamento prevalentemente materno
1.3 Il ciclo evolutivo della famiglia nella separazione
(da una intervista di Giulio Nascimbeni con Erich Fromm, alla vigilia del referendum sul
divorzio):
Fromm: Il matrimonio offre l'opportunità a due persone di sviluppare la loro capacità di amare
e di amarsi in un modo crescente. Se non ci riescono - e qui torniamo al problema del divorzio-
e sono invece obbligate a far finta di amarsi, allora cominceranno ad odiarsi in molti modi
sottili e ambigui. Nascimbeni: Può, secondo lei, la presenza di una legge che concede il
divorzio condurre alla distruzione dell'amore nel matrimonio? Fromm: Credo che ci siano non
poche persone sincere che sono contro il divorzio perchØ credono che esso indebolisca o
sottragga l'amore al matrimonio. Queste persone pensano probabilmente al fenomeno che si
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verifica in alcuni Paesi occidentali dove la gente si sposa in fretta e in fretta divorzia: in realtà,
ciò accade perchØ la natura di certo cosiddetto amore è un miscuglio di attrazione sessuale,
narcisismo e noia esistenziale. Ma se uno si occupa, come me, del significato fondamentale
dell'amore, allora deve considerare il problema in modo diverso. L'argomento fondamentale di
chi si schiera contro il divorzio è sbagliato. Molte cose nella vita, forse la maggior parte di
esse, possono essere forzate. L'amore è una delle pochissime cose che rifiutano ogni forzatura,
ogni obbligo. Quindi, rendere impossibile il divorzio non conduce ad un aumento di amore ma
alla sottomissione (della donna) e all'insincerità (di entrambi). La gente viene costretta a far
finta d'amarsi reprimendo la propria consapevolezza dell'inesistenza o della fine dell'amore.
Quelli che si occupano dell'amore dovrebbero cominciare a riconoscere che la società
moderna e industriale è un clima molto povero per far crescere l'amore. In una società dove lo
scopo principale è “avere di piø" invece di “.essere di piø", dove governano (…) l'egoismo e la
distruzione, l'amore è come una pianta in un terreno povero, con troppa poca acqua e troppo
poco sole. Eppure, l'amore è un impulso così fondamentale nell'uomo che miracolosamente
vive e cresce anche oggi in non poche persone. Quelli che parlano del matrimonio come sacro
dovrebbero pensare all'amore come sacro, e dovrebbero combattere contro le condizioni della
società che trasformano l'atto di amare in un compito estremamente difficile, piuttosto che
combattere soltanto contro il divorzio. I frequenti divorzi sono sintomi di una società senza
amore: ma volendo curare solo il sintomo, si impedisce la cura delle vere cause”. (Fromm,
1974)
La separazione tra uomo e donna non Ø di per sØ un sintomo della presenza di situazioni
psicopatologiche a carico degli individui o della coppia e non dovrebbe provocare
necessariamente sintomi di interesse della psicopatologia. In alcuni casi, addirittura, essa può
essere correttamente considerata come un'evoluzione verso la salute mentale da parte di quanti
avevano formato la propria coppia in base al bisogno di compensare difficoltà psicologiche
individuali, scoprendo solo attraverso il processo di maturazione di poter fare una scelta
migliore per sØ, per l'altro e per i figli stessi, che non traggono alcun beneficio da un'unione
forzata, perchØ non piø funzionale al benessere degli individui (Mazzoni, 1999).
Tuttavia, la separazione e il divorzio comportano sempre la perdita di figure di riferimento
affettivo significative, quindi l'esperienza di emozioni intense di dolore o di collera (Bowlby J.
1982, p. 77) e quella di un forte stress dovuto alla disorganizzazione di quella rete di relazioni in
cui si Ø articolata la propria storia personale (Scabini E. 1995).
Una separazione, in quanto rottura di un legame, può comportare un vissuto di lutto, nel
migliore dei casi, oppure una lunga battaglia emotiva e procedurale. (Mazzoni, 1999)
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Molte persone reagiscono infatti alla separazione con modalità che vanno al di là della normale
sofferenza per le diverse perdite che Ø necessario accettare. Così gli adulti, che dovrebbero
essere particolarmente competenti per aiutare sØ stessi e i figli ad affrontare con successo nuovi
compiti di sviluppo, possono mostrarsi fragili e bisognosi d'aiuto e favorire inversioni della
gerarchia generazionale per la quale bambini anche molto piccoli si sentono chiamati a
proteggere e sostenere il genitore riconosciuto come piø debole (Mazzoni, 1999). In questi casi
i tempi dell'elaborazione si allungano e a volte possono stabilizzarsi situazioni relazionali che
bloccano il normale sviluppo sia degli adulti che dei bambini o degli adolescenti.
L'esperienza della separazione e del divorzio può quindi provocare problematiche cliniche di un
certo rilievo a livello multigenerazionale del sistema familiare. Ciò nonostante non sono ancora
chiari i risultati della ricerca che consentano di stabilire quali problematiche cliniche siano
strettamente collegate al processo dinamico attivato dalla separazione della coppia e quali siano
piuttosto una sindrome fondata su precondizioni endogene, che l'esperienza del divorzio ha
soltanto esacerbato. Il divorzio è un evento che produce una riorganizzazione di enorme
ampiezza del sistema familiare nel suo complesso. (Everett , Volgy , 1981, p. 480 ss.)
Si tratta di un ciclo evolutivo che si avvia con l'evento della crisi nel rapporto di coppia e la
decisione di separarsi discussa tra i partner e a volte con gli esperti (avvocati, consulenti etc.) e
che procede attraverso diverse fasi.
Kaslow ha proposto un modello nel quale si individuano sostanzialmente tre momenti
fondamentali: lo stadio della decisione, lo stadio legale e lo stadio post-legale, fase in cui il
gruppo familiare si riorganizza in modo binucleare (Kaslow, 1980).
Molto spesso la prima fase della separazione, cioè la decisione di rompere formalmente il
legame, può impegnare tempi lunghissimi e sono molti ad affermare di aver fatto compromessi
per mantenere un certo equilibrio per anni (otto, dieci, quattordici). La motivazione piø
frequente, a livello esplicito, Ø quella di non poter alienarsi dal progetto familiare e quindi dai
figli: per questo le coppie sono disposte a vivere una sorta di "separazione in casa", operando
progressivamente il distacco necessario a decidere definitivamente per la separazione, ma piø
spesso rimandando la separazione a quando i figli avranno raggiunto la maggiore età.
Nel caso di coloro che subiscono la separazione perchØ voluta dal partner, la situazione
assomiglia spesso, dal punto di vista psicologico, a quella del lutto provocato dalla morte
inaspettata di una persona cara e spesso Ø possibile e/o necessario attribuire ad una terza figura
(il/la “rovina-famiglie”) la responsabilità dell'evento (Mazzoni, 1999). Il conflitto in questa fase
Ø solitamente centrato sul tema della responsabilità del fallimento dell'unione e quindi
direttamente proporzionale alla difficoltà di operare il distacco affettivo e alla necessità di
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convertire il senso di inadeguatezza spostando sull'altro la "colpa" per non aver saputo
affrontare gli ostacoli salvando l'unione. Emergono in questa fase diverse tendenze che possono
collocarsi fra due poli opposti: quello in cui si nega la separazione e si cerca di mantenere
quanto piø possibile le condizioni precedenti, limitando al minimo i cambiamenti (siamo
sempre la stessa famiglia, manteniamo un unico conto in banca...) e quello in cui si compete
affinchØ ogni vincolo venga dissolto e ciascun individuo ottenga il massimo beneficio nella
contrattazione. Everett e Volgy definiscono questa fase facendo riferimento al processo di
deconnessione strutturale che la caratterizza: come all'inizio la famiglia si era formata sulla
base di un processo di connessione strutturale in cui "componenti separate di un sistema in
evoluzione si sviluppano in unità organizzative" (Everett , Volgy 1981, p. 483), così nella fase
decisionale della separazione Ø necessaria una “deconnessione” dalle relazioni precedenti, e
l’avviarsi di un altro processo di connessione strutturale, con nuove reti di relazioni
significative che sostituiscano quelle che si stanno perdendo.
La seconda fase, quella della separazione fisica conseguente alla separazione legale, Ø l'evento
piø difficile da affrontare sul piano emotivo. Per chi si allontana, perchè avverte il senso di
esclusione dall'insieme degli elementi costitutivi del contesto familiare. Per chi resta, che
avverte il senso di mancanza in base ai diversi posti vuoti che vengono lasciati da chi si
allontana: quello nel letto matrimoniale, quello a tavola o in altri spazi dove si realizzavano le
relazioni della coppia e della famiglia.
Byng Hall (1995) ha ipotizzato l'esistenza in ogni famiglia di uno script di attaccamento, a
livello della coppia e a livello del rapporto genitore/figlio. Egli introduce infatti il concetto di
script familiare intendendo con ciò le sequenze comportamentali che caratterizzano la famiglia
L'identificazione negli script familiari fa parte del processo di definizione della propria identità
e le relazioni familiari rappresentano il contesto in cui si sviluppa la percezione del SØ come
entità distinta da tutte le altre, la sensazione di continuità e costanza rispetto al variare delle
situazioni, la modalità con cui gli altri confermano, rifiutano, disconfermano la propria identità.
E’ quindi inevitabile che la separazione e la disorganizzazione delle relazioni familiari
producano un senso di perdita che intacca la propria sicurezza personale e la percezione della
propria identità e provoca la necessità di affrontare un processo di lutto anche per la perdita del
vecchio script familiare (Byng-Hall 1995, p. 45-48).
Si possono così definire, secondo Byng-Hall differenti percorsi nel processo dinamico della
separazione in base allo stile familiare pre-esistente. Nella famiglia base sicura si affrontano le
difficoltà e si esplorano nuove soluzioni sostenendosi reciprocamente nel dolore; nella famiglia
evitante/disimpegnata si tende a negare le difficoltà e i sentimenti di dolore e non ci si impegna
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nel sostegno; nella famiglia ambivalente/invischiata si assiste ad un aumento dell'ansia e della
preoccupazione e a difficoltà di accettare la perdita.
Uno dei comportamenti piø frequenti da parte dei figli Ø quello di occupare il posto del genitore
uscito di casa nel letto matrimoniale (Mazzoni, 1999): si ottiene così protezione rispetto ai
propri timori, ma nello stesso tempo si fornisce protezione al genitore rimasto in casa
controllando i suoi affetti legati al senso di solitudine. A qualsiasi livello la si interpreti,
l'intimità che si stabilisce tra figlio e madre (sono le donne in larga maggioranza le figure
genitoriali conviventi con i figli dopo la separazione) pone il bambino o l'adolescente in una
posizione rischiosa rispetto al proprio sviluppo e quanto piø si definirà un'alleanza
transgenerazionale tra un figlio ed uno solo dei genitori contro l'altro, tanto piø difficile sarà per
tutti progettare o realizzare cambiamenti permettendo eventualmente ad un nuovo partner di
entrare nel gruppo familiare che si Ø assestato sulla monogenitorialità.
Le difficoltà economiche sono il simbolo di quanto si sta perdendo e la misura per stabilire chi
Ø il perdente. E' facile dunque che il conflitto sia centrato su questo aspetto, insieme all'altro
"valore" rappresentato dai figli che rischiano di divenire merce di scambio, valutata in termini di
quantità di tempo che ciascun genitore può vivere insieme a loro.
In questa fase, oltre alle persone già coinvolte durante la fase decisionale, entrano in scena altre
figure quali il consulente, il mediatore familiare, ma piø frequentemente, l'avvocato e il giudice.
Ognuna di queste figure può esercitare un'influenza che favorisce un percorso costruttivo o
distruttivo del conflitto. Si assiste ad una connessione di nuove reti (Everett, Volgy , 1981) per
ricevere sostegno, ma spesso solo per avere alleati in quella che in alcuni casi potrebbe divenire
una vera e propria guerra. La figura dell'avvocato può svolgere un ruolo che va al di là della
consulenza: "il mio avvocato", espressione usata nella disputa o nella conversazione,
rappresenta il senso di complicità che si viene a definire in sostituzione di quella coniugale che
si sta perdendo. Il rito finale di questa fase Ø l'udienza in Tribunale e la sentenza di separazione
in cui sono contenuti gli accordi. Il valore simbolico della sentenza Ø tale che spesso viene
ricercata troppo in fretta con l'aspettativa che tutto possa cambiare grazie ad essa. Oppure viene
ritardata per anni attraverso diverse modalità come se in tal modo si potesse evitare una
separazione che di fatto Ø già avviata.
La terza ed ultima fase, quella post-legale successiva alla decisione del giudice, Ø quella in cui
si realizza la riorganizzazione sia personale che familiare. L'esplorazione delle nuove possibilità
Ø direttamente proporzionale alla rivalutazione di sØ stessi e alla fiducia nelle proprie capacità
di affrontare la vita autonomamente. Rispetto al cambiamento, in questa fase viene valutato
maggiormente ciò che si acquisisce e non ciò che si perde e il futuro diviene la prospettiva
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